End of waste di inerti: tutte le criticità del nuovo decreto

End of waste di inerti
Il decreto del Mite del  15 luglio reca i criteri specifici da rispettare per il recupero dei rifiuti inerti da attività di costruzione e demolizione, nonché per altri rifiuti di origine minerale. Tuttavia, da una prima attenta lettura emergono criticità che rischiano di bloccare il mercato di riferimento

(End of waste di inerti: tutte le criticità del nuovo decreto)

Il decreto del Mite del  15 luglio reca i criteri specifici da rispettare per il recupero dei rifiuti inerti da attività di costruzione e demolizione, nonché per altri rifiuti di origine minerale. A valle delle operazioni di recupero – esclusivamente di tipo meccanico - previste dal nuovo regolamento, questi rifiuti, che cessano di essere considerati tali, si potranno qualificare come “end of waste”, segnatamente come aggregati recuperati per utilizzi specifici.

A breve sarà pubblicato un approfondimento dettagliato sulla Banca dati degli articoli on-line di A&S e su Ambiente&Sicurezza; in questa sede è già, però, possibile offrire un rapido sguardo generale alla disciplina e anticipare i temi sui quali occorrerà riflettere.

 

La struttura e i contenuti

Quanto alla struttura, il regolamento si compone di otto articoli e tre allegati.

Nell’articolato trovano posto:

  • l’oggetto, la finalità e l’ambito di applicazione (art. 1);
  • le definizioni (art. 2);
  • i criteri per ottenere gli end of waste (art. 3);
  • gli utilizzi ammissibili (art. 4);
  • le responsabilità del produttore del rifiuto al quale compete la caratterizzazione e quelle del produttore dell’aggregato che attesta, con autocertificazione, il rispetto di quanto previsto dal regolamento (art. 5);
  • la necessità, per il produttore dell’aggregato, di dotarsi di un sistema di gestione certificato (art. 6)
  • la facoltà per il ministero rivedere i criteri all’esito di un monitoraggio sull’attuazione della durata di sei mesi (art. 7);
  • il regime transitorio (art. 8).

 

Quanto agli allegati:

  • nel primo – richiamato dall’art. 3 – rientrano l’elenco dei rifiuti ammessi al recupero, le disposizioni sul processo di gestione e trattamento, le concentrazioni limite sull’aggregato tal quale e quelle sull’eluato a valle del test di cessione, nonché le norme tecniche per la certificazione CE dell’aggregato recuperato.
  • l’allegato 2 – richiamato dall’art. 4 – indica gli utilizzi ammissibili e le norme tecniche Uni da rispettare per l’utilizzo. In ultimo;
  • l’allegato 3 – richiamato dall’art. 5 – contiene il modello della dichiarazione di conformità (Ddc).

 

 

Le criticità

Tuttavia, già a una prima lettura emergono alcuni aspetti critici che meriteranno adeguata riflessione.

Ad esempio, quanto all’ambito di applicazione, sono evidenti i limiti del regolamento che si occupa solo di alcuni rifiuti, rigorosamente inerti non pericolosi, e che lascia fuori quelli, non certo rari in Italia, abbandonati e sotterrati che potrebbero diventare, di fatto, il primo caso di rifiuto “irrecuperabile” destinato solo a smaltimento.

Non è agevole comprendere come applicare, in concreto, la via preferenziale che il produttore dell’aggregato dovrebbe accordare ai rifiuti provenienti da demolizione selettiva, così come è stata inserita, senza ulteriori precisazioni né definizioni, nel comma 1 dell’art. 1.

Benché il decreto si rivolga principalmente al recuperatore produttore dell’aggregato, allo stesso dovrà prestare attenzione anche il produttore del rifiuto che, per primo, qualifica il rifiuto come inerte, caratteristica che poi il produttore dell’aggregato dovrà sostanzialmente confermare. Questa considerazione apre un’ulteriore riflessione sulle concentrazioni. Il regolamento, infatti, da un lato impone all’aggregato, utilizzato ad esempio come sottofondo stradale, il rispetto dei limiti di concentrazione più cautelativi in assoluto, vale a dire quelli previsti in ambito bonifica per i siti a uso residenziale, e dall’altro circoscrive le sostanze da ricercare e nell’eluato innalza i limiti per i cloruri e solfati, andando così a creare una situazione ibrida suscettibile di diverse interpretazioni ma con potenziale rilevante impatto sul settore della produzione degli aggregati.

Non immune da criticità pratiche è anche l’aver previsto il rispetto di norme tecniche per la fase di utilizzo poiché, in questo modo, il regolamento lega tra loro non più due soggetti (come è nel caso delle terre e rocce da scavo gestite come sottoprodotti), bensì tre: 1) il produttore del rifiuto cui compete la classificazione, 2) il produttore dell’aggregato che lo recupera e 3) il suo utilizzatore, con tutte le implicazioni che ne derivano in termini di responsabilità e delle connesse pattuizioni contrattuali.

Quanto alla gestione operativa, il D.M. sembra non considerare che molti siti non hanno disponibilità di aree estese e che la gestione indipendente dei singoli lotti in attesa della verifica di conformità risulterà in molti casi impossibile, imponendo dunque evidenti limitazioni alla continuità di produzione degli aggregati.

Appare poi sostanzialmente inattuabile la facoltà di revisione – in sede di prima attuazione - dei criteri specifici da parte del ministero, posto che lo scadere del termine di 180 giorni per monitorare l’impatto pratico delle nuove norme e valutare eventuali modifiche coincide con il termine entro il quale i recuperatori dovranno presentare la domanda di adeguamento; si tratta pertanto, di fatto, di un periodo di monitoraggio nel quale, probabilmente, non ci sarà nulla di nuovo da monitorare. Più opportuno sarebbe, dunque, sfruttare questa fase per apportare eventuali modifiche al decreto, o chiarirne i passaggi dubbi.

Come detto, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto, i recuperatori che già operano in regime di autorizzazione ordinaria, integrata, sperimentale o semplificata dovranno presentare la domanda di adeguamento alle nuove disposizioni (in forma, a seconda dei casi, di istanza o comunicazione), pena l’impossibilità di proseguire l’attività. Ciò impone loro di valutare con estrema urgenza la possibilità di adottare le modifiche strutturali e organizzative necessarie per procedere in tal senso, ivi compresa l’obbligatoria adozione/modifica dei sistemi di gestione, evidenziando che questo lasso temporale potrebbe non essere sufficiente per ottenere una certificazione nuova o modificare quella esistente. Anche in ordine alle modalità di aggiornamento dei titoli autorizzativi (e alle relative tempistiche) il decreto non si esprime, con l’effetto pratico di demandare al confronto con le autorità competenti il percorso di adeguamento e la relativa documentazione da produrre.

A breve seguirà un approfondimento dettagliato sul decreto che sarà pubblicato sulla Banca dati degli articoli on-line di A&S e su Ambiente&Sicurezza.

 

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