La classificazione dei rifiuti tra stato dell’arte e novità

Il tema ha fatto registrare solo di recente un allineamento alle indicazioni europee, dopo anni di interventi disorganici. Ultimo in ordine di tempo, il D.Lgs. n. 116/2020, nella prospettiva di dare una ulteriore spinta di unificazione al settore (strategico in quanto posto alla base della successiva corretta gestione dei rifiuti), ha previsto l’approvazione – con decreto del ministero della Transizione ecologica – di linee guida da parte del Snpa destinate a costituire riferimento tecnico vincolante per le procedure di classificazione dei rifiuti. È in attuazione di questa previsione che, con decreto direttoriale n. 47/2021, il Mite ha approvato le linee guida sulla classificazione dei rifiuti di cui alla delibera del consiglio Snpa n. 105/2021 (integrate da un ulteriore paragrafo in tema di trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati) LEGGI TUTTO L'ARTICOLO

La normativa in tema di classificazione dei rifiuti è stata oggetto, negli anni passati di numerosi (e spesso disorganici) interventi normativi. In tempi recenti, tuttavia, la normativa nazionale si è faticosamente allineata – formalmente e sostanzialmente – alle indicazioni europee. Un percorso simile ha seguito la giurisprudenza che, dopo anni di contrasti e altalenanti arresti, complice un granitico intervento della Corte di Giustizia europea, ha intrapreso un percorso – pur non ancora giunto a compimento – di unificazione. Con il D.Lgs. n. 116/2020, nella prospettiva di dare una ulteriore spinta di unificazione al settore (strategico in quanto posto alla base della successiva corretta gestione dei rifiuti), è stata prevista l’approvazione – con decreto del ministero della Transizione ecologica (Mite) – di linee guida da parte del Snpa destinate a costituire riferimento tecnico vincolante per le procedure di classificazione dei rifiuti. È in attuazione di questa previsione che, con decreto direttoriale 9 agosto 2021, n. 47, il Mite ha approvato le linee guida sulla classificazione dei rifiuti di cui alla delibera del consiglio Snpa 18 maggio 2021, n. 105 (integrate da un ulteriore paragrafo in tema di trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati). Prima di analizzarne, per macro-ambiti, i contenuti, pare opportuno ricordare quello che, per anni, è stato il fulcro dell’evoluzione normativa e del dibattito giurisprudenziale in tema di classificazione dei rifiuti per pericolosità, vale a dire la classificazione dei rifiuti con codici speculari.

 

Il punto critico

Almeno fino al 2017, in tema di pericolosità dei rifiuti (e, in particolar modo, di classificazione dei rifiuti speculari[1]Sono detti rifiuti con codice “a specchio” quelli la cui descrizione è presente – con differenti codici identificativi (Eer) – sia priva di asterisco che con asterisco (vale a dire in forma non pericolosa e pericolosa).), si sono andati formando due contrapposti orientamenti interpretativi.

Seguendo la tesi detta della “certezza” o “pericolosità presunta”, classificare correttamente i rifiuti con codici speculari voleva dire averne una conoscenza “esaustiva” ottenuta a valle di indagini tecniche su tutte le componenti astrattamente presenti nel rifiuto e per una percentuale che, sommata a quella di concentrazione più bassa prevista per le varie sostanze pericolose, raggiungesse il 100%. Conseguenze di questa interpretazione erano:

  • la necessità di indagare la pressoché totalità della composizione del rifiuto;
  • l’indagine analitica da svolgersi su tutte le potenziali sostanze (compresi i “composti peggiori”);
  • l’irrilevanza di qualsivoglia criterio di pertinenza tra le sostanze indagate ed il ciclo produttivo di origine per limitare l’oggetto di analisi.

 

A livello di accertamenti e controlli, l’applicazione di questo orientamento rigido si era tradotto nella presunzione di pericolosità in tutti i casi di analisi non “esaustive” secondo i canoni anzidetti (con i conseguenti risvolti sanzionatori).

Da contraltare era, invece, la tesi detta della “pertinenza” per cui l’indagine sulla pericolosità dei rifiuti speculari andava condotta avendo come primo (e fondamentale) riferimento la potenziale presenza delle sostanze nel processo di produzione del rifiuto indagato. Indagini più estese, infatti, avrebbero contrastato con una corretta applicazione dei principi di precauzione, proporzionalità e sostenibilità tecnico/economica. Conseguenza di questa interpretazione erano la possibilità per il produttore di effettuare una valutazione tecnica per l’individuazione delle sostanze da indagare e la conseguente legittimità di una riduzione, financo esclusione, di indagini a valle di questa valutazione (aspetti che, dunque, avrebbero dovuto costituire i canoni di verifica della completezza dell’indagine svolta).

 

L’insegnamento comunitario e i risvolti nazionali

Le tesi sin qui esposte avevano trovato altalenante conforto sia a livello normativo che in giurisprudenza (vedere il box 1) sino a quando, con ordinanza 27 luglio 2017, n. 37460 (vedere il box 2), la Corte di Cassazione penale italiana ha rimesso la valutazione alla Corte di giustizia europea.

 

Box 1

Interpretazioni altalenanti

A livello normativo la tesi della “pertinenza” è stata sostenuta valorizzando i riferimenti a questi criteri contenuti nelle disposizioni comunitarie (tra cui la decisione n. 955/2014/Ue e il regolamento n. 1357/2014/Ue) nonché in linee guida elaborate in diversi stati europei sulla tematica. Una lettura formalistica della legge n. 116/2014 è stata, invece, posta a base della tesi della “certezza”. In passato, in giurisprudenza, si era a più riprese sostenuto che:

  • l’onere della prova della tesi accusatoria non può ritenersi assolto sulla base di mere presunzioni di responsabilità fondate esclusivamente sulla presunta non esaustività delle analisi, dovendosi, invece, verificare in concreto l’operato del privato chiamato a classificare il rifiuto (si vedano sul punto, a titolo esemplificativo, le sentenze della Corte d’Appello di Roma 12 gennaio 2012, n. 6682, e del del Tribunale di Tivoli 24 maggio 2012, n. 652);
  • mancando a livello normativo un criterio presuntivo per stabilire la pericolosità dei rifiuti caratterizzati da codice “a specchio”, l’attribuzione della pericolosità deve basarsi sul criterio della “pertinenza” delle sostanze con le caratteristiche proprie del rifiuto, con l’origine ed il ciclo produttivo dello stesso (sentenza del tribunale di Palermo 21 ottobre 2016).

Diverse valutazioni sono state, invece, raggiunte nella sentenza della Cassazione penale 9 novembre 2016, n. 46897, che, valorizzando i contenuti della legge n. 116/2014, ha affermato la necessità di indagini analitiche esaustive – secondo rigidi canoni interpretativi – per poter escludere la pericolosità di rifiuti con codici speculari.

Nell’affrontare il tema, la Corte di giustizia ha disatteso la prospettiva della presunzione di pericolosità, aderendo, invece, per vari tratti (ma, va sottolineato, non tutti) all’impostazione seguita nella seconda tesi (detta della “pertinenza”). Nell’ottica di «operare un bilanciamento tra, da un lato, il principio di precauzione e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica» i giudici comunitari non hanno, infatti, ritenuto che i detentori dei rifiuti dovessero essere «obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame», potendo circoscrivere l’indagine alle «sostanze che possono essere ragionevolmente presenti in tale rifiuto e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze». Nello scandire tali principi, la Corte di giustizia ha poi precisato, con approccio equilibrato:

  • l’obbligo, per il produttore, di indagare la composizione del rifiuto attraverso analisi, prove, informazioni sul processo produttivo di origine e sulle sostanze o sui prodotti in esso utilizzati;
  • l’assenza di qualsivoglia presunzione di pericolosità;
  • la necessità di ricercare le sostanze ragionevolmente presenti nel rifiuto, senza «alcun margine di discrezionalità a tale riguardo»;
  • la necessità, soltanto a esito di queste verifiche e in caso di «impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo», di classificare il rifiuto come pericoloso.

 

Box 2

Ordinanza 27 luglio 2017, n. 37460

[…] «Sussistendo, in definitiva, un ragionevole dubbio circa l’ambito di operatività delle disposizioni comunitarie che l’ultimo intervento del legislatore nazionale espressamente richiama, ritiene il Collegio che il presente processo sia sospeso, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia affinché si pronunci sui seguenti quesiti: «a) Se l’allegato alla decisione [2000/532 e l’allegato III della direttiva 2008/98] vadano o meno interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quando non ne è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti; b) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi predeterminate; c) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto; d) Se, nel dubbio o nell’impossibilità di provvedere con certezza all’individuazione della presenza o meno delle sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione».

All’esito dell’espressione della Corte di Giustizia, la Corte di cassazione penale (ordinanza 21 novembre 2019, n. 47288, “gemella” di altre due ordinanze – nn. 47289 e 47290 – formulate sullo stesso tema e in pari data), ha recepito l’insegnamento comunitario giungendo alle seguenti conclusioni:

  • gli opposti rigidi orientamenti che si sono strutturati nel corso degli anni non sono condivisibili per dovendo essere «certamente esclusa la “presunzione di pericolosità”»;
  • vi è uno specifico dovere, per il produttore, di raccogliere tutte le informazioni idonee quando la composizione del rifiuto potenzialmente pericoloso non è immediatamente nota;
  • la scelta delle modalità con cui ricercare le sostanze ragionevolmente presenti non può essere arbitraria;
  • è, dunque, necessario seguire le metodologie indicate dai giudici europei nell'andare a raccogliere le informazioni necessarie per individuare le sostanze pertinenti con garanzia di efficacia e rappresentatività (vedere il box 3).

Box 3

I metodi per raccogliere le informazioni relative alla composizione dei rifiuti

La Corte di giustizia, nella sentenza del 28 marzo 2019 (cause riunite da C-487/17 a C-489/17), ha ricordato l’esistenza di diversi metodi per raccogliere le informazioni relative alla composizione dei rifiuti e all’eventuale presenza di caratteristiche di pericolo, in particolare:

1) i “metodi di prova” di cui all’allegato III alla direttiva 2008/98;

2) le informazioni sul processo chimico o sul processo di fabbricazione che generano i rifiuti, nonché sulle relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi i pareri di esperti;

3) le informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto prima che questi diventassero rifiuti (ad esempio schede di dati di sicurezza, etichette del prodotto, schede di prodotto);

4) le banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri;

5) il campionamento (da eseguirsi secondo le norme tecniche accreditate) e l’analisi chimica dei rifiuti, qualora in grado di offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività.

Le linee guida Snpa e l’importanza del D.Lgs. n. 116/2020

L’evoluzione giurisprudenziale di cui si è detto sin qui ha dato centrale rilievo, in tema di classificazione dei rifiuti, all’indagine circa la genesi e le caratteristiche del rifiuto e, conseguentemente, agli accertamenti svolti alla base della classificazione. Non sorprende, dunque, che, all’indomani della pronuncia della Corte di Giustizia, abbia trovato nuova linfa il percorso nazionale (sopito negli anni del fervente dibattito giurisprudenziale) di approfondimento tecnico-scientifico volto a definire criteri uniformi e, ancor prima, una vera e propria metodologia di approccio per la classificazione dei rifiuti.

Già con delibera del Consiglio Snpa 27 novembre 2019, n. 61 (pubblicata come linee guida Snpa n. 24/2020) erano state approvate linee guida in materia di classificazione dei rifiuti, volte all’unificazione della metodologia di approccio alla classificazione dei rifiuti anche alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale intercorsa. Il documento – per quanto proveniente da fonte assai autorevole, enormemente strutturato e di importante rilievo pratico/operativo – mancava, tuttavia, di una base giuridica idonea a darvi cogenza, costituendo dunque “soft law” o, comunque, best practice di settore a livello nazionale. Anche per queste ragioni, gli indirizzi forniti in questo documento hanno stentato a trovare diffusione pratica.

L’avvento del D.Lgs. n. 116/2020, con l’importante restyling della normativa in tema di gestione dei rifiuti, ha tuttavia portato con sé una importante modifica dell’art. 184, comma 5 ove oggi si precisa che «la corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle Linee guida redatte, entro il 31 dicembre 2020, dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano».

Con alcuni mesi di ritardo, il 21 agosto 2021[2]In Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 200 del 21 agosto 2021. il Mite ha informato di aver pubblicato – in attuazione delle neo-introdotte disposizioni sopra richiamate – il decreto direttoriale 9 agosto 2021, n. 47, di approvazione delle linee guida di cui alla delibera del Consiglio Snpa 18 maggio 2021, n. 105. Diversamente dalla precedente versione delle linee guida, quelle recentemente recepite con decreto costituiscono dunque – in forza del richiamo normativo idoneo a fornirvi valenza di legge – riferimento vincolante per la classificazione dei rifiuti sul territorio nazionale.

 

La nuova edizione: struttura e contenuti principali

 

Le conferme…

Dal punto di vista contenutistico, le nuove linee guida riprendono quasi pedissequamente le precedenti: la struttura complessiva del documento originario è stata, infatti, mantenuta inalterata e gli interventi sul testo sono stati limitati a specifiche modifiche resesi necessarie, da un lato, per tener conto delle novità introdotte nel D.Lgs. n. 152/2006 mediante il D.Lgs. n. 116/2020 e, dall’altro, per rispondere ad alcune richieste di chiarimento formulate dagli operatori nella fase di applicazione delle linee guida.

Figura 1
Procedura di classificazione dei rifiuti (figura 2.1 delle linee guida)

 

Anche le nuove linee guida, infatti:

  • presentano un’introduzione normativa che include i principali riferimenti normativi e le linee guida tecniche di rilievo, una preliminare introduzione alla classificazione dei rifiuti pericolosi e alla procedura di attribuzione del codice Eer ai sensi della normativa comunitaria, nonché brevi cenni ad alcune normative europee connesse alla classificazione dei rifiuti, quali ad esempio la disciplina Reach, Seveso e sui POPs;
  • espongono l’approccio metodologico da seguire per classificare i rifiuti partendo dall’analisi del ciclo di produzione degli stessi, la procedura di valutazione della pericolosità di un rifiuto e alcuni schemi procedurali – come quello riportati in figura 1 e in figura 2 – volti a rendere più chiaro e immediato il percorso logico che deve essere seguito per classificare un rifiuto, spiegando i singoli passi che gli operatori del settore devono compiere e le domande che devono porsi. Sempre al fine di supportare gli operatori in queste attività, le linee guida forniscono un esempio indicativo, ma non esaustivo – per esplicita ammissione – delle informazioni minime che devono essere incluse nel giudizio di classificazione di un rifiuto (vedere il box 4). In particolare, per questo documento oggi si prevede la sottoscrizione da parte del «soggetto che ha effettuato il giudizio di classificazione» (che, ovviamente, deve disporre di idonee competenze) in luogo dello specifico riferimento al “chimico” presente nella previgente versione;
  • contengono la versione commentata dell’elenco europeo dei rifiuti di cui all’allegato D alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 evidenziando, in particolare, per ciascun codice Eer la natura pericolosa/non pericolosa/speculare. Sul punto è opportuno evidenziare che:
  • questo elenco, seppur redatto dal Snpa ancora lo scorso maggio, appare coerente con le successive puntuali modifiche apportate all’allegato D al D.L. n. 77/2021 (cosiddetto “decreto semplificazioni”) convertito con legge n. 108/2021 per superare alcuni disallineamenti con l’elenco europeo dei rifiuti previsto dalle fonti europee;
  • le indicazioni ivi fornite circa la natura dei singoli codici Eer non sempre coincidono, come già nella versione del 2020, con quelle presenti nella comunicazione della Commissione europea «Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti» (2018/C 124/01). Le linee guida giustificano questo scostamento dalla posizione europea rilevando il carattere di indirizzo della Comunicazione, ricordato anche nello stesso documento europeo al paragrafo 1.2.1 dell’allegato 1, laddove si indica che l’elenco fornito dalle linee guida europee è «una delle interpretazioni possibili che tiene conto in maniera equilibrata delle opinioni formulate da diversi Stati membri. Esistono interpretazioni diverse a livello di Stati membri e anch’esse possono essere consultate». Rispetto al passato, l’attuale natura vincolante delle linee guida nazionali ne giustifica in ogni caso l’uniforme applicazione sul territorio nazionale;
  • contengono esempi pratici di classificazione di specifiche tipologie di rifiuti (imballaggi, Raee, veicoli fuori uso, rifiuti da demolizione, rifiuti contenenti amianto eccetera);
  • individuano i criteri metodologici per la valutazione delle singole caratteristiche di pericolo fornendo per ciascuna classe di pericolo una definizione, criteri di valutazione, valori limite, metodi di prova, procedure di verifica della caratteristica di pericolo ed uno schema decisionale per la valutazione della stessa;
  • infine, nelle appendici offrono alcune indicazioni ed informazioni supplementari.

 

Figura 2
Procedura di classificazione di un rifiuto identificato da voci specchio (figura 2.3 delle Linee guida)

…e le novità

Unica novità assoluta rispetto alla precedente versione delle linee guida risulta essere l’inserimento, tra gli esempi di classificazione di specifiche tipologie di rifiuti, del sotto-paragrafo denominato «3.5.9 – Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati». Questa introduzione è stata valutata necessaria dal Mite in sede di approvazione delle linee guida, come esplicitato nello stesso decreto direttoriale n. 47/2021. Mediante questo paragrafo si è inteso chiarire che per la classificazione dei rifiuti prodotti dagli impianti che svolgono attività di trattamento meccanico-biologico (Tmb) è «necessaria una conoscenza della composizione dei vari flussi di rifiuti in ingresso al trattamento, un’analisi delle varie fasi del processo e delle reazioni/interazioni/trasformazioni che in esso hanno luogo, con l’effettuazione degli opportuni bilanci di massa, e l’individuazione delle possibili fonti di pericolosità nonché delle tipologie di sostanze pericolose potenzialmente presenti», eventualmente anche mediante l’effettuazione di campagne periodiche di analisi merceologiche e l’analisi delle modalità di gestione del rifiuto all’interno dell’impianto. L’indicazione, pur positivamente orientata a garantire un controllo anche su flussi di rifiuti di natura urbana e indifferenziata (come tali, non agevolmente riconducibili a categorie merceologiche o condizioni analitiche determinabili) potrebbe porre criticità operative nel contesto dei gestori degli impianti di trattamento, in ragione della incerta genesi e provenienza dei rifiuti di cui si tratta e dell’influenza – come ricordano le stesse linee guida – dei sistemi di raccolta territoriali (ancora assai diversificati sul territorio nazionale). L’impatto operativo andrà dunque valutato all’esito della prima applicazione.

 

Box 4

Esempio indicativo e non esaustivo di informazioni minime
da includere in un giudizio di classificazione (riquadro 2.2. delle linee guida)

Il giudizio di classificazione è un documento a sé stante, redatto da professionista abilitato, sulla base delle informazioni ricavate dal ciclo produttivo del rifiuto, dalle analisi di laboratorio e dai test effettuati.

Allo scopo di dare evidenza oggettiva delle valutazioni condotte, al giudizio dovrebbero accompagnarsi il verbale di campionamento, i report/rapporti di prova dei test eseguiti, la documentazione delle analisi chimiche.

Qualora il campionamento e/o le analisi non rientrassero sotto la diretta responsabilità del redattore del giudizio (caso limitato alle strutture pubbliche), diviene necessario ed obbligatorio che la documentazione atta a dimostrare le fonti delle valutazioni sia parte integrante del documento contenente il giudizio di classificazione.

Un esempio indicativo e non esaustivo di una possibile struttura di tale documento, con le informazioni minime che lo stesso dovrebbe includere, è di seguito riportato.

Titolo: “Giudizio di Classificazione del rifiuto Codice EER XX.YY.ZZ”

Data di rilascio del documento

Data di campionamento

Identificazione del committente

Nome del laboratorio, indirizzo dove le prove sono state eseguite (se differente dall’indirizzo del laboratorio)

Descrizione del processo produttivo che ha originato il rifiuto

Descrizione merceologica tipica

Riferimento al verbale di campionamento (dove sono specificate le modalità di esecuzione)

Identificazione univoca del campione

Descrizione dell’aspetto del campione sottoposto ad analisi (colore, odore, merceologica)

Caratteristiche chimico – fisiche (ad es: granulometria, densità, pH, residuo fisso a 105-550/ 600°C)

Identificazione delle sostanze pertinenti (nome chimico- IUPAC- CAS NR -EC Nr INDEX Nr)

Trasformazione, se necessario, del singolo metallo nel composto specifico tramite fattore stechiometrico (non si applica, ad esempio, alla classificazione armonizzata per categoria)

Trasformazione del risultato in mg/kg in % p/p

Classificazione CLP per la singola sostanza pertinente identificata (con le relative fonti: ECHA C&L)

Esplicitare le valutazioni condotte per le singole caratteristiche di pericolo HP e le motivazioni che hanno portato ad attribuirle o a non attribuirle (se si sono resi necessari calcoli o ulteriori valutazioni o ulteriori test, specificare o fare riferimento ai test report specifici)

Verifica delle sostanze pertinenti per la valutazione della pericolosità in relazione ai POP (se non ve ne sono specificarlo)

Conclusione finale (con spiegazione sulla base delle informazioni sopra riportate) con il razionale, il codice EER attribuito e le eventuali caratteristiche di pericolo attribuite.

 

Firma del soggetto che ha effettuato il giudizio di classificazione

 

Note   [ + ]

1. Sono detti rifiuti con codice “a specchio” quelli la cui descrizione è presente – con differenti codici identificativi (Eer) – sia priva di asterisco che con asterisco (vale a dire in forma non pericolosa e pericolosa).
2. In Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 200 del 21 agosto 2021.

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