Le parole dell’ambiente – Simbiosi industriale

Breve analisi della fattispecie partendo dal quadro legislativo, passando attraverso la giurisprudenza fino all'esame di un caso pratico

(Le parole dell'ambiente - Simbiosi industriale)

1. Definizione

Il D.Lgs. n. 116/2020, di recepimento della direttiva n. 258/2018 del “pacchetto circular economy”, tra le numerose modifiche apportate al testo unico ambientale (D.Lgs. n.152/2006), ne annovera una piuttosto importante ma che pare sia passata quasi del tutto inosservata.

Ci si riferisce all’art. 184-bis che, dedicato al sottoprodotto, oggi al comma 2 recita così: «Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti» garantendo un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana e favorendo, altresì, l'utilizzazione attenta e razionale delle risorse naturale dando priorità alle pratiche replicabili di simbiosi industriale.

Quello della simbiosi industriale può costituire uno strumento importante per vedere aumentata in Italia l’applicazione dell’istituto del sottoprodotto, indispensabile per traghettare il sistema produttivo verso la circolarità e l’autosostentamento, visto– peraltro – la quasi totale dipendenza dall’estero in tema di approvvigionamento di materie prime.

È necessario, però, guardare alla “Strategia nazionale per l’economia circolare – Linee programmatiche per l’aggiornamento” (PNRR), per capirne la portata reale. Al paragrafo 6.2.6 si legge: «La simbiosi industriale può essere definita come un sistema integrato per condividere risorse (materiali, acqua, sottoprodotti, scarti, servizi, competenze, strumenti, database, ecc.) secondo un approccio di tipo cooperativo in cui l’output di un’azienda può essere utilizzato come input da un’azienda terza nell’ambito del suo processo di produzione […]. Rappresenta una strategia di ottimizzazione dell’uso delle risorse, che coinvolge le industrie di un territorio, al fine di generare vantaggi competitivi per le imprese attraverso il trasferimento di risorse, quali materia, energia, acqua, spazi, logistica, competenze, ecc. L’applicazione dei principi della simbiosi industriale alle pratiche commerciali consente alle aziende di utilizzare in modo più efficace flussi di materiali, energia, acqua e altre attività, conseguendo una maggiore produttività complessiva. Attraverso la simbiosi industriale, rifiuti e altre risorse inutilizzate generate dai processi industriali vengono recuperati per essere utilizzati da un’altra azienda, in genere operante in un settore produttivo diverso, generando un reciproco beneficio o simbiosi. L’approccio può condurre all’ottimizzazione dei processi industriali, anche attraverso la creazione di “distretti industriali”, al miglioramento della logistica e a favorire il trasferimento di conoscenze, aumentando conseguentemente la produttività di tutte le risorse disponibili e generando vantaggi economici e ambientali, incrementando competitività ed eco-innovazione».

 

2. Giurisprudenza

Un tema, quello della cooperazione e collaborazione della rete industriale italiana, che è molto avvertito, come anticipato, nel settore dei sottoprodotti. Proprio l’evidenza circa l’esistenza di questo rapporto di simbiosi tra chi produce sottoprodotto e chi li utilizza in sostituzione delle materie prime tradizionali, che, secondo un ampio filone giurisprudenziale, agevolerebbe a garantire la legittimità della pratica.

Si veda, ad esempio, la recente pronuncia del Tar Lombardia (BS) (8 marzo 2023, n. 211) che così si esprime: «Premesso che la qualificazione di un materiale come sottoprodotto non attiene alle caratteristiche intrinseche di quel materiale, ma al soddisfacimento di una serie di condizioni giuridiche - sicché uno stesso materiale può costituire rifiuto o sottoprodotto a seconda che siano o meno soddisfatte le condizioni stabilite dall’articolo 184-bis D.Lgs. 152/2006 -, è legittima la richiesta dell’Autorità Competente di produrre i contratti di fornitura, in quanto funzionali alla verifica della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 184-bis, in particolare quello della certezza dell’utilizzo del materiale. Infatti, non è l’Autorità Competente a dover dimostrare che un dato materiale costituisce rifiuto, ma è l’impresa che vuole utilizzare quel materiale come sottoprodotto a dover dimostrare che ricorrano i presupposti di cui all’articolo 184-bis D.Lgs. 152/2006».

Sul tema si è espressa più volte anche la Corte di Cassazione, a ben vedere ben prima del riconoscimento formale, avvenuto da parte del D.Lgs. n. 116/2020 innanzi richiamato, circa l’importanza della simbiosi industriale in ottica circolare.

A titolo esemplificativo e non esaustivo:

  • sentenza dell’11 maggio 2012, n. 17823 «in relazione alla definizione di sottoprodotto posta dall’attuale art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 va rilevato che l’utilizzo del materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo sin dal momento della sua produzione; pertanto, deve escludersi tale qualifica nel caso in cui non sia dimostrata una preventiva organizzazione alla riutilizzazione»;
  • sentenza 13 settembre 2017, n. 41607 «il riutilizzo non può essere eventuale e qualora l’eventualità del riutilizzo sia legata a pure contingenze, esso dovrà essere qualificato come un rifiuto a tutti gli effetti»;
  • sentenza 2 dicembre 2014, n. 50309 «per sottoprodotto si intendono quelle sostanze, quegli oggetti dei quali sin dall’inizio fosse certa, e non eventuale, la destinazione al riutilizzo nel medesimo ciclo produttivo o alla loro utilizzazione da parte di terzi».

Simbiosi industriale

3. Caso pratico: il modello nordico

La simbiosi industriale, quindi, trascende la dicotomia rifiuto/sottoprodotto, e abbraccia tutti gli aspetti della dimensione produttiva – industriale.

Esempi – che oramai hanno fatto scuola - dell’applicazione concreta del concetto che si sta analizzando provengono soprattutto dal nord Europa.

In Svezia, ad esempio, si può citare il caso dell’ isola di Händelö in cui il concetto di simbiosi è stato messo in atto nella gestione dei rifiuti urbani (aspetto da sempre particolarmente critico per i territori insulari) che, combusti, servono per produrre elettricità e teleriscaldamento per la comunità cittadina; il vapore in eccesso dall'impianto di incenerimento è poi destinato a un impianto che produce bioetanolo a base di cereali, dai quali, infine, si ricavano mangimi per le aziende agricole limitrofe.

Un caso danese, invece, molto più famoso, è quello del distretto industriale di Kalundborg che a partire dagli anni ‘60, ha visto svilupparsi il primo network di aziende il cui intento comune è stato quello di fondare il proprio business model proprio sulla simbiosi industriale. Iniziando dalla risorsa idrica, le industrie del polo hanno poi condiviso quella energetica fino ad arrivare alla massimizzazione del progetto attraverso la condivisione di scarti e residui di produzione con enormi vantaggi, tra cui:

  • la riduzione nel consumo delle risorse, come acqua, carbone, petrolio;
  • la riduzione dell’impronta ambientale di ciascuna realtà produttiva connessa.

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