Il preposto, gestore del rischio

Il 2021 è stato, indubbiamente, l’anno dell’effettiva ripresa delle attività economiche e sociali dopo il lockdown dell’anno precedente, provocato da Sars-Cov-2; ma è stato anche l’anno in cui, forse a distanza di oltre un decennio, si è riproposto nuovamente il problema del rapporto uomo–macchina che, tutto sommato, dopo il definitivo consolidamento della disciplina sulle attrezzature di lavoro, grazie anche al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, sembrava aver trovato una sia pur parziale soluzione. Invece, la tragica scia degli infortuni, anche mortali, registrati soprattutto nel periodo maggio-luglio del 2021, derivanti anche dalla disabilitazione se non, addirittura, dalla manomissione dei sistemi di sicurezza in dotazione dei macchinari, ha rimesso al centro dell’attenzione la questione dell’effettività e dell’efficacia dell’attività di vigilanza delle figure cardine della cd. catena di “comando e controllo” (datore di lavoro, dirigente e preposto).

Il preposto.

Considerazioni introduttive

Il 2021 è stato, indubbiamente, l’anno dell’effettiva ripresa delle attività economiche e sociali dopo il lockdown dell’anno precedente, provocato da Sars-Cov-2; ma è stato anche l’anno in cui, forse a distanza di oltre un decennio, si è riproposto nuovamente il problema del rapporto uomo–macchna che, tutto sommato, dopo il definitivo consolidamento della disciplina sulle attrezzature di lavoro, grazie anche al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, sembrava aver trovato una sia pur parziale soluzione.

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Invece, la tragica scia degli infortuni, anche mortali, registrati soprattutto nel periodo maggio-luglio del 2021, derivanti anche dalla disabilitazione se non, addirittura, dalla manomissione dei sistemi di sicurezza in dotazione dei macchinari, ha rimesso al centro dell’attenzione la questione dell’effettività e dell’efficacia dell’attività di vigilanza delle figure cardine della cd. catena di “comando e controllo” (datore di lavoro, dirigente e preposto).

Proprio questo scenario, a tinte scure, ha indotto il governo ad apportare con la “mini riforma” del D.L. n. 146/2021, subito ribattezzato decreto “fisco e lavoro”, importanti modifiche alla disciplina del cosiddetto “testo unico” (D.Lgs. n. 81/2008), in materia di salute e di sicurezza su lavoro, operando un discusso giro di vite.

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Tuttavia, le innovazioni più significative sono state introdotte in sede di conversione, da parte del parlamento, con la legge n. 215/2021, e tra queste spiccano, in particolare, quelle riguardanti la figura del preposto, ossia la persona che all’interno dell’organizzazione del lavoro svolge, anche di fatto, compiti di sovraintendimento del lavoro altrui e di vigilanza attiva (vedere la tabella 1) [1] ; esempi classici sono, in generale, i capi reparto, i capi ufficio, i capi squadra, i capi cantiere eccetera.

Si tratta, invero, di modifiche normative che, a ben vedere, come vedremo tutto sommato codificando i diversi orientamenti espressi negli ultimi anni dalla giurisprudenza, si pongono in continuità con la disciplina del D.Lgs. n. 81/2008, cercando di meglio specificare alcuni obblighi propri del preposto che, probabilmente, forse in diversi contesti aziendali, soprattutto di minori dimensioni, non sono stati compresi a pieno, nella loro effettiva estensione innovativa, dando origine a modus operandi ancora basati sull’arcaica concezione che questa figura svolge un ruolo meramente di controllo ma non anche d’intervento, oltre che informativo verso chi è collocato in posizione sovraordinata all’interno della scala gerarchica.

Il prepostoLa centralità della figura del preposto

Le cause di questa realtà sono molteplici ma non va dimenticato che nel D.Lgs. n. 81/2008, emerge in modo netto la centralità di questa figura all’interno del meccanismo prevenzionale; infatti, nella riforma compiuta nel 2008 il legislatore ha puntato principalmente proprio su questa figura, mutando profondamente le sue funzioni originarie delineate all’interno della disciplina tecnicistica degli anni Cinquanta, riconoscendo alla stessa una posizione strategica ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, attraverso una profonda rivisitazione dei suoi obblighi orientati ora ad assicurare una vigilanza attiva sui lavoratori basata, quindi, anche sull’esercizio di un funzionale potere d’iniziativa.

Infatti, si è passati, quindi, da una vigilanza “passiva”, di mero controllo, a una molto più incisiva svolta dal preposto definito appunto come la «persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa»(art. 2, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 81/2008).

Non c’è dubbio, quindi, che da un lato il legislatore ha fatto coincidere questa figura con coloro che, all’interno dell’organizzazione aziendale, svolgono i già citati compiti di sovraintendimento del lavoro altrui, dando così ordini, istruzioni, eccetera sulle attività da compiere.

Dall’altro, però, ha voluto anche un deciso salto qualitativo del preposto, cercando di fare in modo che lo stesso possegga le necessarie conoscenze e competenze in materia di salute e di sicurezza sul lavoro per svolgere correttamente il nuovo ruolo, attraverso la previsione nell’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008, dell’obbligo specifico della formazione e dell’aggiornamento.

La miniriforma del D.L. n. 146/2021

Come accennato questo riformato ruolo del preposto, pur così profondamente ampliato, non è stato però correttamente compreso da tutti i datori di lavoro – e, forse, anche da non pochi professionisti – e per questo motivo attraverso la citata legge di conversione n. 215/2021 del D.L. n. 146/2021, sono state apportate alcune modifiche significative al D.Lgs. n. 81/2008.

L’obiettivo di fondo è di realizzare un ulteriore concreto rafforzamento del ruolo strategico del preposto, rendendolo più incisivo ed efficace, anche attraverso la rivisitazione di alcune regole fondamentali riguardanti la sua formazione e l’aggiornamento; e in ragione di ciò, come vedremo, sono state introdotte alcune tutele specifiche, anche di carattere economico.

La prima direttrice d’intervento si è concentrata, quindi, sull’art.19, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 81/2008, che com’è noto stabilisce gli obblighi specifici del preposto, mettendo ora in piena luce la figura del preposto quale “gestore del rischio”.

Per effetto di questa novella, infatti, il preposto non solo è tenuto, come in precedenza, a sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei Dpi messi a loro disposizione; ma, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni, impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, ha anche l’obbligo d’intervenire per modificare il comportamento non conforme, fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza.

Inoltre, in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell'inosservanza, è suo ulteriore obbligo interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti.

Per altro, questo dovere d’intervento è stato ulteriormente esaltato con l’aggiunta, sempre nel comma 1, del citato art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008, della nuova lettera f-bis, in base alla quale in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza è dovere del preposto «(…) se necessario, interrompere temporaneamente l'attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate»; in caso di violazione dell’obbligo in questione è prevista la sanzione dell’arresto fino a due mesi o dell’ammenda da 491,40 a 1.474,21 euro (art. 56, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008).

Le prassi di lavoro scorrette e la giurisprudenza

Queste modifiche, quindi, mettono “nero su bianco” gli orientamenti espressi in questi ultimi anni dalla copiosa giurisprudenza di legittimità sul ruolo gestionale disegnato per il preposto dall’art.19 del D.Lgs. n. 81/2008 che, pertanto, ha anche il dovere d’intervenire nel caso s’instaurino delle prassi di lavoro scorrette e interrompere l’attività qualora mettano in pericolo la salute e la sicurezza dei lavoratori.

In particolare, proprio il concetto di “gestore del rischio” è stato coniato dalla Cassazione, come emerge nitidamente da due importanti recenti sentenze - che cronologicamente hanno anticipato solo di qualche mese le citate modifiche all’art. 19 del D.Lgs. n.81/2008, da parte del D.L. n. 146/2021 – che meritano di essere brevemente richiamate, particolarmente utili per una migliore comprensione dei caratteri della posizione di garanzia ricoperta dal preposto.

La prima, infatti, è la sentenza della sez. IV pen., 15 febbraio 2021, n. 5796; la vicenda riguarda un grave infortunio capitato a un operaio durante l’utilizzo di una macchina segaossi, a causa della disabilitazione della protezione di sicurezza.

Dagli accertamenti compiuti dagli ispettori è emerso che la manovra di utilizzo della macchina senza l'apposita protezione era abituale per l’infortunato e per i suoi colleghi, ed era finalizzata «(…) sia pure imprudentemente a velocizzare la prosecuzione del ciclo lavorativo (…)»; purtroppo un classico.

Inoltre, è anche emerso che il preposto era a conoscenza della prassi di lavoro scorretta seguita dai lavoratori, ossia di utilizzare la macchina in questione «(…) con la protezione disabilitata e, pur avendo proprio questo incarico, nulla ha mai fatto per impedire tale scorretto e pericoloso utilizzo(…)».

Pertanto, la causa dell’infortunio era stata, quindi, una prassi di lavoro scorretta tollerata (Plst) dal preposto, mentre la condotta del lavoratore pur se imprudente non è stata di per se abnorme.

La Cassazione nel confermare, quindi, la condanna del preposto per il reato di lesioni personali colpose con violazione delle norma antinfortunistiche (art. 590, codice penale) ha evidenziato, riprendendo alcuni suoi precedenti orientamenti, che nell'ambito della sicurezza sul lavoro «(…) emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie»; rispetto a ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare e il «(…) garante è il soggetto che gestisce il rischio», quindi, colui al quale deve essere imputato l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria.

Di conseguenza, alla luce di questi principi, anche il preposto è da considerarsi, al pari del datore di lavoro e del dirigente, un gestore del rischio e, conseguentemente, ha una responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale, come appunto nel caso di specie in cui l’imputato non ha assolto ai suoi doveri previsti dall’art. 19 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto ha omesso d’intervenire, interrompere l’attività pericolosa e comunicarlo ai propri superiori per l’adozione dei provvedimenti del caso, obblighi che quindi già si potevano ricavare dalla versione originaria del predetto articolo.

La stessa linea interpretativa, sia pure da una diversa angolazione, è stata seguita sempre dalla Cassazione, sez. IV pen., nella sentenza 3 maggio 2021, n. 16690; in questo caso la vicenda processuale trae origine da un infortunio mortale accaduto durante i lavori di ammodernamento di una tratta ferroviaria.

Un operaio intento a effettuare con un collega la pulizia di una macchina rincalzatrice parcata sul binario morto, improvvisamente, a causa di un urto causato da una macchina profilatrice condotta da un altro lavoratore, si spostava indietro schiacciando la vittima contro la barriera protettiva.

Ebbene, anche in questo caso la Cassazione ha fatto riferimento, sia pure più velatamente, al concetto di gestore del rischio, confermando la condanna del preposto per il reato di omicidio colposo con violazione delle norme antinfortunistiche (art. 589 del codice penale), in concorso con il lavoratore – conduttore della macchina profilatrice, a causa del mancato coordinamento dell’attività delle squadre e della mancanza vigilanza delle attività durante lavori all’interno di un cantiere.

In particolare, i giudici hanno contestato all’imputato un “difetto d’ordine” in quanto, proprio nell’attività gestoria del rischio, nell’impartire le disposizioni sull’operazione da compiere –infatti l’ordine di procedere allo spostamento della macchina profilatrice era stato dato dallo stesso – non si era accertato preventivamente della sussistenza delle condizioni di sicurezza.

Il principio di effettività

Chiariti questi importanti profili occorre anche precisare che tali modifiche non riguardano il ben noto principio di effettività (art. 299 D.Lgs. n. 81/2008); di conseguenza è ancora attuale l’insegnamento espresso magistralmente dalla Cassazione in base al quale «il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa. Con la conseguenza che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma all’osservanza ed all’attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori». [2]

Alla luce, quindi, di questi principi appare chiaro che il preposto occupa una posizione di garanzia cosiddetta “originaria” e compartecipa, secondo le attribuzioni conferite, all’esercizio dei poteri organizzativi e di controllo.

Ritorsioni sul preposto e sanzioni per datore e dirigente

Per garantire al preposto di assolvere al meglio questo “nuovo” ruolo come già accennato con la legge n. 215/2021, sono state introdotte anche alcune importanti tutele; infatti, al comma 1, dell’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, è stata inserita la nuova lett. b-bis, in base alla quale i preposti non possono «(…) subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività»

Sotto quest’ultimo profilo già da risalente alla giurisprudenza è noto che i provvedimenti assunti dal datore di lavoro – come, ad esempio, il licenziamento, le sanzioni disciplinari, il demansionamento, il trasferimento di sede eccetera - hanno natura ritorsiva quanto sono adottati a causa dell’esercizio legittimo di un diritto da parte di un lavoratore e, di conseguenza, sono nulli.

In merito, va ricordato in particolare che, con riferimento al licenziamento ritorsivo, si tratta di un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro, essenzialmente di natura vendicativa, a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro o a questo comunque connessi, che è da ritenersi connaturata da una maggiore gravità quando tale reazione segue un comportamento del lavoratore, quindi anche del preposto, che adempie a un determinato obbligo imposto dalla disciplina antinfortunistica [3].

E proprio la gravità di queste condotte datoriali, a fronte di un comportamento del preposto che non ha fatto altro che osservare gli obblighi posti a suo carico dall’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008, spiega anche il perché il legislatore abbia previsto, in tale caso, che il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro (art. 55, comma  5, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).

La tutela economica

Come già accennato l’altra importante tutela che è stata introdotta in sede di conversione del D.L. n. 146/2021, è di natura economica; infatti, sempre nel citato art.18, comma 1, lett. b-bis, del D.Lgs. n. 81/2008 è anche previsto che i contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l'emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di vigilanza.

Si tratta, però, di una norma che appare destinata a far molto discutere, che riconosce essenzialmente all’autonomia cosiddetta collettiva – quindi alla contrattazione sia nazionale che integrativa – il compito di prevedere un compenso per queste attività.

Ma questa previsione normativa fa nuovamente riemergere a galla anche la vecchia questione, sorta subito dopo la riforma del D.Lgs. n. 81/2008, del corretto inquadramento del livello contrattuale del lavoratore che, anche di fatto, svolge i compiti di preposto.

Ma è ipotizzabile anche l’apertura di altri fronti di discussione anche se, va tenuto presente che, come si è visto, tutto sommato la legge n. 215/2021, ha solo cristallizzato quell’orientamento interpretativo, già accolto pacificamente in dottrina e in giurisprudenza, che le funzioni di sovraintendimento sul lavoro altrui comportano per il preposto specifici doveri di vigilanza, informativi e d’intervento.

L’obbligo dell’individuazione dei preposti

A corollario va rilevato che, sempre in sede di conversione del D.L. n. 146/2021, sono state introdotte anche due ulteriori innovazioni riguardanti questa figura; la prima, è la modifica all’art. 18, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, con l’inserimento della nuova lettera b)-bis, che stabilisce espressamente l’obbligo per il datore di lavoro e il dirigente d’individuare i preposti, pena l’applicazione della sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro (art. 55, comma  5, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).

Sta facendo molto discutere tale previsione e una parte della dottrina, forse la meno accorta, parla addirittura di novità “assoluta”; invero, l’obbligo d’individuare i preposti già era desumibile, in generale, da diverse disposizioni del D.Lgs. 81/2008 (ad esempio, art. 15, comma 2, lett. b); art.18, comma 3-bis; art. 28, comma 2, lett. d); art.30 eccetera) ma non sembra operare per tutte le realtà ma solo in quelle in cui ha senso (prevenzionistico) che il preposto venga individuato.

Pertanto, appare evidente che ogni datore di lavoro, pubblico o privato che sia, avvalendosi anche del supporto dell’Rspp, dovrà necessariamente interrogarsi sul fatto di avere uno o più preposti, di averli già individuati in precedenza (anche direttamente nel Dvr, ad esempio) o di doverli individuare.

Per altro, non va nemmeno dimenticato che già era ed è previsto dal D.Lgs. n .81/2008 il dovere da parte del datore di lavoro d’individuare questa figura per quelle attività considerate a maggior rischio (come, ad esempio, il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali, i lavori di demolizione, montaggio e smontaggio dei ponteggi eccetera).

Si osservi, inoltre, che il legislatore non ha utilizzato il termine “nominare” bensì, come si è visto, quello di “individuare” e su questa distinzione si stanno formando due filoni di pensiero contrapposti; non c’è dubbio, infatti, che i due termini hanno un significato ben diverso, tuttavia, a ben vedere occorre anche valutare i risvolti operativi per evitare di rimanere, poi, impantanati in questioni di lana caprina.

Infatti, se rimane fermo che l’individuazione è rimessa al datore di lavoro e al dirigente ed è basata:

  • sugli esiti della valutazione dei rischi e le conseguenti misure di prevenzione e protezione;
  • l’organizzazione del lavoro;
  • la complessità aziendale;

Non c’è dubbio, però, che anche per effetto di altre discipline – come il D.Lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti e la norma Iso 45001:2018 – appare pur necessario formalizzare la nomina o l’incarico o la comunicazione dei compiti di vigilanza di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008.

Il legislatore, infatti, ha previsto per l’individuazione la forma libera – l’organigramma aziendale, comunque, continua ad avere la sua valenza fondamentale – ma è consigliabile documentare l’adempimento in questione, anche per evitare possibili contenziosi con gli organi di vigilanza.

 Il caso delle micro-attività

Da osservare, inoltre, che sempre in merito a quest’ultimo profilo, alcune criticità sono state sollevate anche in relazione all’individuazione del preposto nel caso delle micro e piccole imprese, ossia la maggioranza del tessuto economico italiano, nelle quali quasi sempre non esiste un’organizzazione strutturata con la presenza della figura in questione.

Questa situazione, in cui solitamente è lo stesso datore di lavoro a lavorare “sul campo” con l’ausilio solo di qualche lavoratore o di addirittura uno solo, pur se borderline in realtà è diffusissima.

Sul piano applicativo, in questa ipotesi, in assenza ad esempio di un capo reparto, capo cantiere eccetera sembra percorribile la strada che sia lo stesso datore di lavoro a svolgere direttamente i compiti di vigilanza operativa sui lavoratori, riportando ad esempio ciò all’interno del Dvr.

Del resto, non va dimenticato che il datore di lavoro è il titolare dei poteri direttivo-organizzativi e di controllo (artt. 2094, 2104, codice civile.); per altro la Cassazione ha anche affermato che residua «(…) pur sempre in capo al soggetto datore di lavoro un obbligo di vigilanza del rispetto di misure atte a prevenire conseguenze dannose per la salute psicofisica del dipendente lavoratore al quale connettere la responsabilità ex art. 2087 del codice civile., salva l’ipotesi che la condotta del lavoratore si configuri come abnorme e del tutto imprevedibile» [4]. 4

Inoltre, la stessa Cassazione ha anche precisato che «Incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro, in quanto il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche» [5].

L’obbligo di comunicazione negli appalti e i subappalti

Un’altra innovazione di rilievo riguarda, infine, l’appalto (art. 1655 del codice civile) in cui, com’è noto, i lavoratori sono esposti anche ai rischi da interferenze, a causa della compresenza di personale di diversi datori di lavoro all’interno di uno stesso teatro lavorativo.

La legge n. 215/2021, nel modificare l’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, norma generale e cardine dell’intera disciplina sulla sicurezza negli appalti, ha inserito il nuovo comma 8-bis, in base al quale i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il “personale” che svolge la funzione di preposto.

Nella nuova norma è utilizzato, quindi, il termine generico di “personale” che, tuttavia, non trova alcuna definizione nell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008; ciò potrebbe, quindi, creare ulteriore confusione qualora prevalesse l’interpretazione corrente in materia lavoristica di personale inteso come dipendenti.

La questione non appare, invero, di poco conto quando si tratta d’imprese appaltatrici e subappaltatrici di micro e piccole dimensioni; è pur vero, tuttavia, che il D.Lgs. n. 81/2008, non ha subito modifiche per quanto riguarda il principio di autonomia organizzativa del datore di lavoro (artt. 2; 16; 30), e in questi casi la soluzione scelta frequentemente in queste realtà, di comunicare lo stesso datore di lavoro come incaricato dell’attività di vigilanza sui lavoratori impiegati, appare, in effetti, una strada che, anche per i motivi citati in precedenza, sembra ancora percorribile anche se, invero, sono auspicabili chiarimenti in merito.

Si osservi, infine, che la mancata comunicazione al committente del preposto comporta l’applicazione, in capo al datore di lavoro o del dirigente dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice, la sanzione dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 1.500 a 6.000 euro (art. 55, comma 5, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).

Box 1

LE MODIFICHE AGLI ARTT. 18 E 19 DEL D.LGS. N.81/2008 RIGUARDANTI IL PREPOSTO

Articolo 18 – Obblighi del datore di lavoro e del dirigente

1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:

a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo.

b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

b-bis) individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività;

c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

(…omissis…)

Articolo 19 – Obblighi del preposto

1. In riferimento alle attività indicate all’articolo 3, i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze, devono:

a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di non conformità comportamentali in ordine alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti;

b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;

f-bis) in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate;

g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo 37.

(In grassetto le parti modificate dal D.L. n. 146/2021, convertito con modifiche dalla legge n. 215/2021)

 

[1] In merito all’attività di vigilanza sui lavoratori si veda anche Cass. pen., sez. 4, 24 marzo 2022, n. 10334.

[2] Vedere ex multis Cass. pen. sez. IV, 19 aprile 2019 n. 17202.

[3] Vedere trib. di Nola, sez. lav., 18 maggio 2017, n. 1193; tribunale di Milano, sez. lav., 26 ottobre 2017.

[4] Cass. civile, sez. lav., 27 gennaio 2022, n. 2403.

[5] Cass. pen. sez. IV, 28 marzo 2022, n. 11030; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 10123; sez. IV, 14 marzo 2018, n. 26294.

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