Greenwashing: pubblicata la direttiva

Greenwashing direttiva
Vietate comunicazioni generiche o ingannevoli sui temi legati all'ambiente e pratiche quali l'obsolescenza programmata. Due anni di tempo per recepire le disposizioni

Greenwashing: pubblicata la «direttiva 2024/825 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2024 che modifica le direttive 2005/29/Ce e 2011/83/Ue per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione» (in G.U.U.E. L del 6 marzo 2024).

Di cosa si tratta

Il greenwashing è la strategia di comunicazione messa in atto da determinate imprese, organizzazioni o istituzioni politiche e finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

 

I cardini della riforma

La direttiva 2024/825, nel modificare le direttive 2005/29/Ce e 2011/83/Ue, punta, in estrema sintesi a:

  • proibire comunicazioni su temi ambientali che risultino generiche e ingannevoli;
  • vietare l’obsolescenza precoce programmata intesa come «politica commerciale che comporta la pianificazione o la progettazione deliberata di un prodotto con una durata di vita limitata, affinché giunga prematuramente ad obsolescenza o smetta di funzionare dopo un determinato periodo o dopo un’intensità d’uso predeterminata».

 

Le tempistiche

  • 27 marzo 2026: termine ultimo per recepire le misure nella legislazione italiana;
  • 27 settembre 2026: termine ultimo per dare piena operatività alle disposizioni nella legislazione italiana.

 

Di seguito il testo della direttiva 2024/825 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2024.

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Direttiva 2024/825 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2024 che modifica le direttive 2005/29/Ce e 2011/83/Ue per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione

(in G.U.U.E. L del 6 marzo 2024)

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 114,

vista la proposta della Commissione europea,

previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali,

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo[1]GU C 443 del 22.11.2022, pag. 75.,

deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria[2]Posizione del Parlamento europeo del 17 gennaio 2024 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 20 febbraio 2024.,

considerando quanto segue:

(1) Al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici hanno la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili. È pertanto opportuno introdurre nella normativa dell’Unione in materia di tutela dei consumatori norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo sostenibili, quali le pratiche associate all’obsolescenza precoce dei beni, le asserzioni ambientali ingannevoli («greenwashing»), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili. Tali norme consentiranno agli organi nazionali competenti di far fronte efficacemente a tali pratiche. La garanzia che le asserzioni ambientali sono eque, comprensibili e affidabili consentirà agli operatori economici di operare su un piano di parità e permetterà ai consumatori di scegliere prodotti che siano effettivamente migliori per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti. Sarà così incoraggiata la concorrenza conducendo a prodotti più ecosostenibili, con conseguente riduzione dell’impatto negativo sull’ambiente.

(2) È opportuno introdurre tali nuove norme mediante la modifica degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio[3]Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22). per quanto riguarda le pratiche commerciali che sono considerate ingannevoli e quindi vietate, in base a una valutazione caso per caso, e mediante la modifica dell’allegato I della stessa direttiva, con l’aggiunta di pratiche ingannevoli specifiche che sono considerate sleali in ogni caso e quindi vietate. Come già stabilito nella direttiva 2005/29/CE, dovrebbe comunque essere possibile ritenere che una pratica commerciale sia sleale sulla base degli articoli da 5 a 9 di tale direttiva, anche se tale particolare pratica non è elencata come pratica commerciale sleale nell’allegato I della direttiva 2005/29/CE.

(3) Affinché possano prendere decisioni più informate e stimolare in tal modo la domanda e l’offerta di beni più sostenibili, i consumatori non dovrebbero essere ingannati sulle caratteristiche ambientali o sociali di un prodotto o sugli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, mediante la presentazione generale di un prodotto. È pertanto opportuno modificare l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE aggiungendo le caratteristiche ambientali e sociali e gli aspetti relativi alla circolarità all’elenco delle caratteristiche principali di un prodotto rispetto alle quali le pratiche di un operatore economico possono essere considerate ingannevoli in base a una valutazione caso per caso. Le informazioni fornite dagli operatori economici sulle caratteristiche sociali di un prodotto lungo tutta la sua catena del valore possono riguardare, ad esempio, la qualità e l’equità delle condizioni di lavoro della forza lavoro interessata, quali salari adeguati, protezione sociale, sicurezza dell’ambiente di lavoro e dialogo sociale. Tali informazioni possono altresì riguardare il rispetto dei diritti umani, la parità di trattamento e di opportunità per tutti, compresi la parità di genere, l’inclusione e la diversità, i contributi alle iniziative sociali o gli impegni etici, quali il benessere degli animali. Le caratteristiche ambientali e sociali di un prodotto possono essere intese in senso ampio, che comprenda gli aspetti, l’impatto e le prestazioni ambientali e sociali di un prodotto.

(4) Le asserzioni ambientali, in particolare quelle relative al clima, fanno sempre più spesso riferimento alle prestazioni future ai fini della transizione alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica, oppure di un obiettivo analogo, entro una determinata data. Con tali asserzioni gli operatori economici danno l’impressione che acquistando i loro prodotti i consumatori contribuiscano a un’economia a basse emissioni di carbonio. Ai fini dell’equità e della credibilità di tali asserzioni, è opportuno modificare l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2005/29/CE vietando quelle che, in base a una valutazione caso per caso, non risultano corroborate da impegni e obiettivi chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che indichi in quale modo tali impegni e obiettivi saranno conseguiti e che stanzi risorse a tal fine. Tale piano di attuazione dovrebbe includere tutti gli elementi pertinenti necessari per adempiere agli impegni, quali le risorse di bilancio e gli sviluppi tecnologici, se del caso e in conformità del diritto dell’Unione. Tali asserzioni dovrebbero inoltre essere verificate da un esperto terzo, che dovrebbe essere indipendente dall’operatore economico, esente da conflitti di interessi e dotato di esperienza e competenze in materia ambientale, il quale dovrebbe poter verificare periodicamente i progressi compiuti dall’operatore economico rispetto a tali impegni e obiettivi, comprese le tappe fondamentali per conseguirli. Gli operatori economici dovrebbero garantire che i risultati periodici dell’esperto terzo siano a disposizione dei consumatori.

(5) Un’altra pratica commerciale potenzialmente ingannevole da aggiungere alle pratiche specifiche di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2005/29/CE è quella di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti e non direttamente connesse ad alcuna caratteristica del prodotto specifico o dell’impresa in questione e che potrebbero indurre i consumatori a credere che siano più vantaggiosi per i consumatori, l’ambiente o la società rispetto ad altri prodotti o imprese di operatori economici dello stesso tipo, ad esempio asserendo che una particolare marca di acqua in bottiglia è priva di glutine o che i fogli di carta non contengono plastica.

(6) Il raffronto dei prodotti in base alle rispettive caratteristiche ambientali o sociali o agli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, è una tecnica di marketing sempre più diffusa che potrebbe essere ingannevole per i consumatori, che non sempre sono in grado di valutare l’affidabilità di tali informazioni. Affinché tali raffronti non ingannino il consumatore, è opportuno modificare l’articolo 7 della direttiva 2005/29/CE per imporre agli operatori economici di fornire ai consumatori informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni. I consumatori dovrebbero così essere messi in grado di prendere decisioni di natura commerciale più consapevoli quando si basano su tali raffronti. È opportuno garantire che tali raffronti siano oggettivi, in particolare grazie al raffronto di prodotti che svolgono la medesima funzione, all’impiego di un metodo comune e di assunti comuni e al raffronto fra caratteristiche rilevanti e verificabili dei prodotti in questione.

(7) I marchi di sostenibilità possono riguardare molte caratteristiche di un prodotto, di un processo o di un’impresa, ed è essenziale garantirne la trasparenza e la credibilità. Pertanto è opportuno vietare l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche includendo tali pratiche nell’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2005/29/CE. Prima di esibire un marchio di sostenibilità, l’operatore economico dovrebbe garantire che, secondo i termini del sistema di certificazione disponibili al pubblico, tale marchio soddisfi condizioni minime di trasparenza e credibilità, compresa l’esistenza di un controllo obiettivo della conformità ai requisiti del sistema. Tale monitoraggio dovrebbe essere effettuato da un terzo la cui competenza e indipendenza sia dal titolare del sistema che dall’operatore economico siano garantite sulla base delle norme e delle procedure internazionali, dell’Unione o nazionali, ad esempio dimostrando la conformità alle pertinenti norme internazionali, quali la norma ISO 17065 «Valutazione della conformità - Requisiti per gli organismi di certificazione di prodotti, processi e servizi» o attraverso i meccanismi di cui al regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio[4]Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che fissa le norme in materia di accreditamento e abroga il regolamento (CEE) n. 339/93 (GU L 218 del 13.8.2008, pag. 30).. L’esibizione di marchi di sostenibilità è possibile in assenza di un sistema di certificazione quando il marchio è stabilito da un’autorità pubblica o in caso di forme di espressione e presentazione supplementari degli alimenti utilizzate in conformità dell’articolo 35 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio[5]Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 18)..

Esempi di marchi di sostenibilità stabiliti dalle autorità pubbliche sono i loghi assegnati per la conformità ai requisiti dei regolamenti (CE) n. 1221/2009[6]Regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE (GU L 342 del 22.12.2009, pag. 1). o (CE) n. 66/2010[7]Regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, relativo al marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE) (GU L 27 del 30.1.2010, pag. 1). del Parlamento europeo e del Consiglio. Alcuni marchi di certificazione, quali definiti all’articolo 27 della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio[8]Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 336 del 23.12.2015, pag. 1)., possono fungere anche da marchi di sostenibilità se promuovono un prodotto, un processo o un’impresa con riferimento, ad esempio, alle sue caratteristiche ambientali o sociali o a entrambe. L’operatore economico dovrebbe poter esibire tali marchi di certificazione solo se sono stabiliti da autorità pubbliche o basati su un sistema di certificazione. Tale norma integra l’allegato I, punto 4, della direttiva 2005/29/CE, che vieta di asserire che un operatore economico, le sue pratiche commerciali o un prodotto sono stati approvati, accettati o autorizzati da un organismo pubblico o privato quando ciò non sia avvenuto o senza rispettare le condizioni dell’approvazione, dell’accettazione o dell’autorizzazione ricevuta. Le norme volontarie pubbliche e le norme volontarie basate sul mercato per le obbligazioni verdi e sostenibili non si rivolgono principalmente agli investitori al dettaglio e sono soggette a discipline legislative specifiche. Per tali motivi, tali norme non dovrebbero essere considerate marchi di sostenibilità a norma della presente direttiva. È importante che le autorità pubbliche promuovano, per quanto possibile e nel rispetto del diritto dell’Unione, misure volte ad agevolare l’accesso ai marchi di sostenibilità per le piccole e medie imprese.

(8) Nei casi in cui l’esibizione di un marchio di sostenibilità comporti una comunicazione commerciale che suggerisce o dà l’impressione che il prodotto abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure sia meno dannoso per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti, tale marchio di sostenibilità dovrebbe inoltre essere considerato come un’asserzione ambientale.

(9) È opportuno modificare l’allegato I della direttiva 2005/29/CE per vietare la formulazione di un’asserzione ambientale generica in assenza di un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione. Esempi di asserzioni ambientali generiche comprendono: «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «verde», «amico della natura», «ecologico», «rispettoso dal punto di vista ambientale», «rispettoso dal punto di vista del clima», «che salvaguarda l’ambiente», «rispettoso in termini di emissioni di carbonio», «efficiente sotto il profilo energetico», «biodegradabile», «a base biologica» o asserzioni analoghe che suggeriscono o danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali. Tali asserzioni ambientali generiche dovrebbero essere vietate se non può essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. Se la specificazione dell’asserzione ambientale è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo, quale il medesimo annuncio pubblicitario, la confezione del prodotto o l’interfaccia di vendita online, l’asserzione ambientale non è considerata un’asserzione ambientale generica. Ad esempio l’asserzione «imballaggio rispettoso dal punto di vista del clima» sarebbe una asserzione generica, mentre affermare che «il 100 % dell’energia utilizzata per produrre questo imballaggio proviene da fonti rinnovabili» sarebbe una asserzione specifica che non sarebbe soggetta a questo divieto, fatte salve altre disposizioni della direttiva 2005/29/CE che restano applicabili a tali asserzioni specifiche. Inoltre, un’asserzione presentata in forma scritta o oralmente combinata con dichiarazioni implicite mediante colori o immagini potrebbe costituire un’asserzione ambientale generica.

(10) L’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali è dimostrabile mediante la conformità al regolamento (CE) n. 66/2010 o a un sistema di assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024 riconosciuto ufficialmente negli Stati membri o corrispondendo alle migliori prestazioni ambientali per una caratteristica ambientale specifica in conformità di altre normative dell’Unione applicabili, quali una classe A ai sensi del regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio[9]Regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2017, che istituisce un quadro per l’etichettatura energetica e che abroga la direttiva 2010/30/UE (GU L 198 del 28.7.2017, pag. 1).. L’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali dovrebbe essere rilevante ai fini dell’intera asserzione. Ad esempio un’asserzione ambientale generica quale «efficiente sotto il profilo energetico» potrebbe essere formulata sulla base dell’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali in conformità del regolamento (UE) 2017/1369. Al contrario un’asserzione ambientale generica quale «biodegradabile» non potrebbe essere formulata sulla base dell’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali in conformità del regolamento (CE) n. 66/2010, in quanto non vi sono requisiti di biodegradabilità nei criteri specifici relativi all’Ecolabel UE concernenti il prodotto in questione. Analogamente, un operatore economico non dovrebbe formulare un’asserzione generica come «consapevole», «sostenibile» o «responsabile» basata esclusivamente sull’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali, in quanto tali asserzioni riguardano altre caratteristiche oltre a quelle ambientali, come le caratteristiche sociali.

(11) Un’ulteriore pratica commerciale ingannevole che dovrebbe essere vietata in ogni caso e quindi aggiunta all’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2005/29/CE è quella di formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando in realtà riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o un elemento specifico e non rappresentativo dell’attività dell’operatore economico. Tale divieto si applicherebbe, ad esempio, se un prodotto fosse commercializzato come «realizzato con materiale riciclato» dando l’impressione che l’intero prodotto sia stato realizzato con materiale riciclato quando in realtà solo l’imballaggio è stato realizzato con materiale riciclato, o se un operatore economico dà l’impressione di utilizzare soltanto fonti energetiche rinnovabili quando in realtà vari impianti dell’operatore economico utilizzano ancora combustibili fossili. Di conseguenza, il divieto non dovrebbe impedire ad un operatore economico di presentare asserzioni ambientali relative alla sua attività nel complesso, a condizione che tali asserzioni siano accurate e verificabili e non sovrastimino i benefici ambientali, come sarebbe il caso nel secondo di tali esempi, qualora l’operatore economico comunichi una diminuzione dell’uso di combustibili fossili per la sua attività nel complesso.

(12) È particolarmente importante vietare la formulazione di asserzioni, basate sulla compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che sostengono che un prodotto, sia esso un bene o un servizio, ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra. Tali asserzioni dovrebbero essere vietate in tutte le circostanze ed essere aggiunte all’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2005/29/CE in quanto inducono i consumatori a credere che tali asserzioni si riferiscano al prodotto stesso o alla fornitura e alla produzione di tale prodotto, o perché danno ai consumatori la falsa impressione che il consumo di tale prodotto non abbia alcun impatto ambientale. Tra gli esempi di tali asserzioni figurano «neutrale dal punto di vista climatico», «certificato neutrale in termini di emissioni di CO2», «positivo in termini di emissioni di carbonio», «a zero emissioni nette per il clima», «compensazione climatica», «impatto climatico ridotto» e «impronta di CO2 ridotta». È opportuno che tali asserzioni siano consentite solo se si basano sull’impatto effettivo del ciclo di vita del prodotto in questione e non sulla compensazione delle emissioni di gas a effetto serra al di fuori della catena del valore del prodotto, in quanto i primi e le seconde non sono equivalenti. Tale divieto non dovrebbe impedire alle imprese di pubblicizzare i loro investimenti in iniziative ambientali, compresi i progetti sui crediti di carbonio, purché forniscano tali informazioni in modo non ingannevole e conforme ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione.

(13) Ulteriori requisiti sulle asserzioni ambientali dovranno essere stabiliti in specifici atti giuridici dell’Unione. Tali nuovi requisiti contribuiranno all’obiettivo della comunicazione della Commissione dell’11 dicembre 2019 sul Green Deal europeo di consentire agli acquirenti di prendere decisioni più sostenibili e ridurre il rischio di greenwashing attraverso informazioni attendibili, comparabili e verificabili.

(14) Le attività di marketing, negli Stati membri, che promuovano beni come identici, mentre essi hanno in realtà una composizione o caratteristiche significativamente diverse, potrebbero ingannare i consumatori e indurli ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tali attività di marketing sono espressamente trattate all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2005/29/CE, introdotto dalla direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio[10]Direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (GU L 328 del 18.12.2019, pag. 7)., che gli Stati membri hanno dovuto applicare a decorrere dal 28 maggio 2022. La Commissione valuterà l’applicazione della direttiva (UE) 2019/2161 e redigerà una relazione in merito nel 2024, trattando anche l’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2005/29/CE e indicando se tali pratiche dovrebbero essere soggette a requisiti più rigorosi, tra cui il divieto previsto all’allegato I. È opportuno le nuove disposizioni contro le pratiche di greenwashing nella presente direttiva si applichino anche alle attività in cui versioni dello stesso prodotto sono commercializzate come identiche in Stati membri diversi nonostante presentino differenze significative ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2005/29/CE.

(15) È opportuno vietare in ogni circostanza, e quindi aggiungere all’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2005/29/CE, la pratica di presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria, compresi i prodotti importati, come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico. È opportuno che tale divieto si applichi ad esempio qualora l’operatore economico pubblicizzi un determinato prodotto quale non contente una specifica sostanza chimica laddove tale sostanza è già vietata per legge nell’Unione in tutti i prodotti appartenenti alla data categoria. Al contrario il divieto non dovrebbe riguardare le pratiche commerciali che promuovono il rispetto, da parte dell’operatore economico o del prodotto, di requisiti giuridici che si applicano soltanto ad alcuni prodotti ma non ad altri prodotti concorrenti della stessa categoria sul mercato dell’Unione, come ad esempio i prodotti di origine esterna all’Unione. Potrebbe accadere che determinati prodotti sul mercato siano tenuti a rispettare determinati requisiti giuridici, mentre altri prodotti appartenenti alla stessa categoria di prodotti non siano tenuti a rispettare tali requisiti. Ad esempio, per quanto riguarda i prodotti ittici fabbricati in modo sostenibile in conformità del diritto dell’Unione, sarebbe permesso promuovere le caratteristiche di sostenibilità di tali prodotti che rispettano i requisiti giuridici derivanti dal diritto dell’Unione, ove i prodotti ittici originari di paesi terzi offerti sul mercato dell’Unione non sono tenuti a rispettare tali requisiti giuridici derivanti dal diritto dell’Unione.

(16) Ai fini del miglioramento del benessere economico dei consumatori, è opportuno che le modifiche della direttiva 2005/29/CE contemplino diverse pratiche associate all’obsolescenza precoce, comprese le pratiche di obsolescenza precoce programmata, intese come una politica commerciale che comporta la pianificazione o la progettazione deliberata di un prodotto con una durata di vita limitata, affinché giunga prematuramente ad obsolescenza o smetta di funzionare dopo un determinato periodo o dopo un’intensità d’uso predeterminata. L’acquisto di prodotti che dovrebbero durare più a lungo di quanto non durino effettivamente lede i consumatori. Peraltro le pratiche di obsolescenza precoce incidono complessivamente in modo negativo sull’ambiente, dato che determinano un aumento dei rifiuti e un maggiore utilizzo di energia e di materiali. Di conseguenza affrontare la questione delle informazioni relative alle pratiche di obsolescenza precoce ridurrà verosimilmente la quantità di rifiuti, contribuendo a una maggiore sostenibilità dei consumi.

(17) Dovrebbe inoltre essere vietato a norma dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE non comunicare ai consumatori che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso di contenuti digitali o servizi digitali. In generale, gli operatori economici responsabili dello sviluppo di aggiornamenti del software dovrebbero disporre di tali informazioni, mentre in altri casi gli operatori economici possono basarsi su informazioni attendibili fornite, ad esempio, dagli sviluppatori di software, dai fornitori o dalle autorità nazionali competenti. Ad esempio quando invita il consumatore ad aggiornare il sistema operativo dello smartphone, l’operatore economico non dovrebbe omettere di comunicargli che tale aggiornamento avrà un impatto negativo sul funzionamento di una qualsiasi delle caratteristiche dello smartphone, come la batteria, le prestazioni di determinate applicazioni o causerà un rallentamento generale del dispositivo. È opportuno che il divieto si applichi a qualsiasi aggiornamento, compresi gli aggiornamenti di sicurezza e delle funzionalità. Per gli aggiornamenti, compresi gli aggiornamenti di sicurezza, necessari per mantenere la conformità dei beni, dei contenuti digitali e dei servizi digitali, si applicano anche l’articolo 8 della direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio[11]Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 1). e l’articolo 7 della direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio[12]Direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 28).. Ciò lascia impregiudicato l’articolo 19 della direttiva (UE) 2019/770.

(18) Gli aggiornamenti del software che sono aggiornamenti di sicurezza sono necessari per l’utilizzo sicuro del prodotto, mentre gli aggiornamenti relativi al miglioramento delle funzionalità non lo sono. Di conseguenza, la direttiva 2005/29/CE dovrebbe vietare la presentazione di un aggiornamento del software come necessario per mantenere la conformità del prodotto se tale aggiornamento migliora soltanto alcune caratteristiche di funzionalità.

(19) Le comunicazioni commerciali relative a beni che contengono una caratteristica introdotta per limitarne la durabilità sono una pratica commerciale dannosa per i consumatori e l’ambiente, in quanto incoraggiano la vendita di tali beni, il che comporta costi più elevati per i consumatori e un uso non necessario di risorse, la produzione di rifiuti e l’emissione di gas a effetto serra. Tali comunicazioni commerciali dovrebbero pertanto essere vietate quando l’operatore economico disponga di informazioni sulla caratteristica e i suoi effetti sulla durabilità del bene. Esempi di tali caratteristiche potrebbero essere un software che interrompe o degrada la funzionalità del bene dopo un determinato periodo o un componente hardware progettato per smettere di funzionare dopo un determinato periodo. Potrebbe anche trattarsi di un difetto di progettazione o di fabbricazione che, pur non essendo stato introdotto come caratteristica a tal fine, determina un guasto prematuro del bene se non viene corretto una volta che l’operatore economico disponga di informazioni sull’esistenza e sull’effetto della caratteristica. Nel contesto di tale divieto, le comunicazioni commerciali comprendono le comunicazioni destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, i beni. La fabbricazione di beni e la loro messa a disposizione sul mercato non costituiscono comunicazioni commerciali.

Tale divieto dovrebbe avere l’obiettivo di essere applicabile principalmente agli operatori economici che sono anche i produttori dei beni, in quanto sono loro a determinarne la durabilità. Pertanto, in generale, quando un bene è identificato come contenente una caratteristica che ne limita la durabilità, il produttore di tale bene dovrebbe essere a conoscenza di tale caratteristica e del suo effetto sulla durabilità di tale bene. Tuttavia, gli operatori economici che non sono i produttori dei beni, come i venditori, dovrebbero essere soggetti a tale divieto qualora dispongano di informazioni attendibili sulla caratteristica e i suoi effetti sulla durabilità, come una dichiarazione di un’autorità nazionale competente o informazioni fornite dal produttore. Pertanto, non appena tali informazioni siano a disposizione dell’operatore economico, il divieto dovrebbe applicarsi indipendentemente dal fatto che l’operatore economico sia effettivamente a conoscenza o meno di tali informazioni, ad esempio perché le trascura. Affinché siffatta pratica commerciale sia considerata sleale, non dovrebbe essere necessario dimostrare che la finalità della caratteristica è incitare alla sostituzione del bene, ma dovrebbe essere sufficiente dimostrare che la caratteristica è stata introdotta per limitare la durabilità del bene. Tale divieto integra e lascia impregiudicati i rimedi a disposizione dei consumatori in caso di non conformità ai sensi della direttiva (UE) 2019/771. L’introduzione di caratteristiche che limitano la durabilità del bene dovrebbe essere distinta dalle pratiche di fabbricazione che impiegano materiali o processi di qualità generalmente bassa e che quindi limitano la durabilità del bene. La non conformità di un bene risultante dall’impiego di materiali o processi di bassa qualità dovrebbe continuare a essere disciplinato dalle norme sulla conformità dei beni di cui alla direttiva (UE) 2019/771.

(20) Un’ulteriore pratica che dovrebbe essere vietata in virtù dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE è quella di dichiarare falsamente una determinata durabilità del bene in termini di tempo o intensità d’uso in condizioni d’uso normali. Questo si verificherebbe ad esempio se l’operatore economico informa il consumatore che è previsto che una data lavatrice duri per un certo numero di cicli di lavaggio, secondo l’uso normale previsto nelle istruzioni, mentre l’uso effettivo nelle condizioni prescritte dimostra che così non è. Tali dichiarazioni sono formulate principalmente dai produttori, in quanto sono loro a determinare la durabilità dei beni. Pertanto, in generale, gli operatori economici che sono anche i produttori dei beni dovrebbero essere a conoscenza di false dichiarazioni sulla durabilità dei beni, mentre altri operatori economici, come i venditori, dovrebbero basarsi sulle informazioni attendibili a loro disposizione, ad esempio le informazioni basate su una dichiarazione di un’autorità nazionale competente o le informazioni fornite dal produttore. La non conformità di un bene risultante da errori occasionali nella sua fabbricazione dovrebbe continuare a essere disciplinato dalle norme sulla conformità dei beni di cui alla direttiva (UE) 2019/771.

(21) È opportuno modificare l’allegato I della direttiva 2005/29/CE per vietare la presentazione di prodotti come idonei alla riparazione quando questa non è invece possibile.

(22) L’introduzione nella direttiva 2005/29/CE del divieto delle summenzionate pratiche in relazione alla durabilità e alla riparabilità offrirebbe alle autorità di tutela dei consumatori degli Stati membri un ulteriore strumento di applicazione con cui migliorare la tutela degli interessi del consumatore nei casi in cui l’operatore economico non rispetta gli obblighi di durabilità e riparabilità dei beni ai sensi del diritto dell’Unione specifico per prodotto.

(23) Un’ulteriore pratica associata all’obsolescenza precoce che dovrebbe essere vietata e aggiunta all’elenco dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE è indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del prodotto prima di quanto sarebbe altrimenti necessario per motivi tecnici. Le pratiche in questo senso inducono il consumatore a credere, erroneamente, che i beni non funzioneranno più a meno che non siano sostituiti i materiali di consumo che contengono e, quindi, ad acquistare più materiali di consumo del necessario. Ad esempio è opportuno vietare la pratica di sollecitare il consumatore, tramite le impostazioni della stampante, a sostituire le cartucce di inchiostro prima che siano effettivamente esaurite per incitarlo ad intensificare l’acquisto di cartucce.

(24) È opportuno modificare l’allegato I della direttiva 2005/29/CE per vietare la deliberata mancata informazione del consumatore sul deterioramento della funzionalità di un bene quando si utilizzano materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non originali. Ad esempio, se una stampante è progettata in modo tale che la sua funzionalità risulti limitata quando si utilizzano cartucce di inchiostro non fornite dal produttore originale della stampante, tale informazione non dovrebbe essere nascosta al consumatore, in quanto tale pratica potrebbe indurre il consumatore ad acquistare una cartuccia di inchiostro alternativa che di fatto non potrà essere utilizzata per la stampante in questione, determinando così flussi di rifiuti superflui ovvero costi aggiuntivi per il consumatore. Analogamente, se un dispositivo intelligente è progettato in modo tale che la sua funzionalità risulti limitata quando si utilizzano caricabatterie o pezzi di ricambio non forniti dal produttore originale, tale informazione non dovrebbe essere nascosta al consumatore al momento dell’acquisto. Dovrebbe altresì essere vietato indurre erroneamente il consumatore a credere che l’utilizzo di materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale deteriorerà la funzionalità di un bene ove così non è. In generale, gli operatori economici che sono anche i produttori dei beni dovrebbero disporre di tali informazioni, mentre altri operatori economici, come i venditori, dovrebbero basarsi sulle informazioni attendibili a loro disposizione, ad esempio le informazioni basate su una dichiarazione di un’autorità nazionale competente o le informazioni fornite dal produttore.

(25) Affinché i consumatori possano prendere decisioni più consapevoli e al fine di stimolare la domanda e l’offerta di beni più durevoli, è opportuno fornire prima della conclusione del contratto, per tutti i tipi di beni, informazioni specifiche sulla durabilità e sulla riparabilità del prodotto. Per quanto concerne i beni comprendenti elementi digitali, i contenuti digitali e i servizi digitali, i consumatori dovrebbero essere informati del periodo durante il quale saranno disponibili aggiornamenti gratuiti del software. È di conseguenza opportuno modificare la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[13]Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64). per fornire ai consumatori informazioni precontrattuali sulla durabilità, sulla riparabilità e sulla disponibilità di aggiornamenti. Le informazioni dovrebbero essere fornite ai consumatori in modo chiaro e comprensibile e nel rispetto dei requisiti di accessibilità di cui alla direttiva (UE) 2019/882 del Parlamento europeo e del Consiglio[14]Direttiva (UE) 2019/882 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi (GU L 151 del 7.6.2019, pag. 70).. L’obbligo di fornire tali informazioni ai consumatori integra e lascia impregiudicati i diritti dei consumatori previsti dalle direttive (UE) 2019/770 e (UE) 2019/771.

(26) Un buon indicatore della durabilità del bene è la garanzia commerciale di durabilità del produttore ai sensi dell’articolo 17 della direttiva (UE) 2019/771. Tale garanzia costituisce un impegno del produttore nei confronti del consumatore sulla durabilità di un bene. Più specificamente, costituisce l’impegno che un bene manterrà le funzioni e le prestazioni richieste in condizioni d’uso normali. Affinché i consumatori siano informati dell’offerta di una garanzia di durabilità per un determinato bene, tale informazione dovrebbe essere fornita al consumatore mediante un’etichetta armonizzata. Gli operatori economici che vendono beni dovrebbero essere tenuti a informare i consumatori dell’esistenza e della durata di qualsiasi garanzia commerciale di durabilità offerta dal produttore senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso e che ha una durata superiore a due anni, sempreché il produttore metta a disposizione dell’operatore economico l’informazione. L’operatore economico non dovrebbe essere tenuto a cercare attivamente di ottenere tale informazione presso il produttore, ad esempio effettuando ricerche su siti web specifici del prodotto. Per evitare confusioni tra la garanzia commerciale di durabilità e la garanzia legale di conformità, è opportuno ricordare ai consumatori sull’etichetta armonizzata che essi beneficiano anche della garanzia legale di conformità.

(27) Recenti rapporti hanno mostrato che questi ultimi spesso ignorano i diritti legali derivanti dalla direttiva (UE) 2019/771. Pertanto, un avviso armonizzato dovrebbe ricordare ai consumatori l’esistenza e i principali elementi della garanzia legale di conformità, in particolare la sua durata minima di due anni e un riferimento generale alla possibilità di estendere la durata della garanzia legale di conformità a norma del diritto nazionale. Ciò eviterà possibili confusioni con le informazioni relative alla garanzia commerciale di durabilità.

(28) L’etichetta armonizzata dovrebbe essere esposta in modo visibile e utilizzata in modo da permettere ai consumatori di identificare facilmente il bene specifico che beneficia di una garanzia commerciale di durabilità offerta dal produttore senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni, ad esempio apponendo l’etichetta direttamente sull’imballaggio di un bene specifico, esponendo l’etichetta in modo visibile sullo scaffale in cui sono collocati i beni coperti da tale garanzia, o collocandola direttamente accanto all’immagine del bene in caso di vendita online. I produttori che offrono tali garanzie commerciali di durabilità possono essi stessi apporre l’etichetta armonizzata direttamente sul prodotto specifico o sul suo imballaggio al fine di beneficiare di un vantaggio commerciale. Gli operatori economici dovrebbero garantire che l’etichetta armonizzata sia chiaramente visibile. L’avviso armonizzato dovrebbe nel frattempo fornire un promemoria generale ai consumatori in merito alla garanzia legale di conformità applicabile a tutti i beni a norma della direttiva (UE) 2019/771. L’avviso armonizzato dovrebbe essere esposto in modo visibile, ad esempio su un cartellone affisso in modo da attirare lo sguardo su una parete del negozio, accanto alla cassa o, in caso di vendita online, come promemoria generale sul sito web dell’operatore economico che vende beni.

(29) È opportuno attribuire alla Commissione competenze di esecuzione per quanto riguarda la concezione e il contenuto dell’etichetta armonizzata e dell’avviso armonizzato. È altresì opportuno che tali competenze siano esercitate conformemente al regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio[15]Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13)..

(30) In considerazione della durata minima di due anni della garanzia legale di conformità prevista dalla direttiva (UE) 2019/771 e del fatto che numerosi guasti dei prodotti si verificano dopo tale periodo, è opportuno che l’obbligo dell’operatore economico di informare il consumatore dell’esistenza e della durata della garanzia commerciale di durabilità del produttore mediante un’etichetta armonizzata si applichi soltanto alle garanzie commerciali di durabilità offerte per una durata superiore a due anni. Inoltre, l’etichetta armonizzata dovrebbe anche ricordare ai consumatori l’esistenza della garanzia legale di conformità.

(31) Per agevolare il consumatore nel prendere una decisione consapevole di natura commerciale quando raffronta beni prima di concludere un contratto, l’operatore economico dovrebbe informarlo dell’esistenza e della durata della garanzia commerciale di durabilità del produttore per il bene nel suo complesso e non per suoi componenti specifici.

(32) Il produttore e il venditore dovrebbero rimanere liberi di offrire altri tipi di garanzie commerciali e servizi postvendita. Tuttavia le informazioni fornite su altre garanzie o servizi commerciali non dovrebbero confondere il consumatore quanto all’esistenza e alla durata della garanzia commerciale di durabilità offerta dal produttore senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso, ha una durata superiore a due anni, e per la quale è utilizzata un’etichetta armonizzata.

(33) Per permettere ai consumatori di prendere decisioni più informate e promuovere la concorrenza tra i produttori per quanto concerne la durabilità dei beni comprendenti elementi digitali, gli operatori economici che li vendono dovrebbero informare i consumatori del periodo minimo per il quale il produttore si impegna a fornire gli aggiornamenti del software per tali beni, sia esso espresso mediante un termine o con riferimento a una data. Analogamente, gli operatori economici che offrono contenuti digitali e servizi digitali dovrebbero informare i consumatori del periodo minimo per il quale il fornitore del contenuto digitale o del servizio digitale si impegna a fornire gli aggiornamenti del software, compresi gli aggiornamenti di sicurezza necessari per mantenere la conformità dei contenuti digitali e dei servizi digitali. Tale obbligo dovrebbe garantire che i consumatori ricevano tali informazioni in modo semplice e chiaro che permetta loro di raffrontare periodi minimi diversi. Ciò lascia impregiudicati gli obblighi stabiliti dal diritto dell’Unione, in particolare dalle direttive (UE) 2019/770 e (UE) 2019/771 e, se del caso, dal diritto dell’Unione specifico per prodotto. Le informazioni sugli aggiornamenti del software dovrebbero essere fornite in maniera non ingannevole ai sensi della direttiva 2005/29/CE. L’operatore economico dovrebbe essere tenuto a fornire tali informazioni solo se il produttore o il fornitore le ha messe a disposizione.

(34) A norma dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera e), e dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera m), della direttiva 2011/83/UE, gli operatori economici sono tenuti a fornire ai consumatori, prima che questi ultimi siano vincolati dal contratto, informazioni sull’esistenza e sulle condizioni dei servizi postvendita, compresi i servizi di riparazione, laddove siano previsti. Inoltre, per consentire ai consumatori di prendere una decisione consapevole di natura commerciale e scegliere beni più facili da riparare, gli operatori economici dovrebbero fornire, se del caso, prima che i consumatori siano vincolati dal contratto, l’indice di riparabilità del bene segnalato dal produttore e stabilito a livello dell’Unione.

(35) Qualora non sia stabilito un indice di riparabilità a livello dell’Unione, è opportuno che, per assicurare un’adeguata informazione dei consumatori sulla riparabilità dei beni che acquistano, gli operatori economici forniscano le altre informazioni pertinenti sulla riparazione messe a disposizione dal produttore, quali informazioni sulla disponibilità, il costo stimato e la procedura di ordinazione dei pezzi di ricambio necessari per mantenere la conformità dei beni, la disponibilità di istruzioni per la riparazione e la manutenzione e eventuali restrizioni alla riparazione.

(36) Gli operatori economici dovrebbero fornire ai consumatori l’etichetta armonizzata, informazioni circa il periodo minimo per gli aggiornamenti e le informazioni sulla riparazione diverse dall’indice di riparabilità, laddove il produttore o il fornitore del contenuto digitale o del servizio digitale, se diverso dall’operatore economico, metta a disposizione le informazioni pertinenti. Per quanto concerne i beni, l’operatore economico dovrebbe in particolare trasmettere ai consumatori le informazioni che il produttore gli ha fornito o ha altrimenti inteso rendere prontamente disponibili al consumatore prima della conclusione del contratto, riportandole sul prodotto stesso, sull’imballaggio o su cartellini ed etichette che di norma il consumatore consulterebbe prima della conclusione del contratto. L’operatore economico non dovrebbe essere tenuto a cercare attivamente di ottenere tali informazioni presso il produttore, ad esempio effettuando ricerche su siti web specifici del prodotto. Allo stesso tempo, sarebbe nell’interesse dei produttori fornire proattivamente tali informazioni per beneficiare di un vantaggio commerciale.

(37) Gli operatori economici dovrebbero, se del caso, informare i consumatori in merito alla disponibilità di opzioni di consegna rispettose dell’ambiente, quali la consegna di beni mediante biciclette da trasporto o veicoli elettrici o la possibilità di raggruppare le spedizioni.

(38) Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, l’operatore economico lo dovrebbe informare in modo chiaro ed evidente riguardo all’etichetta armonizzata, laddove disponibile, immediatamente prima che il consumatore inoltri un ordine, al fine di assicurare che il consumatore prenda in considerazione tali informazioni.

(39) Le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE dovrebbero continuare a fungere da «rete di sicurezza» a garanzia del mantenimento di un livello elevato di tutela dei consumatori in tutti i settori, venendo a integrare il diritto dell’Unione settoriale e specifico per prodotto che prevale in caso di conflitto.

(40) Poiché gli obiettivi della presente direttiva, ossia consentire ai consumatori di prendere decisioni di natura commerciale più consapevoli per promuovere consumi sostenibili, eliminare le pratiche che danneggiano l’economia sostenibile e impediscono i consumatori di compiere scelte di consumo sostenibili e migliorare la qualità e la coerenza dell’applicazione del quadro giuridico dell’Unione in materia di tutela dei consumatori, non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma, dato la questione riguarda l’Unione nel suo complesso, possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

(41) Conformemente alla dichiarazione politica comune del 28 settembre 2011 degli Stati membri e della Commissione sui documenti esplicativi[16]GU C 369 del 17.12.2011, pag. 14., gli Stati membri si sono impegnati ad accompagnare, in casi giustificati, la notifica delle loro misure di recepimento con uno o più documenti che chiariscano il rapporto tra gli elementi costitutivi di una direttiva e le parti corrispondenti degli strumenti nazionali di recepimento. Per quanto riguarda la presente direttiva, il legislatore ritiene che la trasmissione di tali documenti sia giustificata.

(42) Per agevolare la corretta applicazione della presente direttiva, è importante che la Commissione tenga aggiornati i documenti di orientamento sulle direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per tenere conto del contenuto della presente direttiva,

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

Articolo 1

Modifiche della direttiva 2005/29/CE

La direttiva 2005/29/CE è così modificata:

1) all’articolo 2, il primo comma è così modificato:

a) è inserita la lettera seguente:

«c bis) “beni”: beni quali definiti all’articolo 2, punto 5, della direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio (*1);
(*1)  Direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 28).»;"

b) sono aggiunte le lettere seguenti:

«o) “asserzione ambientale”: nel contesto di una comunicazione commerciale, qualsiasi messaggio o rappresentazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o nazionale, in qualsiasi forma, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, quali marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o implica che un dato prodotto, categoria di prodotto, marca o operatore economico ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti, categorie di prodotto, marche o operatori economici oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo;

p) “asserzione ambientale generica”: qualsiasi asserzione ambientale formulata per iscritto o in forma orale, anche attraverso media audiovisivi, non inclusa in un marchio di sostenibilità e la cui specificazione non è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo di comunicazione;

q) “marchio di sostenibilità”: qualsiasi marchio di fiducia, marchio di qualità o equivalente, pubblico o privato, avente carattere volontario, che mira a distinguere e promuovere un prodotto, un processo o un’impresa con riferimento alle sue caratteristiche ambientali o sociali oppure a entrambe, esclusi i marchi obbligatori richiesti a norma del diritto dell’Unione o nazionale;

r) “sistema di certificazione”: un sistema di verifica da parte di terzi che certifica che un prodotto, un processo o un’impresa è conforme a determinati requisiti, che consente l’uso di un corrispondente marchio di sostenibilità e le cui condizioni, compresi i requisiti, sono accessibili al pubblico e soddisfano i criteri seguenti:

i) il sistema, nel rispetto di condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie, è aperto a tutti gli operatori economici disposti e in grado di conformarsi ai suoi requisiti;

ii) i requisiti del sistema sono elaborati dal titolare dello stesso in consultazione con gli esperti pertinenti e i portatori di interessi;

iii) il sistema stabilisce procedure per affrontare i casi di non conformità ai requisiti del sistema e prevede la revoca o la sospensione dell’uso del marchio di sostenibilità da parte dell’operatore economico in caso di non conformità ai requisiti del sistema; e

iv) il monitoraggio della conformità dell’operatore economico ai requisiti del sistema è oggetto di una procedura obiettiva ed è svolto da un terzo la cui competenza e la cui indipendenza sia dal titolare del sistema sia dall’operatore economico si basano su norme e procedure internazionali, dell’Unione o nazionali;

s) “eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali”: prestazioni ambientali conformi al regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio (*2), a un sistema nazionale o regionale di assegnazione di marchi di qualità ecologica di tipo I in conformità della norma EN ISO 14024, ufficialmente riconosciuto negli Stati membri, oppure conformi alle migliori prestazioni ambientali ai sensi delle altre disposizioni applicabili del diritto dell’Unione;

t) “durabilità”: la durabilità quale definita all’articolo 2, punto 13, della direttiva (UE) 2019/771;

u) “aggiornamento del software”: un aggiornamento necessario per mantenere conformi alla direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio (*3) e alla direttiva (UE) 2019/771 i beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali, compreso un aggiornamento di sicurezza, oppure un aggiornamento delle funzionalità;

v) “materiali di consumo”: componente di un bene che giunge ad esaurimento ricorrentemente e che deve essere sostituito o reintegrato affinché il bene funzioni come previsto;

w) “funzionalità”: la funzionalità quale definita all’articolo 2, punto 9, della direttiva (UE) 2019/771.;

(*2)  Regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, relativo al marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (GU L 27 del 30.1.2010, pag. 1)."

(*3)  Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 1).»;"

 

2) l’articolo 6 è così modificato:

a) al paragrafo 1, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, le caratteristiche ambientali o sociali, gli accessori, gli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;»;

b) al paragrafo 2, sono aggiunte le lettere seguenti:

«d) la formulazione di un’asserzione ambientale relativa a prestazioni ambientali future senza includere impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili stabiliti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise come pure altri elementi pertinenti necessari per sostenerne l’attuazione, come l’assegnazione delle risorse, e che sia verificato periodicamente da un terzo indipendente, le cui conclusioni sono messe a disposizione dei consumatori;

e) la pubblicizzazione come vantaggi per i consumatori di elementi irrilevanti che non derivano dalle caratteristiche del prodotto o dell’impresa.»;

 

3) all’articolo 7 è aggiunto il paragrafo seguente:

«7. Quando l’operatore economico fornisce un servizio di raffronto fra prodotti e comunica al consumatore informazioni sulle caratteristiche ambientali o sociali o sugli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, dei prodotti o dei fornitori di tali prodotti, sono considerate rilevanti le informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni.»;

4) l’allegato I è modificato conformemente all’allegato della presente direttiva.

Articolo 2

Modifiche della direttiva 2011/83/UE

La direttiva 2011/83/UE è così modificata:

1) all’articolo 2 sono inserite le lettere seguenti:

«14 bis) “garanzia commerciale di durabilità”: una garanzia commerciale di durabilità del produttore di cui all’articolo 17 della direttiva (UE) 2019/771, in base alla quale il produttore è responsabile direttamente nei confronti del consumatore per la riparazione o la sostituzione dei beni nell’arco di tutto il periodo di durata della garanzia commerciale di durabilità in conformità dell’articolo 14 della direttiva (UE) 2019/771, qualora i beni non mantengano la propria durabilità;

14 ter) “durabilità”: la durabilità quale definita all’articolo 2, punto 13, della direttiva (UE) 2019/771;

14 quater) “produttore”: il produttore quale definito all’articolo 2, punto 4, della direttiva (UE) 2019/771;

14 quinquies) “indice di riparabilità”: indice che esprime l’idoneità di un bene ad essere riparato sulla base di requisiti armonizzati stabiliti a livello dell’Unione;

14 sexies) “aggiornamento del software”: aggiornamento gratuito, compreso un aggiornamento di sicurezza, necessario per mantenere conformi alle direttive (UE) 2019/770 e (UE) 2019/771 i beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali;»;

 

2) all’articolo 5, il paragrafo 1 è così modificato:

a) la lettera e) è sostituita dalla seguente:

«e) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni e dei suoi elementi principali, compresa la durata minima di due anni ai sensi della direttiva (UE) 2019/771, in modo visibile, utilizzando l’avviso armonizzato di cui all’articolo 22 bis della presente direttiva;»;

b) sono inserite le lettere seguenti:

«e bis) se il produttore offre al consumatore una garanzia commerciale di durabilità senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni e mette tali informazioni a disposizione dell’operatore economico, l’informazione che tale bene beneficia di tale garanzia, l’indicazione della relativa durata e un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità, in modo visibile, mediante l’etichetta armonizzata di cui all’articolo 22 bis;

e ter) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per il contenuto digitale e i servizi digitali;

e quater) se applicabili, l’esistenza e le condizioni dei servizi postvendita e delle garanzie commerciali;

e quinquies) per i beni comprendenti elementi digitali, per i contenuti digitali e per i servizi digitali, se il produttore o il fornitore mette a disposizione dell’operatore economico le informazioni, il periodo minimo, sia esso espresso mediante un termine o con riferimento a una data, per il quale il produttore o il fornitore fornisce aggiornamenti del software.»;

c) sono aggiunte le lettere seguenti:

«i) se applicabile, l’indice di riparabilità dei beni;

j) se la lettera i) non è applicabile e a condizione che il produttore metta le informazioni a disposizione dell’operatore economico, informazioni concernenti la disponibilità, il costo stimato e la procedura di ordinazione dei pezzi di ricambio necessari per mantenere la conformità dei beni, informazioni sulla disponibilità di istruzioni per la riparazione e la manutenzione ed informazioni sulle restrizioni alla riparazione.»;

3) all’articolo 6, il paragrafo 1 è così modificato:

a) la lettera g) è sostituita dalla seguente:

«g) le modalità di pagamento, consegna, incluse ove disponibili opzioni di consegna rispettose dell’ambiente, esecuzione, la data entro la quale l’operatore economico si impegna a consegnare i beni o a prestare i servizi e, se del caso, il trattamento dei reclami da parte dell’operatore economico;»;

b) la lettera l) è sostituita dalla seguente:

«l) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni e dei suoi elementi principali, compresa la durata minima di due anni ai sensi della direttiva (UE) 2019/771, in modo visibile, utilizzando l’avviso armonizzato di cui all’articolo 22 bis della presente direttiva;»;

c) sono inserite le lettere seguenti:

«l bis) se il produttore offre al consumatore una garanzia commerciale di durabilità senza costi aggiuntivi, che copre il bene nel suo complesso ed ha una durata superiore a due anni e mette tali informazioni a disposizione dell’operatore economico, l’informazione che tale bene beneficia di tale garanzia, l’indicazione della relativa durata e un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità, in modo visibile, mediante l’etichetta armonizzata di cui all’articolo 22 bis;

l ter) un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per il contenuto digitale e i servizi digitali;

l quater) per i beni comprendenti elementi digitali, per i contenuti digitali o per i servizi digitali, se il produttore o il fornitore mette a disposizione dell’operatore economico tali informazioni, il periodo minimo, sia esso espresso mediante un termine o con riferimento a una data, per il quale il produttore o il fornitore fornisce aggiornamenti del software.»;

d) sono aggiunte le lettere seguenti:

«u) se applicabile, l’indice di riparabilità dei beni;

v) se la lettera u) non è applicabile e a condizione che il produttore metta tali informazioni a disposizione dell’operatore economico, informazioni concernenti la disponibilità, il costo stimato e la procedura di ordinazione dei pezzi di ricambio necessari per mantenere la conformità del bene, informazioni sulla disponibilità di istruzioni per la riparazione e la manutenzione e informazioni sulle restrizioni alla riparazione.»;

4) all’articolo 8, paragrafo 2, il primo comma è sostituito dal seguente:

«2. Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, l’operatore economico gli comunica in modo chiaro ed evidente le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), e), l bis), o) e p), direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine.»;

5) al capo V è inserito l’articolo seguente:

«Articolo 22 bis

Avviso armonizzato ed etichetta armonizzata

1.   Al fine di garantire che i consumatori siano ben informati e possano comprendere facilmente i loro diritti in tutta l’Unione, le informazioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera e), e dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera l), sono fornite mediante l’utilizzo di un avviso armonizzato e le informazioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera e bis), e dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera l bis), sono fornite mediante l’utilizzo di un’etichetta armonizzata.

2.   Entro il 27 settembre 2025 la Commissione, mediante atti di esecuzione, specifica il formato e il contenuto dell’avviso armonizzato di cui al paragrafo 1.

3.   L’avviso armonizzato contiene i principali elementi della garanzia legale di conformità, compresa la durata minima di due anni prevista dalla direttiva (UE) 2019/771, e un riferimento generale alla possibilità che la durata della garanzia legale di conformità sia più lunga a norma del diritto nazionale.

4.   Entro il 27 settembre 2025 la Commissione, mediante atti di esecuzione, specifica il formato e il contenuto dell’etichetta armonizzata di cui al paragrafo 1.

5.   L’avviso armonizzato e l’etichetta armonizzata sono facilmente riconoscibili e comprensibili per i consumatori e di facile utilizzo e riproduzione per gli operatori economici.

6.   Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 27 bis.»

;

6) è inserito l’articolo seguente:

«Articolo 27 bis

Procedura di comitato

1.   La Commissione è assistita da un comitato. Esso è un comitato ai sensi del regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio (*4).

2.   Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applica l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 182/2011.

(*4)  Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13).»."

Articolo 3

Relazioni della Commissione e riesame

Entro il 27 settembre 2031, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’applicazione della presente direttiva.

La relazione comprende una valutazione del contributo della presente direttiva al rafforzamento dei diritti dei consumatori, in particolare dell’efficacia dell’etichetta armonizzata e dell’avviso armonizzato per accrescere la disponibilità delle garanzie commerciali di durabilità e la loro comprensione da parte dei consumatori, nonché la consapevolezza dei consumatori in merito ai loro diritti nell’ambito della garanzia legale di conformità. La relazione valuta inoltre il contributo complessivo della presente direttiva alla partecipazione dei consumatori alla transizione verde e il suo impatto sugli operatori economici.

La relazione è corredata, se del caso, di opportune proposte legislative.

Articolo 4

Recepimento

1.   Entro il 27 marzo 2026, gli Stati membri adottano e pubblicano le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal 27 settembre 2026.

Le disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2.   Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni principali di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

Articolo 5

Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Articolo 6

Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

ALLEGATO

L’allegato I della direttiva 2005/29/CE è così modificato:

1) è inserito il punto seguente:

«2 bis) Esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche.»;

 

2) sono inseriti i punti seguenti:

«4 bis)
Formulare un’asserzione ambientale generica per la quale l’operatore economico non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione.

4 ter) Formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico.

4 quater) Asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra.»;

 

3) è inserito il punto seguente:

«10 bis) Presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico.»;

 

4) sono inseriti i punti seguenti:

«23 quinquies) Non informare il consumatore del fatto che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso del contenuto digitale o dei servizi digitali.

23 sexies) Presentare come necessario un aggiornamento del software che si limita a migliorare alcune caratteristiche di funzionalità.

23 septies) Qualsiasi comunicazione commerciale relativa a un bene contenente una caratteristica introdotta per limitarne la durabilità, nonostante le informazioni sulla caratteristica e sui suoi effetti sulla durabilità del bene siano a disposizione dell’operatore economico.

23 octies) Asserire falsamente che, in condizioni d’uso normali, il bene presenta una determinata durabilità in termini di tempo o intensità d’uso.

23 nonies) Presentare il bene come riparabile quando non lo è.

23 decies) Indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del bene prima di quanto sarebbe necessario per motivi tecnici.

23 undecies) Non informare che la funzionalità di un bene sarà compromessa dall’utilizzo di materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale, o asserire falsamente che tale compromissione si verificherà.».

Note   [ + ]

1. GU C 443 del 22.11.2022, pag. 75.
2. Posizione del Parlamento europeo del 17 gennaio 2024 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 20 febbraio 2024.
3. Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22).
4. Regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che fissa le norme in materia di accreditamento e abroga il regolamento (CEE) n. 339/93 (GU L 218 del 13.8.2008, pag. 30).
5. Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 18).
6. Regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), che abroga il regolamento (CE) n. 761/2001 e le decisioni della Commissione 2001/681/CE e 2006/193/CE (GU L 342 del 22.12.2009, pag. 1).
7. Regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, relativo al marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE) (GU L 27 del 30.1.2010, pag. 1).
8. Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 336 del 23.12.2015, pag. 1).
9. Regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2017, che istituisce un quadro per l’etichettatura energetica e che abroga la direttiva 2010/30/UE (GU L 198 del 28.7.2017, pag. 1).
10. Direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (GU L 328 del 18.12.2019, pag. 7).
11. Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 1).
12. Direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 28).
13. Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).
14. Direttiva (UE) 2019/882 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi (GU L 151 del 7.6.2019, pag. 70).
15. Regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13).
16. GU C 369 del 17.12.2011, pag. 14.

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