Il consumo di suolo in Italia nel rapporto di Ispra-Snpa

Nonostante la crisi economica, il consumo procede a oltranza anche nel 2017 che ha fatto registrare un negativo di 52 chilometri quadrati

Suolo: i dati nazionali

Il quadro conoscitivo sul consumo di suolo nel nostro Paese è disponibile grazie ai dati aggiornati al 2017 da parte del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e, in particolare, sulla base della cartografia prodotta dalla rete dei referenti per il monitoraggio del territorio e del consumo di suolo del SNPA, formata da ISPRA e dalle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province autonome [1] La cartografia completa e gli indicatori derivati sono disponibili per il download sul sito www.consumosuolo.isprambiente.it con una licenza che ne permette il pieno utilizzo (CC BY 3.0 IT) .

Il consumo di suolo nel 2017 continua a crescere in Italia e nell’ultimo anno le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 54 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 15 ettari al giorno. Una velocità di trasformazione di poco meno di 2 metri quadrati di suolo che, nell’ultimo periodo, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. A questi valori, per assicurare un confronto con i dati delle precedenti edizioni del Rapporto, dovrebbero tuttavia essere aggiunti alcuni cambiamenti che quest’anno sono stati esclusi dal computo del nuovo consumo di suolo [2] Anche a seguito della discussione parlamentare durante la scorsa legislatura, il sistema di classificazione è stato adeguato escludendo dai nuovi cambiamenti (avvenuti tra il 2016 e il 2017) gli “interventi di consumo di suolo connessi con la conduzione dell’attività agricola, in cui siano assicurate le condizioni di naturalità del suolo”, come le serre permanenti non pavimentate, ma sono stati esclusi anche le strade minori e i corpi idrici artificiali. .

Nelle attività di acquisizione dei dati di quest’anno sono state rilevate anche alcune trasformazioni da suolo consumato a suolo non consumato (in genere ripristino di cantieri) che, con il nuovo sistema di classificazione, hanno consentito di valutare il bilancio tra nuovo consumo e aree rispristinate in modo più accurato rispetto al passato e di ridurre di conseguenza, secondo il principio del consumo di suolo netto, i valori assoluti dei cambiamenti, portando la stima a circa 52 km2.

Sembrerebbe, quindi, che il rallentamento della velocità del consumo di suolo, iniziato una decina di anni fa, sia nella fase terminale e che, in particolare in alcune Regioni, si assista a una prima inversione di tendenza con una progressiva artificializzazione del territorio che continua a coprire irreversibilmente aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, strade e altre infrastrutture, insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, anche attraverso l’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità.


I dati della nuova cartografia SNPA mostrano come, a livello nazionale, la copertura artificiale del suolo sia passata dal 2,7% stimato per gli anni ’50 al 7,65% (7,75% al netto della superficie dei corpi idrici permanenti) del 2017, con un incremento di 4,95 punti percentuali e una crescita percentuale di più del 180% (e con un ulteriore 0,23% di incremento nel 2017). In termini assoluti, il consumo di suolo ha intaccato ormai 23.063 chilometri quadrati del nostro territorio con una crescita netta di 5.211 ettari (52 km2) nell’ultimo anno dovuta alla differenza fra nuovo consumo (5.409 ettari, 54 km2) e suolo ripristinato. Le aree più colpite risultano essere le pianure del Settentrione, dell’asse toscano tra Firenze e Pisa, del Lazio, della Campania e del Salento, le principali aree metropolitane, le fasce costiere, in particolare di quelle adriatica, ligure, campana e siciliana (Figura 7).

 

Dati regionali

Nel 2017, in 15 regioni viene superato il 5% di consumo di suolo, con il valore percentuale più elevato in Lombardia (che con il 12,99% arriva a sfiorare il 13%) e in Veneto (12,35%) e in Campania (10,36%). Seguono Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Liguria, con valori compresi tra l’8 e il 10%. La Valle d’Aosta è l’unica regione rimasta sotto la soglia del 3% (Tabella 2).


La Lombardia detiene il primato anche in termini assoluti, superando quest’anno i 310 mila ettari del suo territorio coperto artificialmente (il 13,4% delle aree artificiali italiane è in questa regione), contro i 9.500 ettari della Valle D’Aosta.

Gli incrementi maggiori, nell’ultimo anno, sono avvenuti nelle regioni Veneto (con 1.134 ettari [3] Per quanto riguarda l’aumento del consumo nel 2017 nel Veneto rispetto a quello del 2016 va rilevato che una parte potrebbe essere imputabile alla metodologia e agli strumenti utilizzati: nel 2016 non erano disponibili immagini ad alta risoluzione per parte del territorio regionale per cui alcune aree di piccole dimensioni non erano state rilevate allora e lo sono state solo nel corso dell’ultimo anno. La situazione era analoga anche per altre zone del territorio ma, solitamente, circoscritta alle zone interne o montane dove il tasso di cambiamento è limitato ), Lombardia (603 ettari in più), Emilia Romagna (+456) e Piemonte (+416). Liguria, Valle D’Aosta, Basilicata e Molise sono le regioni, invece, che quest’anno hanno avuto la minor perdita di suolo agricolo o naturale, con incrementi minori di 40 ettari (Figura 2). In termini di incremento percentuale rispetto alla superficie artificiale dell’anno precedente, i valori più elevati sono in Veneto (+0,50%), Friuli-Venezia Giulia (+0,41%) e Trentino-Alto Adige (+0,40%; Bolzano +0,65%; Trento +0,13%).

La ripresa del consumo di suolo nel Nord-est e in altre regioni del Nord Italia può essere messa in relazione con la ripresa economica che si avverte in queste aree del Paese: nel 2016, a fronte di una crescita a livello nazionale dello 0,9% rispetto all’anno precedente, il Pil in volume ha  registrato un incremento dell’1,3%  nel Nord-est, dello 0,9% nel Nord-ovest e dello 0,8% sia al Centro che nel Mezzogiorno [4] I dati economici derivano dai conti economici territoriali Istat, 2017 (https://www.istat.it/it/files/2017/12/Conti-regionali_2016.pdf?title=Conti+economici+territoriali+-+20%2Fdic%2F2017+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf). La crescita economica registrata nel 2016 dal Nord-est è trainata dalla Provincia Autonoma di Bolzano (+2,2%), a cui effettivamente corrisponde l’incremento percentuale maggiore del consumo di suolo in Italia tra tutte le Regioni e le Province Autonome. Al Nord-ovest la  Lombardia  segna un  progresso del Pil dell’1,2%, e  solo la Liguria registra una diminuzione (-0,4%). La Liguria è anche la regione italiana con l’incremento percentuale minore del suolo artificiale(+0,05%).

I dati sembrano confermare, quindi, la mancanza del disaccoppiamento tra la crescita economica e la trasformazione del suolo naturale, in assenza di interventi strutturali e di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.

 

 

Tra le province, quella di Monza e Brianza conferma la percentuale di suolo artificiale più alta, con circa il 41% di suolo consumato in rapporto alla superficie provinciale e un ulteriore significativo incremento di 35 ettari. Sopra il 20% troviamo le province di Napoli (34%), Milano (32%), Trieste (23%) e Varese (22%) e, poco al di sotto, Padova (19%) e Treviso (17%). Tra queste, la crescita percentuale maggiore è stata a Treviso (+0,49%) e Padova(+0,31%).

Le uniche province rimaste sotto la soglia del 3% sono Verbano-Cusio-Ossola (2,85%), Matera (2,87%), Nuoro (2,89%) e Aosta (2,91%). Tra queste ultime solo Aosta è cresciuta in percentuale più della media nazionale (+0,29%).

Le province dove il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2017, in percentuale rispetto al valore del 2016 (Figura 6), sono quelle di Viterbo (+0,91%), Verona (+0,71%), Vicenza (+0,67%), Bolzano (+0,65%), Venezia (+0,57%), Vercelli (+0,54%) e Treviso (+0,49%). Da notare che nelle quattro province venete e nella provincia di Bolzano, all’elevato incremento, corrisponde un consumo di suolo netto maggiore di 200 ettari in termini assoluti. Il record per l’ultimo anno è di Verona, che sfiora i 300 ettari di nuovo suolo artificiale, seguita da Vicenza (+239), Venezia, Treviso e Bolzano (poco sopra i 200 ettari in più). Crescite significative, comprese tra 100 e 200 ettari nell’ultimo anno, si riscontrano anche a Udine, Viterbo, Parma, Padova, Milano, Bari, Lecce, Foggia eRoma.

Le province di Isernia, Savona, Lucca, Massa Carrara, La Spezia, Caltanissetta e Cosenza sono quelle, viceversa, dove la crescita percentuale netta è stata minore.

In termini assoluti, la provincia di Roma è l’unica a oltrepassare la soglia dei 70.000 ettari arrivando, a causa di un incremento di altri 102 ettari dell’ultimo anno, a 72.481 ettari di suolo artificiale. Roma è seguita da Torino (circa 60.000 ettari) con un incremento di 94 ettari. Brescia supera, nel 2017, la soglia dei 55.000 ettari (78 in più nell’ultimo anno), mentre Milano si attesta sui 50.000 (+121 nel 2017). Verona (+300 ettari nel 2017), Treviso (+204), Padova +125) e Lecce (+105) hanno valori compresi tra i 40.000 e i 45.000 ettari. Più di un quinto (il 21,4%, quasi 5.000 km2) del suolo artificiale in Italia nel 2017, è concentrato nel territorio amministrato dalle 14 città metropolitane. Le province campane di Napoli e Salerno rimangono poco sotto i 40.000 ettari di suolo consumato, con un aumento annuale di 84 e 56 ettaririspettivamente.

Analizzando la distribuzione territoriale del consumo di suolo (Figura 5), è evidente come, al di là delle maggiori aree metropolitane, le province del Nord Italia, con l’eccezione di Aosta, Verbano-Cusio-Ossola, Sondrio, Trento, Bolzano e Belluno, ovvero le principali province alpine, presentino percentuali di consumo di suolo generalmente sopra la media nazionale, insieme ad altre province costiere della Toscana, del Lazio, della Campania e delle Marche e, soprattutto, alle province pugliesi (con l’eccezione di Foggia) e del sud della Sicilia.

 

 


Dati comunali

A livello comunale, i maggiori valori di superficie consumata si riscontrano a Roma (31.697 ettari), con una crescita di ulteriori 36 ettari nel 2017 (lo 0,11% in più) e in molti comuni capoluoghi di provincia: Milano (10.439 ettari, 19 in più nel 2017), Torino (8.546, solo 0,2 in più), Napoli (7.423, +6,6), Venezia (7.216,+37,4), Ravenna (7.121, +16,2), Palermo, Parma, Genova, Verona, Ferrara, Taranto, Catania, Perugia, Reggio Emilia e Ragusa (tra i 5.000 e i 7.000 ettari di suolo artificiale nel 2017).

In termini percentuali si rileva che diversi comuni superano il 50%, e talvolta il 60%, di territorio consumato. Sono spesso comuni piccoli o medio piccoli che mostrano una tendenza a consumare suolo con dinamiche che si ricollegano ai processi di urbanizzazione dei rispettivi capoluoghi di provincia, con le caratteristiche tipiche di un’unica area metropolitana o piccolissimi comuni con i limiti amministrativi coincidenti, di fatto, con l’area urbanizzata. Il piccolo comune di Casavatore, in provincia di Napoli, si conferma al primo posto della graduatoria, con una percentuale di 90,32% di suolo artificiale nel 2017 (0,11 ettari in più nel 2017). Eccettuato il comune di Torino, Cattolica e Beinasco, i primi 55 comuni con la maggior percentuale di suolo consumato si trovano in Lombardia e Campania, per la maggior parte nella provincia di Napoli, Milano (in misura minore a Monza e Brianza e Caserta) con percentuali maggiori del 55% rispetto alla superfice comunale. Il comune di Noasca (Torino), 130 abitanti in parte all’interno del Parco nazionale del Gran Paradiso, risulta il comune più “naturale” d’Italia, con appena lo 0,29% del territorio artificiale.

Sissa Trecasali (Parma), con un incremento di più di 74 ettari, è il comune italiano che ha costruito di piùnell’ultimo anno. La causa principale è sicuramente la realizzazione del primo lotto della nuova arteria infrastrutturale Tirreno-Brennero. Montalto di Castro (Viterbo), l’anno scorso al primo posto, risulta quest’anno ancora ai vertici della graduatoria, con un incremento di quasi 63 ettari (erano 65 nel 2016). In questo caso la responsabilità è in gran parte delle nuove installazioni fotovoltaiche che hanno coperto aree precedentemente agricole. Trissino (Vicenza) con 51 ettari chiude il podio ma in questo caso il valore elevatoèdovutoperlopiùauncantiereperlarealizzazionediunbacinodilaminazionesulfiumeAgno
Guà che probabilmente, alla fine dell'opera, verrà in gran parte ripristinato. Vercelli con 44 ettari in più, Vetralla (Viterbo) con 42, Pozzolo Formigaro (Alessandria) con 41, Verona (+40), Venezia (+37), Roma (+36) e San Michele al Tagliamento (Venezia) con 34 ettari di nuovo consumo di suolo tra il 2016 e il 2017, chiudono l’elenco dei dieci comuni dove l’incremento è stato maggiore.

Tra le città con più di 100.000 abitanti, oltre a Verona, Venezia e Roma, abbiamo Sassari (26 ettari in più), Milano e Bari (entrambe con +19), Foggia (+18), Ravenna (+16) e Padova (+14).

Nel comune di Adria, invece, si assiste a un decremento del suolo artificiale pari a 43 ettari a seguito del ripristino di un cantiere per la realizzazione di un metanodotto.

In termini di incremento percentuale, la maggiore crescita delle superfici artificiali è avvenuta a Mariana Mantovana, cresciuta del 14,2%, a Trissino (Vicenza), con un incremento del 12,9% e a Voltaggio (Alessandria, +12,6%).

Analizzando il nuovo consumo di suolo avvenuto nell’ultimo anno con riferimento alla fascia demografica (Figura 4) si evidenzia il contributo maggiore, in termini assoluti, dei comuni minori (il 71% del consumo di suolo tra il 2016 e il 2017 è dovuto ai comuni con meno di 20.000 residenti). La densità dei cambiamenti, ovvero il nuovo consumo di suolo rapportato alla superficie territoriale, è inferiore alla media nazionale solo nei comuni con meno di 5.000 abitanti e tende a essere maggiore negli altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipologia dei cambiamenti

Nell’ambito delle attività di monitoraggio dell’ultimo anno, si è avviata, per la prima volta, una sperimentazione volta a classificare, secondo una legenda più articolata (20 voci), il nuovo consumo di suolo avvenuto tra il 2016 e il 2017. Rispetto alla legenda del 2016 che prevedeva solo 2 classi (consumato e non consumato), è stato così possibile distinguere tra consumo di suolo permanente, ovvero (edifici, fabbricati; strade asfaltate; sede ferroviaria; aeroporti - piste e aree di movimentazione impermeabili/pavimentate; porti - banchine e aree di movimentazione impermeabili/pavimentate; altre aree impermeabili/pavimentate non edificate - piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi; serre permanenti pavimentate; discariche) e consumo di suolo reversibile (strade sterrate; cantieri e altre aree in terra battuta - piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi, depositi permanenti di materiale; aree estrattive non rinaturalizzate; cave in falda; campi fotovoltaici a terra; altre coperture artificiali la cui rimozione ripristina le condizioni iniziali del suolo). Sono state classificate le superfici del nuovo consumo di suolo che, nel 2016, risultavano non consumate, quindi non si è potuto valutare il passaggio, ad esempio, da un’area a consumo di suolo reversibile nel 2016 a un’area a consumo di suolo permanente nel 2017. Nelle prossime edizioni del rapporto è prevista tale integrazione al sistema di monitoraggio.

Considerando che, quindi, i cambiamenti sono relativi al passaggio, nell’arco di dodici mesi, da suolo agricolo o naturale a suolo artificiale, gran parte dei cambiamenti rilevati rientrano nella classe “Cantieri e altre aree in terra battuta (piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi, depositi permanenti di materiale)” che, da sola, ha riguardato il 62,8% [5] Si considerano solo i cambiamenti classificati al terzo livello, ovvero l’89,5% del totale dei cambiamenti tra il 2016 e il 2017.  del nuovo consumo di suolo, pari a 3.037 ettari. Sono aree che, in molti casi, sono destinate a trasformarsi nel giro di poco tempo in consumo di suolo permanente ma che, almeno in parte, potrebbero essere recuperate e rinaturalizzate una volta terminata la cantierizzazione.

Il 16,4% è rappresentato da superfici non consumate del 2016 dove, in un anno, sono stati realizzati edifici, mentre le nuove strade rappresentano il 4,7% dei cambiamenti, a dimostrazione del fatto che, generalmente, i tempi di realizzazione delle infrastrutture sono più lunghi di quelli per la realizzazione di fabbricati. Le altre aree impermeabili o pavimentate non edificate (piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi, etc.) rappresentano l’8,8% del nuovo consumo, pari a 423 ettari, mentre il 3,5% dei cambiamenti (171 ettari) è dovuto all’espansione di aree estrattive e l’1,5% (73 ettari) a nuovi campi fotovoltaici aterra.

È stata analizzata anche la distribuzione dei cambiamenti al terzo livello nelle aree protette e nelle aree a pericolosità idraulica o da frana: all'interno delle aree EUAP (Elenco Ufficiale delle Aree Protette Italiane) la maggior parte dei cambiamenti sono dovuti a cantieri e altre aree in terra battuta (il 39,5% dei cambiamenti, pari a 29 ettari in valore assoluto), a edifici (24,3% e 18 ettari) e ad altre aree impermeabili non edificate (21,2% e 16 ettari). Un dato interessante è costituito dalle aree a pericolosità idraulica alta (P3) con tempi di ritorno fra 20 e 50 anni (alluvioni frequenti): in queste zone tra il 2016 e il 2017 si sono realizzati 196 ettari di cantieri o aree in terra battuta che incidono per il 72,3% sul totale dei cambiamenti avvenuti in queste zone. Il dato è significativo anche a livello nazionale perché rappresenta da solo il 3,6% dei cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo considerato. In queste aree 11,3% è rappresentato da edifici (quasi 31 ettari) e il 7,6% da altre aree impermeabilizzate, non edificate (21 ettari). Anche le aree a pericolosità da frana molto elevata (P4) ed elevata (P3) sono state interessate da nuovi cantieri e altre aree in terra battuta tra il 2016 e il 2017 (64,7% dei cambiamenti per 40 ettari), da nuovi edifici (10,9% e quasi 7 ettari) e da altre aree impermeabili non edificate (9,6% e 6 ettari). Lo 0,7% dei cantieri a livello nazionale ricade in aree a elevata o molto elevata pericolosità da frana.

Distribuzione territoriale del consumo di suolo

In Tabella 3 è riportata la distribuzione dei cambiamenti avvenuti tra il 2016 e il 2017. Nell’ultimo anno, il consumo di suolo si è concentrato nelle aree di pianura, in particolare a quota inferiore a 300 metri, dove si è registrato l’81,7% dei cambiamenti in un’area estesa per il 46,3% del territorio nazionale, e nelle aree a pendenza inferiore al 10% (84,7% dei cambiamenti in un’area che copre il 43,5% del territorio). Altre aree che hanno densità maggiore dei cambiamenti rispetto alla media nazionale (1,73 m2/ha), ovvero hanno una percentuale dei cambiamenti sul totale maggiore rispetto alla percentuale della superficie territoriale coperta, sono le aree costiere, dove ancora i cambiamenti avanzano con una densità superiore al resto del territorio e le aree a pericolosità idraulica. La densità dei cambiamenti è, invece, inferiore nelle aree protette, nelle aree montane e ad elevata pendenza, nelle aree a pericolosità sismica e da frana.

Perdita di servizi ecosistemici

Per l’edizione del Rapporto sul consumo di suolo di quest’anno è stato fatto un lavoro di riorganizzazione dell’impostazione dell’indagine che ha interessato diversi servizi ecosistemici finora analizzati, in particolare per approfondire e specializzare le metodologie di valutazione, laddove necessario, e per verificare la possibilità di inserire la valutazione di altri servizi finora nonconsiderati.
I servizi ecosistemici analizzati in questo Rapporto sono undici: stoccaggio e sequestro di carbonio, qualità degli habitat, produzione agricola, produzione di legname, impollinazione, regolazione del microclima, rimozione di particolato e ozono, protezione dall’erosione, regolazione del regime idrologico, disponibilità di acqua, purificazione dell’acqua.
Al fine di rappresentare in modo corretto ed efficace le condizioni di questi servizi, ed includere alcuni aspetti di sostenibilità che la valutazione del solo flusso non riesce a cogliere, nell’edizione di quest’anno viene rappresentata, quando disponibile, sia la dimensione dello stockdel capitale naturale perso a causa del consumo di suolo, sia l’entità del flusso di servizio annuo che il suolo non sarà più in grado di assicurare. In particolare sono forniti valori di stock per i servizi di produzione agricola e di legname e per il sequestro di carbonio.
Nella Tabella 4 sono riportati i valori massimo e minimo del flusso di servizi calcolati per gli undici servizi ecosistemici considerati. Nella Tabella 5 sono riportati i valori di stock di risorsa naturale dalla quale provengono alcuni servizi, ovvero la parte del capitale naturale la cui perdita è prodotta dal consumo di suolo nel periodo considerato.
È doveroso ripetere che le stime economiche ottenute non considerano la totalità dei servizi ecosistemici, ma solo una loro parte. I “costi nascosti” (Commissione Europea, 2013) del consumo di suolo, quindi, potrebbero essere ben maggiori rispetto ai valoririportati.
L’analisi del flusso di servizi ecosistemici indica che l’impatto economico del consumo di suolo in Italia produce perdite annuali molto elevate, tra le quali il valore più significativo è associato al servizio di regolazione del regime idrologico. Il valore economico complessivo di questo servizio discende dal rilevante valore biofisico, ovvero l’aumento del deflusso superficiale prodotto dal consumo di suolo che è  significativo (l’incremento del ruscellamento è stimato in oltre 200 milioni di m3/anno), ma anche da un significativo costo associato alla realizzazione di opere di mitigazione del rischio idraulico di un certo rilievo (fognature, opere di drenaggio, sistemazioni idrauliche, bacini di laminazione,etc.).
La stima dei costi totali della perdita di servizi ecosistemici varia da un minimo di 1,66 a un massimo di 2,13 miliardi di euro, persi ogni anno a causa dell’aumento di suolo consumato avvenuto tra il 2012 e il 2017.
Il valore perso di stock, valutato qui rispetto ad alcune delle funzioni che producono i servizi ecosistemici considerati, varia tra i 914,5 milioni e poco più di un miliardo di euro, ovvero ad un valore compreso tra i 36.066 e i 42.068 euro per ogni ettaro di suolo consumato nei cinque anni di riferimento. La perdita di stock più elevata è quella della produzione agricola che rappresenta circa l’80% del totale.

Note   [ + ]

1. La cartografia completa e gli indicatori derivati sono disponibili per il download sul sito www.consumosuolo.isprambiente.it con una licenza che ne permette il pieno utilizzo (CC BY 3.0 IT) 
2. Anche a seguito della discussione parlamentare durante la scorsa legislatura, il sistema di classificazione è stato adeguato escludendo dai nuovi cambiamenti (avvenuti tra il 2016 e il 2017) gli “interventi di consumo di suolo connessi con la conduzione dell’attività agricola, in cui siano assicurate le condizioni di naturalità del suolo”, come le serre permanenti non pavimentate, ma sono stati esclusi anche le strade minori e i corpi idrici artificiali. 
3. Per quanto riguarda l’aumento del consumo nel 2017 nel Veneto rispetto a quello del 2016 va rilevato che una parte potrebbe essere imputabile alla metodologia e agli strumenti utilizzati: nel 2016 non erano disponibili immagini ad alta risoluzione per parte del territorio regionale per cui alcune aree di piccole dimensioni non erano state rilevate allora e lo sono state solo nel corso dell’ultimo anno. La situazione era analoga anche per altre zone del territorio ma, solitamente, circoscritta alle zone interne o montane dove il tasso di cambiamento è limitato
4. I dati economici derivano dai conti economici territoriali Istat, 2017 (https://www.istat.it/it/files/2017/12/Conti-regionali_2016.pdf?title=Conti+economici+territoriali+-+20%2Fdic%2F2017+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf)
5.  Si considerano solo i cambiamenti classificati al terzo livello, ovvero l’89,5% del totale dei cambiamenti tra il 2016 e il 2017. 

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