Reflui misti: come classificare le attività di depurazione?

Reflui misti
La domanda è stata posta da un'amministrazione comunale toscana al ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica

Reflui misti: come classificare le attività di depurazione? La domanda è stata posta da un'amministrazione comunale toscana al ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica.

In estrema sintesi, il Comune di San Miniato ha chiesto al Mase come classificare le attività di depurazione di reflui collettati tramite due distinte reti fognarie ad un impianto di trattamento assoggettato alle norme di recepimento della direttiva comunitaria 91/271/Cee, in considerazione del fatto che una delle due reti fognarie, oltre a convogliare reflui urbani, colletta anche reflui industriali che rispettano le specifiche di conferibilità specificate nell’articolo 107, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.

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Di seguito la risposta del Mase. L'interpello del Comune di San Miniato è reperibile in fondo alla pagina in formato pdf.

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Risposta del ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica 24 novembre 2022, n. 147204

 

Oggetto: elementi di risposta all’interpello ambientale, ai sensi dell'art. 3 septies del D.lgs. 152/2006, in ordine alla identificazione di attività ricadenti nella categoria 6.11 dell'allegato VIII alla Parte Seconda del D.Lgs. 152/06 

Con riferimento all’interpello ambientale proposto da codesto Comune con nota che si riscontra, acquisita dalla scrivente in data 22 marzo 2022 con prot. n. 36904 si riportano di seguito gli elementi di risposta.

QUESITO
Con istanza di interpello formulata ai sensi dell’articolo 3-septies del D.Lgs n. 152 del 2006, n.152, il Comune di San Miniato in estrema sintesi ha chiesto come classificare le attività di depurazione di reflui collettati tramite due distinte reti fognarie ad un impianto di trattamento assoggettato alle norme di recepimento della direttiva comunitaria 91/271/CEE, in considerazione del fatto che una delle due reti fognarie, oltre a convogliare reflui urbani, colletta anche reflui industriali che rispettano le specifiche di conferibilità specificate nell’articolo 107, comma 1, del D.Lgs. 152/06.
Il quesito riveste carattere generale, anche in considerazione della diffusione della relativa casistica.

RIFERIMENTI NORMATIVI
• La normativa relativa agli scarichi consente il recapito di reflui industriali in reti fognarie destinate al collettamento di acque reflue urbane, soggette alla direttiva 91/271/CEE, nel rispetto di specifici requisiti ( nell’articolo 107, comma 1, del D.Lgs. 152/06).

• Alle installazioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) di cui al Titolo III.bis, della Parte Seconda, del D.Lgs. 152/06, si applicano in genere requisiti aggiuntivi a quelli richiesti agli altri impianti (applicando i principi di prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento - IPPC), e in particolare, per gli scarichi, l’articolo 29.sexies, comma 4.quater, del D.lgs. 152/06, (recepimento della analoga disposizione dell’articolo 15 della direttiva 2010/75/UE) specifica che nel fissare i limiti emissivi all’uscita dell’installazione (quindi anche agli scarichi in fognatura) è possibile tenere conto della depurazione effettuata fuori sito solo se è garantito, rispetto al trattamento a piè di impianto che applichi le migliori tecniche disponibili, un livello equivalente di protezione dell’ambiente, e in particolare se è evitato il rilascio di carichi inquinanti maggiori nell’ambiente.

• La direttiva 2010/75/UE riporta, nell’allegato 1, l’elenco delle attività soggette alla disciplina di cui al Capo secondo della medesima direttiva (attività IPPC), e tra esse compare la categoria 6.11, relativa al trattamento fuori sito di acque reflue industriali prodotte in installazioni in cui sono condotte altre attività IPPC. Tale categoria 6.11 prevede una esplicita esclusione per gli impianti di trattamento di acque reflue “non coperte dalle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE”. Le norme nazionali di recepimento (categoria 6.11 dell'allegato VIII alla Parte Seconda del D.Lgs. 152/06) ripropongono fedelmente tale definizione.

• In considerazione dei dubbi interpretativi sull’estensione dell’ambito di tale categoria 6.11, la Commissione UE ha pubblicato alcuni suggerimenti interpretativi (FAQ) che sono stati approfonditi nell’ambito del Coordinamento ex art. 29-quinquies, del D.lgs. 152/06 direttiva 2010/75/UE, determinando l’emanazione di specifici indirizzi interpretativi da parte del Ministro pro tempore con circolare prot. 12122/GAB del 17 giugno 2015.

• Risulta inoltre pertinente (in particolare per rispondere al terzo quesito) il riferimento agli specifici indirizzi definiti per identificare le unità tecnicamente connesse e coinsediate facenti parte di una installazione, indirizzi approfonditi nell’ambito del Coordinamento ex art. 29-quinquies, del D.lgs. 152/06, ed emanati del Ministro pro tempore con circolare 22295 del 27/10/2014.

CONSIDERAZIONI 

Per correttamente inquadrare il problema pare utile rammentare che lo scopo della disciplina IPPC (sin dalla sua prima formulazione risalente alla direttiva 96/61/CE) è garantire che i processi industriali applichino le migliori tecniche disponibili. A tal fine in linea di principio va considerato l’intero processo industriale, e pertanto non solo le unità che svolgono attività specificamente soggette (attività IPPC di cui all’allegato 1 della direttiva 2010/75/UE), ma altresì le attività ad esse tecnicamente connesse. Peraltro, l’ambito istruttorio operativamente deve essere limitato al sito industriale, poiché in caso contrario sorgerebbe la impossibilità pratica di gestire istruttorie e procedimenti, poichè sarebbe necessario considerare una unica installazione l’intero tessuto produttivo di una regione, poiché interconnesso da reti di servizi (energia, acqua, ...) che possono influenzare il funzionamento di ciascuna singola unità. Conseguentemente, nella definizione di “installazione” (art. 5, comme 1, lettera i.quater, del D.Lgs. 152/06) vengono fatte ricadere tutte le unità tecnicamente connesse purché coinsediate.
Tale approccio può entrare in crisi nel caso in cui una attività rilevante al fine di giudicare l’efficienza ambientale dei processi produttivi venga condotta al di fuori del sito, senza alcun obbligo di garantire la applicazione delle migliori tecniche disponibili.
Constatato che casistiche del genere sono piuttosto diffuse con riferimento al trattamento dei reflui affidati a depuratori consortili, e constatato altresì che le disposizioni dell’articolo 15(1) della direttiva 2010/75/UE (recepite nell’articolo 29-sexies, comma 4.quater, del D.Lgs. 152/06) possono risultare di difficile applicazione, nel 2010 Commissione, Consiglio e Parlamento UE decisero di introdurre anche una nuova specifica categoria IPPC, proprio per garantire che anche tali attività di trattamento fuori sito applicassero le migliori tecniche disponibili (sollevando di fatto l’AIA della installazione che genera il refluo dal verificare se la depurazione fuori sito determina il rilascio di carichi inquinanti maggiori nell’ambiente). In tale sede, peraltro, si temette di entrare in contrasto con le disposizioni della direttiva 91/271/CEE, che individua specifici requisiti per il trattamento delle acque reflue urbane. In altre parole, si temette che richiedere l’applicazione delle migliori tecniche disponibili definite in ambito industriale potesse essere incompatibile con l’applicazione delle tecniche tassativamente richieste per il trattamento di reflui urbani. Conseguentemente è stata introdotta una clausola di esclusione nella categoria 6.11.
L’interpretazione di tale clausola non è immediata, poiché essa fa riferimento alla “acque” non coperte dalle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE, e non già ai processi di depurazione  coperti da tale norma. Gli approfondimenti condotti in proposito (già illustrati nella citata circolare prot. 12122/GAB del 17 giugno 2015) hanno portato in sintesi alle seguenti conclusioni.

1-  Tutte le acque collettate da reti fognarie urbane sono coperte dalle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE. Sia che si tratti di acque domestiche, sia che si tratti di acque industriali che rispettano i requisiti di conferimento ammessi da tale direttiva.

2-  Conseguentemente se un depuratore riceve solo acque collettate da reti fognarie urbane, ovvero solo acque coperte dalle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE, esso non svolge attività IPPC 6.11. Usualmente in tale caso si assume che il rispetto delle specifiche di conferimento già garantisca la efficacia dei processi di trattamento (adeguati per reflui urbani) anche per trattare i reflui ad essi assimilati, poiché si presuppone che gli inquinanti di un refluo industriale “assimilato” siano sostanzialmente i medesimi di quelli tipici di un refluo urbano. Concettualmente, peraltro, la finalità delle due direttive è leggermente diversa, e quindi formalmente residua all’autorità competente AIA il compito di verificare il rispetto dell’articolo 29-sexies, comma 4-quater, del D.lgs. 152/06. In pratica, ove l’autorità competente avesse evidenza di problemi a riguardo (ad esempio per il fatto che i trattamenti del depuratore consortile non hanno alcun effetto su alcune sostanze inquinanti emesse significativamente dalla installazione e pertanto non possono evitare “il rilascio di carichi inquinanti maggiori nell’ambiente”) sarebbe suo compito richiedere comunque allo scarico in fognatura prestazioni emissive corrispondenti a quelle previste per lo scarico diretto applicando a piè di impianto le migliori tecniche disponibili, ovvero i BAT-AEL, senza tenere conto del (inefficace per tali sostanze) successivo trattamento.

3-  Se viceversa un depuratore riceve (anche) acque collettate da reti che accettano (anche) acque non soggette alle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE e prodotte in installazioni IPPC, esso svolge attività IPPC 6.11.

4-  In tale caso va senz’altro rilasciata una autorizzazione integrata ambientale alla attività IPPC 6.11.

Riguardo alla individuazione dell’estensione di tale attività 6.11, va valutato se essa può essere circoscritta ad una fase di pretrattamento (ritenendo che dopo tale fase le acque, rientrano nelle specifiche ammesse per il conferimento, e diventano soggette alle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE) , o riguardare l’intero depuratore.

A riguardo risultano utili gli indirizzi forniti dalla circolare 22295 del 27/10/2014 per identificare in generale l’estensione delle installazioni. Alla luce di tali indirizzi l’installazione che svolge attività 6.11 può essere considerata riferita al solo pretrattamento:

-  se il pretrattamento non è coinsediato con il trattamento dei reflui urbani,

-  o se tra le due unità esiste una soluzione di continuità (ad esempio una rete fognaria non specificamente dedicata o un serbatoio di accumulo) che consente almeno in teoria di considerare l’esercizio dell’attività 6.11 indipendente da quello dell’unità di trattamento dei
reflui urbani.
Pare in proposito opportuno rammentare che l’AIA sostituisce (tra l’altro) tutte le autorizzazioni di cui al Capo II del Titolo IV delle Parte terza del D.lgs. 152/06, e dunque ben può sostituire anche l’autorizzazione allo scarico di un depuratore di acque reflue urbane.
Nel caso in cui l’intero depuratore (poichè tratta sia acque soggette alla direttiva 91/271/CEE, sia acque non soggette ad essa) è soggetto ad AIA, il problema pertanto non pare amministrativo, ma tecnico: individuare condizioni autorizzative compatibili con entrambe le direttive (ovvero garantire i requisiti tecnici tassativi per il trattamento dei reflui urbani in attuazione della direttiva 91/271/CEE e l’applicazione delle migliori tecniche disponibili per il trattamento dei reflui industriali alla luce dell’articolo 29.sexies, comma 4.quater, del D.lgs. 152/06).
Fornire indirizzi tecnici sulla corretta progettazione di simili installazioni, peraltro, esula dai temi oggetto di interpello.

RISPOSTA ALL’INTERPELLO
Alla luce di quanto esposto è possibile formulare la seguente risposta ai quesiti posti con l’interpello in oggetto.

- Se, ai sensi del cpv. 1 del punto 3 della Circolare 2015, costituisca decisivo presupposto ai fini dell’assoggettamento del depuratore alla disciplina di recepimento della direttiva 91/271/CEE e, pertanto, condizione determinante la ‘completa’ esclusione dello stesso dalla categoria IPPC 6.11, il fatto che i reflui urbani, ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera i) , TUA) – costituiti da acque reflue domestiche e da acque reflue industriali (anche qualora provenienti da installazioni IPPC) – siano convogliati al depuratore tramite la medesima fognatura, ogniqualvolta l’immissione, in tale fognatura, dei reflui industriali (anche qualora provenienti da installazioni IPPC) risulti vincolata al rispetto dei limiti previsti dall’art. 107, comma 1 TUA per l’immissione in pubblica fognatura e avvenga in modo conforme ad essi. 
L’assoggettamento alla disciplina di recepimento della direttiva 91/271/CEE non esclude di per sé l’assoggettamento anche alla disciplina IED.

Ciò detto, si conferma che, ove al depuratore siano convogliate esclusivamente acque soggette alla disciplina di recepimento della direttiva 91/271/CEE, le attività di depurazione non si configurano nella categoria 6.11 e pertanto l’AIA non è necessaria a esercire il depuratore.
In proposito, peraltro, va ribadita l’opportunità che all’atto del rilascio dell’AIA della attività IPPC che genera i reflui, si verifichi che il conferimento di reflui industriali in reti fognarie urbane nel rispetto dei relativi requisiti di accettabilità, sia sufficiente a contenere i carichi inquinanti poi rilasciati nell’ambiente alla luce di quanto disposto dall’articolo 29.quater, comma 4.quater, del D.lgs. 152/06. A tal fine, pertanto, sarebbe opportuno che il gestore del depuratore, oltre a fornire specifiche di conferibilità, mettesse a disposizione del gestore dell’installazione ad AIA anche specifiche circa la effettiva capacità del depuratore di abbattere gli inquinanti industriali pertinenti, poiché in caso contrario (a prescindere dalla specifiche di conferibilità) l’AIA dell’impianto che genera i reflui potrebbe fissare requisiti aggiuntivi agli scarichi in fognatura ignorando (se non specificata) la capacità del depuratore di abbattere alcuni inquinanti.

- Se, qualora risulti soddisfatto il presupposto di cui al punto i), il fatto che i reflui industriali siano prevalenti rispetto a quelli domestici non muti la qualificazione di acque reflue urbane (art. 74, comma 1, lettera i) TUA) e pertanto non osti alla ‘completa’ esclusione del depuratore dalla categoria IPPC 6.11, prevista dal cpv 1 del punto 3 della circolare 2015.

Alla citata lettera i) del comma 1 dell’articolo 74 del TUA, non appare alcun riferimento alla necessaria prevalenza di un tipo di acque (domestiche, industriali o di dilavamento) per poter connotare la qualifica di acque reflue urbane. Pertanto l’elemento indicato (prevalenza di acque reflue industriali) appare inessenziale per decidere se ricomprendere il depuratore dalla categoria 6.11.
Tale elemento, viceversa, potrebbe essere rilevante per definire la progettazione del depuratore, e conseguentemente garantire che i carichi inquinanti industriali sono efficacemente abbattuti, consentendo all’AIA degli impianti in cui si generano i reflui di tenere conto della stazione di depurazione fuori sito nel fissare i limiti agli scarichi in fognatura.

- Se, ai sensi del cpv.2 del punto 3 della circolare 2015, nel caso in cui, invece, i reflui industriali non siano vincolati al rispetto dei limiti previsti dall’art. 107, comma 1 TUA per l’immissione in pubblica fognatura e, di conseguenza, non sia possibile convogliarli al depuratore insieme agli altri reflui domestici e/o urbani all’interno della medesima fognatura, ciò costituisca circostanza determinante l’esclusione solo ‘parziale’ del depuratore dalla categoria IPPC 6.11, con la conseguenza che configurano installazione soggetta ad AIA le sole parti del depuratore in cui è effettuato il pretrattamento, necessario al fine di garantire che i predetti reflui industriali (anche qualora provenienti da installazioni IPPC) conseguano le caratteristiche che ne consentano lo scarico in pubblica fognatura (ai sensi dell’articolo 107, comma 1, TUA). 

Nel caso in cui al medesimo depuratore pervengano (attraverso distinti sistemi di collettamento) acque reflue urbane (soggette a direttiva 91/271/CEE) e diverse acque di scarico (non soggette a tale direttiva, quali ad esempio un miscuglio di acque industriali non assimilate a reflui urbani e acque domestiche) provenienti anche da impianti soggetti ad AIA, si pone il problema di garantire per il primo flusso il rispetto della direttiva 91/271/CEE, e per il secondo il rispetto della direttiva 2010/75/UE.
Come accennato in linea di principio nulla osta che l’intero depuratore sia assoggettato ad AIA (considerato che tale autorizzazione sostituisce l’autorizzazione allo scarico) considerando quindi la linea di trattamento dei reflui urbani come una unità tecnicamente connessa all’attività 6.11 di trattamento dei reflui industriali. In tal caso, comunque, l’AIA dovrà essere articolata in modo da garantire, per le acque reflue urbane, il pieno rispetto delle norme di recepimento della direttiva 91/271/CEE.
In alternativa, le due linee di trattamento possono essere considerate non tecnicamente connesse, e quindi oggetto di distinte autorizzazioni (una con riferimento alla direttiva 91/271/CEE e l’altra una AIA). Ciò è senz’altro necessario se non sono coinsediate. Alla luce degli indirizzi già forniti per individuare le unità tecnicamente connesse con circolare 22295 del 27/10/2014, il rilascio di due distinte autorizzazioni è altresì previsto se la funzionalità della prima linea di trattamento (per i reflui urbani) non è suscettibile di influenzare il funzionamento dell’attività 6.11, o comunque se esiste un disaccoppiamento tra il funzionamento delle due linee.

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