Ambiente e territorio: i poteri del sindaco secondo il Consiglio di Stato

Ambiente e territorio: i poteri del sindaco sono stati definiti dalla sentenza del Consiglio di Stato 23 giugno 2021, n. 4802. La pronuncia prende le mosse dall’ordinanza contingibile e urgente con la quale il primo cittadino di Taranto aveva imposto la chiusura dell’area a caldo del siderurgico Ilva, nel caso non fosse possibile la completa «eliminazione» del rischio connesso alle emissioni in atmosfera. Palazzo Spada ha contestualmente definito un “decalogo” riguardante il principio di precauzione e ribadito che la vita e l’impatto ambientale dello stabilimento dipendono dalla piena applicazione delle varie prescrizioni sull’autorizzazione integrata ambientale del 2017. CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO

Oltre sessanta pagine fitte di motivazione. Sono quelle impiegate dal Consiglio di Stato (sentenza 23 giugno 2021 n. 4802) per annullare l’ordinanza contingibile e urgente con la quale il sindaco di Taranto aveva imposto la chiusura dell’area a caldo del siderurgico Ilva, nel caso non fosse possibile la completa «eliminazione» del rischio connesso alle emissioni in atmosfera. Per giungere a questa conclusione, i giudici di Palazzo Spada hanno dovuto rovesciare le conclusioni del Tar Lecce (sentenza 13 febbraio 2021 n. 249), che aveva invece confermato l’ordinanza del sindaco.

Nonostante la lunghezza e complessità della motivazione, è possibile sintetizzarne i contenuti in dieci punti fondamentali e in un ulteriore “decalogo” riguardante il principio di precauzione (vedere il box 2).

1. L’oggetto del giudizio, rigorosamente circoscritto ai provvedimenti impugnati

In premessa, il Consiglio di Stato opera un’importante precisazione sull’oggetto del giudizio: in virtù del principio della domanda che informa la giustizia amministrativa, la cognizione del giudice può riguardare unicamente il provvedimento impugnato. Non rileva invece, ai fini della decisione nel caso di specie, la complessiva problematica di carattere sanitario e ambientale correlata all’attività industriale dello stabilimento siderurgico tarantino (che, come si chiarisce poco dopo, «è oramai un fatto che può reputarsi “pacifico”, a fini processuali»).

Potrebbe apparire una precisazione superflua, considerata la struttura impugnatoria del processo amministrativo e, in particolare, dell’azione di annullamento. In realtà, la specificazione appare appropriata, e consente al Consiglio di Stato, in un certo senso, di “prendere le distanze” dalla decisione del giudice di primo grado.

Per comprendere le ragioni che hanno spinto il Collegio a chiarire il perimetro della causa, deve essere ricordato che l’ordinanza sindacale impugnata dalle ricorrenti era stata adottata dal sindaco di Taranto a seguito di alcune emissioni anomale avvenute nell’agosto 2019 e nel febbraio 2020. Per dimostrare la sussistenza dei requisiti necessari per l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente oggetto del giudizio, il sindaco, e successivamente anche il Tar Puglia, avevano avanzato argomentazioni che, a ben vedere, esorbitavano dalla sola valutazione del pericolo rappresentato da quei specifici eventi emissivi e dal rischio di una loro reiterazione. In particolare, il Tar aveva preso in considerazione circostanze, a parere del Consiglio di Stato, non direttamente in correlazione con il contenuto del provvedimento impugnato: il controllo sul titolo abilitativo, la necessità di una sua revisione, l’utilità del procedimento di riesame dello stesso titolo disposto dal ministero nel 2019, oltre che la conformità dell’impianto produttivo in generale alla normativa nazionale ed europea (in particolare, alle Bat di settore).

 

2. L’attività complessiva del siderurgico è scandita dall’autorizzazione integrata ambientale (Aia) del 2017

La sentenza passa poi in rassegna il quadro normativo che interessa lo stabilimento.

In primo luogo, il collegio ricorda come l’attività dell’impianto sia scandita dall’autorizzazione integrata ambientale (Aia) che, riprendendo le parole della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 85/2013 (peraltro relativa al cosiddetto decreto “Salva-Ilva” del 2012), costituisce «l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi in un unico procedimento, nel quale trovano simultanea applicazione i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale».

L’Aia dello stabilimento è però un provvedimento autorizzatorio alquanto sui generis. Infatti, oltre a sottostare al quadro normativo ordinario – rappresentato, in sostanza, dal titolo III-bis della parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006 – il titolo autorizzativo sottostà anche a un vero e proprio “diritto singolare”, specifico per Ilva, creato dal legislatore nel corso degli anni per far fronte alle specifiche criticità ambientali e per rafforzare, sul versante sanitario, le misure di tutela previste dal D.Lgs. n. 152/2006. Questo corpus normativo specifico è costituito, anzitutto, da numerosi decreti legislativi; tra questi spiccano, in particolare:

  • il D.Lgs. n. 207/2012, con cui il siderurgico tarantino è stato definito come impianto di interesse strategico nazionale;
  • il D.Lgs. n. 61/2013 che, all’art. 1, comma 1-ter, ha previsto che il commissariamento delle imprese stabilito dall’art. 1 per gli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale «la cui attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della saluta a causa della inosservanza reiterata dell’autorizzazione integrata ambientale» costituisce, a determinate condizioni, una deroga all’art. 29-decies, comma 9, Lgs. n. 152/2006, relativo ai poteri di diffida, sospensione e revoca in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie.

Alle fonti di rango primario si aggiungono poi i provvedimenti autorizzatori, e in particolare l’Aia concessa dapprima nel 2011, modificata nel 2012, nel 2014 e successivamente nel 2017 con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2017.

 

3. L’Aia realizza il “punto di equilibrio” fra contrapposte esigenze

Posto che l’attività complessiva dello stabilimento è regolamentata dall’Aia, il Consiglio di Stato precisa poi, richiamando ancora la sentenza della Corte Costituzionale del 2013, che il titolo autorizzatorio realizza «il “punto di equilibrio” fra contrastanti interessi, in particolare fra la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva altresì il diritto all’ambiente salubre, e il lavoro (art. 4, Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso». Questa ponderazione degli interessi, tuttavia, svolta dalle autorità pubbliche in fase di rilascio del titolo autorizzativo, è destinata a non restare cristallizzata. Al contrario, l’Aia rappresenta un provvedimento per sua natura “dinamico”, che deve adeguarsi continuamente nel corso dell’esercizio dell’attività produttiva alle nuove esigenze sopravvenute e ai mutamenti, fisiologici (sviluppo delle tecnologie, nuove Bat di settore, esigenze produttive eccetera) e non (inottemperanze al titolo, peggioramento dell’ambiente circostante eccetera), che intervengono nel tempo. A questo fine, il legislatore ha, quindi, dettagliato un’articolata disciplina che da un lato garantisce il pieno coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali nella delicata fase di bilanciamento degli interessi in fase procedimentale (si pensi, con specifico riferimento all’intervento del sindaco, all’articolo 29-quater, che prevede il suo intervento nella conferenza di servizi al fine di poter rappresentare in quella sede gli aspetti relativi alle condizioni sanitaria); dall’altro, individua modalità intervento molto incisive per far fronte a eventuali aspetti anomali nella gestione dell’impianto, sia attraverso poteri di diffida o inibitori, sia mediante poteri di riesame del titolo autorizzativo.

 

4. Il potere (“derogatorio”) di ordinanza del sindaco non è escluso, ma esiste soltanto per fronteggiare situazioni particolari, diverse da quelle già disciplinate

Dopo aver precisato l’oggetto del giudizio e aver descritto il quadro normativo di riferimento, il Consiglio di Stato passa ad analizzare il caso di specie. Lo fa muovendo dalle censure proposte dalle ricorrenti avverso la sentenza di primo grado, primo tra tutte il presunto difetto di attribuzione (o, comunque, l’incompetenza) del sindaco a emanare l’ordinanza extra ordinem di cui si discute.

Il Consiglio di Stato respinge questa censura, ricordando che, in astratto, il sindaco dispone del potere di ordinanza anche in situazioni nelle quali si debba intervenire su un impianto sottoposto ad Aia; ciò, tuttavia, tenendo in considerazione che, a fronte di poteri tipici e nominati, il suo potere «si riduce necessariamente, e il suo ambito di operatività è escluso in quelle situazioni che sono già state disciplinate dal legislatore».

Per arrivare a questa conclusione, il Collegio analizza il coordinamento tra la normativa in materia di Aia e quella prevista dal testo unico degli enti locali (Tuel) in merito ai poteri sindacali di ordinanza di contingibilità ed urgenza (artt. 50 e 54, D.Lgs. n. 267/2000, che disciplinano, rispettivamente, i poteri del sindaco in veste di rappresentante della comunità locale e in veste di ufficiale di governo). Dal dato normativo si evince che questi poteri rappresentano delle “valvole di sicurezza” concesse in via residuale e derogatoria ad alcune autorità amministrative per gestire situazioni di pericolo non altrimenti fronteggiabili con i poteri tipici e nominati. È quindi senz’altro possibile per il sindaco adottare simili provvedimenti, nella misura in cui, però, siano inesistenti rimedi ordinari oppure esistano, ma non sia possibile, in alcun modo, ricorrere a detti rimedi per fronteggiare, in concreto, la situazione di pericolo (si tratta, quindi, come diremo subito, del requisito della contingibilità).

 

5. I presupposti per il legittimo esercizio, da parte del sindaco, del rimedio contingibile e urgente

Se quindi, in astratto, è permesso al sindaco adottare provvedimenti di contingibilità e urgenza per fronteggiare situazioni di pericolo pur in presenza di rimedi “ordinari” già individuati dal legislatore (ad esempio, il potere del ministero nel caso di specie di riesaminare l’autorizzazione prevedendo prescrizioni più stringenti, oppure di diffidare il gestore in caso di inottemperanza dell’Aia), occorre, in ogni caso, verificare se, nel caso concreto, ne sussistano i presupposti di legge.

Le norme che conferiscono i poteri di adottare questi provvedimenti, oltre a individuare puntualmente l’autorità competente[1]Nel caso di specie, il sindaco; ma si pensi anche, ad esempio, all’art. 32, legge n. 833/1978, che conferisce il potere di adottare ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, di carattere nazionale, al ministero della Salute e l’interesse pubblico da salvaguardare[2]Sempre con riferimento alle ordinanze sindacali, la sanità, l’igiene pubblica, la tutela dell’ambiente eccetera per quanto riguarda l’art. 50, Tuel, l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana per l’art. 54, Tuel., individuano anche i due presupposti della contingibilità e dell’urgenza, a cui poi si affiancano ulteriori presupposti “impliciti” elaborati dalla giurisprudenza amministrativa (la straordinarietà dell’evento, la sua imprevedibilità eccetera). Si rimanda alla tabella 1 per una più completa descrizione dei presupposti richiamati in sentenza.

 

Tabella 1
I presupposti

 

Presupposto
Descrizione e giurisprudenza 
 

 

Contingibilità

 

Insussistenza di rimedi tipici e nominati per fronteggiare efficacemente il pericolo, oppure che quelli sussistenti non siano adeguati ad affrontare, tempestivamente, la situazione di pericolo o di danno insorta (sentenze del Consiglio di Stato n. 344/2021 e n. 6951/2019)

Urgenza «Materiale impossibilità di differire l’intervento ad altra data, in relazione alla ragionevole previsione di danno a breve distanza di tempo» (sentenze del Consiglio di Stato n. 1375/2021 e n. 6951/2019)
Altri presupposti Si tratta di ulteriori presupposti «volti a rimarcare il connotato fondamentale del potere di ordinanza, ossia la sua residualità rispetto ad altri rimedi tipici e nominati», e «rimangono […] criteri di carattere logico adoperabili per lo scrutinio della legittimità in concreto del provvedimento: infatti, possono disvelare la sussistenza di eventuali vizi di eccesso di potere».

La giurisprudenza ha individuato, quali ulteriori presupposti del potere dell’ordinanza, la straordinarietà e imprevedibilità dell’evento (da ultimo le sentenze del Consiglio di Stato, n. 1375/2021 e n. 2495/2019), intese come eccezionalità dello stesso (sentenza del Consiglio di Stato n. 4474/2020).

Un altro presupposto che cita la sentenza in commento è quello della temporaneità della misura adottata (circostanza riconosciuta, da ultimo, dallo stesso Consiglio di Stato con la sentenza n. 4474/2020). Per differente posizione, tuttavia, «nulla esclude che la specificità della situazione richiede l’adozione […] di misure di carattere definitivo, atteso che quello che rileva è l’idoneità della misura in relazione alla situazione da fronteggiare» (sentenza del Consiglio di Stato, n. 7665/2019, richiamata, peraltro, dalla sentenza del Tar Puglia di primo grado nel caso di specie n. 249/2021).

 

6. L’ordinanza del sindaco in violazione degli artt. 50 e 54, D.Lgs. n. 267/2000

Secondo il Consiglio di Stato, i presupposti di urgenza e contingibilità tipici dell’ordinanza extra ordinem non ricorrerebbero nel caso concreto, in quanto non sarebbe stata comprovata l’inidoneità o inefficacia degli altri rimedi predisposti dall’ordinamento per far fronte al potenziale pericolo che si cerca di contrastare; cioè, nella specie, quello per la salute e la sicurezza della popolazione costituito dall’immissione di “aria e fumi” provenienti dallo stabilimento siderurgico.

Il collegio ricorda, a questo proposito, che queste immissioni (che costituiscono quello che risulta essere l’evento di pericolo o di danno che si verifica con maggiore frequenza a causa dell’attività produttiva) sono fattispecie espressamente disciplinate dalla normativa in materia di Aia – generale e “speciale” per Ilva – nonché in materia di leggi sanitarie: una normativa nel complesso che, chiarisce il Consiglio di Stato, «costituisce la mediazione fra i contrapposti interessi che la produzione industriale va ad intrinsecare, talvolta con effetti negativi, tal altra con effetti positivi».

In particolare, queste fattispecie emissive che possono comportare pericoli o danni per la salute sono regolate:

  • In via generale, dall’art. 217, regio decreto n. 1265/1934 (Testo unico delle leggi sanitarie – Tuls), ai sensi del quale «[q]quando vapori, gas o altre esalazioni […] che possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà [il sindaco, n.d.r.] prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza. Nel caso di inadempimento il Podestà può provvedere di ufficio nei modi e termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale»;
  • relativamente agli impianti sottoposti alla normativa Aia, anche dall’art. 29-decies, comma 10, D.Lgs. n. 152/2006 (applicabile allo stabilimento Ilva anche in caso di commissariamento, come espressamente fatto salvo dall’art. 1, comma 1-ter, D.L. n. 61/2013), ai sensi del quale «in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità competente, ove si manifestino situazioni di pericolo o di danno per la salute, ne dà comunicazione al sindaco ai fini dell'assunzione delle eventuali misure ai sensi dell'articolo 217 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265».

 

Nei casi di impianti dotati di autorizzazione integrata ambientale, il potere d’intervento da parte del sindaco per fronteggiare immissioni di “aria e fumi” sussiste esclusivamente nel caso in cui non solo ricorrano le circostanze individuate dall’art. 217, Tuls – e cioè vapori o gas che possono determinare un danno o anche solo un pericolo per la salute dei cittadini – ma al contempo anche i requisiti di cui all’art. 29-decies comma 10, e cioè «l’inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie» e la «comunicazione dell’autorità competente». Al contrario, di fronte a questi fenomeni, non è legittimamente possibile intervenire mediante l’esercizio dei poteri di ordinanza contingibile e urgente di cui agli articoli 50 e 54, posto che l’ambito di applicazione dell’art. 217, Tuls “ingloba” anche le situazioni “urgenti” e “contingibili”, fornendo, peraltro, al sindaco una tutela anticipatore del bene giuridico tutelato.

Dunque, nel caso di specie, il sindaco avrebbe in effetti sollecitato l’allora ministero dell’Ambiente a intervenire ai sensi dell’art. 29-decies, comma 10, chiedendogli di «comunicare» se vi fossero i presupposti per assumere le misure di cui all’art. 217 Tuls. Tuttavia, il ministero ha espressamente evidenziato la carenza del presupposto costituito dall’inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie. Pertanto, il sindaco avrebbe dovuto prendere atto della posizione del ministero e non procedere con l’emissione di un’ordinanza ai sensi del Tuel; a nulla vale, secondo il Consiglio di Stato, la permanenza a parere dell’organo comunale di un pericolo per la salute, considerato che «qualora “l’autorità competente” [il Ministero, n.d.r.] non effettui la comunicazione di cui all’art. 29-decies, comma 10, d.lgs. n. 152 del 2006 oppure neghi erroneamente che sussistano i presupposti per procedervi, si assumerà evidentemente le relative responsabilità, qualora si dovesse poi inverare l’evento pregiudizievole paventato. Ciò rassicura adeguatamente sulla leale ed attenta co-gestione del potere. Inoltre, le attuali tecniche di comunicazione permettono una sollecita gestione dell’evento, anche a fronte di eventi improvvisi e tumultuosi». In definitiva, conclude il Consiglio di Stato, il potere di ordinanza contingibile e urgente risulta nel caso di specie esercitato in violazione degli artt. 50 e 54, D.Lgs. n. 267/2000, i quali presuppongono la comprovata inidoneità o inefficacia degli altri rimedi predisposti dall’ordinamento.

 

7. Ulteriore vizio del provvedimento: eccesso di potere per l’erronea interpretazione delle risultanze istruttorie

Il provvedimento, oltre a essere stato adottato in assenza dei presupposti che legittimano i poteri di cui agli artt. 50 e 54 Tuel, secondo il Consiglio di Stato è inoltre illegittimo in quanto viziato da eccesso di potere derivante dall’erronea interpretazione delle risultanze dell’istruttoria processuale, in particolare di una nota dell’Istituto Superiore per la protezione dell’ambiente (Ispra) che avrebbe escluso la sussistenza di criticità tecniche, manutentive e di monitoraggio nello stabilimento, oltre che il rischio per la salute.

Secondo l’ordinanza sindacale – sebbene ciò non sia stato effettivamente esplicitato – le emissioni di fumi ed odori ritenute potenzialmente lesive per la salute sarebbero dipese dalla mancata installazione di specifici presìdi impiantistici (più precisamente, particolari filtri a maniche). In realtà, rileva il Consiglio di Stato, sia l’Aia del 2017 e che il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale (approvato dal ministero dell’Ambiente nel 2014) prevedevano espressamente queste misure, prescrivendo al contempo modalità e tempistiche per la loro attuazione. Quindi, secondo il collegio, l’ordinanza non avrebbe rappresentato «fatti, elementi o circostanze tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare» l’esercizio dei poteri di contingibilità e urgenza, oppure che il rischio temuto comportasse un aggravamento della situazione sanitaria tale da dover intervenire senza attendere la realizzazione degli interventi secondo le tempistiche individuate dall’Aia.

Si precisa, inoltre, che il sindaco non avrebbe potuto legittimamente richiedere di anticipare l’installazione dei filtri a maniche. Infatti, questi interventi rientrano tra le misure di mitigazione individuate dal piano menzionato poco fa, che rientra nella “legislazione speciale” adottata per far fronte alla conclamata problematica di carattere sanitaria e ambientale, cercando, al contempo, di porre rimedio alle contestazioni mosse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza 24 gennaio 2019 c. Italia del 24 gennaio 2019 (vedere il box 1); di fatto, prosegue il Collegio, l’adozione di questi provvedimenti segna «una linea di discontinuità rispetto ai fatti che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preso in considerazione nella sua sentenza di condanna».

In conclusione, il potere di ordinanza avrebbe finito nel caso di specie «per sovrapporsi alle modalità con le quali, ordinariamente, si gestiscono e si fronteggiano le situazioni di inquinamento ambientale e di rischio sanitario, per quegli stabilimenti produttivi abilitati dall’A.I.A.».

Box 1

Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 24 gennaio 2019, Cordella e altri contro Italia (ricorsi nn. 54414/13 e 54264/15)

La sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo tratta due ricorsi promossi contro la Repubblica Italiana, nel 2013 e nel 2015, da alcuni cittadini che avevano denunciato gli effetti delle emissioni del siderurgico tarantino sulla loro salute e sull’ambiente; in particolare, lamentavano una violazione dei loro diritti alla vita (art. 2, convenzione europea dei diritti dell’uomo, “Cedu”), al rispetto della vita privata (art. 8, Cedu) e un ricorso effettivo (art. 13, Cedu). In particolare, i ricorrenti avevano lamentato l’omessa adozione da parte delle autorità competenti di tutte le misure appropriate per proteggere la loro vita e la loro salute.

Sul punto la Corte, dopo aver richiamato il suo orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui i «danni gravi arrecati all’ambiente possono compromettere il benessere delle persone e privarle del godimento del loro domicilio in modo tale da nuocere alla loro vita privata (Lopez Ostra c. Spagna, 9 dicembre 1994, serie A n. 303-C, § 51, e Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 60, Recueil 1998 I)», ha ricordato che gli Stati parte alla Convenzione hanno un obbligo positivo, derivante dagli articoli 2 e 8, «in particolare nel caso di un’attività pericolosa, di mettere in atto una legislazione adattata alle specificità di tale attività, in particolare al livello di rischio che potrebbe derivarne. Tale legislazione deve disciplinare l’autorizzazione, la messa in funzione, lo sfruttamento, la sicurezza e il controllo dell’attività in questione, nonché imporre a ogni persona interessata da quest’ultima l’adozione di misure di ordine pratico idonee ad assicurare la protezione effettiva dei cittadini la cui vita rischia di essere esposta ai pericoli inerenti al settore in causa».

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte ha ripercorso, in primo luogo, i diversi studi scientifici susseguitesi fin dagli anni ’70, che hanno dimostrato in modo inequivocabile gli effetti inquinanti delle emissioni degli stabilimenti Ilva, nonché l’esistenza di «un nesso di causalità tra l’esposizione ambientale alle sostanze cancerogene inalabili prodotte dalla società Ilva e l’insorgenza di tumori dei polmoni e della pleura, nonché di patologie del sistema cardiocircolatorio nelle persone residenti nelle zone interessate», e in particolare tra l’esposizione ai PM10 e al SO2 di origine industriale, dovuta all’attività produttiva del Siderurgico, e l’aumento della mortalità per cause naturali, tumori, malattie renali e cardiovascolari nei residenti di Taranto.

Alla luce di ciò, la Corte osserva che, «nonostante i tentativi delle autorità nazionali di giungere al disinquinamento della zona interessata, i progetti finora messi a punto non hanno prodotto gli effetti auspicati». Infatti, continua la sentenza, «le misure raccomandate a partire dal 2012 nell’ambito dell’AIA allo scopo di migliorare l’impatto ambientale dello stabilimento non sono state alla fine realizzate». Per di più, il Governo italiano è intervenuto in più occasioni ad adottare misure urgenti per garantire la prosecuzione delle attività produttive (anche a fronte delle plurime contestazioni giudiziarie circa i gravi rischi per la salute), offrendo, peraltro, l’immunità amministrativa e penale alle persone incaricate di garantire il rispetto delle prescrizioni in materia ambientale, ossia l’amministratore straordinario e il futuro acquirente della società.

In definitiva, la Corte riconosce che «che la gestione da parte delle autorità nazionali delle questioni ambientali riguardanti l’attività di produzione della società Ilva di Taranto è tuttora in una fase di stallo»: pertanto, non ha potuto che prendere atto «del protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella di tutta la popolazione residente nelle zone a rischio, la quale rimane, allo stato attuale, priva di informazioni sull’attuazione del risanamento del territorio interessato, in particolare per quanto riguarda i ritardi nell’esecuzione dei relativi lavori». Ne deriva, dunque, la responsabilità dello stato per la violazione del diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti, in quanto «le autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati», nonché in quanto «il giusto equilibrio da assicurare tra, da una parte, l’interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni all’ambiente che possano compromettere il loro benessere e la loro vita privata e, dall’altra, l’interesse della società nel suo insieme, non è stato rispettato».

8. Difetto di motivazione e carenze istruttorie: in merito alle cause di alcuni eventi emissivi

C’è un terzo aspetto che inficia il provvedimento contestato. Secondo il Collegio, infatti, l’ordinanza sarebbe viziata anche per difetto di istruttoria e di motivazione con riferimento alle cause che hanno determinato gli eventi emissivi. In particolare, gli atti istruttori di Arpa e Asl avrebbero sì individuato delle criticità nella gestione dell’impianto (ad esempio, e in particolare, nelle procedure per l’individuazione e la correzione delle anomalie di funzionamento del sistema di abbattimento delle polveri), senza, tuttavia, metterle adeguatamente in correlazione con i fenomeni emissivi. Pertanto, l’ordinanza sarebbe stata adottata «senza che vi sia stata un'univoca individuazione delle cause del potenziale pericolo e senza che sia risultata acclarata sufficientemente la probabilità della loro ripetizione».

9. Impossibilità di colmare le carenze istruttorie e di motivazione del provvedimento con un generico richiamo al principio di precauzione. Il “decalogo” proposto dal Consiglio di Stato

Queste carenze istruttorie, prosegue la sentenza, non possono nemmeno essere colmate attraverso il richiamo al principio di precauzione, su cui l’ordinanza aveva fatto leva per giustificare l’esercizio del potere e superare la «situazione di incertezza sugli aspetti tecnici e sanitari» legati ai fenomeni emissivi che hanno determinato il sindaco ad adottare l’ordinanza. Preliminarmente, il Consiglio di Stato ricorda l’origine eurocomunitaria del principio in parola (previsto espressamente dal trattato di Maastricht del 1992 e poi richiamato nella dichiarazione di Rio del medesimo anno) e il valore cogente dello stesso nell’ordinamento italiano in forza del richiamo ai principi europei dell’art. 1, legge n. 241/1990 nonché, per quanto interessa, dell’art. 3-ter, D.Lgs. n. 152/2006; in seguito, Palazzo Spada richiama il proprio orientamento sul punto e, in particolare, il “decalogo di principi” già enunciato nella sentenza n. 6250/2013 e ribadito, recentemente, con la sentenza n. 3957/2021 (Box 2).

Sulla base di questo “decalogo”, nonché sulla base della comunicazione della Commissione europea del 2 febbraio 2000 relativa proprio al principio di precauzione, il Consiglio di Stato ritiene che, nel caso di specie, sarebbe mancata una previa valutazione scientifica del rischio direttamente riconnesso alle emissioni anomale riscontrate, così come non sarebbe stata accertata la sussistenza di un possibile rischio non fronteggiabile con gli strumenti tipici predisposti dalla normativa di riferimento.

Box 2

Il “decalogo” sul principio di precauzione

 

  • il principio di precauzione costituisce uno dei fondamenti della politica dell’Unione europea e dello Stato italiano in materia ambientale accanto a quelli della prevenzione, dell’azione preventiva, e della correzione in via prioritaria ed alla fonte dei danni causati all’ambiente;
  • l’individuazione dei tratti giuridici del principio viene sviluppata lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali, infatti, presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici. Questi ultimi, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di queste misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente;
  • la giuridicizzazione e la conseguente giustiziabilità del principio di precauzione passano così attraverso la necessità di riconoscere canali istituzionali di coinvolgimento dei cittadini, delle loro formazioni sociali e delle loro comunità di riferimento, nell’esercizio della funzione (globalmente rilevante) di amministrazione del rischio, sia a livello comunitario sia a livello nazionale; il che contribuisce alla costruzione di un diritto “effettivo” del rischio, in linea con il modello della responsible governance;
  • il principio presuppone che l’esistenza di un rischio specifico è tale solo quando l’intervento umano su un determinato sito, sulla base di elementi obbiettivi, non possa escludersi che pregiudichi il sito interessato in modo significativo;
  • sul piano procedurale, l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura;
  • il principio non può legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell’area interessata; la situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura; in ogni caso il principio di precauzione affida alle autorità competenti il compito di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali ma lascia alle stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanze del caso concreto.

10. Non sussiste incostituzionalità delle norme sui termini di attuazione del piano ambientale

Infine, la sentenza rigetta una questione di costituzionalità sollevata dal Comune di Taranto dell’art. 2, comma 5, D.L. n. 1/2015, convertito in legge n. 20/2015, nella parte in cui pospone al 23 agosto 2023 il termine ultimo di attuazione del già richiamato piano ambientale. Secondo il Collegio, la questione di costituzionalità oltre a difettare del requisito della rilevanza rispetto al caso si specie, è anche infondata, posto che il D.P.C.M. 29 settembre 2017 realizza «un equo bilanciamento e contemperamento dei plurimi interessi coinvolti nella presente vicenda», avendo previsto che «solo “specifici interventi” (e non tutti gli interventi) possano essere differiti fino alla scadenza dell’a.i.a. in corso di validità», mentre «ha disciplinato numerosi interventi di attuazione immediata o da compiersi entro una data più ravvicinata».

L’articolata decisione del Consiglio di Stato conferma, in definitiva, che la vita e l’impatto ambientale dello stabilimento dipendono dalla piena applicazione delle varie prescrizioni sull’autorizzazione integrata ambientale del 2017. Questo è l’impegno faticoso e costante che deve, ogni giorno, costituire la prima preoccupazione per i gestori dello stabilimento, ma anche il punto di equilibrio definito dal Governo fra i diversi e talora confliggenti valori costituzionali. E, da oggi, anche il parametro di riferimento ineliminabile per le autorità amministrative e i giudici amministrativi che si occupano della vicenda.

Note   [ + ]

1. Nel caso di specie, il sindaco; ma si pensi anche, ad esempio, all’art. 32, legge n. 833/1978, che conferisce il potere di adottare ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, di carattere nazionale, al ministero della Salute
2. Sempre con riferimento alle ordinanze sindacali, la sanità, l’igiene pubblica, la tutela dell’ambiente eccetera per quanto riguarda l’art. 50, Tuel, l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana per l’art. 54, Tuel.

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