Il ruolo dei tecnici e le “regole” nella sicurezza antincendio

Quando accade, l’incendio innesca sempre commenti critici. Gli interrogativi posti sono sempre gli stessi, se l’attenzione fosse stata maggiore, se le regole venissero rispettate, ma in nessun caso la critica osserva il sistema. È aperta una analisi proprio sul metodo e sui presupposti che producono e regolano tutto l’impianto della sicurezza antincendio, cercando di stabilire se il verticismo, la burocrazia, la rigidità delle regole abbiano o meno la loro parte di responsabilità. Il problema è sensibile e reale. Le disposizioni antincendio in vigore ancora oggi hanno origini, per alcuni settori, che risalgono al 1934 e non sempre rispettano criteri di “buona tecnica”. Il proposito è quello di sollecitare le associazioni professionali a dimensionare la formazione soprattutto nella ricerca. La struttura pubblica dovrebbe anche dotarsi di un Centro studi ed esperienze per mantenere aggiornate le direttive antincendi anche con l’interscambio con i tecnici.

La società moderna ha sviluppato la sua crescita e la sua dinamica mediante azioni specifiche e settoriali integrate tra loro. Il tecnico antincendio è un tassello di questa reciprocità di servizi di scambio e l’osservazione dall’esterno di questa professione offre considerazioni nuove rispetto a quanto correntemente è trattato nella letteratura specifica:

  • “chi” - il tecnico è il soggetto che professionalmente è a disposizione degli operatori economici, culturali e di servizio per garantire loro, nel migliore dei modi (per costi ed efficacia), una sicurezza strutturale e operativa delle specifiche attività intraprese;
  • “perché” - in questo caso si intersecano diverse motivazioni e, spesso, aånche l’“ipocrisia politica”. La sicurezza è un bene che deve essere garantito alla gente che si compie sia per istituzioni di stato ad hoc preposte sia con il servizio conto terzi che l’operatore compie per trarne il proprio sostentamento e il proprio guadagno. La parte pubblica interviene sia con le attività di repressione sia con i servizi di prevenzione composti da emanazioni normative e da controlli;
  • “come” - l’esercizio sulla repressione è realizzato dalla struttura operativa dei Vigili del Fuoco, quello sulla azione preventiva è sviluppato su due direttrici fondamentali, la regola e la scienza.

La regola

Un attento osservatore imparziale, con la capacità di osservare la situazione dall’alto e il compito di redigere un rapporto ingegneri stico constaterebbe lo scollamento profondo che oggi si è venuto a costituire tra queste due essenziali procedure che il buon senso vuole integrate tra loro. La regola è necessaria per non dover realizzare una analisi e sintesi da ricercatore per ogni caso risparmiando costi e tempi, ma la regola stessa deve essere mantenuta virtualmente ancorata alla scienza tramite strutture di ricerca al fine di non introdurre nella società errori di sistema che, prima o poi, tutti potrebbero pagare pesantemente. La regola deve essere sensibile a ogni osservazione, deve inchinarsi ai risultati della ricerca quando questi producono tesi ripetibili e dimostrabili.

L’osservatore imparziale, sempre dall’alto, non può non percepire come la struttura politica e sociale di un sistema influisca nel merito dei rapporti tra regola e scienza. L’Italia ha una Costituzione che ha imposto, di fatto, il criterio del diritto positivo con conseguenze pesanti sulla preponderanza della regola rispetto alla ricerca. La regola c’è, è presente e operativa in conseguenza della sua pubblicazione nel novero delle Gazzetta Ufficiali. La ricerca e la verifica sperimentale sono singole azioni, proiettate nel futuro e non fanno parte del sistema burocratico politico che emana le leggi, anzi, ne sono proprio escluse. Lo stesso art. 101, Costituzione, ha affermato, con la parola “soltanto”, che l’obbedienza alle leggi è esclusiva e imperativa. La regola, di conseguenza, è sempre e comunque obbligatoria e, in quanto elaborata dall’Autorità Competente, è virtualmente ritenuta a priori priva di errori e/od omissioni. Questi errori e/od omissioni entrano così a far parte della regola stessa senza che vi sia possibilità di un controllo sperimentale e statistico dei risultati che vada oltre gli standard previsti dalle stesse prove di laboratorio. Per esempio, la classe di reazione al fuoco 1 IM richiesta da alcune norme per arredi in presenza di persone non tiene conto della tossicità dei fumi, tanto che negli alberghi è ancora richiesta la classifica di arredi 1 IM.

La combustione

Nel campo della sicurezza antincendio la valutazione scientifica deve misurare la combustione, un fenomeno costituito da reazioni termo-chimico-dinamiche. Queste sono talmente complesse che, a oggi, non esistono modellazioni corrispondenti e attendibili nonostante i progressi della computerizzazione. Gli stessi programmi di fire engineering esigono criteri esemplificativi di impostazione tali da rendere i risultati approssimativi. Questi risultati sono accettabili solo perché l’incendio ha limiti definiti di temperatura e di durata legati alla quantità (certamente definibile) dei combustibili, quindi, lo scarto tra ipotesi ed effetti risulta contenuto e accettabile nei casi di maggiore semplicità. Per pura esemplificazione, conoscendo il carico di legname in un ambiente è possibile definire il quantum energetico che può “riscaldare” la struttura e valutare la possibilità di collasso delle strutture. Ma solo la presenza di due aperture contrapposte e una imprevedibile direzione del vento può determinare effetti finali assolutamente diversi per cui il programma di impostazione del software impone vincoli tali da porre in essere solo l’ipotesi più restrittiva nei confronti degli effetti possibili a scapito dei costi della struttura e della attività. Peraltro, più le condizioni di partenza si dimostrano complesse (più ambienti, più livelli, più materiali ecc.) e maggiore sarà l’indeterminazione finale. Nei casi complessi, i ragionamenti tenuti sulla base dell’esperienza, integrata anche da valutazioni statistiche, danno risultati più attendibili.

Adempimenti documentali

Tornando alle comuni esigenze pratiche esistenti per la soluzione dei problemi antincendio, il tecnico è condizionato soprattutto dalla mole e dalla determinatezza di tutta una serie di regole verticali poste in essere dallo Stato. Le “attività” soggette al controllo, siano esse di servizio, commerciali, imprenditoriali, sono individuate ed elencate nell’Allegato al D.P.R. n. 151/2011. Con specifiche disposizioni normative queste sono disciplinate nella struttura, nell’esercizio e nella loro stessa funzionalità operativa. Per raggiungere lo standard richiesto dalla regola è necessario definire gli impianti antincendio, i percorsi di esodo, il carico di incendio e la resistenza al fuoco delle strutture. Perché queste attività diventino operative, è necessario riscontrare la loro esatta corrispondenza alle determinazioni dello specifico dettato normativo presentando la corrispondenza al progetto visionato dai Vigili del Fuoco con tutte le eventuali prescrizioni, la certificazione dei prodotti usati, la dichiarazione della loro corretta posa in opera e le certificazioni di regola d’arte degli impianti. Di fatto, il tecnico antincendio collaziona documenti e ne verifica la corrispondenza asseverando, permettendo così all’esercente di dichiarare la SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività). Di conseguenza, l’esercizio professionale è limitato alla interpretazione e applicazione della norma con una verifica finale di conformità, gli stessi titoli professionali sono a scadenza e la valenza commerciale della consulenza mantiene un valore economico solo per il fatto che gli utenti non riescono a penetrare le complicazioni burocratiche fatte di modelli, di collazioni di certificati, di dichiarazioni, di asseverazioni. Quindi, la burocrazia ha letteralmente invaso il campo della tecnica privandola delle strutture di ricerca e di esperienza, riproponendo al loro posto aree di studio che operano principalmente sulla omogeneizzazione di criteri intereuropei, di omologazioni, di certificati di prova, di dichiarazioni e di conferme. In ogni modello burocratico, prima della firma compare la dicitura «consapevole della sanzione penale prevista dall’art. 19 comma 6 della L. 241/90, dall’art. 20 comma 2 del D.Lgs. 139/06, nonché di quelle previste dagli artt. 359 e 481 del C.P. in caso di dichiarazioni mendaci e falsa rappresentazione degli atti, in relazione alle opere». Nessuna specifica dichiarazione di buona scienza e coscienza è mai richiesta o ritenuta utile, il valore della regola resta criticabile e/o gestibile solo all’interno della parte pubblica nazionale e/o europea. Il mare di regole e di certificazioni è dettato, infatti, da strutture controllate da organizzazioni a carattere politico e spesso costituite da società a scopo di lucro che poco hanno a che vedere con la ricerca sperimentale. I soggetti sono:

  • lo Stato (ormai privo di un vero Centro Studi ed Esperienze);
  • l’UNI (struttura pseudo commerciale che deve essere pagata per avere i testi normativi);
  • la Comunità Europea (della quale non si ha chiarezza su quali siano i soggetti e come questi procedano alla composizione delle direttive);
  • i laboratori riconosciuti per legge autorizzati a classificare esclusivamente, secondo procedimenti standard, tutto quanto attiene alle protezioni attive e passive.

Le regole (leggi, norme, direttive e altro) si formano, quindi, per un compromesso “politico” con l’intento di garantire la sicurezza ope legis, diffidandosi di fatto della capacità, della qualità e della responsabilità dei tecnici operatori specializzati.

Questo modus operandi ha posto a disposizione del tecnico anche una subdola incentivazione; infatti, affidandosi formalmente alla interpretazione della regola, confortato anche da un eventuale preventivo parere degli Uffici di controllo, resta libero da qualsiasi responsabilità.

La deontologia professionale del tecnico consulente non può accettare questo genere di comportamento morale. La verità per il tecnico può anche iniziare dall’osservanza delle regole ma deve comunque rimanere nella critica basata sulla continua ricerca, sulla valutazione degli errori, sulla catalogazione statistica degli eventi. Qualora questo processo secondario dimostri l’incongruità di un disposto regolamentare, il tecnico dovrebbe avere la possibilità di relazionare sull’argomento attraverso un percorso agile ed efficiente e il sistema, a sua volta, dovrebbe valutare le osservazioni, testandole attraverso strutture operative di laboratori di ricerca e operando rapidamente le eventuali necessarie correzioni alla regola stessa.

La formazione del tecnico

Anche il principio della formazione continua, ormai in vigore presso gli Ordini e i Collegi professionali, si sta dimostrando un vero circolo chiuso del tutto inutile. Presentato come la salvezza della preparazione professionale, nello specifico si sta dimostrando come una omologazione della professione. Gli ordini e i collegi non hanno contatti con centri di studio e di ricerca che, nello specifico antincendio, non esistono. L’aggiornamento consiste nella esposizione delle regole e nelle conseguenti procedure, soprattutto legali, per eseguirle. In questo tipo di formazione mancano del tutto gli elementi nuovi. Sarebbe quasi più opportuno che le lezioni fossero tenute da avvocati e magistrati poiché il concetto fondamentale resta sempre quello della verità nella regola. Il 10 aprile 2014 era stata indetta, dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, una conferenza presso l’Istituto Superiore Antincendi avente per oggetto la “riorganizzazione delle norme di prevenzione incendi”.

In quell’occasione è apparso evidente il notevole sforzo dimostrato da alcuni dirigenti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco teso a superare i frustranti vincoli verticali insiti nelle regole della prevenzione incendi, vincoli rigidamente definiti per molte attività di normale esercizio quali alberghi, autorimesse, centrali termiche, impianti di cottura pasti, uffici, ospedali ecc.

Le tesi portate avanti dagli espositori erano state riassunte in un esempio chiarificatore. In una scuola di Genova il corridoio di esodo era più lungo di 60 metri ma larghissimo e con copertura superiore ai 5 metri. Per le scuole è previsto, dal D.M. 26 agosto 1992, che la «lunghezza delle vie di uscita deve essere non superiore a 60 metri e deve essere misurata dal luogo sicuro alla porta più vicina allo stesso di ogni locale frequentato dagli studenti o dal personale docente e non docente».

La corretta (non specificata nella norma) valutazione tecnico-scientifica della situazione ha permesso di affermare che la larghezza e l’altezza del percorso possono consentire di assorbire una enorme quantità di fumi nella parte alta con un forte abbassamento termico da espansione adiabatica naturale. Di conseguenza, l’effetto dannoso per le persone in transito sarebbe limitato e, quindi, l’esodo non subirebbe condizioni di aggravio rispetto ai 60 metri massimi percorribili solo con l’applicazione pedissequa della considerazione tecnica esplicitata.

Questa approvazione ha costituito, di fatto, la corretta applicazione del diritto naturale, ma un avvocato ha posto in essere alcune perplessità. Si pensi alla possibilità che nella scuola di Genova avvenga un incendio. Gli scolari fuggono e, a 62 metri, cade uno scolaro che subisce gravi lesioni. È aperta un’inchiesta e nasce immediatamente l’interrogativo se sia stato legittimo autorizzare una maggiore lunghezza quando la regola ne aveva previsti 60 metri. La valutazione statistica potrebbe dimostrare che il fatto si è verificato con un indice di probabilità di un caso su 10 milioni di eventi, quindi, fuori della probabilità comunemente accettabile.

Occorre comprendere come è espressa la valutazione ultima del fatto stante il sistema che ha imposto, comunque, il rispetto della sola regola. La regola ha stabilito i 60 metri e non più e il fatto si è verificato, è necessario valutare se le considerazioni tecniche e la statistica hanno peso.

Le conseguenze

Entrato in attuazione il nuovo progetto al primo incidente, i funzionari destinati alla “valutazione” del progetto antincendio avranno precisa coscienza che, attenendosi alla norma verticale, la responsabilità è, comunque, al riparo della legge, invece, accettando criteri di deroga, ancorché tecnicamente giustificati, si corrono rischi di mancata sorveglianza. Per cui, se il riordino della prevenzione incendi non sarà basata su una effettiva rivoluzione tecnica e giuridica, sarà il fallimento del nuovo progetto. Si continuerà a ricercare solo e soltanto l’interpretazione e la conformità. La dimensione del problema giustifica lo sforzo di cambiamenti radicali ricostituendo l’abolito Centro studi ed esperienze del Vigili del Fuoco con poteri di valutazione superiori a quelli delle regole stesse, affidandogli la stessa riorganizzazione delle norme di prevenzione incendi che dovranno essere conseguenti anche alla dinamica del globale progresso sociale, economico e scientifico oggi in atto.

(a cura di Giacomo Ruggeri, ex Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco ed ex Direttore del Laboratorio di Idraulica del Centro Studi ed Esperienze; articolo tratto da Ambiente&Sicurezza n. 16/2014)

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