Riutilizzo degli imballaggi: quando è possibile?

Gli otto punti fondamentali della legislazione di settore da tenere a mente

(Riutilizzo degli imballaggi: quando è possibile?)

In commercio esistono numerosissime tipologie di imballaggi e alcuni di questi, a seconda dei materiali di composizione, possono facilmente prestarsi a più di un utilizzo. Ben noti sono, peraltro, i vantaggi – ecologici e non – di questa scelta non solo in termini di risparmio di materie prime e di energia, ma anche di riduzione della produzione di rifiuti, riduzione delle spese di trasporto e quindi di emissioni in atmosfera. La legge, tuttavia, regola queste casistiche e ne detta le condizioni da rispettare. Vediamo quali sono.

 

1. Definizione di imballaggio

Per l’imballaggio (e per i rifiuti che da esso derivano) è prevista nel testo unico ambientale italiano – il D.Lgs. n. 152/2006 - una disciplina dedicata. In particolare, l’art. 218, comma 1, lettera a) li definisce come «il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo».

 

2. Estensione e portata

Da questa prima definizione è già ben visibile quale può essere la sua estensione e la sua portata. Ma questa definizione, in realtà, suggerisce molto di più perché obbliga a pensare all’imballaggio non con riferimento alla sua forma ma, bensì, alla sua funzione. E, quindi, sarà imballaggio anche l’anima centrale del nastro isolante che ne permette la manipolazione; sarà imballaggio l’espositore che permette di esporre il prodotto al pubblico; e, più in generale, saranno imballaggi tutti quelli che possiedono – dice l’orientamento dominante della corte di Cassazione - anche solo una delle funzioni riconosciute dalla norma, a prescindere, peraltro, dal materiale in cui sono realizzati (seta, ottone, bamboo eccetera).

 

3. Quali e quanti tipi di imballaggi

La norma distingue, poi, gli imballaggi in tre macrocategorie:

  • imballaggio per la vendita o imballaggio primario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore;
  • imballaggio multiplo o imballaggio secondario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita, indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche;
  • imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario: imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione ed i danni connessi al trasporto, esclusi i container per i trasporti stradali, ferroviari marittimi e aerei.

 

4. Economia circolare

Il settore degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio a livello comunitario, peraltro, è stato uno dei primi ad aver sposato il principio della responsabilità condivisa che richiede a tutti i soggetti della stessa filiera di cooperare per ridurre gli impatti ambientali derivanti dalla gestione del fine vita dei prodotti immessi sul mercato e commercializzati: «Gli operatori delle rispettive filiere degli imballaggi nel loro complesso garantiscono, secondo i principi della responsabilità condivisa, che l'impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita» (art. 217, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006).

Come anticipato, a livello nazionale imballaggi e rifiuti di imballaggio trovano disciplina nella parte IV del D.Lgs. 152/2006 al titolo II, rubricato «Gestione degli imballaggi» nel quale si esplicitano obiettivi comuni come quello della prevenzione e della responsabilizzazione degli operatori della filiera perfettamente in linea con le premesse appena accennate, anche e soprattutto, per effetto del recepimento delle norme comunitarie e del loro costante aggiornamento.

La direttiva 94/62/CE, infatti, è stata più volte integrata e modificata nel corso degli anni e da ultimo, dalla direttiva (Ue) 2018/852, contenuta nel cosiddetto “pacchetto economia circolare”, che contiene quattro direttive che hanno rivisitato i comparti ambientali più importanti con lo scopo di renderli affini al disegno comunitario di implementazione dell’economia circolare.

A ciò si aggiunga che l’art. 179 del D.Lgs. n. 152/2006, dedicato ai criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, rubrica al primo posto la “prevenzione” di cui il riutilizzo ne rappresenta, evidentemente, lo strumento più immediato.

Riutilizzo degli imballaggi 

5. Riutilizzo

In questa complessa filiera, dunque, può accadere che tra produttori, trasformatori, importatori, vi siano altrettanti operatori – che la norma definisce “utilizzatori” [lettera s), art. 218, D.Lgs. n. 152/2006] - che in qualità di «commercianti, distributori, addetti al riempimento, utenti di imballaggi e importatori di imballaggi pieni» – abbiano interesse, economico e/o operativo, a riutilizzare gli imballaggi che hanno acquistato per la propria attività professionale.

In questa prospettiva, va segnalato che l’art. 218, D.Lgs. n. 152/2006, al comma 1-bis, così si esprime: « Ai fini del presente titolo si applicano le definizioni di "rifiuto”, “gestione dei rifiuti", "raccolta", "raccolta differenziata", "prevenzione", "riutilizzo", "trattamento", "recupero", "riciclaggio" e "smaltimento" di cui all'articolo 183, comma 1, lettere a), g-bis), m), n), o), p), r), s), t), u) e z)”; il quale, a sua volta, definisce “riutilizzo” come “r) qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti».

 

6. Imballaggio riutilizzabile

A valle di ciò, si deve, quindi, introdurre il concetto di “imballaggio riutilizzabile”, definito alla lettera e) dell’art. 218, come «imballaggio o componente di imballaggio che è stato concepito e progettato per sopportare nel corso del suo ciclo di vita un numero minimo di viaggi o rotazioni all’interno di un circuito di riutilizzo». In considerazione della lettera delle norme innanzi citate, occorre notare che, benché sia stata abrogata dal D.Lgs. n. 116/2020, la lettera i) del medesimo articolato,  - la quale definiva il riutilizzo degli imballaggi come consistente in «qualsiasi operazione nella quale l’imballaggio […] è riempito di nuovo o reimpiegato per un uso identico a quello per il quale è stato concepito […]» - non sembra che ci si possa ugualmente esimere dal vincolare il riutilizzo dell’imballaggio alla medesima funzione per la quale lo stesso sia stato originariamente concepito.

 

7. Vuoto a rendere

Un altro presupposto affinché l’imballaggio possa essere legittimamente riutilizzato è che esso si presenti vuoto. Per agevolare la comprensione di questa ulteriore condizione, benché previsto per una ben particolare tipologia di imballaggi - quelli di tipo alimentare - è possibile in via analogica fare riferimento al D.M. n. 142/2007 che, introducendo il modello del “vuoto a rendere”, presuppone evidentemente che l’imballaggio da riutilizzare sia già pronto allo scopo e che, quindi, sia reso “vuoto”.

 

8. Reso con residui

Peraltro, un eventuale reso di imballaggi destinati al riutilizzo con residui di prodotto al loro interno potrebbe determinare una denuncia per attività di gestione di rifiuti non autorizzata ex art. 256, D.Lgs. n. 152/2006, essendo il trasporto privo della regolare iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali in categoria 4 o 5 - raccolta e trasporto di rifiuti speciali (pericolosi e non).

 

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