Su bonifiche e materiali di scavo novità dal D.L. “sblocca-Italia”

Un decreto del Presidente della Repubblica di prossima emanazione per «riordinare e semplificare» la disciplina sulle terre e rocce da scavo con l’obiettivo dichiarato di rendere più agevole la realizzazione degli interventi che comportano la gestione di questi materiali; semplificazione delle procedure in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, interessate da particolari interventi, unitamente a misure urgenti per la realizzazione di opere lineari realizzate nel corso delle predette procedure. Queste, in sintesi, le disposizioni introdotte, rispettivamente, dall’art. 8 e dall’art. 34, D.L. n. 133/2014, le cui ripercussioni sul piano legislativo, ancor prima che operativo, restano, tuttavia, ancora di difficile valutazione, non solo per la mancanza del testo di riferimento del futuro D.P.R., ma anche per la presenza nel D.L. n. 133/2014 di refusi e contraddizioni. Tra queste, rileva la possibilità di prevedere la “caratterizzazione temporanea” anche per siti nei quali sono già in essere le attività di “messa in sicurezza operativa” e per i quali l’iter autorizzatorio del procedimento di bonifica è già concluso.

Art. 8 - Materiali da scavo

L’art. 8, D.L. n. 133/2014, «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»[1. In Gazzetta Ufficiale del 12 settembre 2014, n. 212] affida a un decreto del Presidente della Repubblica il compito di «riordinare e semplificare» la disciplina sulle terre e rocce da scavo con l’obiettivo dichiarato di rendere più agevole la realizzazione degli interventi che comportano la gestione di questi materiali. Per effetto, si preannunciano quindi nuove norme in una materia dove tutto si può dire, tranne che siano mancati gli interventi del legislatore; anzi, a ben vedere, le difficoltà operative derivano proprio da un’eccessiva produzione normativa e regolamentare che ha prodotto un quadro in costante cambiamento di difficile interpretazione. Sono, pertanto, auspicabili il riordino e la semplificazione che dovranno attenersi a quattro principi e criteri direttivi:

  • coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare,
  • aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;
  • indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l’applicazione dell’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile;
  • proporzionalità della disciplina all’entità degli interventi da realizzare;
  • divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dall’ordinamento europeo e, in particolare, dalla direttiva 2008/98/UE.

Se da un lato non possono che essere valutati con estremo favore il coordinamento, la coerenza logica e giuridica, la semplificazione del linguaggio, l’abrogazione “espressa” (fatta salva comunque quella “tacita”) e la “proporzionalità” tra interventi e disciplina, proporzionalità che peraltro, già oggi, è rispettata dall’art. 41-bis, legge n. 98/2013, e dal D.M. n. 161/2012. Qualche perplessità suscita l’ultimo punto, non tanto sulla opportunità o meno del criterio e del perentorio divieto (tema che potrebbe far discutere), quanto sulla sua portata concreta, essendo già sufficiente porsi la domanda su quale regolazione offra la direttiva 2008/98/CE, in materia di terre e rocce da scavo. A ben vedere nessuna, se non la scontata affermazione (contenuta nei considerata) che le terre e rocce non contaminate e non riutilizzate nel sito di produzione, ma da conferire/riutilizzare extra situ possono essere qualificate come «rifiuti» oppure «sottoprodotti» o, infine, «rifiuti che hanno cessato di essere tali»[2. Direttiva n. 2008/98/CE, considerata n. 11: «La qualifica di rifiuto dei suoli escavati non contaminati e di altro materiale allo stato naturale utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati dovrebbe essere esaminata in base alla qualifica di rifiuti e alle disposizioni sui sottoprodotti o sulla cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi della presente direttiva». Nel D.Lgs. n. 152/2006 questo criterio di valutazione è contenuto al comma 4 dell’art. 185: «Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter».]. Questa è la regolazione della materia contenuta nella direttiva; il D.P.R. che dovrà essere pubblicato tra qualche mese[3. 60 giorni per la conversione in legge del D.L. n. 133/2014 più 90 giorni per il D.P.R.] non potrà andare oltre questo livello minimo.

Art. 34 - Bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati

Altre interessanti disposizioni sono contenute all’art. 34, che ha come rubrica «modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, per la semplificazione delle procedure in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati. Misure urgenti per la realizzazione di opere lineari realizzate nel corso di attività di messa in sicurezza e di bonifica»; in particolare:

  • i commi da 1 a 6 contengono le modifiche al D.Lgs. n. 163/2006, in materia di appalti pubblici;
  • i commi 7-8-9-10 tracciano una nuova disciplina che riguarda le bonifiche e - ancora - la gestione dei materiali di scavo.

Per comprendere il senso di questi quattro ultimi commi occorre dare conto, innanzitutto, di un paio di refusi:

  • primo periodo del comma 8: «del comma 1» deve leggersi «del comma 7»;
  • lettera c) del comma 8: «dei commi 3 e 4» deve leggersi «dei commi 9 e 10».

C’è poi un’osservazione di metodo che riguarda l’effettiva necessità di frammentare la disciplina sulle bonifiche. La più opportuna collocazione sistematica di questi quattro commi sarebbe stata, infatti, all’interno del Titolo V, Parte IV, D.Lgs. n. 152/2006.

Venendo all’ambito di applicazione, diversamente dalla rubrica, che cita esclusivamente le «Opere lineari», il comma 7 parla di «Interventi e opere»:

  • richiesti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro;
  • di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, ivi compresi gli adeguamenti alle prescrizioni autorizzative;
  • lineari necessarie per l’esercizio di impianti e forniture di servizi;
  • lineari di pubblico interesse.

Tutti questi interventi e opere possono essere realizzati nei siti inquinati, ivi compresi quelli dove le attività di messa in sicurezza e bonifica sono in corso. Da sempre il tema in questione è se, in un sito inquinato o in bonifica, possano essere svolti interventi edilizi. Il comma 10 dell’art. 242 già impone di articolare gli interventi di risanamento in modo da renderli compatibili con la prosecuzione delle attività in corso nel sito e il comma 9 stabilisce che «Possono essere altresì autorizzati interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi». Il comma 7 dell’art. 34 qui in commento rimarca, esemplifica ed estende il concetto nella parte in cui precisa che gli interventi e le opere di cui sopra devono essere realizzati «secondo modalità e tecniche che non pregiudicano né interferiscono con il completamento e l’esecuzione della bonifica, né determinano rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area».

Il comma 8 contiene le procedure e le modalità di caratterizzazione [lettere a) e b)], di scavo [lettera c)], mentre i commi 9 e 10 si occupano - come detto - della gestione delle terre da scavo.
Interessante la caratterizzazione temporanea che consente di dare il via agli interventi di cui al comma 7, rinviando a un momento successivo la presentazione del vero e proprio Piano della caratterizzazione. Ciò premesso, parlando di casi in cui la caratterizzazione non è stata ancora realizzata, diventa allora difficile comprendere l’utilità della lettera b), relativa ai casi in cui nel sito sono già in essere le attività di «messa in sicurezza operativa»; in queste ipotesi, la nuova disposizione consente, in alternativa alla caratterizzazione di cui alla lettera a), di avviare le opere previa mera comunicazione all’ARPA, senza necessità di caratterizzare e purché sia assicurato, al termine dei lavori, il ripristino della «messa in sicurezza operativa». La perplessità è intuibile, nel senso che se sono in corso gli interventi di «messa in sicurezza operativa» ciò significa che, in quell’area, si è già arrivati alla fine dell’iter autorizzatorio del procedimento di bonifica, cioè che la caratterizzazione è già stata approvata ed eseguita, così come l’analisi di rischio, e finanche il progetto operativo è stato approvato ed è in corso di realizzazione attraverso, appunto, la messa in «sicurezza operativa». Per quale ragione, quindi, ci si dovrebbe preoccupare di caratterizzare nuovamente l’area non è chiaro.

 I commi 9-10 sui materiali da scavo

Analizzando i commi 9 e 10 sul riutilizzo dei materiali di scavo, senza affrontare il problema del coordinamento con le altre disposizioni vigenti (affidato al D.P.R. di prossima emanazione), si ha la conferma che il riutilizzo in situ è sempre ammesso purché i materiali abbiano concentrazioni conformi alle «concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo» (l’uso del segno tipografico “/” sembra ricordare e sottolineare l’importanza dei valori di fondo al fine della individuazione delle CSC[4. Art. 240, Parte IV, D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i. «b) concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato 5 alla parte quarta del presente decreto. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati».]). Rispetto all’esclusione già prevista dall’art. 185 comma 3 viene meno la necessità che il materiale sia «allo stato naturale» e venga riutilizzato per «fini di costruzione». Un’ulteriore novità è data dalla possibilità di riutilizzare in situ anche i terreni non conformi alle CSC/valori di fondo, ma che rispettano le concentrazioni soglia di rischio, con l’ulteriore precisazione che questo riutilizzo è ammesso anche se l’analisi di rischio non ha considerato il percorso di lisciviazione della falda, a patto però che siano attivi sistemi di confinamento fisico o idraulico di comprovata efficienza ed efficacia.

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