Piano di emergenza al microscopio

Tanto l’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, quanto la successiva sezione VI del titolo I del decreto (artt. 43-46) pongono a carico del datore di lavoro l’obbligo di fronteggiare alcuni grandi rischi (incendio, evacuazione del luogo di lavoro, primo soccorso, gestione delle situazioni di emergenza comportanti pericolo grave e immediato per i lavoratori). Il piano di emergenza e di evacuazione deve essere redatto per iscritto? In caso positivo, questo documento diventa parte integrante del documento di valutazione dei rischi di cui al combinato disposto degli artt. 17 e 28 del testo unico della sicurezza? E qual è il ruolo dei lavoratori in materia? Vediamo tutti questi aspetti nel dettaglio. Prima di commentare le norme, ricordiamo che, secondo quanto dispone l’art. 18, comma 1, lett. b) e t) del D.Lgs. n. 81/2008, è obbligo del datore di lavoro l’adozione, tra le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, di quelle «ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato». Queste misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, e al numero delle persone presenti. CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO.

Piano di emergenza.

Tanto l’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, quanto la successiva sezione VI del titolo I del decreto (artt. 43-46) pongono a carico del datore di lavoro l’obbligo di fronteggiare alcuni grandi rischi (incendio, evacuazione del luogo di lavoro, primo soccorso, gestione delle situazioni di emergenza comportanti pericolo grave e immediato per i lavoratori). Il piano di emergenza e di evacuazione deve essere redatto per iscritto? In caso positivo, questo documento diventa parte integrante del documento di valutazione dei rischi di cui al combinato disposto degli artt. 17 e 28 del testo unico della sicurezza? E qual è il ruolo dei lavoratori in materia? Vediamo tutti questi aspetti nel dettaglio.

Hai già rinnovato l'abbonamento ad Ambiente&Sicurezza? Clicca qui

Piano di emergenza: Gli obiettivi

Prima di commentare le norme, ricordiamo che, secondo quanto dispone l’art. 18, comma 1, lett. b) e t) del D.Lgs. n. 81/2008, è obbligo del datore di lavoro l’adozione, tra le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, di quelle «ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato». Queste misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, e al numero delle persone presenti.

Per garantire il tendenziale raggiungimento di tali obiettivi, l’art. 43 del testo unico impone minimalmente al datore di lavoro di:

  • organizzare i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell'emergenza;
  • designare preventivamente i lavoratori incaricati di attuare le misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza, tenendo conto delle dimensioni dell'azienda e dei rischi specifici dell'azienda o della unità produttiva secondo i criteri previsti nei decreti di cui all'articolo 46;
  • informare tutti i lavoratori che possono essere esposti ad un pericolo grave ed immediato circa le misure predisposte ed i comportamenti da adottare;
  • programmare gli interventi, prendere i provvedimenti e dare istruzioni affinché i lavoratori possano, in caso di pericolo grave ed immediato che non può essere evitato, cessare la loro attività, ovvero mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro;
  • adottare i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave e immediato per la propria sicurezza ovvero per quella di altre persone e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di questo pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili.
    Deve altresì essere precisato che il complesso di questi obblighi (salvo quello relativo alla designazione dei componenti la squadra di emergenza) grava non soltanto sul datore di lavoro, ma anche - sia pure nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, così come stabilito dagli artt. 18 e 19 del D.Lgs. n. 81/2008 - sui dirigenti prevenzionistici.

È così che, nell’ambito del modello di impresa sicura derivante dal recepimento della legislazione comunitaria, la predisposizione del piano di emergenza rientra tra gli obblighi primari facenti capo al dovere di sicurezza. Del resto, la sezione VI del titolo I del D.Lgs. n. 81/2008 (artt. 43-46) rappresenta il fedele recepimento dell’art. 8 della direttiva-quadro 89/391/Cee.

Piano di emergenza: le origini

Dei cosiddetti piani di emergenza il legislatore aveva parlato per la prima volta all’art. 5, comma 1, lettera c), n. 1) del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175 (abrogato, a eccezione dell’art. 20, dall’art. 30, comma 1, lettera a), dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334), in relazione alla previsione di rischi di incidenti rilevanti in ambito industriale. Il D.Lgs. n. 626/1994 ebbe poi ad allargare efficacemente la prospettiva inizialmente limitata del D.P.R. n. 175/1888, facendo di determinate situazioni di rischio specifico (prevenzione incendi, pericolo grave e immediato, evacuazione, salvataggio, lotta antincendio) ipotesi ordinariamente e obbligatoriamente prevedibili, proprio al fine di scongiurarle, ovvero di poterle fronteggiare al meglio delle risorse umane, tecnologiche ed organizzative disponibili.

Il punto del giurista

Piano di emergenza: incolumità al centro

La filosofia di fondo sottesa alla redazione del piano di emergenza è di porre l’incolumità dei lavoratori (sia nella sua dimensione collettiva sia in quella finanche singolarmente considerata) su un piano di assoluta centralità e preminenza rispetto a qualsiasi altro valore o interesse economico proprio dell’azienda. Sicurezza e salute sul lavoro sono infatti entrambi beni a dimensione sociale ultraindividuale, come tali indisponibili e – di conseguenza - inappropriabili. È significativa, a questo riguardo, la previsione della lett. e) dell’art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008 (la quale si coniuga efficacemente con quella dell’art. 44, comma 2 del decreto) e dell’art. 43, comma 4 («Il datore di lavoro deve, salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato»).

L’obiettivo comune di tutela è in buona sostanza pensato e tratteggiato nel testo unico (al pari di quanto già avveniva con il D.Lgs. n. 626/1994) come obiettivo condiviso e da condividere, nell’ambito di quel modello sinergico e compartecipativo tra le varie componenti aziendali, che la normativa di derivazione comunitaria ci ha consegnato. Per altro verso l’art. 46, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce, con formula innovativa e di ampia portata, che la prevenzione incendi è «funzione di preminente interesse pubblico, di esclusiva competenza statuale, diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell'ambiente».

Piano di emergenza: i contenuti

Nelle loro linee generali i contenuti del piano di emergenza sono stati stabiliti con il D.M. (Interni) 10 marzo 1998: va da sé che il datore di lavoro deve tener conto - così come esplicitamente dispone l’art. 43, comma 2 del D.Lgs. n. 81/2008 - delle “dimensioni dell'azienda”, nonché della tipologia dei rischi specifici presenti sul luogo di lavoro.

Sebbene il testo unico preveda l’emanazione di decreti interministeriali (Interno/Lavoro), per la definizione dei criteri atti a individuare le misure intese a evitare l'insorgere di un incendio e a limitarne le conseguenze qualora quest’ultimo si verifichi; le misure precauzionali di esercizio; i metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio; i criteri per la gestione delle emergenze, nonché i criteri atti a individuare le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione, nel frattempo «continuano ad applicarsi i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al decreto del Ministro dell'interno in data 10 marzo 1998». È stato poi previsto che, al fine di favorire il miglioramento dei livelli di sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro, debbano essere istituiti, presso ogni direzione regionale dei vigili del fuoco, nuclei specialistici per l'effettuazione di una specifica attività di assistenza alle aziende.

Il piano di emergenza deve dunque presentare al tempo stesso doti di adeguatezza intrinseca, nonché di adeguatezza estrinseca (non a caso il citato art. 43 prevede, al comma 3, riproducendo pedissequamente le indicazioni sul punto della Direttiva comunitaria, che i lavoratori facenti parte della squadra di emergenza devono essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate ai rischi da prevenire e/o da fronteggiare).

Altre caratteristiche essenziali del piano di emergenza sono la chiarezza e la precisione (agevolate dal ricorso a procedure standardizzate), non disgiunte da doti di flessibilità (che sono indispensabili a fronteggiare quelle situazione imprevedibili che si definiscono «emergenza nell'emergenza»).

Piano di emergenza: sempre per iscritto

Circa l’obbligo di redigere il piano di emergenza per iscritto, va detto che, in materia di sicurezza sul lavoro, non sempre all’obbligo procedurale stabilito dalle norme corrisponde il correlato obbligo di elaborazione documentale: ciò avviene senza dubbio con riguardo all’attività, di natura fondamentale, legata alla valutazione dei rischi intra-aziendali riferibili al settore principale di attività dell’impresa (Dvr), così come in materia di valutazione dei rischi negli appalti “interni” di cui all’art. 26 del Tusic (Duvri) e di valutazione dei rischi “aggiuntivi” e “interferenziali” nei cantieri edili (Psc); non invece per altre aree che pure sono soggette all’elaborazione di procedure di lavoro (ad esempio, l’area informativa, o quella di formazione e di addestramento professionale dei lavoratori, o ancora i casi di esposizione non prevedibile ad agenti cancerogeni o biologici). Si pensi ancora allo statuto delle aziende che occupano fino a dieci lavoratori (art. 29, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008), le quali, pur essendo tenute, sul piano procedurale, a effettuare la valutazione dei rischi (della quale, in uno con l'adempimento degli obblighi ad essa collegati, devono rilasciare autocertificazione), sono tuttavia esentate dall'obbligo di redazione del Dvt.

A valle della cennata distinzione concettuale tra “obbligo procedurale” e “obbligo documentale”, si può pertanto produrre una non corrispondenza tra adempimenti procedurali e adempimenti documentali: ciò significa che un conto sono le “procedure”, altra cosa la loro “documentazione”: d’altro canto la Corte di Cassazione (Cass. pen. sez. III, 3 agosto 2005, n. 29229) ha già avuto modo di chiarire che «Non bisogna confondere la valutazione del rischio dallo specifico documento che la formalizza». Dunque, una cosa è l’attività di valutazione dei rischi; altra cosa la sua cartolarizzazione nel Dvr.

Se non tutti gli adempimenti procedurali e le procedure di lavoro devono essere documentate, bensì solo quelle per le quali la normativa lo prevede espressamente, ciò equivale a dire che la mancata redazione documentale non è condotta ex se sanzionabile, in difetto di una specifica previsione legislativa: e in ossequio a questo principio il legislatore, quando ha ritenuto di far coincidere l’area dell’adempimento procedurale a quella dell’adempimento documentale (in tal modo assimilandola alla generale attività di valutazione del rischio, lo ha detto espressamente. Ciò avviene, ad esempio, con riguardo alla valutazione dei rischi nei cantieri temporanei e mobili: ove il legislatore ha imposto a tutte le imprese l’obbligo, generalizzato, di procedere alla redazione del piano operativo di sicurezza (Pos), definito espressamente all’art. 89, comma 1, lett. h) del testo unico, come atto a natura “documentale”.

Piano di emergenza: una soluzione bivalente

Con riguardo al rischio di incendio, peraltro, la soluzione adottata dal legislatore appare bivalente: per un verso si afferma il principio di corrispondenza tra adempimenti procedurali e adempimenti documentali, per altro verso lo si esclude. Su questo specifico aspetto, invero, il  D.M. 10 marzo 1998 ha stabilito che la valutazione dei rischi di incendio e le conseguenti misure di prevenzione e protezione (cosiddetto piano di emergenza) «costituiscono parte specifica del documento di cui all'art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 626 del 1994» (attuali artt. 17 e 28 del Tusic); ma al tempo stesso il D.M. contiene l’indicazione che, per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di dieci dipendenti, purché non soggetti al controllo da parte dei vigili del fuoco ai sensi dal D.P.R. n. 577/1982, «il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando l'adozione delle necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio».

Piano di emergenza: il ruolo dei lavoratori

Da ultimo, quanto al ruolo dei lavoratori nella gestione dei grandi rischi e in generale delle situazioni di emergenza, comportanti situazioni di pericolo grave e immediato, deve in primis essere menzionata la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 43 del D.Lgs. n. 81/2008, che sanziona penalmente il rifiuto ingiustificato dei lavoratori in relazione alla loro designazione quali componenti della squadra di emergenza. Trattasi di norma di grande spessore culturale e di pari significato sociale, in termini solidaristici. Per il resto, fermo restando il principio generale, codificato all’art. 20, comma 1 del testo unico, del cosiddetto divieto di azioni pericolose («Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro»), resta fermo non solo che il datore di lavoro non può, salvo eccezioni debitamente motivate, chiedere ai lavoratori di riprendere l’attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato, ma che, in questo tipo di situazione, al lavoratore è consentito non solo di prendere di propria iniziativa (nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico) misure emergenziali, ma finanche di allontanarsi dal posto di lavoro ovvero da una zona pericolosa, restando indenne (salvi i casi di colpa grave) da pregiudizi e da conseguenze per lui dannose della condotta tenuta.

 

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome