Antincendio e benzina verde: necessaria un’analisi nelle autorimesse

Recentemente, a Roma, è avvenuto un tragico incidente tra una berlina investita lateralmente da un SUV. Nonostante la presenza di persone che hanno immediatamente dato l’allarme e la relativa vicinanza dei Vigili del Fuoco intervenuti nel tempo di 5 minuti, gli occupanti della autovettura sono deceduti per l’immediato e totale incendio della loro vettura. A questo punto occorre comprendere come può avvenire una fiammata così potente e immediata che avvolga totalmente il mezzo e impedisca un qualsiasi soccorso. La risposta si trova nelle tabelle identificative delle caratteristiche della “benzina verde” prodotta in sostituzione della vecchia “super“ per migliorare efficienza e sicurezza. Sull’efficienza non c’è nulla da dire, ma sulla sicurezza è assolutamente necessario rivedere molti aspetti che investono l’uso, la presenza e i depositi di questo componente essenziale alla vita della società guardando in pieno viso la realtà.

Molte campagne di informazione hanno fornito illusioni sul miglioramento della qualità della vita e quasi mai le notizie sono soggette al pesante vaglio di una critica scientifica attenta ai risvolti su 360 gradi che la novità ha portato in dote. Emblematico è il caso della “benzina verde”.

Era stata presentata come la salvezza dall’inquinamento da piombo ma, a parte questo aspetto, vero ma non unico nel contesto generale delle caratteristiche complessive a confronto con la “vecchia super”, nulla è stato mai sufficientemente evidenziato nonostante alcune caratteristiche fisiche del nuovo prodotto siano interamente interconnesse con la sicurezza stessa delle autovetture, delle autorimesse e degli utenti.

Inoltre, occorre premettere che anche l’aspetto sanitario non è poi così vantaggioso come a suo tempo reclamizzato. Se il piombo si è dimostrato certamente come potente agente nei fenomeni della apoptosi cellulare, è altrettanto vero che gli anelli benzenici presenti nella “verde” non sono poi così ininfluenti nella degenerazione dei tessuti biologici verso le formazioni tumorali. Ma non è questo l’aspetto che occorre evidenziare in primo luogo, l’intento è di valutare soprattutto l’aspetto più macroscopico legato alla sicurezza antincendio. Tutto è iniziato dalla valutazione delle schede di sicurezza relative al prodotto (si vedano le tabelle 1 e 2).

L’analisi dei dati

Un tecnico antincendio, esaminando questi valori, entra in sicuro allarme per due ben precise ragioni:

  • il valore della infiammabilità estremamente basso;
  • il valore della tensione di vapore eccessivamente alto.

Ambedue contribuiscono alla rapida evaporazione della benzina verde con la conseguente formazione di miscele esplosive in aria.

L’andamento della combustione è rappresentato qualitativamente dal grafico 1 che mette in risalto come la pericolosità sia connessa con la percentuale di presenza dei vapori presenti in un determinato volume. Più elevata sarà la velocità di combustione e maggiore sarà la potenza della reazione che oltre un certo limite di velocità, può generare effetti esplosivi fornendo tutta la sua energia potenziale in un tempo brevissimo. I dati costitutivi della “benzina verde” hanno indicato con assoluta chiarezza che questo nuovo particolare combustibile ha il punto di infiammabilità estremamente basso.

La letteratura lo ha indicato compreso tra -11 °C e -45 °C. La scheda presentata nella tabella 1 lo indica a 21 °C (ASTM D 56-03), intendendo riferire solo il limite legale di cui al D.M. 31 luglio 1934, Titolo II (classificazione), mentre, nella scheda riportata nella tabella 2 è presentato l’esatto valore sperimentale di -40 °C. Questo limite rappresenta la temperatura oltre la quale la benzina verde genera spontaneamente condizioni di evaporazione in aria capaci di realizzare miscele infiammabili. Quindi, benzina verde con “pelo libero” è dimostratamente pericolosa a temperature superiori a questo limite, specie se posta in ambienti chiusi e circoscritti. Il secondo valore di allarme è la tensione di vapore. Questo indica la capacità di evaporare della benzina fornendo il dato della pressione parziale capace di occupare in atmosfera corrente. Sostanzialmente indica quanta benzina riesce a evaporare nelle condizioni di pressione e temperatura normali (100 kPa e 100 °F = 37,8 °C). Il valore indicato è estremamente elevato e i produttori sono costretti a ridurre questo valore durante il periodo estivo proprio per impedire eccessive perdite dai serbatoi privi di chiusura ermetica.

L’effetto pratico sperimentabile si avverte tenendo in mano un piccolo bicchiere di metallo riempito di benzina verde; immediatamente si ha una sensazione di freddo nelle dita che lo sostengono. Tendendo a evaporare rapidamente, la benzina deve assorbire calore per il passaggio di stato da liquido a vapore sottraendo, in questo modo, calore a se stessa e al bicchiere generando l’immediata sensazione di freddo. È possibile osservare un’altra verifica sperimentale nell’apertura del tappo del serbatoio della benzina delle autovetture durante il periodo estivo e nelle giornate di caldo eccessivo che è accompagnata da un leggero, ma sensibile, soffio del vapore della benzina che ha superato il valore della pressione atmosferica. Quindi, è palesemente dimostrato che l’alto valore della tensione di vapore comporta la rapida trasformazione del prodotto in un gas che, essendo più pesante dell’aria, tende a ristagnare in basso. La conseguenza immediata risulta nella difficoltà di eliminare per ventilazione naturale questo pericolo da locali dotati di aperture di aerazione poste solo nella parte alta del volume, come avviene per i livelli seminterrati e interrati; le autorimesse sono quasi tutte posizionate sotto il livello del terreno esterno.

Le conseguenze

Il considerevole potenziale termico del gas di benzina comporta un aumento di pressione al momento della sua combustione in un locale confinato per la rapida propagazione del fronte di fiamma che è dell’ordine delle decine di m/sec. Non consentendo, per ragioni di inerzia, lo sfogo della maggior pressione del volume di gas indotto dall’aumento della temperatura conseguente alla combustione, la velocità del fenomeno determina un picco di pressione su tutti i vincoli di contenimento del volume occupato (pareti e solai).

Facendo calcoli approssimativi, per avere almeno un ordine di grandezza, è possibile affermare che 5 litri di benzina verde vaporizzati all’interno di una autorimessa di 400 m² possono determinare una sovrappressione limite di ben 5 kPa corrispondenti a una spinta di 500 kg/m², sufficiente a spallare pareti e lesionare anche i solai di copertura. Passando a esaminare, poi, le condizioni del serbatoio di una autovettura (oggi addirittura costituito in resina sintetica) congiuntamente alle condizioni di esercizio, è presentata l’ipotesi di una leggera lesione di questo contenitore.

La perdita di benzina non sarebbe palese durante l’azione propulsiva del motore, perché il consumo della benzina esige il rimpiazzo del volume del liquido sottratto, quindi, l’evaporazione andrebbe a compensare, grossomodo, la diminuzione. Ma al momento dell’arresto, magari in un box dove l’accumulo termico del veicolo (motore che ha percorso chilometri, acque di raffreddamento calde, carrozzeria soleggiata ecc.) può determinare l’innalzamento della temperatura ambientale, un rialzo di temperatura del serbatoio lesionato è sempre possibile e la benzina, per le sue caratteristiche di tensione di vapore, può comportare aumenti della pressione nel serbatoio stesso senza dare l’immediato avviso al conducente. La piccola lesione costituirà così l’uscita di liquido sotto la spinta dell’aumento di pressione generato dalla evaporazione dovuto alla tensione di vapore.

Conclusioni

Questo rappresenta solo una ipotesi, assolutamente credibile e possibile, di perdite di liquido di autoveicoli alimentati a benzina. L’accettazione di una qualsiasi ipotesi di sversamenti di “verde” avrebbe dovuto da tempo porre in allarme la società nelle sue strutture direzionali tese alla garanzia della sicurezza. Il problema posto è reale e la normativa, per la realizzazione delle autorimesse oggi in vigore, ha ignorato del tutto il problema limitandosi a richiedere genericamente aperture di ventilazione per 1/25 della superficie in pianta, limitando la distanza massima tra una luce e l’altra a 40 metri e questo indipendentemente dalla quota rispetto al piano esterno al quale si determina la possibile evacuazione dei gas e nulla è stato detto e/o suggerito sulla posizione delle aperture, se debbano essere in alto o in basso. La ventilazione meccanica è richiesta solo per autorimesse eccedenti un numero di veicoli parcati parametrizzato con la quota.

Oggi, nel 2014, con tecnologie avanzate, sistemi di rilevazione affidabili e altro ancora si continua a essere ingannati da normative di sicurezza che, allo stato, si dimostrano sempre più fallaci e che sono assunte per solo spirito di conformità che determina l’automatica concessione della agibilità che costituisce il valore commerciale del manufatto. Qualora, poi, per una eventuale inadempienza strutturale documentata fosse richiesta una piccola deroga alle imposizioni della norma in una autorimessa, sarebbe prescritto un impianto sprinkler che è un normale innaffiatoio più o meno potente ma che non determina di certo lo spegnimento delle autovetture e non soffoca le perdite di carburante che galleggiano e si spargono con maggiore velocità sul bagnato. Al momento, lo Stato, che si è assunto l’intero onere della conoscenza e della ratifica delle condizioni necessarie e indifferibili per la conduzione della attività, non appare in grado di realizzare test sulla base di prove reali e di speculazione scientifica demandando alle sole direttive burocratiche, immutabili da tempo, la certificazione della sicurezza, senza fornire alla utenza consigli utili alla riduzione dei possibili incidenti. Occorre evidenziare la mancanza di un Centro studi ed esperienze che possa mantenere il passo con l’evoluzione della tecnica.

Per puro esempio, l’utilizzazione dei sistemi di allagamento a schiuma per le autorimesse sarebbe già una effettivo miglioramento senza un reale aumento dei costi rispetto a uno sprinkler la cui installazione esige più mano d’opera e più tubazione. L’uso di rilevatori di HC potrebbe indurre allarmi. Tecnicamente, è vero solo quello che è provato e ripetuto, non quello che è conforme.

(a cura di Giacomo Ruggeri, ex Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco ed ex Direttore del Laboratorio di Idraulica del Centro Studi ed Esperienze; articolo tratto da Ambiente&Sicurezza n. 17/2014)

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