Sviluppo sostenibile: Italia virtuosa, ma la crisi gioca il suo ruolo

E' il quadro che emerge dal Rapporto Istat 2019

Sviluppo sostenibile: l'Italia funziona meglio di quanto non si pensi. E' quanto emerge dall'ultimo Rapporto Istat 2019.

Nel nostro Paese, si legge nel Rapporto "si registra una progressiva riduzione del consumo di risorse naturali. Sebbene ancora lontani da un ideale disaccoppiamento tra sviluppo delle attività economiche e pressioni sugli ecosistemi, il rapporto tra consumo di materiale interno (quantità di materiali utilizzati dal sistema socio-economico) e Pil si riduce, tra il 2000 e il 2017, di circa il 50 per cento (da 0,61 a 0,31 tonnellate per 1.000 euro), risultato a cui sembrano aver contribuito sia, almeno in parte, il complessivo rallentamento dell’attività produttiva, sia una maggiore attenzione all’efficienza dei processi produttivi.

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Rispetto ad alcuni obiettivi posti dall'Agenda 2030, tesi allo sviluppo sostenibile "complessivamente l’Italia è caratterizzata da un minore consumo di materiale interno (Cmi) rispetto agli altri paesi europei, collocandosi al terzo posto nella graduatoria per rapporto Cmi/Pil (pari al 64 per cento della media dell’Ue) e al primo posto in termini di Cmi pro capite (pari al 62 per cento).

In merito all'obiettivo di ridurre gli impatti sul clima legati al consumo interno lordo di energia e sviluppare fonti energetiche rinnovabili "l’Italia ha raggiunto risultati di rilievo (Goal 7). Infatti, grazie anche alla spinta delle politiche di incentivazione dell’efficienza energetica, nel corso dell’ultimo decennio l’intensità energetica primaria (misurata dal rapporto tra il consumo interno lordo di energia e il Pil) si è ridotta del 13,1 per cento, passando da 113,2 tonnellate equivalenti di petrolio per milione di euro di Pil del 2006 a 98,4 nel 2016: posta pari a 100 la media Ue, l’intensità energetica del nostro Paese, nel 2016, era pari a 83"

Se poi si parla di peso complessivo delle energie rinnovabili sul sistema energetico nazionale, prosegue il Rapporto nella quota a parte dedicata allo sviluppo sostenibile "l’Italia ha raggiunto sin dal 2014 il target del 17 per cento di consumi coperti da fonte rinnovabile, obiettivo assegnatole per il 2020 dal pacchetto Clima-energia dell’Unione europea, e si colloca oggi al di sopra della media Ue.

Segnali positivi anche dall’analisi dell’andamento del rapporto tra emissioni di anidride carbonica (CO2 ) e valore aggiunto (Goal 9), indispensabile strumento di monitoraggio del processo di decarbonizzazione richiesto dall’Accordo di Parigi sul clima, nel 2017 si è segnato "un minimo storico pari a 178,3 tonnellate per milione di euro, ma ancora una volta questo risultato è in parte condizionato dal ciclo economico negativo che ha caratterizzato l’Italia fino al 2014".

Sviluppo sostenibile: il ruolo delle ecoindustrie

Rendere più sostenibili i processi produttivi, sempre parlando di sviluppo sostenibile, il processo di efficientamento non fa bene soltanto all'ambiente, ma anche all'innovazione. Questa tendenza, infatti "rappresenta un’opportunità di innovazione e di crescita della competitività per le imprese. L’azione di tutela ambientale costituisce d’altra parte un’attività che genera importanti impatti produttivi, come lo sviluppo delle “ecoindustrie”, individuate come possibile volano di un’economia sostenibile".

E i numeri, secondo il Rapporto, lo dimostrano: "Il valore complessivo dei beni e servizi prodotti dal sistema economico per finalità ambientali ha raggiunto nel 2017 i 77 miliardi di produzione, il 5 per cento dei quali destinato all’export. In termini di valore aggiunto, il settore delle ecoindustrie genera circa 36 miliardi di euro, ovvero il 2,3 per cento del Pil italiano, un valore lievemente superiore alla media europea (che non arriva al 2 per cento). Oltre il 65 per cento del valore aggiunto prodotto dal settore deriva dalla produzione di beni e servizi la cui finalità principale è la gestione delle risorse naturali. In particolare, il 60 per cento è generato dalla gestione delle risorse energetiche e riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili, beni e servizi utilizzati per attività di efficientamento energetico e prodotti che mirano alla riduzione del prelievo di risorse fossili. Il rimanente 5 per cento è dedicato alla preservazione di foreste, acqua, patrimonio minerale, flora e fauna.

Sviluppo sostenibile: anche la protezione ambientale fa business

Anche ridurre l'impatto, conseguendo quindi obiettivi di sviluppo sostenibile, concorre alla realizzazione di fatturato: "Le attività di protezione dell’ambiente assorbono in totale il 35 per cento del valore aggiunto delle ecoindustrie. Si tratta in questo caso di beni e servizi volti a ridurre l’impatto qualitativo sull’ambiente, essendo dedicati alla prevenzione, riduzione o eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado dell’ambiente naturale. Sul piano operativo, al fine di delimitare il perimetro delle ecoindustrie, in ambito europeo è stato identificato un indicative compendium di 80 prodotti trasversali a tutti i settori di attività economica per i quali si rimanda a Istat (2019d). Il valore aggiunto è valutato a prezzi base cioè al netto delle imposte sui prodotti e al lordo dei contributi ai prodotti".

(Fonte: Istat)

 

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