Interdizione al lavoro delle lavoratrici madri: le indicazioni operative dell’Inl

Interdizione al lavoro delle lavoratrici madri
Nella nota 8 luglio 2025, n. 5944 chiarimenti anche sul Dvr

Interdizione al lavoro delle lavoratrici madri: le indicazioni operative dell'ispettorato nazionale del Lavoro nella nota 8 luglio 2025, n. 5944.

Oggetto della comunicazione è l’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri, in periodo antecedente e successivo al parto.

Interdizione al lavoro delle lavoratrici madri

Il documento analizza:

  • come si presenta l'istanza;
  • come si svolgono la fase istruttoria e la fase istruttiva;
  • l'esame della valutazione del rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici (Dvr);
  • la fase procedurale;
  • alcuni casi specifici;
  • lo spostamento ad altra mansione.

Clicca qui per altre notizie su Inl

Di seguito il testo della nota Inl 8 luglio 2025, n. 5944.

Interdizione al lavoro delle lavoratrici madri

Nota dell'ispettorato nazionale del Lavoro 8 luglio 2025, n. 5944

 

Oggetto: d.lgs. n. 151/2001: provvedimento di interdizione ante/post partum. Indicazioni operative.

Allo scopo di fornire indicazioni utili ad uniformare l’attività degli Uffici nelle fasi di istruttoria e valutazione dei procedimenti volti all’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri, in periodo antecedente e successivo al parto, si forniscono i seguenti chiarimenti.

La base normativa è costituita dalle disposizioni di cui agli artt. 6, 7 e 17 del d.lgs. n. 151/2001 finalizzate a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso l’adozione di misure di protezione in relazione alle condizioni di lavoro e alle mansioni svolte ovvero attraverso l’astensione dal lavoro, nonché dalle previsioni di natura esecutiva contenute nell’art. 18, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 1026/1976 (tuttora vigente in forza dell’art. 87 del d.lgs. n. 151/2001).

Premessa fondamentale è quanto indicato nella Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee del 05/10/2000 secondo cui: “la gravidanza non è una malattia ma un aspetto della vita quotidiana” tuttavia “condizioni suscettibili di essere considerate accettabili in situazioni normali possono non esserlo più durante la gravidanza”, lo stesso dicasi per il periodo dell’allattamento che la normativa tutela fino al VII mese dopo il parto.

1. PRESENTAZIONE ISTANZA

La richiesta di interdizione può essere inoltrata su istanza del datore di lavoro o su istanza della lavoratrice, utilizzando la modulistica disponibile nell’apposita sezione del portale INL, unitamente alla copia del documento di identità del richiedente, del certificato medico di gravidanza con indicazione della data presunta del parto (in caso di interdizione anticipata) o dell’autocertificazione/certificazione di nascita (in caso di interdizione posticipata) e l’indicazione della mansione svolta dalla lavoratrice.

Qualora la richiesta sia presentata dal datore di lavoro, la stessa dovrà contenere anche la precisazione dell’impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione dell’azienda.

Inoltre, il datore di lavoro dovrà indicare gli eventuali lavori faticosi, pericolosi ed insalubri a cui è esposta la lavoratrice (quali ad es. stazione eretta, posizioni affaticanti, lavoro su scale, sollevamento pesi, lavoro a bordo di mezzi di trasporto, conduzioni di macchine utensili) di cui agli allegati A e B del d.lgs. n. 151/2001 e vietati ai sensi all’art. 7 c. 1 e 2 del d.lgs. n. 151/2001, anche mediante la trasmissione dello stralcio del documento di valutazione dei rischi (DVR) relativo alle lavoratrici gestanti e puerpere di cui all’art. 11 del medesimo decreto (Allegato C).
Sul punto, si ricorda che, allo scopo di garantire la corretta gestione delle fasi del procedimento ed 
evitare l’adozione tardiva del provvedimento di interdizione dal lavoro, è necessario provvedere alla protocollazione delle istanze presentate all’ufficio (cfr. art. 53 d.P.R. n. 445/2000) nella stessa data in cui vengono ricevute (cfr. art. 18-bis della L. n. 241/1990), nonché procedere all’assegnazione tempestiva della relativa istruttoria, fermo restando che, relativamente alle istanze pervenute nei giorni e negli orari di chiusura dell’ufficio, si provvederà a tali adempimenti nel primo giorno utile.

2. FASE ISTRUTTORIA

Durante la fase istruttoria, l’Ufficio dell’Ispettorato territoriale competente è tenuto a valutare la documentazione acquisita nonché la correttezza dei presupposti legittimanti la richiesta di interdizione al lavoro, ovvero che ricorrano congiuntamente le condizioni previste dalle lettere b) e c) dell’art. 17 comma 2 del d.lgs. n. 151/2001, di seguito richiamate:

b)  quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;

c)  quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.

Nell’approccio alla valutazione dei rischi, la prima fase corrisponde all’identificazione degli stessi in riferimento alle mansioni svolte dalla lavoratrice e all’ambiente di lavoro con particolare attenzione alla presenza di (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo):

  • rumore, radiazioni, vibrazioni, microclima, campi elettromagnetici, microonde, ultrasuoni;
  • fumi di saldatura, vapori di solventi, oli minerali, stampaggio materie plastiche, sostanze chimiche tossiche, nocive, corrosive, infiammabili;
  • agenti biologici;
  • aggressioni.

Come chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con nota n. 7553 del 29/04/2013, il procedimento amministrativo de quo non rappresenta un accertamento ispettivo, poiché “la valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro”, come previsto all’art. 11 del d.lgs. n. 151/2001 nonché all’art. 28 comma 1 del d.lgs. n. 81/2008, “costituisce il presupposto sulla base del quale deve essere emesso il provvedimento di interdizione fuori dai casi di cui all'art. 7 commi 1 e 2”.

Pertanto, qualora non sia possibile eliminare il rischio e non sia praticabile lo spostamento della lavoratrice ad altra mansione, anche inferiore (ferma restando la retribuzione), compatibile con lo stato di gravidanza o allattamento, si dovrà procedere all’interdizione dal lavoro così come disposto dall’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 151/2001.

3. FASE VALUTATIVA

L’art. 7 comma 1 del d.lgs. n. 151/2001 dispone “il divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi e insalubri elencati specificamente negli allegati A e B del decreto citato”

Nella fase valutativa, pertanto, si dovranno verificare le condizioni di lavoro della lavoratrice se rientranti tra (vedi allegato 1):

  • lavori indicati in Allegato A (art. 7 co.1);
  • lavori indicati in Allegato B (art. 7 co 2);
  • lavori indicati in Allegato C (art. 11 co 1).


Inoltre, l’Allegato A specifica che il divieto di trasporto di cui all’art. 7, co.1, del d.lgs. n. 151/2001 va inteso come divieto di adibire la lavoratrice al trasporto, sia a braccia sia a spalle, sia con carretti a ruote su strada o su guida e al sollevamento dei pesi, compreso il carico, scarico e ogni altra operazione connessa.
A riguardo, come già sancito dalla circolare INL prot. n. 553 del 02/04/2021, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di tutela della lavoratrice nel periodo ante e post partum, si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.
In tal senso la medesima circolare, chiarisce che:

• vige il divieto generalizzato;
• l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il 
riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione.

È comunque opportuno evidenziare che per “carico” si intende un peso superiore ai 3 Kg che venga movimentato in via non occasionale nella giornata lavorativa tipo. Per spostamenti di pesi inferiori ai 3 kg non si applicano i criteri relativi alla movimentazione manuale carichi; in tale contesto vanno valutati altri rischi quali la stazione eretta, le posture incongrue, i ritmi lavorativi.

Si precisa inoltre che, nella fase post-partum, alla ripresa dell’attività lavorativa, alla lavoratrice madre dovrà essere evitata la movimentazione manuale di carichi qualora l’indice di rischio (UNI ISO 11228-1) sia superiore o uguale a 1.

4. VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DELLE LAVORATRICI. ESAME DVR

L’art. 11 del d.lgs. n. 151/2001 stabilisce che: “fermo quanto stabilito dall’art. 7, commi 1 e 2, il datore di lavoro, nell’ambito ed agli effetti della valutazione di cui all’art. 4, comma 1 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in condizioni di lavoro di cui all’allegato C, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea, individuando, le misure di prevenzione e protezione da adottare”.

Dei risultati della valutazione dei rischi e sulle conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate devono essere informate tutte le lavoratrici ed i rappresentanti per la sicurezza (art.11 co.2 d.lgs. n. 151/2001).

Le lavoratrici vanno altresì informate che tutte le misure di tutela previste dal d.lgs. n. 151/2001 saranno attivate solo dopo aver comunicato al datore di lavoro lo stato di gravidanza anche mediante la presentazione del certificato medico che lo attesta.

Analogamente, in caso di affidamento o di adozione di un minore, la comunicazione al datore di lavoro sarà rappresentata dal provvedimento emesso dai competenti organi giudiziari.

La fase valutativa dovrà, pertanto, partire dall’esame dello stralcio del DVR esibito e dovrà necessariamente contemplare anche una valutazione oggettiva, volta per volta, afferente all’ambiente,  all’orario di lavoro, alla mansione e allo svolgimento in concreto della prestazione lavorativa.
Quanto agli effetti della valutazione del rischio, l’art. 12 del d.lgs. n. 151/2001 non lascia margini interpretativi: “qualora i risultati della valutazione di cui all’art. 11 comma 1 rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinché l’esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata modificandone temporaneamente le condizioni o l’orario di lavoro”... Ove la modifica delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica quanto stabilito dall’art. 7, commi 3, 4 e 5 dandone contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, che può disporre l’interdizione dal lavoro 
per tutto il periodo di cui all’art. 6, comma 1”.

Pertanto, è evidente che laddove non sia possibile eliminare il rischio e non sia praticabile lo spostamento della lavoratrice ad altra mansione compatibile, l’Ufficio dovrà procedere all’emanazione dell’apposito provvedimento di interdizione dal lavoro così come disposto dall’art. 7 co. 6 del d.lgs. n. 151/2001.

Diversamente se sussiste la possibilità di spostamento, il datore di lavoro collocherà la lavoratrice alla mansione non pregiudizievole al suo stato (v. par. 6).

In conclusione, al fine di mettere in pratica tutte le misure necessarie ad evitare l’esposizione ai potenziali rischi della lavoratrice madre, il datore di lavoro dovrà attuare uno o più dei seguenti provvedimenti:

a)  modifica temporanea delle condizioni o dell’orario di lavoro;

b)  spostamento della lavoratrice ad altro reparto/mansione non pregiudizievole al suo stato;

c)  qualora non siano possibili le ipotesi di cui alle lettere a) e b), il datore di lavoro dovrà tempestivamente avanzare istanza di astensione ante partum/post partum, all’ITL competente per territorio, al fine di ottenere il conseguente provvedimento autorizzativo.

5. FASE PROCEDURALE

Nel richiamare le indicazioni operative già fornite in merito alle procedure di rilascio dei provvedimenti di interdizione ante e post partum, da ultimo con nota n. 1550 del 13/10/2021, si rammenta che l’art. 18, comma 7, del D.P.R. n. 1026/1976 sancisce in modo chiaro ed espresso che il provvedimento di interdizione, da emanarsi entro 7 giorni “dalla ricezione della documentazione completa” (cfr. art. 18, comma 2), costituisce il presupposto necessario affinché la lavoratrice si astenga dal lavoro.

Si precisa che il termine di sette giorni per l’adozione del provvedimento di interdizione inizia a decorrere dal giorno successivo a quello di ricezione della documentazione completa e, quindi, in presenza di una richiesta di integrazione, dal giorno successivo a quello in cui è pervenuta la documentazione integrativa.

Si precisa, altresì, che, sulla base del dato normativo dell’art. 18, comma 7, cit., l’astensione dal lavoro non può decorrere dal momento di presentazione dell’istanza o di conclusione dell’istruttoria, bensì decorrerà sempre dalla data di adozione del provvedimento stesso (cfr. interpello MLPS prot. n. 97 del 1° giugno 2006, lettera circolare MLPS n. 5249 del 17 aprile 2008, nota INL n. 1550 del 13 ottobre 2021)

Con specifico riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 18, comma 8, del D.P.R. citato, si chiarisce che il provvedimento di interdizione potrà essere emanato “immediatamente” e, quindi, senza procedere ad una istruttoria preventiva - ferma restando la possibilità di eseguire successivamente i relativi controlli - ma l’astensione dal lavoro decorrerà anche in questo caso, dalla data del provvedimento che la dispone.

Qualora l’istanza pervenuta risulti carente dello stralcio del DVR, ovvero della dichiarazione del datore di lavoro oppure in caso di mancato riscontro alla richiesta dell’Ufficio, al fine di tutelare la lavoratrice madre in attesa dell’emanazione del provvedimento, l’Ufficio valuterà l’opportunità di attivare tempestivamente un accertamento in loco per verificare la sussistenza dei requisiti utili alla emanazione del provvedimento interdittivo. In extrema ratio potrà essere disposta un’attività ispettiva ad hoc previo coordinamento con la vigilanza tecnica.

Il provvedimento dovrà essere trasmesso dall'Ufficio territorialmente competente alla lavoratrice, al datore di lavoro e, ove occorra, all'Istituto assicuratore, ai fini del trattamento economico.

Nel caso in cui l’Ufficio ritenga di non dover accogliere la richiesta di interdizione ante o post-partum, comunicherà i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, ai sensi dell’art. 10-bis legge n. 241/1990.

Resta inteso che tale preavviso di rigetto costituisce espressione di una fase meramente interlocutoria, ulteriore e successiva alla fase istruttoria vera e propria, “quando cioè la determinazione è orientata negativamente e si rende necessario interagire non ai soli fini della raccolta del materiale ancora carente, ma rispetto al contenuto dispositivo dell’atto da adottare” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 21 luglio 2023, n. 7158).

Corre l’obbligo di precisare, altresì, che la comunicazione effettuata ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990, stante il carattere endoprocedimentale, non può essere considerata atto immediatamente lesivo della sfera giuridica del destinatario e, pertanto, non è autonomamente né immediatamente impugnabile. Nei casi di rigetto dell’istanza, l’amministrazione è pertanto tenuta necessariamente ad adottare, a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, il provvedimento definitivo di diniego anche qualora non siano pervenute osservazioni a seguito della comunicazione ex art. 10 bis cit. dando conto delle motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni eventualmente presentate. L’art. 2 della legge n. 241/1990 sancisce, infatti, l’obbligo di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso che, a norma del successivo art. 3, deve essere sempre motivato.

Al fine di garantire una maggiore efficienza e celerità dell’azione amministrativa, codesti uffici dovranno prediligere la trasmissione a mezzo e-mail (laddove la lavoratrice abbia indicato nell’istanza il proprio indirizzo e-mail quale strumento da prediligere nelle comunicazioni) o pec della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell’istanza ex art. 10-bis della L. n. 241/1990. L’utilizzo della raccomandata A/R determina, invece, un prolungamento del periodo di sospensione del procedimento – considerati i tempi di consegna e di restituzione dell’avviso di ricevimento – che potrà ritenersi giustificato solo in presenza di ragioni oggettive che impediscano l’impiego di strumenti informatici e telematici (ad es. qualora il destinatario non sia provvisto di una casella di posta elettronica o di un domicilio digitale).Nelle ipotesi in cui l’ufficio comunichi il preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis cit., il termine per l’adozione del provvedimento è sospeso (quindi, non è interrotto) e continua a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione stessa.

Ciò comporta che il termine per la conclusione del procedimento non decorrerà ex novo ma, affinché il provvedimento venga adottato nei termini, sarà necessario considerare che il periodo trascorso (giorni intercorsi dall’istanza/integrazione alla comunicazione dei motivi ostativi) si somma al periodo successivo (che decorre dopo dieci giorni dalla presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione).

Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione dei motivi ostativi, la lavoratrice ha il diritto di presentare per iscritto le proprie osservazioni, eventualmente corredate da documenti; in caso di mancato accoglimento di tali osservazioni, l’Ufficio dovrà darne ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni.
Viceversa, qualora le osservazioni della lavoratrice contengano elementi tali da poter essere

considerati pregiudizievoli per lo stato della stessa, anche in questo caso l’Ufficio valuterà l’opportunità di attivare tempestivamente una specifica attività ispettiva al fine di verificare l’eventuale incompatibilità alla mansione e/o all’ambiente di lavoro per valutare l’emanazione del provvedimento conseguente.

Come disposto dal comma 5 dell’art. 17 del d.lgs. n. 151/2001, i provvedimenti di interdizione ante- partum e/o post-partum sono da considerarsi “definitivi”.

Si rammenta che, ai sensi dell’art. 2, c. 9-quinquies, della L. n. 241/1990, in tutti i provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte devono essere “espressamente indicati il termine previsto dalla legge o dai regolamenti e quello effettivamente impiegato”.

Al fine di favorire il processo di digitalizzazione degli atti e ridurne i tempi di conoscenza da parte dei soggetti interessati, si invitano gli Uffici a preferire la trasmissione dei provvedimenti in parola a mezzo pec (ove disponibile) anche nel caso di istanze pervenute in modalità cartacea o a mezzo e-mail.

Nell’allegato 2 sono riportati degli esempi di provvedimento di interdizione ante e post partum.

Gli strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale in favore della lavoratrice sono costituiti da:

-  ricorso al titolare del potere sostitutivo in caso di inerzia;

-  ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego che, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario, va proposto innanzi al Giudice del Lavoro in quanto il provvedimento ha ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo della lavoratrice rispetto al quale l’Ispettorato è titolare di un potere vincolato finalizzato ad accertare meri dati fattuali così come individuati dalla legge.

6. CASI SPECIFICI

Al fine di agevolare l’istruttoria amministrativa di seguito si indicano le attività lavorative che risultano particolarmente pericolose e faticose (elenco non esaustivo):

-  lavori che comportano una posizione in piedi per più di metà dell’orario o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante o scomoda;

-  lavori su scale ed impalcature mobili e fisse, con pericolo di caduta;

-  trasporto e sollevamento di pesi;

-  lavori con macchina mossa a pedale quando il ritmo sia frequente ed esige sforzo;

-  uso di macchine o strumenti che trasmettono intense vibrazioni;

-  lavori con obbligo di sorveglianza sanitaria;

-  lavori a bordo di qualsiasi mezzo di trasporto;

-  lavori che espongono a temperature troppo basse o troppo alte;

-  lavoro notturno.

POSTURA ERETTA PROLUNGATA

L’Allegato A del d.lgs. n. 151/2001 contiene l’elenco dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri di cui all'art. 7 e, alla lett. g), individua tra gli stessi, quelli che comportano una stazione in piedi per più di metà dell'orario o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante, durante la gestazione e fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro.

Per stazionamento eretto, devono intendersi non soltanto le ipotesi in cui la mansione della lavoratrice comporti in maniera continuativa la posizione eretta, ma anche le ipotesi in cui la lavoratrice possa deambulare.

A riguardo, si richiama la nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali prot. n. 20211 del 6/11/2015 che, in riferimento alla configurabilità dell’ipotesi di “stazionamento in piedi per più di metà dell’orario di lavoro” per le lavoratrici madri espletanti le mansioni di commessa-addetta alla vendita, ai fini della corretta emanazione, nei confronti delle stesse, di provvedimenti di astensione al lavoro ha affermato che: “si ritiene che la mansione di commessa-addetta alla vendita possa farsi rientrare nelle ipotesi di cui allegato A lettera G), durante la gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, a nulla rilevando la circostanza che la lavoratrice possa deambulare durante l'orario di lavoro, atteso che la casistica in esame comprende anche i lavori che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante”.

Di conseguenza, nel caso della commessa-addetta alla vendita, appare ragionevole affermare che la stessa sia costretta ad una posizione particolarmente affaticante, rimanendo in piedi (anche se deambula all’interno del punto vendita).

Pertanto, ove si dovessero riscontrare casi analoghi nelle specifiche mansioni assegnate alla lavoratrice che comportino una “posizione particolarmente affaticante” dovranno essere emessi i relativi provvedimenti di astensione.

Si precisa, ad ogni buon fine, che l’astensione prevista dalla lettera G) dell’Allegato A del d.lgs. n. 151/2001 termina allo scadere del congedo obbligatorio di maternità, non invece al compimento dei sette mesi di vita del bambino; infatti, ogni qualvolta il legislatore abbia voluto riferirsi al prolungamento del congedo fino a sette mesi del figlio, lo ha fatto espressamente.

Quanto al profilo della durata dello stazionamento in piedi “per più di metà dell’orario di lavoro” è doveroso precisare – come peraltro stabilito dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali prot. n. 3719 del 27/11/1986 - che:

-  la metà dell’orario di lavoro che non può essere superato con stazione in piedi da parte della gestante non coincide necessariamente con le quattro ore giornaliere, ma potrà essere di durata inferiore in rapporto all’orario effettivo normale giornaliero praticato. Evidenziando così che l’obiettivo della riduzione dell’orario di lavoro attualmente perseguito dalla contrattazione collettiva si riflette in una tutela più intensa;

-  nel caso di contratti a tempo parziale in cui la riduzione della prestazione non sia giornaliera, ma comporti l’attività lavorativa per l’intero orario di lavoro giornaliero limitatamente ad alcuni giorni della settimana o per periodi più lunghi (part-time verticale) nei confronti delle lavoratrici gestanti dovrà trovare applicazione la disposizione in argomento, in quanto non vi è dubbio che nei loro riguardi sussistano le medesime esigenze della specifica tutela di cui si tratta, che si riscontrano per le lavoratrici impiegate a tempo pieno.

In sostanza, andranno adottati i provvedimenti di interdizione ogni qualvolta la prestazione lavorativa comporti lo stazionamento in piedi per metà dell’orario giornaliero svolto dalla lavoratrice in qualsiasi regime orario previsto dai contratti in quanto periodi prolungati in piedi durante la giornata lavorativa determinano per le donne un maggior rischio di parto prematuro.
In tali casi l’Ufficio rilascerà il provvedimento di interdizione ante partum senza ulteriori valutazioni.

COMPARTO SCUOLA

Nel comparto scuola, con particolare riferimento alle insegnanti, si possono prospettare tre diverse situazioni in relazione all’assegnazione della lavoratrice ad asili nido, scuole dell’infanzia, scuola primaria o scuola secondaria.

In particolare, a seconda dell’assegnazione, si prospettano diverse tipologie di rischi:

  • per le educatrici di asili nido e insegnati di scuola dell’infanzia i principali rischi sono:
  1. sollevamento di bambini (movimentazione manuale dei carichi);
  2. stretto contatto e igiene personale dei bambini (rischio biologico/malattie esantematiche);
  3. posture incongrue e stazione eretta prolungata.

Considerato quanto sopra, il periodo di astensione dovrà ricomprendere sia quello della gestazione che quello del puerperio fino a 7 mesi dopo il parto.
In tali casi l’Ufficio rilascerà il provvedimento di interdizione senza ulteriori valutazioni;

  • per le insegnanti di scuola primaria il principale rischio è il rischio biologico (ad esempio malattie esantematiche, epidemia, etc.).
    In tale fattispecie il periodo di astensione dovrà ricomprendere tanto quello della gestazione che quello del puerperio fino ai 7 mesi dopo il parto ed anche in questo caso, l’Ufficio provvederà al rilascio del provvedimento di astensione senza alcuna ulteriore specifica valutazione;
  • per le insegnanti di scuola secondaria il principale rischio è la vicinanza ad alunni affetti da malattie nervose e mentali. In casi del genere, il periodo di astensione dovrà ricomprendere, ai sensi dell’Allegato A lettera l) d.lgs. n. 151/2001, tanto quello della gestazione che quello del puerperio fino ai 7 mesi dopo il parto. Tuttavia, nel caso di specie è indispensabile accertare anche mediante una specifica dichiarazione che potrà essere richiesta al datore di lavoro, se la lavoratrice sia effettivamente esposta o meno al rischio e se questo possa definirsi effettivo.

Quanto al personale di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado, docente e non, le condizioni da valutare sono:

- l’ausilio ad allievi non autosufficienti dal punto di vista motorio o con gravi disturbi comportamentali (possibili reazioni improvvise e violente); in tale ipotesi il periodo di astensione dovrà essere quello della gestazione e quello del puerperio fino a 7 mesi dopo il parto da valutare caso per caso;

- la movimentazione manuale disabili non autosufficiente (periodo di astensione gestazione e puerperio fino a 7 mesi dopo il parto in base alla valutazione dei rischi);

- il possibile stretto contatto con il disabile e conseguente esposizione ad agenti biologici rende possibile l’astensione sia durante la gestazione, in base alla valutazione dei rischi, che durante il puerperio fino a 7 mesi dopo il parto.

Infine, è opportuno sottolineare che l’INL con nota n. 2269 del 14.11.2022 ha richiamato quanto stabilito dal MLPS nel 2005 ed ha precisato che: “durante il periodo di chiusura dell’anno scolastico per pausa estiva, venendo meno il contatto con i bambini, non si configurano rischi derivanti alla lavoratrice (insegnante) dalla sua attività lavorativa che infatti rimane sospesa fino alla ripresa del nuovo anno scolastico. Pertanto, non sarebbe giustificata l’emanazione di un provvedimento di astensione dell’insegnante dal lavoro in corrispondenza di un periodo di mancato svolgimento dell’attività principale, individuata come fattore di rischio all’interno del DVR.”

7. SPOSTAMENTO AD ALTRA MANSIONE

L’interpello prot. n. 6584 del 28/11/2006 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiarito che lo spostamento ad altra mansione non va inteso in senso assoluto, cioè quando il datore di lavoro non ha alcuna mansione alternativa a cui adibire la lavoratrice, bensì in senso relativo, cioè quando la mansione alternativa astrattamente reperibile risulti in concreto onerosa per la lavoratrice e al contempo poco utile per l’organizzazione aziendale; infatti, a norma dell’art. 1175 c.c., è da ritenersi “inesigibile da parte del datore di lavoro una prestazione lavorativa tanto ridotta da diventare inutilmente gravosa per la lavoratrice, costretta ad affrontare il disagio di recarsi sul posto di lavoro, per restare oziosa o rendere una prestazione lavorativa di minima utilità per il datore di lavoro”.

  • Inoltre, la nota Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali prot. n. 7553 del 2013 chiarisce “in linea di principio un potere “esclusivo” del datore di lavoro di valutare la fattibilità dello spostamento tenuto conto che egli è l’unico soggetto in grado di conoscere, in quanto da lui stesso definita in ragione del ruolo rivestito, l’effettiva organizzazione aziendale”.
  • La valutazione circa la possibilità ovvero l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni compete, in via esclusiva, al datore di lavoro, il quale deve tenere conto del fatto che l’eventuale mutamento di mansioni o l’adibizione a mansioni diverse, anche inferiori, garantisca l’efficienza dell’organizzazione aziendale e non comprometta le finalità economiche dell’azienda stessa.
  • Ne deriva che l’eventuale accertamento da parte dell’Ufficio, teso a verificare la veridicità di quanto asserito dal datore di lavoro in ordine alla impossibilità di spostamento ad altra mansione, deve essere considerata circostanza eccezionale, legata alla particolarità della singola fattispecie, e l’eventuale provvedimento di diniego dovrà essere debitamente motivato.

[photo credits]

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome