Economia circolare: quali spazi per l’Ecolabel?

I settori specifici sui quali si concentrano le linee d’azione previste dalla Comunità europea sono il tessile, la plastica e gli imballaggi, l’elettronica e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione

Il green deal

Sul finire del 2019 la Commissione europea ha presentato ai cittadini dell'Unione i propri impegni per affrontare i problemi legati a clima e ambiente; si tratta del cosiddetto “Green deal europeo” che mira a trasformare l'economia e la società indirizzandole su un percorso ambientalmente più sostenibile, che protegga la salute e il benessere dei cittadini.

La nuova strategia di crescita si articola su diversi campi di azione:

  • conseguire la neutralità climatica;
  • garantire l'approvvigionamento di energia pulita;
  • mobilitare l'industria per una economia circolare e pulita;
  • costruire e ristrutturare in modo efficiente sotto il profilo energetico e delle risorse;
  • eliminare le sostanze tossiche nell'ambiente;
  • preservare e ripristinare ecosistemi e biodiversità;
  • accelerare la transizione verso una mobilità sostenibile;
  • progettare un sistema alimentare sano e rispettoso dell'ambiente.

 

Economia circolare e piano d'azione

Restringendo il campo dell’analisi all'economia circolare, per raggiungere la transizione a questo modello è necessaria la piena mobilitazione dell'industria, considerati i lunghi tempi necessari a trasformare un settore industriale. Allo stato attuale l'industria della Ue è ancora dipendente dal flusso di nuovi materiali estratti, lavorati, trasformati in merci e, infine, smaltiti come rifiuti o emissioni; non a caso, soltanto il 12% dei materiali utilizzati proviene dal riciclaggio.

In quest'ottica, la Commissione europea ha pubblicato l'11 marzo 2020 il nuovo piano d'azione per l'economia circolare al fine di stimolare lo sviluppo di mercati guida per la neutralità climatica e i prodotti circolari (all'interno come all'esterno dell'Ue), dando priorità alla riduzione e al riutilizzo dei materiali prima del loro riciclaggio, promuovendo nuovi modelli di sviluppo e fissando requisiti atti a prevenire l'immissione sul mercato comunitario di prodotti nocivi per l'ambiente.

 

Il dettaglio del piano d'azione COM (2020) 98

Il nuovo piano d'azione per l'economia circolare stabilisce un programma orientato al futuro per costruire un'Europa più pulita e competitiva in collaborazione con gli operatori economici, i consumatori, i cittadini e le organizzazioni della società civile.

Il piano presenta una serie di iniziative collegate tra loro destinate a istituire un quadro strategico da attuare progressivamente in cui i prodotti, i servizi e i modelli imprenditoriali sostenibili costituiranno la norma e a trasformare i modelli di consumo, in modo da evitare, innanzitutto, la produzione di rifiuti.

Esiste già una storia di legiferazione nell’Ue che tratta aspetti relativi alla sostenibilità dei prodotti, sia su base obbligatoria che volontaria in cui il marchio di qualità ecologica dell’Ue (Ecolabel Ue) si pone come uno strumento pioniere grazie alla sua presenza sul mercato quasi trentennale.

Purtroppo, l’impatto positivo generato da questo strumento non è stato di ampia portata probabilmente a causa del limite insito nel suo essere “volontario”.

L’obiettivo centrale che la Commissione si propone è quello di estendere la direttiva concernente la progettazione ecocompatibile in modo che essa possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di prodotti e rispetti i principi della circolarità.

Oltre alla progettazione, sarà anche valutata la possibilità di stabilire dei principi di sostenibilità e altre modalità adeguate per disciplinare aspetti quali:

  • il miglioramento della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e della riparabilità dei componenti;
  • la questione della presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti e l'aumento della loro efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse;
  • l'aumento del contenuto riciclato nei prodotti, la limitazione dei prodotti monouso e la lotta contro l'obsolescenza prematura.

Questi principi sono già inclusi nei criteri che regolano la certificazione Ecolabel UE; inoltre, basandosi questi criteri su un approccio “dalla culla alla tomba”, ove applicabile, già da anni essi richiedono che gli imballaggi siano progettati in modo adeguato sia nella fase d’uso che per un funzionale riciclo.

Figura 1
Economia circolare ed Ecolabel Ue

(autrice: Raffaella Alessi - ISPRA)

 

Pertanto, poiché questa iniziativa legislativa si sviluppa in modo tale da migliorare la coerenza con gli strumenti esistenti che disciplinano i prodotti in varie fasi del loro ciclo di vita, si può comprendere come il marchio di qualità ecologica dell’Ue, avendo la sua stessa base nel life cycle assesment, rientri a pieno titolo in questa nuova visione. Infatti, nello stesso piano d’azione si stabilisce che «la revisione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile, nonché ulteriori lavori su gruppi di prodotti specifici, nell'ambito del quadro di progettazione ecocompatibile o nel contesto di altri strumenti, si baseranno, ove opportuno, su criteri e regole stabiliti nell'ambito del regolamento sul marchio Ecolabel UE».

Saranno, quindi, premiate tutte le aziende che già da anni hanno scommesso su una produzione o sull’erogazione di servizi più rispettosi dell’ambiente, talvolta rivoluzionando la propria catena di approvvigionamento o la loro gestione interna.

Un aspetto molto importante del nuovo piano d’azione che tocca quello che forse è la criticità maggiore della certificazione Ecolabel Ue è l’impegno della Commissione a rafforzare la consapevolezza dei consumatori grazie a una revisione della legislazione volta a garantire una maggiore visibilità dei prodotti ecosostenibili. I consumatori dovranno, dunque, non solo ricevere informazioni attendibili e pertinenti sui prodotti presso il punto vendita, anche in merito alla durata di vita e alla disponibilità di servizi di riparazione, pezzi di ricambio, manuali di riparazione e obsolescenza prematura, ma anche avere gli strumenti per una scelta veramente “green”, senza rischio di cadere nel tranello del greenwashing, che dovrà essere combattuto stabilendo requisiti minimi per i marchi/loghi di sostenibilità e per gli strumenti di informazione.

Settori specifici in cui si riflette l’Ecolabel

Tessili

Il settore tessile occupa in Europa la quarta posizione tra i quelli che utilizzano più materie prime e acqua dopo il settore alimentare, l'edilizia abitativa e i trasporti, e la quinta posizione per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra. Si stima che meno dell'1 % di tutti i prodotti tessili nel mondo siano riciclati in nuovi prodotti. Inoltre, la loro catena industriale è una delle più lunghe e complesse dell’industria manufattiera: nella maggior parte dei casi questi prodotti sono fabbricati in Asia o, comunque, in luoghi molto lontani da chi li indosserà e questo richiede una enorme quantità di energia anche solo per il trasporto.

Figura 2
Flusso di materiale tessile nel 2015

Questo settore molto frammentato ed eterogeneo è dominato principalmente da piccole e medie imprese, con una domanda in gran parte determinata da tre utilizzi finali dei prodotti: abbigliamento, arredo domestico e usi industriali. In questo quadro l’Italia costituisce di gran lunga il Paese leader in Europa.

La maggior parte degli indumenti più comuni sono oggi realizzati in sintetico, soprattutto poliestere (si stima che poco più del 60% delle fibre derivi da prodotti petrolchimici), mentre la restante fetta di mercato è dominata dal cotone.

Le fibre sintetiche non solo non si degradano dopo lo smaltimento, ma, a ogni lavaggio, rilasciano minuscole fibre indistruttibili che, prima o poi, finiscono in mare. Il problema delle fibre sintetiche non interessa solo la fase dello smaltimento: la loro produzione dà luogo a notevoli emissioni di anidride carbonica.

Le fibre naturali costituiscono una valida alternativa? Contrariamente al senso comune, che generalmente attribuisce a tutto ciò che è naturale un valore positivo, considerando l’intera filiera esse non costituiscono una scelta più ecologica. Se è vero, infatti, che essendo queste fibre degradabili la fase dello smaltimento ne risulta avvantaggiata, la produzione del cotone utilizza circa il 2,5% delle terre arabili del mondo e per la sua coltivazione sono necessarie enormi quantità di pesticidi, fertilizzanti e acqua. Inoltre, per essere lavorato, il cotone richiede più energia delle fibre sintetiche

L’industria dell’abbigliamento a livello globale genera emissioni di anidride carbonica stimate in un miliardo e 200 milioni di tonnellate all’anno (più dell’intero traffico aereo mondiale) e si stima che, entro il 2050, le emissioni di questo gas dovute al comparto del tessile raggiungeranno il 26% delle emissioni di tutte le altre attività umane. L’industria fa un largo utilizzo di prodotti chimici soprattutto con l’uso sempre crescente dei tessuti tecnici. Le lavorazioni che portano alle loro specifiche performance implicano l’uso di sostanze estremamente inquinanti e tossiche come, ad esempio, quelle fluorochimiche e i relativi sottoprodotti per l’impermeabilizzazione.

Probabilmente, grazie ai costi più accessibili, sempre più persone indossano vestiti che hanno una durata di vita sempre più breve. La moda dell’usa e getta nel settore dell’abbigliamento ha forse trovato una delle sue massime espressioni. Ogni secondo che passa viene buttato via l’equivalente di un camion carico di vestiti che finiscono in discarica o bruciati.

Da qualche anno alcune realtà si stanno muovendo nella produzione di tessuti da fonti alternative (proteine del latte, scarti degli agrumi eccetera), ma non possono sicuramente sostituire la produzione globale del tessile. Una delle soluzioni più efficienti risiede nel riciclo e nella rigenerazione dei tessili. Il processo di riciclo degli scarti di nylon riduce del 53% le emissioni di CO2; analogamente, l’utilizzo di elastomero riciclato consente un risparmio di energia, acqua e gestione dei rifiuti in percentuali che variano dal 50 al 90%. L’utilizzo del cotone biologico o Ipm (Integrated pest management - gestione integrata dei parassiti) contribuisce alla riduzione dell'utilizzo di sostanze chimiche quali fitofarmaci, pesticidi, erbicidi, fertilizzanti chimici, OGM (organismi geneticamente modificati); d’altro canto ha una resa inferiore (circa il 15%) rispetto al cotone convenzionale e richiede maggiore terreno per la produzione.

Come si sta muovendo l’Europa in questo contesto? Data la complessità della catena di valore del settore tessile, la strategia della Ue mirerà a rafforzare la competitività e l'innovazione nel settore, promuovendo il mercato dei prodotti sostenibili e circolari, compreso il mercato per il riutilizzo dei tessili, limitando la presenza di sostanze chimiche pericolose, lottando contro la fast fashion (moda veloce) e promuovendo nuovi modelli commerciali che diano alle imprese e ai consumatori privati i mezzi per scegliere tessili sostenibili e disporre di un accesso agevole ai servizi di riutilizzo e riparazione.

Il marchio ecologico dell’Unione europea ha già fatto proprie alcune delle strategie sopra sintetizzate. La decisione 2014/350/Ue del 5 giugno 2014, infatti, incentiva l’utilizzo di cotone biologico o riciclato, nonché l’utilizzo di fibre sintetiche riciclate e limita i residui tossici nelle fibre. Dal punto di vista del processo produttivo, i criteri di qualità ecologica Ecolabel Ue per i tessili incentivano l’adozione delle Mtd (migliori tecniche disponibili) e la responsabilità sociale delle imprese (aspetto questo importante data la forte delocalizzazione della maggior parte del processo in Paesi con meno consapevolezza dal punto di vista dei diritti dei lavoratori).

A settembre 2020, in Italia, risultano certificate undici imprese per il gruppo di prodotti “tessili” (decisione 350/2014/Ue) per un totale di 1260 prodotti; le ultime statistiche dell’Unione europea (marzo 2020) riportano 65 aziende certificate per un totale di circa 7.000 prodotti.

Figura 3
Evoluzione delle licenze e dei prodotti tessili certificati Ecolabel Ue in Europa – marzo 2020

(fonte: https://ec.europa.eu/environment/ecolabel/facts-and-figures.html)

Plastica e imballaggi

L’industria della plastica in Europa è una delle più fiorenti: vi lavorano più di 1,6 milioni di persone, 60.000 aziende, per un fatturato di più di 360 miliardi di euro. Essa si colloca al settimo posto nell’Unione per contributo al valore aggiunto industriale, allo stesso livello dell'industria farmaceutica e molto vicino all'industria chimica. Negli anni il riciclo della plastica è aumentato, probabilmente grazie anche alla sensibilizzazione dei consumatori e agli sforzi compiuti dall’industria in questo settore. Dal 2006 la quantità di rifiuti di plastica inviati al riciclaggio è raddoppiata, lasciando tuttavia un quantitativo ancora troppo grande alle discariche (25%).

Il potenziale di riciclo dei rifiuti di plastica è ancora ampiamente inutilizzato, in particolare rispetto ad altri materiali come carta, vetro o metalli. Degli oltre 27 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica raccolti ogni anno in Europa, meno di un terzo è inviato agli impianti di riciclo. Di conseguenza, nel 2016 in Europa sono stati venduti meno di 4 milioni di tonnellate di plastica riciclata, che rappresentano appena l’8% del mercato della plastica dell’Ue. Confermando l’obiettivo dell’Unione di 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata venduta nell’Ue entro il 2025, la circular plastic alliance si impegna a contribuire a un aumento del mercato della plastica riciclata dell’UE di oltre il 150%.

Uno dei più comuni usi della plastica è quello degli imballaggi. In questo caso specifico, dal 2006 c’è stato un incremento del 92% per gli imballaggi inviati al riciclaggio, grazie al quale si è avuto un aumento del 84% nel recupero di energia.

La direttiva (Ue) 2018/852 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ha fissato obiettivi di riciclaggio più elevati per materiale (50% per quelli in plastica entro il 2025 e 55% entro il 2030), insieme a un nuovo metodo di calcolo delle prestazioni di riciclaggio (applicabile a partire dai dati di quest’anno).

Poiché si prevede che il consumo di plastica raddoppierà nei prossimi 20 anni, la Commissione ha previsto l’adozione di ulteriori misure mirate per risolvere i problemi di sostenibilità creati da questo materiale.

Per contribuire all'uso più sostenibile della plastica e incrementare l'utilizzo di quella riciclata, la Commissione garantirà la rapida attuazione della direttiva 2019/904 sui prodotti monouso, adotterà disposizioni vincolanti relative al contenuto riciclato e misure per la riduzione dei rifiuti per prodotti fondamentali quali gli imballaggi, i materiali da costruzione e i veicoli, tenendo conto anche delle attività dell'alleanza per la plastica circolare.

A proposito di quest’ultima, la dichiarazione firmata nel settembre 2019 da oltre 100 soggetti che rappresentano l’intera filiera stabilisce le modalità con cui l’alleanza raggiungerà entro il 2025 l’obiettivo di riutilizzare 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata all’anno per fabbricare nuovi prodotti.

Parallelamente all'adozione delle misure volte a ridurre i rifiuti in plastica, la Commissione europea affronterà la questione della presenza di microplastiche nell'ambiente cercando di limitare quelle aggiunte intenzionalmente, sviluppando e armonizzando ulteriormente i metodi per misurare le quelle rilasciate in modo non intenzionale, predisponendo l'etichettatura, la standardizzazione, la certificazione e le misure di regolamentazione per quanto concerne il loro rilascio accidentale. La Commissione affronterà anche le sfide emergenti in materia di sostenibilità predisponendo un quadro strategico in materia di approvvigionamento, etichettatura e utilizzo o delle plastiche a base organica (biodegradabili e compostabili). L'obiettivo è far sì che l'etichettatura di un prodotto come "biodegradabile" o "compostabile" non induca erroneamente i consumatori a smaltirlo secondo modalità che provocano la dispersione di questi rifiuti o l'inquinamento a causa di condizioni ambientali non adeguate o tempo insufficiente per la degradazione.

Box 1

Imballaggi in plastica: produzione, materie prime e uso

La quantità di materiali usati per gli imballaggi è in costante crescita e, nel 2017, i rifiuti di imballaggio in Europa hanno raggiunto il record di 173 kg per abitante, il livello più alto mai registrato. Al fine di garantire che, entro il 2030, tutti gli imballaggi sul mercato dell’Ue siano riutilizzabili o riciclabili in modo economicamente sostenibile, la Commissione riesaminerà la direttiva 94/62/Ce per rafforzare i requisiti essenziali obbligatori che gli imballaggi dovranno soddisfare per essere immessi sul mercato dell’UE e prenderà in considerazione altre misure, con particolare riguardo a:

  • riduzione dei rifiuti degli imballaggi e degli imballaggi eccessivi, anche fissando obiettivi e adottando altre misure di prevenzione dei rifiuti;
  • progettazione degli imballaggi ai fini del riutilizzo e della riciclabilità, anche considerando la possibilità di stabilire restrizioni sull’uso di alcuni materiali per determinate applicazioni, in particolare se sono disponibili prodotti o sistemi riutilizzabili alternativi, o se i beni di consumo possono essere maneggiati in modo sicuro anche se privi di imballaggio;
  • riduzione della complessità dei materiali di imballaggio, ivi compreso il numero di materiali e polimeri utilizzati.

Il marchio ecologico dell’Unione europea è intervenuto nella riduzione delle plastiche di imballaggio sin dal 2003 con i primi criteri relativi ai prodotti per la detergenza anticipando quelle che sono le misure appena elencate. In essi infatti, così come in misura sempre maggiore nelle successive revisioni del 2011 e del 2017, il criterio sull’imballaggio imponeva un rapporto tra la plastica usata e il contenuto che tendeva proprio a disincentivare gli involucri di piccole dimensioni. Nelle attuali decisioni pubblicate nel 2017 per ben sei gruppi di prodotto afferenti alla detergenza, oltre a prevedere i consueti limiti su questo rapporto, si è posta l’attenzione anche alla qualità della alla riciclabilità degli imballaggi intervenendo proprio sulla progettazione imballaggi del packaging ponendo dei divieti sugli accoppiamenti che hanno difficile recupero e incentivando dunque l’uso di materiali nelle diverse parti (ad esempio flacone, tappo, etichetta) con simili proprietà di recupero. Inoltre, è sempre presente l’incentivo all’utilizzo di imballaggi con un contenuto di plastica riciclato maggiore dell’80%. Nella decisione relativa ai prodotti cosmetici da risciacquo (sapone, balsamo, shampoo eccetera) vi è l’obbligo di non utilizzare imballaggio secondario (ad esempio non si può vendere un prodotto in tubetto all’interno di un involucro di cartone).

A settembre 2020, in Italia, risultano certificate 83 imprese nei 6 gruppi afferenti alla detergenza (detergenti per piatti a mano, per la pulizia di superfici dure, per il bucato e per lavastoviglie sia retailer che professionali[1]Decisioni 2017/1214/Ue, 2017/1217/Ue, 2017/1218/Ue, 2017/1219/Ue, 2017/1216/Ue, 2017/1215/Ue.) per un totale di 1877 prodotti. Le ultime statistiche dell’Unione europea (marzo 2020) riportano 499 aziende certificate per un totale di quasi 5900 prodotti.

Per quanto riguarda il settore dei prodotti cosmetici da risciacquo, in Italia risultano certificate (settembre 2020) 16 imprese per un totale di 429 prodotti. Le ultime statistiche dell’Unione europea (marzo 2020) riportano 117 aziende certificate per un totale di circa 2500 prodotti.

Figura 4
Evoluzione delle licenze e dei cosmetici da risciacquo certificati Ecolabel Ue in Europa – marzo 2020

(fonte: https://ec.europa.eu/environment/ecolabel/facts-and-figures.html)

Elettronica e tecnologie dell’informazione e della comunicazione

I rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche continuano a costituire uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita nell'UE con un tasso annuale pari attualmente al 2%. Si stima che nell'UE meno del 40 % dei rifiuti elettronici sia riciclato. Nel caso delle apparecchiature elettriche inoltre lo maltimento speso avviene non solo per “rottura fisica” dell’apparecchio stesso, ma spesso perché il software non è più supportato e dunque apparecchi ancora intatti non si possono più considerare funzionanti. Circa due cittadini europei su tre vorrebbero poter utilizzare più a lungo i dispositivi digitali che possiedono, purché le prestazioni non siano compromesse in modo significativo.

Per far fronte a queste sfide, la Commissione presenterà una «Iniziativa per un'elettronica circolare» che ricorrerà a strumenti nuovi e esistenti. In linea con il nuovo quadro strategico in materia di prodotti sostenibili, l'iniziativa promuoverà l'allungamento della durata di vita dei prodotti e comprenderà, tra l'altro, l’implementazione di misure di regolamentazione per l'elettronica e le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Tic), in modo che i dispositivi siano progettati per l'efficienza energetica e la durabilità, la riparabilità, la possibilità di upgrading, la manutenzione, il riutilizzo e il riciclaggio.

Il marchio ecologico dell’Unione europea sta intervenendo in tutto questo con i nuovi criteri per gli “Electronic displays” che dovrebbero uscire entro la fine dell’anno in corso.

In particolare, i criteri promuovono i prodotti efficienti dal punto di vista energetico, riparabili (grazie alla richiesta di assenza di parti che non possono essere rimosse con l'uso di strumenti disponibili in commercio, così come all’obbligo di fornire istruzioni di smontaggio e riparazione chiare senza costi aggiuntivi), facilmente separabili al fine di semplificare il riciclo dei pezzi (grazie all’obbligo di mettere a disposizione degli operatori professionali del settore dei rifiuti le informazioni rilevanti per lo smantellamento e il recupero) e con un contenuto ridotto di sostanze pericolose. Per facilitare ulteriormente l’utilizzo e lo smaltimento da parte dei consumatori di questi apparecchi è stato introdotto l’obbligo di fornire i dati di contatto del produttore e un riferimento alle informazioni on-line.

 

Riferimenti
  • A new textiles economy: redesigning fashion’s future - Ellen MacArthur Foundation
  • PlasticsEurope: Plastics - The Fact 2019
  • Nuovo piano d'azione comunità europea (COM 2020/98 dell’11 marzo 2020)

Note   [ + ]

1. Decisioni 2017/1214/Ue, 2017/1217/Ue, 2017/1218/Ue, 2017/1219/Ue, 2017/1216/Ue, 2017/1215/Ue.

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