Amianto: linea guida del Snpa su terre e rocce da scavo

La finalità del documento è di fornire specifiche tecniche per il controllo e la mitigazione del rischio nelle differenti fasi: preliminari, di lavorazione e di indagine, senza trascurare i monitoraggi. Punto per punto i contenuti

Amianto: linea guida del Snpa

Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) (1) ha pubblicato (maggio 2023) la Linea guida per lo scavo, la movimentazione e il trasporto delle terre e rocce da scavo con amianto naturale e per i relativi criteri di monitoraggio.

Questo documento fa seguito alle Linee guida sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo di terre e rocce da scavo, emanate nel 2019 sempre dal Snpa.

La finalità della nuova guida consiste nel fornire specifiche indicazioni tecniche per il controllo e la mitigazione del rischio in tutte le diverse fasi - preliminari, di lavorazione e di indagini - in aree con presenza unicamente di amianto naturale, compresi i relativi monitoraggi.

In particolare, la linea guida del Snpa riguarda le zone con presenza di formazioni ofiolitiche (le cosiddette “pietre verdi”) o comunque interessate dalla presenza di materiali fibrosi naturali e, come evidenziato dal Snpa, raccoglie le migliori pratoche, a livello nazionale e internazionale, nonché le esperienze delle agenzie regionali di protezione ambientale (Arpa) maggiormente impegnate in questo ambito.

Le criticità

Innanzi tutto, la linea guida del Snpa esprime alcune criticità riguardo alla normativa vigente e in particolare all’articolo 247 del testo unico della sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008), in merito alla semplice classificazione delle sei tipologie di amianto ivi indicate (crisotilo, crocidolite, grunerite di amianto, antofillite di amianto, tremolite di amianto e actinolite di amianto), dal momento che, nel tempo, le nuove evidenze scientifiche hanno dato risalto a ulteriori fibre asbestiformi, non previste dalla vigente normativa, caratterizzate dal medesimo grado di pericolosità, quali: antigorite, fluoroedenite, erionite, balangeroite, carlosturanite, attapulgite o palygorskite, diopside, più raramente olivina, ticlinohumite e brucite. Alcune di queste sostanze sono state classificate come cancerogene dall’agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione nel Gruppo 1 – Cancerogeno per l’uomo (questa categoria è utilizzata quando c’è sufficiente evidenza di cancerogenicità nell’uomo) e precisamente l’erionite nel 2012 e la fluoroedenite nel 2017.

Per questo motivo, la linea guida del Snpa contiene un allegato relativo alle fibre non normate, con indicazioni circa le modalità di gestione volontarie improntate al principio di precauzione.

Altre carenze normative messe in evidenza dalla linea guida del Snpa riguardano in particolare i limiti di esposizione e di contaminazione. È precisato, infatti, che per la concentrazione limite di esposizione per le fibre aerodisperse in ambiente esterno di vita (outdoor) non esiste un valore di legge. In mancanza, è prassi considerare il valore di 1 ff/l, indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Inoltre, è messo in evidenza il contrasto normativo tra il D.M. Sanità 14 maggio 1996, (Normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto, previsti dall'art. 5, comma 1, lett. f, della legge. 257/92) e il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (il codice dell’ambiente, Norme in materia ambientale) e con il successivo D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120, (Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164). Infatti, mentre il D.M. 14 maggio 1996 prevede che, ai fini della valutazione della pericolosità dei materiali provenienti dall’attività estrattiva, occorre riferirsi all’Indice di rilascio con relativo valore limite, il D.Lgs. n. 152/06 prevede una concentrazione soglia di contaminazione (Csc) del suolo e del sottosuolo definita in termini di concentrazione in mg/kg, con relativo limite di legge. (2) Il documento evidenzia pertanto che, paradossalmente, potrebbe accadere che un materiale idoneo all’estrazione e alla commercializzazione (cioè con indice di rilascio inferiore al limite di legge), una volta messo in opera e sottoposto successivamente ad analisi in conseguenza di un eventuale intervento di scavo e movimentazione, potrebbe poi risultare contaminato ai sensi del D.Lgs. n. 152/06 e quindi da classificare come “rifiuto pericoloso”.

L’ambito applicativo

La linea guida definisce con precisione l’ambito di applicazione (terre e rocce da scavo in zone interessate dalla presenza di formazioni ofiolitiche, le cosiddette pietre verdi) o, in ogni caso, contenenti materiali fibrosi naturali per i quali sia stato riconosciuto un livello di cancerogenicità, sia per scavi in sotterraneo sia all’aperto, dai piccoli cantieri alle grandi opere.

Inoltre, distingue tra cantieri di piccole dimensioni, con volumi di terre e rocce da scavo prodotte inferiori a sei mila metri cubi e cantieri di grandi dimensioni, con volumi di terre e rocce da scavo prodotte superiori a sei mila metri cubi. Fa distinzione altresì, all’interno dei piccoli cantieri, di un’ulteriore categoria rappresentata dai micro-cantieri, vale a dire cantieri prevalentemente di privati, di piccola estensione con volumi di scavo ridotti e caratterizzati da lavori di breve durata.

Il fondo naturale

A proposito, poi, della problematica relativa al fondo naturale, la linea guida ribadisce che è ormai prassi consolidata stabilire limiti normativi superiori ai valori tabellari, in caso di accertati fenomeni naturali o antropici diffusi, come peraltro previsto dalla normativa ambientale europea e, più volte, dalla normativa nazionale di recepimento. Infatti, prendendo a riferimento il D.Lgs. n. 152/2006, si afferma che spesso il decreto richiama il concetto che, in determinate condizioni geologiche naturali, alcune sostanze possono presentare valori superiori al limite normativo della concentrazione di soglia di contaminazione e alla necessità, in tal caso, come detto, di procedere alla caratterizzazione del sito e all'analisi di rischio specifica.

Inoltre, la linea guida richiama in particolare l’articolo 240 Definizioni del D.Lgs. n. 152/2006 che, al comma 1, lettera b) asserisce che «Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati».

Ricorda altresì che all’allegato 2 (Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati) della parte IV del decreto, il legislatore precisa che «Al fine di conoscere la qualità delle matrici ambientali (valori di fondo) dell’ambiente in cui è inserito il sito potrà essere necessario prelevare campioni da aree adiacenti il sito. Tali campioni verranno utilizzati per determinare i valori di concentrazione delle sostanze inquinanti per ognuna delle componenti ambientali rilevanti per il sito in esame». Richiama inoltre il D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 (Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) che, all’articolo 2, comma 1, lettera h), definisce l’ambito territoriale con fondo naturale come una «porzione di territorio geograficamente individuabile in cui può essere dimostrato che un valore di concentrazione di una o più sostanze nel suolo, superiore alle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B, tabella 1, allegato 5, al titolo V, della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sia ascrivibile a fenomeni naturali legati alla specifica pedogenesi del territorio stesso, alle sue caratteristiche litologiche e alle condizioni chimico-fisiche presenti».

Vengono pure richiamati gli articoli 11 e 24 dello stesso D.P.R. per affermare che il legislatore da un lato ha inteso ampliare la possibilità di riutilizzo dei materiali amiantiferi naturali, anche con concentrazioni superiori alle Csc, ma esclusivamente all’interno del sito di produzione e dall’altro ha escluso espressamente qualsiasi riutilizzo all’esterno del sito in qualità di sottoprodotti.

Pertanto, la linea guida, mettendo in risalto una carenza specifica della normativa vigente, asserisce in sostanza che per l’amianto naturale non è possibile stabilire un valore numerico certo di fondo.

I grandi cantieri

La mappatura dell’amianto naturale

La linea guida evidenzia la necessità di avere a disposizione una cartografia tematica della distribuzione dell’amianto naturale in quanto quest’ultima rappresenta un valido supporto sia alla pianificazione territoriale sia alla progettazione di opere infrastrutturali. Si ricorda, infatti, che il D.M. Ambiente 18 marzo 2003, n. 101 (Regolamento per la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n. 93) ha affidato alle Regioni e alle Province autonome il compito di effettuare la mappatura dei siti caratterizzati dalla presenza di amianto nell'ambiente naturale o costruito.

A questo riguardo, il documento fornisce indicazioni non soltanto per la realizzazione della mappatura da parte delle Regioni e delle Province autonome che non l’abbiano ancora realizzata o completata, ma anche ai fini degli studi a scala territoriale connessi a strumenti urbanistici o alla progettazione di grandi opere infrastrutturali.

In particolare, la linea guida, prendendo a riferimento la Carta geologica d'Italia alla scala 1:100.000 (3) e la più recente Carta geologica d'Italia alla scala 1:50.000 (CARG) (4), propone che, all’interno delle aree di rilevamento, devono essere selezionati siti significativi sulla base dei seguenti criteri:

  • evidenze macroscopiche di fibre sull’affioramento o nei suoli e nelle coltri detritiche circostanti;
  • facilità di accesso a tali affioramenti, per la vicinanza a strade di interesse regionale, provinciale o comunale;
  • prossimità a centri abitati o a infrastrutture pubbliche e private.

Propone altresì che ciascun sito selezionato sia georiferito e riportato sulla cartografia geologica, con la compilazione di una scheda informativa schematica contenente le risultanze delle attività di rilevamento e delle analisi di laboratorio, da inserirsi poi in un database alfanumerico associabile alla cartografia Gis (5) per le elaborazioni e le interrogazioni, secondo gli standard del Sistema informativo nazionale ambientale (6). Inoltre, nei siti selezionati, deve essere effettuato un rilevamento geologico e strutturale di dettaglio, mirato a valutare la presenza di litologie che possono sviluppare minerali di amianto in relazione allo stato di variabilità delle facies petrografiche, dello stato di deformazione tettonica degli affioramenti rocciosi e delle associazioni litostrutturali che possono essere sede di minerali fibrosi.

Il documento fornisce poi indicazioni su prelievo di campioni e successive analisi nonché sulla realizzazione di un modello geologico, attraverso una classificazione fondata sulla probabilità di occorrenza dei minerali di amianto (Poma) in classi a probabilità differenziata (bassa, media, alta), legata alla previsione di riscontrare o meno presenza di amianto in fase di scavo, mutuando l’esperienza della Regione Piemonte.

Le indicazioni per la progettazione

È evidenziato che nel caso di grandi cantieri è necessario in primis disporre di una cartografia tematica della distribuzione dell’amianto naturale, la quale deve poi costituire il supporto conoscitivo fondamentale da utilizzare, a partire dallo studio di fattibilità.

Si ribadisce poi la necessità di effettuare tutti i rilievi finalizzati all’accertamento della presenza di amianto nelle terre e rocce del sito passando da un modello teorico in termini di Poma a un modello geologico fondato sulla reale presenza di amianto e, quindi, in termini di effettiva pericolosità. A questo proposito, la linea guida distingue tra vari livelli di pericolo (predittivo, verificato, effettivo), ciascuno distinto a sua volta in diverse classi (basso, medio, alto).

Sarà poi il coacervo di notizie e dei dati acquisiti che permetteranno di valutare l’ubicazione dell’opera, con la finalità di limitare il più possibile l’interferenza con la presenza naturale di amianto e comunque prevedere tutte le soluzioni progettuali tendenti a minimizzare il rischio di esposizione dei lavoratori e l’aerodispersione di fibre nell’ambiente.

Per quanto riguarda poi la realizzazione delle opere su terreni con presenza di amianto, la preoccupazione principale da tutti i punti di vista deve essere quella di ridurre la liberazione di fibre dagli ammassi rocciosi o dai terreni, rendere minime le esposizioni dei lavoratori e della popolazione. Occorre, perciò, fin dalla fase di progettazione individuare e gestire le criticità di tutte le fasi operative, così da ridurre il più possibile la dispersione in aria di fibre di amianto.

Si precisa che la linea guida prende a riferimento l’ambiente di vita, ambito d’azione delle Arpa, anche se questo ambiente è di fatto legato all’ambiente di lavoro, che, come noto, è sotto l’egida delle aziende aanitarie competenti per territorio. Il legame tra ambiente di vita e ambiente di lavoro è dovuto in sostanza al fatto che quest’ultimo può essere fonte di dispersione di fibre anche nell’ambiente di vita soprattutto se l’ambiente di lavoro non è stato preventivamente confinato.

La linea guida distingue le operazioni di scavo in scavi in sotterraneo e scavi all’aperto.

L’esecuzione dei lavori

Per quanto riguarda la fase realizzativa, la Linea guida ribadisce che, in caso di lavori che riguardano terreni con presenza naturale di amianto, è necessario ottenere in ogni fase la riduzione della liberazione di fibre, il loro contenimento e la riduzione al minimo possibile dell’esposizione degli operatori e della popolazione. Pertanto occorre individuare e gestire le criticità in ciascuna fase operativa.

Inoltre, il documento distingue le opere in due tipologie: scavi in sotterraneo e scavi all’aperto.

Gli scavi in sotterraneo

La linea guida correla gli scavi in sotterraneo alla realizzazione di gallerie, stradali o ferroviarie e distingue le tecniche di scavo in scavi meccanizzati (con frese meccaniche a piena sezione) e scavi tradizionali (con martello demolitore idraulico o con esplosivo). Sottolinea, inoltre, che lo scavo meccanizzato presenta il vantaggio di mantenere il fronte di scavo confinato rispetto alle zone retrostanti e, soprattutto, con un numero minore di maestranze impegnate, mentre lo scavo tradizionale ha il vantaggio di consentire una continua visibilità del fronte ai fini diagnostici e di offrire una superiore versatilità operativa.

Viene precisato che nello scavo meccanizzato le criticità sono legate alle fasi di carico e trasporto dello smarino all’esterno dell’ambiente di lavoro, oltre a quelle derivanti dalle necessità di accesso alla camera stagna al fronte per le operazioni di manutenzione e per la periodica sostituzione degli utensili di scavo.

Nello scavo tradizionale, invece, occorre prestare attenzione a rendere minima la produzione di polveri potenzialmente amiantifere durante tutte le operazioni che comportano un contatto diretto con la roccia (scavo di avanzamento, profilature, consolidamenti eccetera) e all’eventuale creazione di barriere di separazione tra il cavo della galleria e l’esterno. Inoltre, in caso di rischio elevato, si prescrive che la galleria sia compartimentata per il tramite di appositi setti-barriera strutturali con sviluppo pari alla sezione di scavo e caratteristiche di impermeabilità a polveri e fibre d’amianto. Questa compartimentazione deve consistere nel suddividere la galleria almeno nelle seguenti tre zone: zona A (contaminata), caratterizzata dalla dispersione di fibre d’amianto in ari; zona B (di decontaminazione), nella quale sono posizionate le attrezzature e gli apprestamenti necessari alla decontaminazione di mezzi e personale; zona C (compresa fra compartimentazione zona B e imbocco): con condizioni di rischio minime.

In sostanza, la compartimentazione deve avere le seguenti caratteristiche:

  • provvedere al confinamento nella zona A delle lavorazioni di perforazione e scavo che comportano esposizione all’amianto, con conseguenti attività di messa in sicurezza e di rivestimento provvisorio;
  • limitare alle sole attività di decontaminazione le lavorazioni nella zona B;
  • nelle zone A e B, è necessario avere un’efficace aspirazione delle polveri e delle conseguenti fibre aerodisperse. Il sistema deve garantire una depressione nelle zone A e B rispetto al resto della galleria. L’aria aspirata deve essere filtrata prima dell’emissione, mediante aspiratori dotati di filtri ad alta efficienza Hepa (High efficiency particulate air filter).

La linea guida prevede poi l’utilizzo di esplosivi in presenza di rocce amiantifere, qualora preferibile rispetto ad altre tecniche di scavo, ma asserisce che, in questo caso, occorre considerare che se, da un lato, questo riduce la presenza e i tempi di permanenza del personale al fronte di scavo, comportando una liberazione di fibre complessivamente minore, dall’altro, la liberazione delle fibre avviene in tempi brevissimi e richiede, pertanto, l’adozione di specifici accorgimenti, limitando l’uso delle barriere fisiche, in conseguenza delle elevate pressioni in galleria successivamente alla deflagrazione.

È precisato, inoltre, che occorre provvedere a:

  • effettuare sondaggi in avanzamento;
  • esaminare il fronte di scavo ai fini della valuta­zione del rischio amianto.

Per quanto riguarda poi i mezzi d’opera, questi ultimi devono essere dotati di dispositivi specifici ai fini della mitigazione del rischio amianto, tra i quali:

  • cabina di guida chiusa posta in sovrappressione mediante impianto di ventilazione dotato di filtri HEPA, e contestuale utilizzo, da parte dei conducenti dei mezzi, di DPI per la protezione delle vie respiratorie. In condizioni di rischio basso, è ammesso l’utilizzo di mezzi con cabina non dotata di filtro Hepa, purché l’interno cabina sia fatto oggetto di accurata pulizia ed aspirazione ad ogni fine turno di lavoro con attrezzature dotate di filtri Hepa;
  • telecamere montate all'esterno dei mezzi per l’eliminazione dei punti ciechi visuali;
  • sistema di comunicazione tra i conducenti a bordo dei mezzi e il personale a terra, per evitare la necessità di apertura di porte o finestrini;
  • sistemi di bagnamento ad acqua integrati per i mezzi impegnati nello scavo e/o nella movimentazione delle terre e rocce da scavo;
  • cassoni con sponde a tenuta stagna al fine di prevenire fenomeni di percolazione di acqua e fango contaminati e chiusura superiore a mezzo di telo mobile.

Gli scavi all’aperto

La linea guida evidenzia che se, da un lato, eseguire scavi all’aperto è più semplice rispetto agli scavi in sotterraneo, questi ultimi d’altro canto comportano una maggiore possibilità di aerodispersione di fibre di amianto al di là delle zone di lavoro. Occorre anche, in questo caso, provvedere a ridurre il più possibile la liberazione di fibre e nel contempo realizzare barriere fisiche per il contenimento della dispersione e, nel caso di grandi cantieri, laddove necessario, occorre eseguire il monitoraggio delle aree di lavoro e delle zone limitrofe al cantiere, mediante appositi campionatori ambientali.

Per i grandi cantieri la Linea guida propone principalmente di:

  • considerare la presenza di amianto naturale nelle aree di scavo in tutte le fasi progettuali, analizzando l’esistenza e le caratteristiche di terreni amiantiferi;
  • eseguire il monitoraggio delle fibre aerodisperse prima dell’inizio dei lavori (“punto zero” o “bianco” ambientale);
  • predisporre i campionatori di fibre di amianto su almeno due ipotetiche circonferenze concentriche: la prima lungo il contorno dell’area di cantiere, e la seconda a una distanza di alcune centinaia di metri;
  • delimitare il perimetro del cantiere con una barriera antipolvere e prevedere la messa in funzione di cannoni nebulizzatori;
  • installazione di apposita unità di decontaminazione per il passaggio e lavaggio degli operatori e prevedere la decontaminazione completa dei mezzi d’opera in un’apposita area di lavaggio;
  • proteggere il più possibile la pavimentazione delle zone di transito al fine di evitare il sollevamento delle polveri e l’aerodispersione delle fibre di amianto.
  • mantenere umide le zone di scavo e di lavorazione e tutte le altre in cui po' verificarsi il sollevamento di polveri, prevedendo l’utilizzo di cannoni nebulizzatori;
  • esecuzione degli scavi avendo cura di adottare apposite inclinazioni dei terreni al fine di evitare fenomeni franosi;
  • eseguire periodicamente e in ogni caso a fine turno, il lavaggio delle superfici pavimentate, prevedendo la raccolta delle acque di lavaggio, le quali dovranno essere smaltite come rifiuti oppure potranno essere smaltite all’interno del sito di lavorazione previa filtrazione;
  • sistemazione del terreno amiantifero, in via provvisoria o in via definitiva in caso di successivo riutilizzo, in cumuli identificati e separati da eventuali altri materiali, e dovrà essere completamente coperto con geotessuto, ben fissato;
  • i mezzi d’opera devono essere caricati limitando al massimo l’altezza di sversamento della cucchiaia dell’escavatore, essere dotati di cassoni con sponde a tenuta stagna al fine di prevenire fenomeni di percolazione di acqua e fango contaminati e di chiusura superiore a mezzo di telo mobile, e procedere costantemente a velocità ridotta sulle piste di cantiere;
  • il monitoraggio delle fibre aerodisperse dovrà essere eseguito con riferimento al “bianco” ambientale e alle soglie di attenzione e di allarme predeterminate, con l’avvertenza di attuare misure all’occorrenza addirittura, nel caso di superamento del livello di allarme, i lavori dovranno essere sospesi per la disamina puntuale delle possibili cause e l’individuazione delle misure correttive da adottare;
  • il personale preposto alle operazioni dovrà essere in possesso di adeguata informazione e formazione, e dotato degli opportuni dispositivi di protezione individuali.

I piccoli e micro-cantieri

Considerando che per i piccoli e micro-cantieri le indicazioni sopra riportate potranno essere ragionevolmente ridotte, in sostanza la linea guida prevede le medesime precauzioni operative, già indicate per i grandi cantieri cui si fa riferimento precisando in particolare che anche per i piccoli e i micro­cantieri è possibile la presenza di siti sensibili (ad esempio, scuole, ospedali, centri di aggregazione all’aperto), oltre a pericolosità connessa alla presenza di amianto o ad aspetti geologici.

Ulteriori indicazioni

La linea guida propone anche altre indicazioni, quali:

  • adozione di precauzioni per sondaggi e palificazioni all’aperto in presenza di amianto naturale, al fine di limitare la dispersione di fibre;
  • corretta gestione delle acque di cantiere le quali devono essere raccolte tramite cunette e canalette, e recapitate ad un sistema di trattamento, prima del loro riutilizzo o del loro scarico in un recettore naturale finale; occorre considerare apposita unità di filtrazione e, eventualmente, un’ulteriore unità di “ultrafiltrazione”;
  • eseguire la caratterizzazione dei materiali da scavo ai fini dell’accertamento della sussistenza dei requisiti di qualità ambientale delle terre e rocce da scavo ai sensi del D.P.R. n. 120/2017, mediante prelievo di appositi campioni;
  • prestare attenzione al monitoraggio delle fibre di amianto ae­rodisperse al fine di poter quantificare e gestire il rischio sia all’interno della galleria sia nelle aree esterne (ambiente di lavoro e ambiente di vita);
  • il personale operativo dovrà essere dotato degli appositi dispositivi di protezione individuale (in particolare Dpi delle vie respiratorie e tute protettive) e deve essere adeguatamente informato, formato e addestrato, aver seguito uno specifico corso per la gestione del rischio amianto in matrice minerale, progettato e definito nel dettaglio prima dell’inizio dei lavori in collaborazione tra il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione (Cse) e il servizio di prevenzione e protezione (Spp) dell’impresa esecutrice dei lavori oppure, come previsto dal comma 3 dell’art. 31 del D.Lgs. n. 81/2008, da parte di persona esterna all’azienda «in possesso delle conoscenze professionali necessarie». È precisato che il personale dovrà essere sottoposto alla verifica dell’efficacia della formazione erogata, addestrato sul campo sulle procedure di decontaminazione attraverso un tutor esperto e dovranno essere attuate anche simulazioni ed esercitazioni, nonché aggiornamenti continui specialmente in caso di modifiche delle condizioni di lavoro. La gestione di queste operazioni dovrebbe essere necessariamente affidata a un’impresa di bonifica iscritta all’Albo nazionale gestori ambientali sia nella categoria 9 - Bonifica dei siti inquinati - sia nella categoria 10 - Bonifica dei beni contenenti amianto, sottocategoria B (7), dotata di attrezzature specifiche e di personale abilitato per legge. (8)

Inoltre, per quanto riguarda le analisi delle fibre aerodisperse o nelle terre e rocce, è precisato che queste ultime devono essere eseguite da tecnici analisti in possesso di adeguata esperienza e che le determinazioni analitiche, qualitative e quantitative, dovranno essere effettuate ovviamente soltanto da laboratori autorizzati dal ministero della Salute, come previsto dall’allegato 5 del D.M. 14 maggio 1996. Inoltre, ai fini dell’esecuzione del campionamento e delle analisi delle fibre di amianto aerodisperse occorre fare riferimento a quanto indicato nell’allegato 2b del D.M. Sanità 6 settembre 1994, (Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto).

A questo proposito, viene proposto che dovranno essere altresì considerate la norma Uni En Iso 16000-7 e il rapporto Istisan 15/5. Siccome queste norme sono riferite ai campionamenti e all’analisi dell’aria di ambienti interni (indoor) dovranno essere eventualmente modificate per adattarle ai campionamenti e analisi di aria in ambiente esterno (outdoor). Inoltre, per quanto riguarda terre e suoli, è precisato che nell’allegato 1 del D.M. 6/ settembre 1994 sono indicate le seguenti tecniche analitiche: SEM/EDS, MOLP-DC, FTIR e DRX. La linea guida fornisce poi gli elementi essenziali per un corretto sviluppo di tali metodiche, mantenendo come riferimento gli Allegati 1 e 3 del D.M. 06/09/94.

Infine, completano il documento i seguenti allegati: allegato 1 - Amianto naturale; allegato 2 - Il problema delle fibre non-normate.

Sul tema amianto, leggi anche Cresciute le prestazioni a favore di vittime ed eredi, di Sergio Clarelli.

___________________________

(1) Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) è stato istituito a seguito dell’entrata in vigore della Legge 28 giugno 2016, n 132 Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”. Esprime il proprio parere vincolante sui provvedimenti del governo di natura tecnica in materia ambientale e segnala al ministero dell’Ambiente e alla Conferenza permanente Stato-Regioni l’opportunità di interventi, anche legislativi.

(2) Per la bonifica dei siti contaminati da amianto, occorre fare riferimento alla parte quarta, titolo V, allegato 5 del codice dell’Ambiente e, in particolare, al rigo della tabella 1 Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare, riferita all’amianto. Inoltre, per concentrazioni soglia di contaminazione si intendono i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di rischio sito specifica e tale concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo, con riguardo all’amianto è pari a 1.000,00 (mg/kg espressi come ss) sia per i siti a uso verde pubblico privato e residenziale sia per i siti a uso commerciale e industriale (mg/kg espressi come ss). Corrisponde al limite di rilevabilità della tecnica analitica (diffrattometria a raggi X o I.R, trasformata di Fourier).

(3) La carta alla scala 1:100.000 dell'intero territorio nazionale è costituita da 277 fogli geologici, iniziati nel 1877 e completati nel 1976. I fogli geologici e le relative note illustrative sono consultabili presso la biblioteca di Ispra.

(4) Il Progetto Carg (Cartografia geologica) è stato avviato nel 1988 e prevede la realizzazione dei 652 fogli geologici e geotematici alla scala 1:50.000 per la copertura dell’intero territorio nazionale. Il lavoro è svolto in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, con il Cnr e le università, ed è coordinato dal Servizio geologico d’Italia in qualità di organo cartografico dello Stato.

(5) Il Gis (Geographic information system) è un sistema informativo geografico computerizzato utile ad acquisire, analizzare, memorizzare, gestire e rappresentare dati riguardanti la posizione geografica per cui è a supporto di decisioni.

(6) La realizzazione e gestione del Sistema informativo nazionale ambientale (Sina) sono affidate a Ispra che si avvale di poli territoriali costituiti da punti focali regionali (Pfr), cui concorrono i sistemi informativi regionali ambientali (Sira) e la cui gestione è affidata alle agenzie territorialmente competenti. Il Sina, i Pfr e i Sira costituiscono la rete informativa nazionale ambientale denominata Sinanet.

(7) Vedere S. Clarelli, La gestione tecnica del rischio amianto, edizioni Tecniche Nuove, 2020.

(8) Vedere, in proposito anche S. Clarelli, I protagonisti della filiera amianto: le imprese impegnate nella bonifica, Ambiente&Sicurezza, n. 1/2023 e S. Clarelli, I principali protagonisti della filiera impegnata nella bonifica dell’amianto/2: fra esami e formazione, Ambiente&Sicurezza, n. 3/2023.

 

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