Dpi scelta uso e vigilanza

Quali sono gli obblighi relativi alla scelta e all’uso dei dispositivi di protezione individuale per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e quali sono le sanzioni previste, anche per la violazione del dovere di vigilanza? Il punto del giurista alla luce della normativa e delle pronunce più rilevanti

Dpi: scelta, uso e vigilanza.

Il titolo III, capo II del D.Lgs. n. 81/2008 (artt. 74-79) attuativo della direttiva comunitaria89/656/Cee, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per l'uso, da parte dei lavoratori, di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro, definisce convenzionalmente i Dpi come «qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo».

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Il Dpi si distingue dall’attrezzatura classica, la quale - quand’anche indossata dal lavoratore - è parte attiva del ciclo produttivo. La definizione di Dpi contenuta nel D.Lgs. n. 81/2008 si aggiunge - senza sostituirla - alla definizione contenuta nell'art. 1 del D.Lgs. n. 475/1992, come di recente modificato dal D.Lgs. n. 17/2019, il quale a sua volta rimanda alle «definizioni» dell’art. 3 del regolamento Ue n. 425/2016 («dispositivi progettati e fabbricati per essere indossati o tenuti da una persona per proteggersi da uno o più rischi per la sua salute o sicurezza»): mentre quest'ultima definizione vale ai limitati effetti di classificazione dei Dpi in categorie, e ai fini della procedura di certificazione e di marcatura Ce, la definizione contenuta nel testo unico per la sicurezza del lavoro ha una portata prevenzionistica generale, e una valenza non tecnica, ma di tutela - quali obiettivi primari - della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Dpi scelta uso e vigilanza: la funzione

In base a quanto dispone la circolare del ministero del Lavoro 29 aprile 1999, n. 34, gli «indumenti di lavoro ordinari» rientrano tra i Dpi, a condizione che siano destinati ad assolvere a una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori (si pensi, ad esempio, agli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, a quelli di protezione contro il caldo o il freddo, agli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici ecc.). Al contrario, non sono classificabili come Dpi i caschi e le relative visiere «per conducenti e passeggeri di motocicli e ciclomotori» (art. 2, comma 2, lett. e) del regolamento Ue n. 425/2016).

Dopo averne data la definizione, il D.Lgs. n. 81/2008 (art. 75) stabilisce il cosiddetto “principio di sussidiarietà d’uso” dei Dpi, sia rispetto alle misure oggettive (“tecniche”) di prevenzione, sia rispetto alle misure di protezione collettiva, conformemente alla previsione generale dell’art. 15, comma 1, lettera i) del decreto, e dell’ottavo «considerando» della direttiva comunitaria 89/656/Cee.

I Dpi devono essere conformi alle disposizioni del già citato regolamento Ue n. 425/2016 (regolante la procedura di accertamento di conformità ai fini della sicurezza) e a quelle dei decreti ministeriali che ne stabiliscono sia i criteri per l'individuazione e l'uso sia le circostanze e le situazioni in cui, ferme restando le priorità delle misure di protezione collettiva, si rende necessario il loro impiego (vedere, ad esempio, il D.M. Lavoro 2 maggio 2001 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 209 dell’8 settembre 2001, supplemento ordiario). I dispositivi devono altresì possedere alcune caratteristiche di carattere generale: essere adeguati ai rischi professionali e alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro (la cosiddetta “adeguatezza intrinseca”), rispettare le esigenze ergonomiche, e assicurare l’adattabilità individuale al singolo utilizzatore. In nessun caso l'uso di un Dpi può provocare un innalzamento del coefficiente di rischio; in caso poi di uso simultaneo di più Dpi, il D.Lgs. n. 81/2008 richiede una preventiva valutazione di compatibilità e di conservazione d'efficacia.

Gli obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti in tema di Dpi sono stabiliti agli artt. 18 e 19 del D.Lgs. n. 81/2008, secondo la regola generale di “scalettamento” delle rispettive attribuzioni e competenze (per i preposti, ad esempio, è escluso l’obbligo formativo e di addestramento professionale dei lavoratori), e si possono scomporre nei seguenti momenti tra loro conseguenziali: scelta, uso, manutenzione, informazione, formazione, addestramento.

Dpi scelta uso e vigilanza: adeguatezza innanzi tutto

La scelta di mercato di ciascun Dpi deve essere preceduta (solo per quelli di seconda o di terza categoria) [1] da una valutazione astratta del dispositivo più adeguato a fronteggiare il rischio professionale di riferimento. La filosofia che presiede alla scelta dei dispositivi individuali di protezione è intimamente connessa - e conseguente - all’attività di valutazione dei rischi professionali esistenti sul luogo di lavoro (art. 28 e 29 del D.Lgs. n. 81/2008); anche l'obbligo di aggiornamento della scelta dei Dpi, non è che una derivazione dell'obbligo più generale di rielaborazione della valutazione dei rischi, imposta dall'art. 29, comma 3 del decreto legislativo. Parimenti, la definizione delle condizioni d'uso dei Dpi è strettamente correlata alla preliminare imprescindibile attività di valutazione dei rischi.

La legislazione non obbliga necessariamente il datore di lavoro a scegliere il "meglio" esistente sul mercato (best available technology): ciò che conta è il rispetto dei parametri di adeguatezza intrinseca, ergonomia e adattabilità indicati dall'art. 76, comma 2 del decreto (i quali devono essere ulteriormente valutati con riferimento alla norma, di carattere generale, di cui all'art. 2087 del codice civile, la quale obbliga il datore di lavoro ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, «sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro»).

Occorre, inoltre, distinguere l’ipotesi di fornitura ai lavoratori di Dpi non conformi alla normativa (di cui al regolamento Ue n. 425/2016 e alla decretazione interministeriale di cui all'art. 79 del D.Lgs. n. 81/2008), dall’ipotesi di omessa fornitura dei Dpi nei casi previsti dalla legge (art. 18, comma 1, lettera d) del D.Lgs. n. 81/2008): la relazione tra le due ipotesi è di alternatività, giacché nel primo caso la condotta penalmente rilevante è di tipo commissivo, mentre nel secondo caso detta condotta è di tipo omissivo.

Dpi scelta uso e vigilanza: il primato dell’efficienza

Secondo l’indicazione offerta dalla già citata circolare del ministero del Lavoro n. 34/1999, l’articolo 43, comma 4 del D.Lgs. n. 626/1994 (attuale art. 77, comma 4 del D.Lgs. n. 81/2008) obbliga il datore di lavoro a mantenere nel tempo le caratteristiche specifiche dei Dpi (quali, ad esempio, l'impermeabilità o la fluorescenza: in tal senso è anche la pronuncia di Cass. civ. sez. lavoro, 9 luglio 1998, n. 11139), e ciò deve valere anche per gli indumenti di lavoro che assumano la caratteristica di dispositivi personali di protezione. A questo scopo, è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità, e valutando se questa pulizia possa essere effettuata direttamente all'interno dell'azienda, ovvero ricorrendo a imprese esterne specializzate. Sempre in base all’indicazione della circolare n. 34/1999, qualora gli indumenti siano o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso in cui si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione e il trattamento di questi indumenti da parte dei lavoratori addetti, e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo; se viceversa, si sceglie un'impresa esterna, il datore di lavoro, responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di questi Dpi (efficienza che un’errata pulizia potrebbe pregiudicare), deve preventivamente assicurarsi che l'impresa stessa abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo, provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura e sull’entità dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e curare che questi indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare altresì ogni rischio di contaminazione esterna (nel rispetto del principio affermato dall’art. 18, comma 1, lett. q) del decreto). Ovviamente l'impresa esterna è responsabile della sicurezza dei propri dipendenti, e dovrà pertanto provvedere alla valutazione dei rischi e alle conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche sulla base delle informazioni fornite dal datore di lavoro che ha conferito l'incarico della pulizia degli indumenti. La circolare qui all’esame richiama anche l’obbligo per il datore di lavoro di riporre gli indumenti di protezione in luogo separato da quello destinato agli abiti civili; di effettuare il lavaggio in lavanderie appositamente attrezzate, con macchine adibite esclusivamente all'attività specifica; di effettuare, nel caso in cui l'agente contaminante sia il piombo o l'amianto, il trasporto in imballaggi chiusi, opportunamente etichettati (indicazioni queste che trovano ora riferimento negli artt. 238 e 252 del D.Lgs. n. 81/2008).

Anche la giurisprudenza si è espressa in merito all’obbligo del datore di lavoro di sostenere le spese relative alla pulizia degli indumenti di lavoro. Secondo Cass. civ. sez. lavoro, 26 giugno 2006, F.R. c. Amiu - Azienda multiservizi e d’igiene urbana, poiché i lavoratori hanno diritto alla retribuzione dell’attività lavorativa prestata e al rimborso delle spese sostenute per la pulizia degli indumenti di protezione, forniti dal datore di lavoro, è affetta da nullità, per contrasto con norme imperative e inderogabili, la clausola contrattuale (nel caso di specie contenuta nella contrattazione collettiva) che dispone in senso contrario.

Altra considerazione attiene poi all’opportunità che le istruzioni d'uso dei Dpi siano rese comprensibili e accessibili mediante la predisposizione di un’adeguata manualistica, salvi gli obblighi di segnalazione e di cartellonistica stabiliti dalla legislazione prevenzionistica e di igiene del lavoro.

Dpi scelta uso e vigilanza: la gratuità

La direttiva comunitaria 89/656/Cee prevede che «Le attrezzature di protezione individuale debbono normalmente essere fornite a titolo gratuito dal datore di lavoro», e che solo nel caso in cui «il loro uso non sia limitato al lavoro», i lavoratori possano essere «invitati a contribuire alle spese» di acquisto, manutenzione, riparazione e sostituzione parziale.

Se da un lato il datore di lavoro deve assolvere agli obblighi di informazione, formazione, addestramento dei lavoratori circa le modalità di corretto impiego dei Dpi, dall’altro lato il D.Lgs. n. 81/2008 fissa per questi ultimi obblighi corrispondenti in tema di corretto utilizzo dei Dpi, e di divieto di sottrarsi al programma di formazione e di addestramento professionale organizzato dal datore di lavoro (art. 78).

Quanto al dovere di vigilanza, la giurisprudenza è univocamente orientata nel ritenere che il datore di lavoro ha l’obbligo di procedere ad una continua e persistente vigilanza sull’operato dei propri dipendenti, allo scopo di prevenire gli infortuni sul lavoro, e di evitare che si verifichino condotte negligenti o imprudenti. Questo principio è stato oggetto di un’esplicita previsione normativa sia in tema di attrezzature di lavoro (art. 71, comma 4, lettera a), nn. 1 e 2 del D.Lgs. n. 81/2008), sia in tema di DPI (art. 77, comma 4, lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008), risolventesi nell’imporre al datore di lavoro la responsabilità relativa al loro “corretto utilizzo” (fermo restando - beninteso- l’autonomo profilo di responsabilità del lavoratore ex art. 20, comma 2, lett. b) e d)).

Dunque, non è sufficiente che i Dpi vengano messi a disposizione dei lavoratori, ma grava altresì sul datore di lavoro il contestuale obbligo di vigilare sul loro corretto e costante uso (in questo senso, tra le tante, Cass. pen. sez. IV, 5 luglio 2001, n. 27316; Cass. pen. sez. III, 30 aprile 1996, Gargiulo; Cass. pen. sez. IV, 7 luglio 1993, D'Auria; da ultimo Cass. pen. sez. IV, 20 dicembre 2018, n. 57706), fino a impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa - inidoneità originaria o sopravvenuta- siano pericolosi per l’incolumità del lavoratore (Cass. pen. sez. III, 27 gennaio 1999, Celino).

Per altro verso, la dotazione ai lavoratori di Dpi inidonei può generare riflessi negativi anche in tema di una corretta valutazione dei rischi professionali. Così è stato nel caso dell’infortunio a un lavoratore marittimo, la cui tuta cerata aveva una conformazione per la quale, a chiusura avvenuta, residuava nella parte inferiore un lembo di stoffa libero e svolazzante al vento, sicché il lavoratore, investito da un’onda violenta, era stato attinto dall’organo lavoratore meccanico dell’imbarcazione (campana) causa l’accidentale impigliamento del lembo della tuta nella fune in movimento. Il datore di lavoro, nonostante il conferimento della delega al comandante dell’imbarcazione per il corretto approvvigionamento dei Dpi per l’equipaggio, si è visto annullare l’assoluzione inerendo la scelta dei Dpi a un corretto profilo di valutazione e di gestione del correlato profilo di rischio, come tale non delegabile in quanto riflettentisi direttamente nel documento di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008 (Cass. pen. sez. IV, 14 giugno 2017, n. 29732). Analogamente, circa la condanna di un datore di lavoro per la genericità di un Dvr il quale aveva lasciato alla libera scelta dei lavoratori la scelta della tipologia delle scarpe antinfortunistiche, è significativa la pronuncia di Cass. pen. sez. III, 5 luglio 2018, n. 30173.

Dpi scelta uso e vigilanza, sì, ma i Dpc?

Altra pronuncia interessante circa il rapporto intercorrente tra Dpi e misure di sicurezza collettive, in relazione al rischio di caduta dall’alto, è quella di Cass. pen. sez. IV, 6 febbraio 2018, n. 5477.

Da ultimo, deve essere sottolineato che con l’art. 18, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 81/2008 («il datore di lavoro (…) (ha l’obbligo di, Nda) (…) richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione»), il legislatore ha assoggettato ad autonoma sanzione penale la violazione della cosiddetta “pretesa d’uso” dei Dpi, confermando così la netta inversione di tendenza già operata dal D.Lgs. n. 626/1994 rispetto alla precedente previsione dell’art. 4, lettera c) del D.P.R. n. 547/1955 («disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione»), la cui violazione non era esplicitamente sanzionata sul piano contravvenzionale.

 

[1] L'Allegato I al regolamento Ue n. 425/2016 classifica i Dpi in tre categorie, in relazione alla tipologia e non più, come disponeva la normativa previgente, in relazione alla complessità progettuale, all’entità del rischio (di danno fisico lieve, grave, di morte, di danno fisico permanente), ovvero al tempo di percepibilità anticipata, da parte dell’utilizzatore, del processo di concretizzazione del rischio e di verificazione dei suoi effetti lesivi.

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