Quale colpa per il Rspp?

A più riprese la giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità, ha preso posizione e si è pronunciata sul rapporto che, all'interno del modello di organizzazione del lavoro facente capo all'impresa e deputato alla tutela delle condizioni di integrità psicofisica dei lavoratori, intercorre tra il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. E proprio in relazione al rapporto Ddl/Rspp, si pongono in primis delicate problematiche di affidamento del primo ai risultati dell’attività svolta dal secondo; ossia di come conciliare il profilo (frequente quanto meno per le imprese di grandi dimensioni) della non ravvisabilità, in capo al datore di lavoro, di competenze tecnico-professionali in materia, con quello legato alla valorizzazione della specifica professionalità dei collaboratori del titolare dell'impresa. In verità, è proprio nel caso di inidoneità professionale del Rspp (interno o esterno), e delle scelte da lui operate, cioè in quello stesso ambito nel quale si vorrebbe prodursi l'esenzione dalla responsabilità per il datore di lavoro in base al cosiddetto “principio di affidamento”, che questi all'opposto può vedersi imputare il grave addebito di culpa in eligendo o di culpa in vigilando. PER LEGGERE L'ARTICOLO, ISCRIVITI O ABBONATI

Quale colpa per il Rspp.

A più riprese la giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità, ha preso posizione e si è pronunciata sul rapporto che, all'interno del modello di organizzazione del lavoro facente capo all'impresa e deputato alla tutela delle condizioni di integrità psicofisica dei lavoratori, intercorre tra il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
E proprio in relazione al rapporto Ddl/Rspp, si pongono in primis delicate problematiche di affidamento del primo ai risultati dell’attività svolta dal secondo; ossia di come conciliare il profilo (frequente quanto meno per le imprese di grandi dimensioni) della non ravvisabilità, in capo al datore di lavoro, di competenze tecnico-professionali in materia, con quello legato alla valorizzazione della specifica professionalità dei collaboratori del titolare dell'impresa. In verità, è proprio nel caso di inidoneità professionale del Rspp (interno o esterno), e delle scelte da lui operate, cioè in quello stesso ambito nel quale si vorrebbe prodursi l'esenzione dalla responsabilità per il datore di lavoro in base al cosiddetto “principio di affidamento”, che questi all'opposto può vedersi imputare il grave addebito di culpa in eligendo o di culpa in vigilando.

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Al riguardo, va evidenziato che il rapporto del Rspp con il datore di lavoro si svolge secondo due direttrici fondamentali: dipendenza e collaborazione.

Quale colpa per il Rspp? Dipendenza e collaborazione

La prima fa da cornice al rapporto, la seconda ne fissa i contenuti. La dipendenza - da intendersi non in senso tecnico-giuridico, bensì come avvalimento funzionale - si giustifica in ragione del potere direttivo e gerarchico facente capo al datore di lavoro, mentre la collaborazione è motivata dal grado di complessità tecnica degli adempimenti per i quali è richiesta (valutazione del rischio, redazione del Dvr e del Duvri), cui il datore di lavoro da solo non potrebbe fare fronte (fatti salvi i casi di cui all'art. 34 del decreto, peraltro subordinati alla frequenza di appositi corsi di formazione, secondo quanto disposto dall’accordo della Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 8 dell’11 gennaio 2012). Quanto al Rspp esterno all'azienda, il rapporto di dipendenza originerà e sarà modulato anche in base ai termini contrattuali stabiliti.

Un’integrazione

La giurisprudenza è pressoché univoca nel ritenere quella del Rspp una funzione integrativa del sistema di sicurezza aziendale e una sorta di ausiliazione tecnica per il datore di lavoro: cosicché il soggetto che, in qualità di Rspp, redige materialmente il piano non assume di per ciò solo anche la qualifica di dirigente prevenzionistico, come tale responsabile della sicurezza dei lavoratori dell'impresa; tant’è che l'atto di designazione del Rspp non equivale al conferimento della delega in materia antinfortunistica (tra le molte, Cass. pen, sez. IV, 20 maggio 2013, n. 21628; Cass. pen. , 11 marzo 2013, n. 11492 sez IV; Cass. pen. sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 49031; Cass. pen. sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 6400; Cass. pen. sez. IV, 10 febbraio 2011, n. 5040; Cass. pen. sez. feriale, 26 agosto 2010, n. 32357).

Nel caso di un datore di lavoro che, a fronte del proscioglimento del Rspp, seppur dotato di titolo di studio adeguato (laurea in ingegneria), aveva ritenuto ingiusta la propria condanna, ritenendo che anche a lui, a maggior ragione, dovesse essere riconosciuta un'esenzione dalla responsabilità, la suprema Corte, al contrario, ha osservato innanzitutto che la qualità di semplice consulente esterno non esime di per sé la responsabilità datoriale (tanto più in relazione alle condizioni di evidente insicurezza e pericolosità della macchina piegatrice); in secondo luogo, i giudici di legittimità hanno richiamato la circostanza, nel caso di specie, dell'obiettiva impreparazione professionale del Rspp, ritenuta dai giudici di merito (Cass. pen. sez. IV, 29 luglio 2004, n. 32921).

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Quale colpa per il Rspp? La delegabilità

D’altro canto, proprio l'espresso divieto normativo di delegabilità dell'attività di valutazione dei rischi aveva orientato la giurisprudenza a ritenere non consentito il ricorso al cosiddetto "principio di affidamento": nel senso che il datore di lavoro non poteva invocare la propria "buona fede" o "ignoranza incolpevole", al fine di evitare il profilo di sua personale responsabilità, rispetto alla "colpevole" condotta del Rspp.

Il caso Galeazzi

Sul punto la pronuncia più significativa è forse quella del tribunale di Milano, relativa all'incendio della camera iperbarica dell'Istituto “Galeazzi” (Trib. Milano, sez. IV penale, 13 ottobre 1999-11 marzo 2000), secondo la quale «Il momento di maggiore significatività della centralità del ruolo che il datore di lavoro mantiene per la sicurezza nella forma della prevenzione e della protezione, è la valutazione del rischio, il cui aspetto conclusivo è il documento di valutazione destinato a contenere l'individuazione degli specifici fattori di rischio e della maniera di gestirlo per programmare la sicurezza in vista dell'obiettivo di pervenire non all'eliminazione totale, che è impossibile, bensì al contenimento del rischio entro i limiti consentiti dalle conoscenze tecniche del momento. E allora un conto è constatare che la sicurezza normalmente richiede conoscenze complesse che il datore di lavoro deve acquisire aliunde , altro è sostenere che proprio quel soggetto, che della sicurezza rimane per legge l'unico garante, possa liberarsi del proprio dovere soltanto con la nomina di chi quelle conoscenze possiede, così attuando una surrettizia delega di fatto in favore di soggetti i cui poteri sono pari al ruolo puramente consultivo e di indirizzo che rivestono e che per questa ragione sono ritenuti dalla nuova legislazione irresponsabili come lo erano gli addetti alla sicurezza che li hanno preceduti».

Una qualifica

Peraltro, dopo la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 15 novembre 2001, in causa C 49/00, e la conseguente emanazione (a fini di adeguamento normativo ai dettami dell’art. 7, n. 8, primo paragrafo della direttiva-quadro 89/391/CEE) del D.Lgs. n. 195/2003, quella di Rspp è divenuta una precisa qualifica professionale, aderente allo standard europeo. Ciò ha determinato ripercussioni sul principio di affidamento del datore di lavoro (al pari di quanto prevede, ad esempio, l'art. 93, comma 2 del D.Lgs. n. 81/2008 in tema di sicurezza nei cantieri, con riguardo al rapporto che lega la responsabilità del committente a quella dei coordinatori).

Quale colpa per il Rspp? L’affidamento pagante

Muovendo dalla considerazione che è il servizio di prevenzione e protezione a procedere materialmente, in base a quanto dispone l'art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008, alla valutazione dei rischi professionali esistenti sul luogo e durante il lavoro, e all'elaborazione delle misure preventive e protettive e dei sistemi di controllo di queste misure, e delle procedure di sicurezza per le varie attività aziendali, la giurisprudenza della Cassazione ha indirizzato l'impianto del sistema prevenzionistico verso modelli di cosiddetti "affidamento pagante" a favore del datore di lavoro. Proprio nella pronuncia della Corte di Cassazione (sez. IV pen., 6 febbraio 2004, Ligresti e altri), relativa al procedimento penale del Galeazzi di Milano, i giudici, in tema di assolvimento dell'obbligo di valutazione dei rischi professionali e di redazione del relativo documento, hanno ritenuto che il datore di lavoro, in quanto fisiologicamente tenuto ad avvalersi del servizio di prevenzione e protezione e/o comunque di persone competenti, sempreché assolva l'obbligo di valutare le capacità tecniche di chi redige materialmente il documento, di informarsi preventivamente sui rischi presenti nell'azienda ai fini della loro valutazione, e di verificare successivamente se il documento redatto affronti adeguatamente i temi della prevenzione e della protezione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali tenendo conto delle informazioni acquisite sull'esistenza dei rischi, «potrà anche rimettersi, per l'accertamento e l'adozione delle scelte tecniche idonee a contrastare i rischi e che abbiano carattere di specializzazione da lui non posseduta, alle conclusioni di un consulente interno od esterno sulle quali non abbia la competenza necessaria per interloquire». Nel rispetto di tali condizioni egli non potrà dunque essere ritenuto responsabile «di una scelta tecnica errata da lui non controllabile» (se non con la scelta di altra persona tecnicamente qualificata: ma in questo modo - ha osservato la Corte - «si andrebbe avanti all'infinito»).

Un ausiliario

In altra vicenda processuale la Cassazione (Sez. IV penale, 31 marzo 2006, n. 11351, Stasi e altro) ha ritenuto che, pur essendo il Rspp un semplice ausiliario del datore di lavoro, quest’ultimo non può essere chiamato a rispondere direttamente del suo operato, perché difetta di un effettivo potere decisionale; ciò nondimeno «non esclude che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione possa essere chiamato a rispondere, anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività: questi, infatti, qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro, a omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo».

Quale colpa per il Rspp? Obbligo di mezzi non di risultato

Per altro verso, non essendo il Rspp tra i soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza e di salute in azienda (destinatari già individuati agli artt. 4-7 del D.Lgs. n. 626/1994, e ora agli artt. 18-25 del D.Lgs. n. 81/2008), il suo agire non è direttamente rapportabile, sul piano contravvenzionale, a condotte penalmente sanzionate; invero la collaborazione prestata dal Rspp al datore di lavoro è stata concepita dal legislatore quale obbligazione di mezzi e non di risultato. Dunque, il profilo di (penale) responsabilità fa capo esclusivamente al datore di lavoro, il quale, pur tenuto ex lege, a pena di sanzione penale, ad avvalersi della collaborazione del Rspp, rimane in ogni caso libero di non condividerne, in tutto o in parte, il risultato, qualora non lo soddisfi. Peraltro, nonostante la figura del Rspp abbia compiti tendenzialmente propositivi e programmatici, ma non di autonomia decisionale od operativa, ciò non toglie che, in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale di un lavoratore, il Rspp non possa essere chiamato a rispondere, quand'anche la sua condotta colposa non sia sanzionata e sanzionabile sul piano contravvenzionale, sia in termini civilistici (contrattuali nei confronti del datore di lavoro, extracontrattuali nei confronti dei terzi danneggiati) sia penalmente ai sensi degli artt. 589 o 590 del codice penale. Ed è proprio sotto quest’ultimo aspetto che si pone il problema di valutare se, in caso di accertata violazione, da parte del Rspp, dell’art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008 (anche in relazione alle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro enunciate all’art. 15 del testo unico), ciò determini un profilo di colpa specifica, di ambito contravvenzionale, ovvero di colpa generica. Infatti, secondo quanto dispone l'art. 590 comma 5, del codice penale il reato di lesioni personali colpose (gravi e gravissime) è perseguibile d'ufficio qualora sia stato commesso con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni o di igiene del lavoro; di qui l'importanza di stabilire se, nei confronti del Rspp, sia ravvisabile un titolo di colpa specifica o di colpa generica, giacché, in questa seconda ipotesi, il delitto sarebbe perseguibile a querela di parte.

Specifica o generica?

Una prima valutazione, sul punto, della Corte di Cassazione (sez. IV penale, 31 marzo 2006, n. 11351 cit.) fu che, in tema di lesioni personali colpose, non essendo il Rspp «destinatario per legge dell'osservanza dei precetti prevenzionali, la condotta dello stesso, ancorché oggettivamente violatrice di taluno di essi e, come tale, foriera di responsabilità, non potrà mai essere considerata caratterizzata da un titolo di colpa specifica e, quindi, il reato nei suoi confronti risulterà perseguibile (anche in caso di lesioni gravi e gravissime) solo a querela di parte».

Questo orientamento è stato tuttavia disatteso in altra pronuncia più recente della suprema Corte (sez. IV penale, 17 aprile 2007, n. 15266, Fusilli). Non solo la Cassazione ha ritenuto che la mancanza di titolarità, in capo al Rspp, di poteri di intervento e di spesa - e più in generale di amministrazione attiva - in materia di adeguamento dei luoghi di lavoro non è ex se di ostacolo all’operatività delle norme sull'imputabilità penale nei suoi confronti per gli eventi di danno infortunistico causalmente riconducibili alla violazione di norme prevenzionistiche; ma che detta violazione (concretantesi nella mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché dei programmi di informazione e formazione dei lavoratori) integra un'omissione «sensibile» tutte le volte in cui un infortunio sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal RSPP (questo orientamento giurisprudenziale si è poi consolidato con le pronunce di Cass. pen. sez. IV,  15 gennaio 2010, n. 1834, di Cass. pen. sez. IV, 5 maggio 2011, n. 17443, di Cass. pen. sez. IV, 10 febbraio 2015, n. 5983 e da ultimo di Cass. pen. sez. IV, 20 febbraio 2017, n. 8115).

Quale colpa per il Rspp? Minimizzare il rischio

In effetti, ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui agli artt. 590, comma 3 e 589, comma 2 del codice penale – e della conseguente procedibilità ex officio del reato - è irrilevante che il precetto prevenzionale (e tale è indubitabilmente l’art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008) da porre a fondamento del titolo “specifico” della colpa, sia presidiato da sanzione per il caso di inosservanza. Se così fosse, anche la violazione delle misure generali di tutela di cui al citato art. 15 del D.Lgs. n. 81/2008 (ad esempio, dell’obbligo di “minimizzazione” del rischio; ovvero dell’obbligo del ricorso alla cosiddetta “migliore tecnologia disponibile”) si dovrebbe tradurre in profili di colpa generica, il che è inaccettabile, se non impensabile.

A ulteriore rafforzamento di questa linea interpretativa, si consideri che l'art. 590, ultimo comma del codice penale in tema di lesioni colpose, dispone che «il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale». Ne consegue che il profilo circostanziale aggravato, da cui dipende, in relazione alla prognosi, la procedibilità ex officio, riguarda la commissione del fatto di reato; esso dunque «ha carattere oggettivo» – come ha ritenuto la giurisprudenza: Cass. pen. sez. IV, 23 settembre 2004, n. 37666, Gattoni - «e non riguarda la posizione del colpevole, bensì il riferimento del fatto addebitato alla violazione di norme disciplinanti gli infortuni sul lavoro».

Quale colpa per il Rspp? L’aggravante

Analogamente, proprio in un caso di messa a disposizione di un mezzo risultato sprovvisto di alcuni dei necessari dispositivi di sicurezza, la suprema Corte ha ritenuto che l'aggravante relativa alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro è ricollegata al fatto obiettivo della violazione in se stessa considerata, non alla qualifica soggettiva di datore di lavoro (Cass. pen., sez. IV, 31 dicembre 2003, n. 49485, Rossi).

La condivisibile conclusione cui sono pervenuti i giudici di legittimità, nel caso Gattoni, è stata dunque che «a prescindere dalla opinabilità della tesi secondo la quale il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non sarebbe destinatario di norme antinfortunistiche, va ritenuto che tutti i fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale sono perseguibili di ufficio, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 590 codice di procedura penale, indipendentemente dalla qualifica rivestita dall'imputato, non influendo sulla procedibilità valutazioni di carattere soggettivo».

In tempi più recenti la giurisprudenza (Cass. pen., sez. IV, 26 aprile 2010, n. 16134) ha nuovamente affrontato la quaestio iuris relativa alla “qualificazione” della colpa del Rspp. L’indicazione dei giudici di legittimità, assolutamente condivisibile, è stata che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali, la cui costituzione è obbligatoria in tutte le aziende, costituisce «un pilastro del sistema ordinamentale antinfortunistico che affida alla informazione e alla prevenzione un compito fondamentale per la tutele della salute e della sicurezza dei lavoratori». Secondo i giudici, la necessità del possesso di competenze specifiche e di requisiti professionali in capo al Rspp e agli Aspp «è il miglior riscontro della centralità della prevenzione e della informazione nel sistema di tutela della integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori (poi del loro diritto alla salute), che si è andato perfezionando a partire dalla regolazione dell'articolo 2087 del codice civile, poi della legge n. 300 del 1970, articolo 9 e articolo 32 Cost., poi della legge n. 833 del 1978 (artt 1, 2, 20 e in particolare articolo 24), e si completa col sistema attualmente positivo di decreto legislativo 9 agosto 2008, n. 81». La suprema Corte ha rilevato dunque una continuità della linea di sistema, e che «risulta stabile nelle diverse stagioni legislative, la configurazione della mappazione dei rischi come strumento essenziale dell'intero sistema antinfortunistico»; sicché «l'omissione di condotte doverose in relazione alla funzione di responsabile o di addetto al servizio di prevenzione e protezione realizza la violazione dell'intero sistema antinfortunistico, senza che abbia alcuna rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione penale per la violazione di sistema». La conclusione cui sono pervenuti i giudici è stata che «ove da tale violazione discendano lesioni o morte non solo sarà configurabile un concorso in quei delitti, ma sarà configurabile la specifica aggravante della loro commissione configurata all'articolo 590 codice penale, comma 5 e articolo 589 codice penale, comma 2».

L’ultimo corso

La giurisprudenza di ultimo corso, dopo avere riaffermato che la colpa del Rspp è colpa “specifica” di ambito prevenzionistico, stante il rilievo essenziale che l’attività di valutazione dei rischi assume nell’intero sistema antinfortunistico, ha così cominciato a distinguere la nozione di “colpa generale” e quella di “colpa tecnica” (la prima legata alla rappresentanza legale e/o alla qualifica prevenzionistica; la seconda legata alla specializzazione professionale posseduta).

Si parla ormai di “omissioni sensibili” del Rspp quali condizioni per l’assunzione iure proprio della responsabilità penale (Cass. pen. sez. IV, 22 luglio 2021 n. 28468; Cass. pen. sez. IV, 5 febbraio 2021, n. 4490; Cass. pen. sez. IV, 13 dicembre 2019, n. 50439; Cass. pen. sez. IV, 18 marzo 2019, n. 11708; Cass. pen. sez. IV, 25 giugno 2015, n. 27006): e, laddove si tratti di omissioni (ma si può trattare anche di condotte commissive, quali un suggerimento errato) non riconoscibili da parte del datore di lavoro, il profilo di responsabilità prevenzionistica sarà inevitabilmente agganciato alla sola colpa “tecnica” del Rspp (legata al possesso di specifiche e specialistiche competenze professionali), non anche alla colpa “generale” del Datore di lavoro (avente radice nel potere di rappresentanza gestionale dell’impresa).

Il caso Thyssenkrupp

Magistralmente sul tema del rapporto tra colpa “generale” e colpa “tecnica” si è espressa la fondamentale pronuncia di Cass. pen. sezioni unite 18 settembre 2014, n. 38343, nel caso Thyssenkrupp: «L'assenza di sanzioni penali, tuttavia, non è risolutiva per escludere il ruolo di garante. Ciò che importa è che i componenti del Spp siano destinatari di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l'assunzione dell'incarico, essi assumano l'obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste. D'altra parte, il ruolo svolto da costoro è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. La loro attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell'evento illecito. Si pensi al caso del Spp che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche. In situazioni del genere pare ragionevole pensare di attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge ed in particolare di una condotta colposa, la responsabilità dell'evento ai soggetti di cui parliamo. Una diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica».

 

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