AIA: le modifiche all’apparato sanzionatorio

Il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46 «Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali», ha apportato modifiche particolarmente significative al regime dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA), anche con riferimento agli aspetti sanzionatori. In particolare, a prescrizioni da ritenersi depenalizzate si sono affiancate violazioni penalmente rilevanti, a loro volta suddivise tra quelle che prevedono una sanzione oblabile e quelle che ne sono prive. La pubblicazione del D.Lgs. n. 46/2014, tuttavia, lascia spazio ancora a dubbi interpretativi, come l’applicabilità dell’art. 29-quattordecies, D.Lgs. n. 152/2006 (che punisce con pena alternativa l’esercizio di attività ricomprese nell’Allegato VIII alla Parte II senza essere in possesso dell’AIA, ovvero dopo che la stessa sia stata sospesa o revocata, con un regime sanzionatorio più severo) alle violazioni già sanzionate in autonomia unicamente per via amministrativa (articolo tratto da Ambiente&Sicurezza n. 22/2014).

new-logo-ASIl decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46[1. «Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali» (in S.O. n. 27 alla Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 2014, n. 72). Si vedano gli approfondimenti pubblicati sui nn. 9/2014 e 12/2014 di Ambiente&Sicurezza.] , ha apportato modifiche particolarmente significative al regime dell’Autorizzazione integrata ambientale, anche con riferimento agli aspetti sanzionatori.

Il primo spunto di riflessione riguarda alcune modifiche dell’appatato definitorio dalle quali potrebbero discendere ripercussioni non indifferenti circa l’organizzazione societaria interna e l’individuazione dei soggetti che possono essere colpiti dalle sanzioni previste in caso di violazione della disciplina e delle disposizioni dell’AIA. Sul punto occorre aver chiaro un ragionamento di fondo, certamente non intaccato dalla riforma. Il concetto di gestore è riferito all’attività soggetta ad AIA e non al singolo aspetto ambientale di interesse per l’attività medesima; in altri termini, mentre al di fuori dall’AIA esiste, per fare un esempio, il “gestore dello scarico” (il “titolare”), in ambito AIA esiste «il gestore dell’impianto da cui deriva lo scarico».

Questo significa, in conformità allo spirito e alla ratio della normativa, che il concetto di gestione non è riferito alla movimentazione dei rifiuti, agli scarichi, alle emissioni atmosferiche, ma alla proprietà, alla direzione e all’esercizio del potere economico sull’attività e sugli impianti da cui derivano le emissioni inquinanti. Le definizioni previgenti di “gestore, “impianto” e “Autorizzazione integrata ambientale” facevano riferimento a un unico soggetto esercente un’attività da cui conseguono impatti ambientali significativi; pareva, quindi, indiscutibile l’univocità del soggetto gestore, da cui potevano discendere difficoltà organizzative a fronte di situazioni di fatto che, invece, vedevano più soggetti coinvolti nell’esercizio dell’impianto, anche esterni al soggetto giuridico al servizio del quale si trovava l’impianto stesso. Oggi, probabilmente, questa impostazione non è più così netta.

Infatti, l’art. 5, lettera r-bis), definisce “gestore” «qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce, nella sua totalità o in parte, l’installazione o l’impianto oppure che dispone di un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dei medesimi». Evidentemente, l’aggiunta della precisazione «nella sua totalità o in parte» autorizza, senza dubbio, ad affermare che la gestione possa essere ripartita tra più gestori.

Questa impostazione è in linea con altre due definizioni:

  • la prima, quella di cui alla lettera o-bis) dell’art. 5, D.Lgs. n. 152/2006, che individua l’AIA come un provvedimento che autorizza l’esercizio di un’installazione o parte di essa e che precisa che essa «può valere per una o più installazioni o parti di esse che siano localizzate sullo stesso sito e gestite dal medesimo gestore. Nel caso in cui diverse parti di una installazione siano gestite da gestori differenti, le relative autorizzazioni integrate ambientali sono opportunamente coordinate a livello istruttorio»;
  • la seconda attiene al concetto di “installazione ”, ovvero una «unità tecnica permanente, in cui sono svolte una o più attività elencate all’allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull’inquinamento. è considerata accessoria l’attività tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore».

Il legislatore, quindi, prende in considerazione, quantomeno a livello definitorio, la possibilità che vi siano diversi soggetti convolti nell’esercizio di una o più attività soggette ad AIA (diverse installazione; diversi gestori; diverse AIA, coordinate a livello istruttorio). In particolare, tenendo a mente la finalità dell’AIA, l’interpretazione che appare più verosimile sembra essere quella di un frazionamento, per esempio, per linee produttive; così, in uno stabilimento dove si svolgono più produzioni o attività importanti ben identificabili e distinguibili (ad es. la linea di un prodotto specifico; il settore della verniciatura; il settore acciaieria ecc.) la legge ammette che possa esservi un “gestore” appositamente dedicato, il che rende interessante un ulteriore ragionamento, analizzabile in altra sede, circa la possibilità di trasferire in via originaria o derivativa, la responsabilità penale conseguente a violazioni del Titolo IIIbis , D.Lgs. n. 152/2006.

Titolo III-bis, D.Lgs. n. 152/2006: le modifiche più significative alle disposizioni penali

Il comma 1 dell’art. 29-quaterdecies sanziona con pena alternativa l’esercizio di attività ricomprese nell’Allegato VIII alla Parte II senza essere in possesso dell’AIA, ovvero dopo che la stessa sia stata sospesa o revocata, con un regime sanzionatorio più severo (ipotesi contravvenzionale con pena congiunta) a fronte di «esercizio non autorizzato che comporti lo scarico di sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato V alla Parte Terza del d.lgs. 152/06, ovvero la raccolta o il trasporto o il recupero o lo smaltimento di rifiuti pericolosi». Lo stesso comma 1 prevede un’ipotesi di confisca, a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento, se l’esercizio non autorizzato riguarda una discarica[2. Sul punto si richiamano le osservazioni già espresse a proposito della confisca in Ambiente&Sicurezza n. 16/2014, pag. 82.].

La fattispecie della mancata osservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, che il comma 2 considerava genericamente e in manie ra unitaria sempre un illecito penale, è stata oggi scissa in tre diverse ipotesi di illecito. Il nuovo assetto sanzionatorio è costruito per esclusioni. La violazione delle prescrizioni costituisce illecito amministrativo (comma 2 , sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro), a meno che ricorra una delle ipotesi previste nei commi successivi.

Il comma 3 dell’art. 29-quaterdecies prevede la sanzione penale dell’ammenda da 5.000 a 26.000 euro (la stessa pena prevista dal testo ante riforma), qualora l’inosservanza delle prescrizioni:

  • sia costituita dalla violazione dei valori limite di emissione rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o in occasione di ispezione, sempre che la violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità fissati dall’autorizzazione;
  • sia relativa alla gestione di rifiuti;
  • sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette.

Questi reati sono soggetti a oblazione ordinaria, ai sensi dell’art. 162 codice penale.

Sono, invece, punite con pena congiunta (art. 29-quaterdecies , comma 4: ammenda da 5.000 a 26.000 euro e arresto fino a 2 anni) le inosservanze delle prescrizioni relative:

  • alla gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati;
  • allo scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla Parte III;
  • a casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa;
  • all’utilizzo di combustibili non autorizzati.

Questo reato, essendo punito con pena congiunta, non è estinguibile mediante oblazione. Si osserva che:

  • se la violazione riguarda i rifiuti (anche se pericolosi) si applica sempre la sanzione penale del comma 2;
  • se, invece, la violazione riguarda “rifiuti pericolosi non autorizzati”, si applica la più grave fattispecie di cui al comma 3.

Il confronto tra le due disposizione rende abbastanza chiaro l’assunto che la sanzione più rigorosa si applichi non a qualsiasi violazione riguardante i rifiuti pericolosi, ma soltanto alle violazioni che attengono ad attività di gestione di rifiuti pericolosi non autorizzata (sempre che, si osserva, non sia applicabile la sanzione prevista dal comma 1 dell’art. 29-quattordecies che riguarda le attività compiute in assenza di AIA dove prescritta). La previsione di cui alla lettera b) del comma 3, relativa agli scarichi, merita un approfondimento. La fattispecie riguarda violazioni delle prescrizioni inerenti uno «scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza». Tralasciando momentaneamente il riferimento alla tabella 3/A, di rara applicazione, e focalizzando l’attenzione sulla tabella 5 , emerge come il tenore letterale della norma farebbe pensare che ogni violazione che riguardi uno scarico che contenga una sostanza contemplata in tabella 5 sia soggetta alla sanzione penale più grave; nondimeno, nella tabella 5 sono contemplate anche sostanze che è normale trovare in qualsiasi tipo di scarico (si pensi, ad esempio, allo zinco).

Quindi, interpretando in senso letterale la disposizione, ne deriverebbe che ogni violazione delle prescrizioni in materia di scarichi idrici sarebbe soggetta alla sanzione più grave; tuttavia, non è certamente questa la scelta seguita dal legislatore quando ha pensato di introdurre un regime sanzionatorio differenziato secondo la gravità della violazione e l’allarme ambientale. L’interpretazione più coerente potrebbe essere quella di limitare la fattispecie penale più grave alle ipotesi in cui la violazione della prescrizione sia costituita o attenga a uno scarico che abbia evidenziato un supero tabellare (tabella 3) riferito a una delle sostanze menzionate nella tabella 5 (e non alla sola presenza di queste sostanze, indipendentemente dalla percentuale). Analogo ragionamento interpretativo può essere svolto con riferimento alla sanzione penale del comma 1 (attività abusiva), che, anche in questo caso, prevede sanzioni di gravità diversa a seconda che l’attività non autorizzata riguardi uno scarico idrico di sostanze “comprese” nelle tabelle 3/a e 5. I commi 5 e 6 sanzionano, rispettivamente:

  • come illecito penale (ammenda da 2.500 a 26.000 euro), la realizzazione di una modifica sostanziale senza autorizzazione;
  • come illecito amministrativo (sanzione pecuniaria da 1.500 a 15.000 euro), la realizzazione di una modifica non sostanziale senza il rispetto del procedimento di cui all’art. 29-nonies.

Sono previste anche sanzioni amministrative a presidio degli adempimenti di comunicazione a carico del gestore. Interessante è, poi, il comma 9 dell’articolo 29-quaterdecies, che, sempre a proposito degli adempimenti di comunicazione, prevede l’applicazione della pena di cui all’art. 483 c.p. «a chi nell’effettuare le comunicazioni di cui al comma 8 fornisce dati falsificati o alterati»; il richiamo alle ipotesi di cui all’art. 258, comma 4, è istintivo per chi da anni si occupa della materia ambientale. In questo caso, ci si trova verosimilmente davanti a un’ipotesi delittuosa strutturata nelle forme dell’art. 483 c.p., per la punizione della quale è necessario il dolo (generico), cioè la coscienza e volontà di attestare falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, non potendosi ragionevolmente ritenere che il richiamo operato attenga soltanto alla pena, specie alla luce del valore letterale della disposizione che fa riferimento a dati “falsificati o alterati”. La novella di cui al D.Lgs. n. 46/2014, ha anche investito l’art. 29-decies, in particolare con il comma 9, laddove, alle classiche misure già previste della diffida, sospensione e revoca, ha aggiunto la «chiusura dell’installazione» [lettera d)] nel caso di esercizio in assenza di autorizzazione.

L’art. 29-quaterdecies si conclude con un richiamo al principio di specialità; il comma 14 prevede, infatti, che per gli impianti autorizzati secondo l’AIA non si applichino le sanzioni previste dalle discipline specifiche in materia di scarichi idrici, gestione dei rifiuti ed emissioni in atmosfera, a meno che «esse non configurino anche un più grave reato».

Conclusioni

Purtroppo, il legislatore ha perso l’occasione per chiarire se possano essere sanzionate ai sensi dell’art. 29-quattordecies le violazioni che sono già sanzionate in via autonoma con sanzione meramente amministrativa. Capita, non di rado, di leggere contestazioni in sede penale - quali violazioni delle prescrizioni AIA, inosservanze relative ai registri di carico e scarico (per le quali il D.Lgs. n. 152/2006, prevede sanzioni amministrative) - fondate sul fatto che le prescrizioni AIA quasi sempre richiamano anche il rispetto degli obblighi documentali e/o, comunque, il rispetto di tutte le norme di legge. Contestazioni che paiono, tuttavia, difficilmente conciliabili con il principio di specialità stabilito dall’art. 9, legge n. 689/1981, ai sensi del quale «quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale».

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