Coronavirus: le indicazioni dell’Iss sull’utilizzo professionale dell’ozono

Nel rapporto Covid-19 n. 56/2020 anche un'analisi dell'utilizzo per la depurazione delle acque

Coronavirus: le indicazioni dell'Iss sull'utilizzo professionale dell’ozono sono al centro del rapporto Covid-19 n. 56/2020.

Il documento, come si legge nella premessa, «ha la finalità di fornire le evidenze tecnico – scientifiche ad oggi disponibili sull’ozono nel contesto epidemico COVID-19». A questo proposito sono approfonditi:

  • il quadro regolatorio;
  • le valutazioni disponibili a livello nazionale e internazionale;
  • le informazioni sui pericoli e rischi connessi all’uso;
  • le informazioni sulla tossicità e l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente;
  • l'efficacia della sostanza come virucida, la sicurezza d’uso e le precauzioni da adottare nella generazione in situ di ozono nel campo della prevenzione e controllo del SARS-CoV-2.

Sono, altresì, passate in rassegna le diverse applicazioni dell’ozono, dalla sanificazione degli ambienti a quella dei dispositivi, al settore alimentare, fino al trattamento delle acque, oltre che, ovviamente, l’ozonoterapia, analizzata anche sotto il profilo dell’efficacia terapeutica.

Di seguito, il testo del rapporto Iss Covid-19 n. 56/2020.

Clicca qui per il rapporto ISS COVID-19 n. 58/2020 sulle indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia

 

Rapporto ISS COVID-19 n. 56/2020

Focus on: utilizzo professionale dell’ozono anche in riferimento a COVID-19 (versione del 23 luglio 2020)
Gruppo di lavoro ISS-INAIL
Destinatari del rapporto

I principali destinatari del documento sono le Autorità preposte, gli Operatori sanitari, gli Organi di vigilanza, le Imprese, i Lavoratori e la Popolazione.

Acronimi

BPR  Biocidal Products Regulation (Regolamento (UE) 528/2012)

CLP  Classification, Labelling and Packaging Regolamento (CE) 1272/2008

COVID-19  Coronavirus Disease 2019

ECHA  European Chemicals Agency (Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche)

EFSA  European Food Safety Authority

(Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare)

IARC  International Agency for Research on Cancer

MERS  Middle East Respiratory Syndrome (sindrome respiratoria mediorientale)

PMC  Presidio Medico-Chirurgico

PT   Product Type (tipo di prodotto)

REACH   Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals - Regolamento (CE) 1907/2006

SARS  Severe Acute Respiratory Syndrome (sindrome respiratoria acuta grave)

SARS-CoV-1 Coronavirus che causa la SAR

SARS-CoV-2  Coronavirus che causa la COVID-19

v/v volume/volume p/p peso/peso CDC

WHO World Health Organization (Organizzazione Mondiale della Sanità)

Executive summary

Il documento presenta e discute le evidenze tecnico-scientifiche, ad oggi disponibili, sulla sicurezza e sull’efficacia dell’ozono per i trattamenti di sanificazione anche in riferimento all’epidemia COVID-19 in corso.

Da un punto di vista normativo, attualmente in Italia l’ozono può essere commercializzato ed usato esclusivamente come sanificante; per l’eventuale uso come disinfettante vale a dire come prodotto specificamente atto a combattere (ridurre, eliminare, rendere innocui) i microorganismi occorre attendere il completamento della valutazione a livello europeo ai sensi del Regolamento (UE) 528/2012 (BPR) sui biocidi.

Per quanto attiene l’identificazione e caratterizzazione dei pericoli, l’ozono è una sostanza pericolosa sia per le sue proprietà intrinseche fisiche che per quelle tossicologiche ed ecotossicologiche. I principali effetti tossici dell’ozono sono riconducibili alle stesse proprietà che ne determinano l’efficacia, vale a dire la capacità di agire come agente ossidante. Questo meccanismo di tossicità provoca danno alle membrane cellulari con lesioni dei tessuti direttamente esposti: sistema respiratorio, occhi, mucose, cute. Studi epidemiologici hanno documentato effetti infiammatori e una maggiore suscettibilità alle infezioni respiratorie associati all’uso di ozonizzatori per la purificazione dell’aria, soprattutto da parte di soggetti vulnerabili come i bambini. I dati disponibili indicano che gli effetti tossici dell’ozono possono insorgere in seguito a esposizione prolungata a concentrazioni di ozono in aria superiori a 0,1 mg/m3.

Riguardo agli effetti a lungo termine, l’ozono è uno dei componenti dell’inquinamento atmosferico che è classificato come cancerogeno di Gruppo 1 (Cancerogeno per l’uomo) dalla IARC (2016). Per contro, la IARC non ha finora effettuato alcuna valutazione sistematica della potenziale cancerogenicità dell’ozono in quanto tale. Nel 2020 l’US EPA ha concluso che non vi sono evidenze adeguate per concludere sulla presenza o meno di una relazione causale tra l’esposizione a ozono e il rischio di cancro. Tuttavia, nelle acque contenenti lo ione bromuro, il trattamento con ozono può indurre la formazione di bromato che è un composto potenzialmente cancerogeno. Considerando la potenziale criticità ove vi sia un’esposizione umana prolungata, nelle acque trattate con ozono, la formazione di bromato non deve eccedere il valore guida provvisorio di 10 μg/L, proposto dalla WHO (2017) e adottato nella proposta di rifusione della Direttiva UE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (2019).

Altri pericoli comprendono il danno ossidativo ad alimenti, attrezzature e altri materiali presenti negli ambienti trattati: in particolare, un’alterata funzionalità delle attrezzature di lavoro può essere associata a rischi per la salute. Occorre inoltre menzionare la tossicità per gli organismi ambientali (ecotossicità), in particolare acquatici.

A prescindere dall’uso come sanificante, esiste un’esposizione a ozono negli ambienti indoor: le concentrazioni dipendono da sorgenti interne (es. stampanti, fotocopiatrici), ricambio dell’aria, reazioni con altri inquinanti indoor e contributo outdoor. Negli ambienti indoor l’ozono può interagire con i composti organici volatili emessi da materiali e prodotti di largo consumo: questo può portare alla produzione secondaria di sostanze tossiche (es. formaldeide) e di PM10 e PM2,5, contribuendo alla tossicità inalatoria dell’ozono. In assenza di specifiche sorgenti indoor il rapporto indoor/outdoor di ozono è stato stimato in un intervallo tra 0,2 e 0,7.

In merito alla classificazione di pericolo e ai valori guida nell’Unione Europea e Italia, ad oggi, nell’ambito del Regolamento (CE) 1272/2008 (CLP), riguardante la classificazione di pericolo di sostanze e miscele, non è stata effettuata una classificazione armonizzata dell’ozono nell’Unione Europea. Sempre in Europa, nell’ambito del Regolamento (CE) 1907/2006 (REACH), concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, le imprese interessate alla registrazione dell’ozono hanno presentato una proposta di classificazione (autoclassificazione) come sostanza che: può provocare o aggravare un incendio; letale se inalata; provoca gravi ustioni cutanee e gravi lesioni oculari; provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta per via inalatoria; molto tossica per l’ambiente acquatico con effetti di lunga durata.

Anche per quanto riguarda la salute dei lavoratori, l’Unione Europea non ha fissato alcun valore limite indicativo di esposizione professionale (IOELV, Indicative Occupational Exposure Limit Values) sebbene alcuni Stati membri abbiano stabilito valori limite nazionali per esposizioni occupazionali sia a breve che a lungo termine.

A livello nazionale l’allegato XXXVIII del DL.vo 81/2008 non include alcun Valore Limite per l’Esposizione Professionale (VLEP) all’ozono. Tuttavia in assenza di valori nazionali e comunitari, nel quadro normativo italiano, il riferimento – analogamente a quanto adottato da altri Stati Membri della UE – è rappresentato dai TLV®–TWA dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) che ha stabilito per l’ozono differenti valori in relazione al carico di lavoro e alla durata cumulativa dell’esposizione, in considerazione dei volumi di aria inspirata.

A titolo di esempio, il valore limite per una giornata lavorativa di 8 ore varia da 0,1 (lavoro pesante) a 0,2 (lavoro leggero) mg/m3.

Le linee guida WHO per la qualità dell’aria outdoor raccomandano un valore guida di 100 µg (0,1 mg)/m³ per 8 ore, sostanzialmente sovrapponibile ai parametri raccomandati da ACGIH.

Efficacia dell’ozono. Il documento passa in rassegna l’uso dell’ozono in contesti differenti, dalla sanificazione degli ambienti a quella dei dispositivi, al settore alimentare, fino al trattamento delle acque.

L’ozono è in grado di degradare rapidamente i composti organici (sanificazione); a concentrazioni generalmente più alte è in grado anche di disattivare rapidamente una vasta gamma di agenti patogeni (batteri, comprese le spore, virus, protozoi). Le condizioni operative devono essere attentamente selezionate poiché l’efficacia dei processi di ozonizzazione varia significativamente in funzione delle caratteristiche dell’ambiente da sanificare, nonché di possibili controindicazioni (es. danno ossidativo a prodotti o ad attrezzature).

Per quanto riguarda specificamente l’efficacia contro il SARS-CoV-2, un’azione disinfettante è, in linea di principio, del tutto plausibile considerando i meccanismi di azione dell’ozono. Per contro, non sono disponibili al momento dimostrazioni dirette dell’efficacia ottenute in studi controllati: questa carenza di informazioni validate non è limitata all’ ozono, ma è comune a diversi principi attivi in valutazione come Biocidi.

Per l’ozono sono state anche proposte molteplici indicazioni terapeutiche: quelle sostenute da evidenze più solide, evidenze di tipo A, sono rappresentate dalle patologie ortopediche della colonna vertebrale e del ginocchio. Un effetto benefico in pazienti affetti da COVID-19 è pure teoricamente possibile. Tuttavia, in attesa di disporre di evidenze derivanti da studi clinici, è opportuno richiamare che è difficile prevedere l’effetto complessivo del trattamento, specialmente nel caso di pazienti in condizioni clinicamente gravi, soprattutto considerando la tossicità e il potenziale ossidante dell’ozono.

Utilizzi in buona pratica e controllo del rischio. I generatori di ozono vengono correntemente promossi come dispositivi impiegabili per la sanificazione degli ambienti di lavoro. Sul mercato vi è un’ampia disponibilità di prodotti con differenti caratteristiche e capacità produttiva a seconda dell’impiego cui sono destinati. Le apparecchiature a ridotta capacità produttiva sono adatte ad ambienti di dimensioni contenute e in genere sono dotati di programmi predefiniti non modificabili e spesso di dispositivo di riconversione dell’ozono al termine dell’erogazione. Le apparecchiature a maggiore capacità produttiva sono ovviamente destinate ad agire in ambienti di grandi dimensioni. In ogni caso, prima di ricorrere all’utilizzo dell’ozono per il trattamento di locali è necessario valutare il rischio di esposizione sia degli operatori preposti alle operazioni di sanificazione, sia del personale che fruisce dei locali sanificati. Gli operatori devono essere addestrati ed esperti e provvisti di idonei Dispositivi di Protezione Individuali (DPI).

La tossicità e l’azione ossidante dell’ozono rappresentano un fattore limitante per il suo utilizzo. Questo ha stimolato lo sviluppo di sistemi per la decomposizione istantanea dei suoi residui rinvenibili negli ambienti indoor a seguito dell’uso di dispositivi in grado di generarlo. Le tecnologie convenzionali per la sua rimozione dall’aria si basano sull’impiego di filtri a carbone attivo o di catalizzatori a base di metalli nobili o di ossidi di altri metalli di transizione. Tra le tecnologie emergenti è particolarmente promettente l’ossidazione fotocatalitica.

Conclusioni e raccomandazioni. Alla luce delle informazioni disponibili l’applicazione dell’ozono per la sanificazione può essere utile in diversi contesti ambientali. Tuttavia, in relazione alle sue proprietà pericolose e ai rischi associati, i generatori di ozono vanno utilizzati previa opportuna valutazione del rischio, adottando adeguate misure organizzative in modo da effettuare in totale sicurezza il processo di sanificazione. Per i motivi sopra richiamati ne è pertanto sconsigliato l’impiego in ambito domestico da parte di operatori non professionali.

Considerando sia i pericoli associati all’ozono sia i benefici di un uso corretto, è del tutto auspicabile una tempestiva regolamentazione a livello comunitario, sulla base della conclusione dell’iter valutativo in corso nell’ambito dei Regolamenti Biocidi, REACH e CLP.

Un’azione disinfettante efficace contro il SARS-CoV-2 è pienamente plausibile; tuttavia, sarebbero utili ulteriori studi, effettuati secondo standard predefiniti, per definire protocolli per la “sanitizzazione” efficace e sicura degli ambienti/superfici, in modo da poter valutare parametri essenziali quali la concentrazione ed il tempo di contatto. Un effetto benefico in pazienti affetti da COVID-19 è teoricamente anche possibile, ma sono indispensabili studi clinici controllati sulla sicurezza e sull’efficacia, specialmente nel caso di pazienti in condizioni clinicamente gravi.

Introduzione e scopo del documento

Il presente documento ha la finalità di fornire le evidenze tecnico – scientifiche ad oggi disponibili sull’ozono nel contesto epidemico COVID-19. A tale scopo riporta lo stato dell’arte con riferimento a: status regolatorio, valutazioni disponibili a livello internazionale, informazioni su pericoli e rischi connessi all’uso dell’ozono, tossicità e impatto sulla salute umana e sull’ambiente, efficacia della sostanza come virucida, sicurezza d’uso e precauzioni da adottare nella generazione in situ di ozono nel campo della prevenzione e controllo del SARS-CoV-2, le diverse applicazioni, dalla sanificazione degli ambienti a quella dei dispositivi, al settore alimentare, fino al trattamento delle acque.

Si sottolinea che in attesa dell’approvazione come disinfettante ai sensi del Regolamento (UE) n. 528/2012 sui Prodotti Biocidi (Biocidal Products Regulation, BPR), al momento l’ozono può essere usato esclusivamente come sanificante.

Il documento, sulla base delle evidenze scientifiche, esamina inoltre l’efficacia terapeutica dell’ozonoterapia valutandone la sicurezza d’uso, le criticità e gli sviluppi in divenire. L’elaborato non prende in esame l’esposizione all’ozono quale prodotto involontario da irraggiamento UV dell’atmosfera.

Il documento, però non prende in esame altre sostanze generate in situ con possibile azione disinfettante o comunque sanitizzanti o altri processi in uso nel contesto epidemico COVID-19 e pertanto non consente una esaustiva valutazione del rapporto costo/beneficio rispetto agli altri sistemi disponibili.

1.    Sostanza, classificazioni di pericolo, valutazioni di Enti e Organismi internazionali e valori di riferimento

L’ozono (O3) in natura viene generato per dissociazione dell’ossigeno molecolare in ossigeno atomico da scariche elettriche nella stratosfera e in particolare nell’ozonosfera, concentrandosi a circa 25 km al di sopra del livello del mare, producendo un effetto schermante per la terra rispetto a oltre il 90% delle radiazioni UV dannose per la vita sul nostro pianeta. È un gas ossidante e si decompone spontaneamente in presenza di materiali ossidabili, umidità e superfici solide, può esplodere facilmente nella fase liquida e pertanto è essenziale evitarne la liquefazione.

La classificazione di pericolo e relative valutazioni dell’ozono sono oggetto di attenzione da parte di Organismi governativi e internazionali e di Agenzie quali l’Agenzia Europea per le sostanze chimiche (European Chemicals Agency, ECHA), la United States Environmental Protection Agency (US EPA), l’US Occupational Safety Health Administration (OSHA) e di istituzioni scientifiche indipendenti quali l’International Agency for Research on Cancer (IARC) una agenzia autonoma all’interno della World Health Organization (WHO). Le valutazioni emesse da US EPA e IARC non costituiscono, a livello nazionale, una disposizione cogente né hanno valore legale ma rappresentano un riferimento scientifico nella gestione di problematiche relative alla salute e all’ambiente.

L’ozono, è una sostanza pericolosa sia per le sue proprietà intrinseche chimico- fisiche, tossicologiche ed ecotossicologiche. Gli effetti principali legati ad una esposizione umana a breve termine da un rapporto causa effetto riguardano fenomeni di irritazione degli occhi, e delle vie respiratorie superiori e sono ipotizzati ma no provati effetti cardiovascolari, mentre esposizioni ripetute a lungo termini sono causalmente associate ad effetti all’apparato respiratorio. Ad oggi, non è disponibile una classificazione armonizzata ai sensi del Regolamento (CE) 1272/2008 riguardante la classificazione di pericolo di sostanze e miscele (Classification, Labelling and Packaging, CLP) (Europa, 2008) e la sostanza è pertanto autoclassificata, dal fabbricante, dall’importatore o dall’utilizzatore a valle, responsabili dell’immissione sul mercato e notificata, ai sensi dell’articolo 40 del CLP, all’Inventario ECHA delle classificazioni e delle etichettature. Si ricorda che la classificazione si basa sulle proprietà intrinseche di una sostanza (‘pericolo’) e non sulla probabilità di esposizione e sulle considerazioni in materia di rischio per la salute e per l’ambiente. Nell’adempimento degli obblighi di registrazione ai sensi del Regolamento (CE) 1907/2006 (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals, REACH) (Europa, 2006), i registranti hanno autoclassificato l’ozono come: sostanza che può provocare o aggravare un incendio; letale se inalata, provoca gravi ustioni cutanee e gravi lesioni oculari, provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta per via inalatoria, molto tossica per l’ambiente acquatico con effetti di lunga durata. Alcuni notificanti identificano l’ozono come sospetto mutageno; il danno al DNA non deriverebbe da una interazione diretta con il DNA, ma sarebbe indirettamente legato e secondario allo stress ossidativo indotto da ozono. A tale proposito le autorità competenti tedesche hanno manifestato nel 2016 a ECHA l’intenzione di proporre per l’ozono una classificazione ed etichettatura armonizzate anche come mutageno di categoria 2 e cancerogeno di categoria 2 (sostanze di cui si sospettano effetti cancerogeni per l’uomo)[1]Il Registro delle Intenzioni (RoI), gestito da ECHA e disponibile pubblicamente sul sito web dell’Agenzia, contiene informazioni delle parti che intendono presentare all’Agenzia un fascicolo per l’armonizzazione della classificazione e dell’etichettatura.. La data prevista per la presentazione della proposta di classificazione era il 30 dicembre 2018 ma, ad oggi, la proposta non risulta presentata all’Agenzia.

Il sito dell’ECHA riporta inoltre che le stesse Autorità Competenti tedesche stanno effettuando per l’ozono, come previsto dal programma di valutazione di tutte le sostanze attive biocide, ai sensi del Regolamento (UE) 528/2012 (BPR) (Europa, 2012), una valutazione delle eventuali proprietà come interferente endocrino, ma anche in questo caso la valutazione non risulta ad oggi conclusa.

1.1. Informazioni disponibili sulla cancerogenicità dell’ozono

Il possibile effetto cancerogeno dell’ozono è stato valutato studiando l’associazione tra lo sviluppo di tumori e l’intensità dell’esposizione in studi epidemiologici e in modelli sperimentali su modelli animali da esperimento esposti, in genere, ad elevate concentrazioni del gas. Gli studi sull’uomo sono difficili da interpretare perché il livello di esposizione specifico all’ozono non è generalmente misurato: infatti sono studi relativi dell’inquinamento atmosferico di cui l’ozono è solo uno dei componenti.

La IARC non ha finora ritenuto di sottoporre a valutazione sistematica la potenziale cancerogenicità dell’ozono, se non come componente dell’inquinamento atmosferico, classificato come cancerogeno di Gruppo 1 (Cancerogeno per l’uomo) (IARC, 2016). Alcuni studi hanno valutato l’incidenza di tumori in aree con diverse concentrazioni di ozono in atmosfera cercando di isolare l’effetto dei diversi agenti presenti in miscele estremamente complesse, con evidenti incertezze legati alla concomitante esposizione a molti fattori di rischio che agiscono l’un l’altro come confondenti. In un ampio studio di coorte della American Cancer Society (Cancer Prevention Study II, ACS CPS-II) non è stata osservata un’associazione tra livelli di ozono nell’aria esterna e incidenza di carcinoma del polmone (l’organo maggiormente esposto ad un agente in forma gassosa). Uno studio precedente, in cui si valutava l’effetto cancerogeno dello smog su una coorte di avventisti del settimo giorno (caratterizzati dall’assenza o minor frequenza nella distribuzione di alcuni fattori di rischio come fumo e alcool – studio AHSMOG), ha invece evidenziato un’associazione dei livelli di ozono con l’incidenza e la mortalità per cancro del polmone ma solo nei maschi (Abbey et al., 1999). I risultati sono quindi contrastanti e di difficile interpretazione.

Per quanto riguarda gli studi negli animali da esperimento sono disponibili in letteratura alcuni lavori. In particolare, uno studio di cancerogenesi della durata di due anni in GLP (Good Laboratory Practice), condotto dall’US National Toxicology Program (NTP) in cui ratti F344/N e topi B6C3F1 erano esposti per via inalatoria a ozono, ha identificato aumento marginale nell’incidenza di adenomi bronchioloalveolari o carcinomi (combinati) nei topi femmine e aumentata incidenza di carcinomi bronchioloalveolari in topi maschi e di adenomi bronchioloalveolari nei topi femmine (NTP, 1994).

L’Advisory Group to Recommend Priorities for the IARC Monograph, gruppo consultivo che raccomanda le priorità per le Monografie IARC al fine di garantire che le valutazioni delle monografie riflettano lo stato attuale delle evidenze scientifiche più rilevanti sulla cancerogenicità, nel Report relativo al periodo 2020-2024 ha attribuito all’ozono “priorità media” (IARC, 2020).

La IARC attribuisce le priorità sulla base (i) dell’evidenza per l’esposizione umana e (ii) dell’entità dell’evidenza disponibile per la valutazione della cancerogenicità (disponibilità di dati pertinenti sul cancro nell’uomo, studi di cancerogenesi negli animali da laboratorio e meccanismi di cancerogenesi). In particolare, la “priorità media” attribuita all’ozono si basa su studi epidemiologici di coorte già valutati in passato dalla IARC che non hanno dimostrato associazione tra esposizione a ozono e rischio di cancro mentre la maggior parte degli studi di corte e due metanalisi pubblicati dopo il 2016 non hanno riscontrato alcuna evidenza di associazione tra esposizione a ozono e rischio di cancro.

La US EPA aggiorna periodicamente, su mandato del Clean Air Act, le conoscenze scientifiche relative ai sei principali inquinanti atmosferici tra i quali è incluso l’ozono. A tale scopo, lo US EPA’s Center for Public Health and Environmental Assessment (CPHEA) sviluppa Integrated Science Assessments (ISA) che riassumono, per ciascun inquinante, le conoscenze relative agli effetti per la salute e il benessere.

Nell’aprile 2020, l’US EPA ha pubblicato un ISA aggiornato relativo all’Ozono che conclude che “l’evidenza che descrive la relazione tra l’esposizione a ozono e cancro rimane “inadeguata per comprendere la presenza o l’assenza di una relazione causale” (US EPA, 2020).

1.2. Tossicità diretta ed indiretta dell’ozono

A livello cellulare, i principali effetti tossici dell’ozono sono riconducibili alla sua capacità di ossidare e perossidare le biomolecole sia direttamente che indirettamente. L’ozono, infatti, decomponendosi rapidamente in fase acquosa può dare origine a una serie di specie reattive dell’ossigeno (ROS) inclusi radicali liberi e a perossido di idrogeno (H2O2 acqua ossigenata) che causano alterazioni della struttura e della funzione delle macromolecole biologiche. Il principale meccanismo di azione dell’ozono è la perossidazione lipidica i ROS e i radicali liberi attaccano i lipidi contenenti doppi legami ed in particolare gli acidi grassi polinsaturi, causando danni a livello cellulare, soprattutto ai fosfolipidi di membrana. La tossicità dell’ozono dipende, inoltre, dalla sua capacità di ossidare gli amminoacidi alterando irreversibilmente la struttura e la funzione delle proteine. Lo stress ossidativo che ne deriva può anche generare danni indiretti agli acidi nucleici.

Per quanto riguarda il possibile impatto sulla salute umana, sebbene l’ozono a basse concentrazioni non sia particolarmente tossico, ad alte concentrazioni può essere responsabile di effetti a carico dell’apparato respiratorio per alterazione della permeabilità degli epiteli, con conseguente riduzione della funzionalità polmonare (fino ad edema); può inoltre determinare un peggioramento in soggetti con bronchite o asma e causare altri disturbi quali bruciore agli occhi, cefalea, debolezza, effetti secondari che devono essere attentamente monitorati, in particolare nel caso di operatori incaricati della pulizia degli ambienti indoor. Esposizioni di alcune ore a livelli di ozono a partire da 0,2 mg/m3 (espressi come media oraria) sono in grado di causare sintomi irritativi sulle mucose oculari e sulle prime vie respiratorie; riduzioni transitorie della funzionalità respiratoria sono state osservate In bambini anche a livelli inferiori di ozono (0,12 mg/m3). Gli effetti a breve termine sono generalmente reversibili, vale a dire che cessano una volta che gli individui non sono più esposti ad elevati livelli di ozono. È possibile però che i danni derivati da esposizioni ripetute possano indurre cambiamenti permanenti del polmone, con effetti a lungo termine, con riduzione della funzione polmonare.

Il rischio ambientale, in seguito all’utilizzo di ozono per il trattamento delle superfici/ambienti, ecc. appare al momento trascurabile, considerata l’elevata percentuale di ozono normalmente presente nell’atmosfera. L’unico scenario ad oggi valutato, nell’ambito della procedura di autorizzazione come biocida ai sensi del BPR, risulta quello relativo allo sversamento nel sistema fognario per il quale sono in esame i possibili effetti a lungo termine.

A differenza di altri principi attivi generati in situ, come ad esempio il cloro, che rilasciano residui inquinanti, l’ozono si decompone ad ossigeno e questo potrebbe rappresentare un vantaggio per l’ambiente

L’ozono possiede odore caratteristico piacevole a concentrazioni inferiori a 2 ppm che diventa pungente e irritante a concentrazioni superiori (ACGIH, 2019), con sentore di chiodi di garofano, fieno o cloro (il suo nome deriva dal greco “odoroso”); la soglia di percettibilità olfattiva per l’uomo è compresa tra 0,02 ppm e 0,05 ppm, pertanto è riconoscibile già a concentrazioni molto ridotte e quindi, chi si trovi potenzialmente esposto viene preavvertito con anticipo rispetto al raggiungimento di concentrazioni elevate e potenzialmente dannose per la salute. L’odore non costituisce, tuttavia, un indice attendibile della concentrazione presente nell’aria in quanto, in un breve tempo di esposizione, si verifica assuefazione all’odore stesso.

Le Linee guida della WHO per la qualità dell’aria outdoor (WHO, 2005) raccomandano un valore guida espresso come concentrazione media massima giornaliera calcolata sulle 8 ore di 100 µg/m³ (0,05 ppm).

Il National Institute for Occupational and Safety Health (NIOSH) indica per l’ozono un IDLH (Immediately Dangerous to Life or Health – concentrazione immediatamente pericolosa per la vita o per la salute) di 5 ppm (10 mg/m3) basato su dati di tossicità acuta per inalazione nell’uomo (Deichmann & Gerarde, 1969; Kleinfeld et al., 1957). L’IDLH, livello da utilizzare in situazioni di emergenza, è definito come la massima concentrazione di sostanza tossica a cui può essere esposta per 30 minuti una persona in buona salute, senza subire effetti irreversibili per la propria salute o senza che gli effetti dell’esposizione non impediscano la fuga (NIOSH, 1994).

In condizioni reali il tempo di decadimento naturale necessario per rendere accessibili i locali è di almeno 2 ore e comunque fino a raggiungere una concentrazione residua inferiore alla soglia di percettibilità olfattiva per l’uomo, compresa tra 0,02 e 0,05 ppm, e pari a circa 1/10 della soglia di 0,2 ppm definita sicura negli ambienti di lavoro per un tempo di esposizione massimo di 2 ore.

1.3. Valori di riferimento negli ambienti di lavoro, sicurezza d’uso e precauzioni da adottare

Sulla base delle informazioni relative alla proprietà intrinseche dell’ozono, il suo utilizzo in ambienti di lavoro richiede l’adozione di precauzioni specifiche.

In particolare è necessario valutare il rischio di esposizione sia degli operatori preposti ai trattamenti di sanificazione sia dei lavoratori che devono svolgere il loro lavoro negli ambienti trattati.

Infatti, trattandosi di una sostanza pericolosa utilizzata in un luogo di lavoro, è necessario applicare le disposizioni del DL.vo 81/2008, Titolo IX - Sostanze pericolose, Capo I - Protezione da agenti chimici, effettuando la valutazione dei rischi e adottando misure generali e specifiche di protezione e di prevenzione, prevedendo disposizioni in caso di incidenti o di emergenze, ed effettuando una corretta informazione e formazione dei lavoratori.

In particolare, ai fini della riduzione del rischio chimico si raccomanda sempre di valutare la possibilità di ricorrere a sostanze e/o processi non pericolosi o meno pericolosi (principio di sostituzione) (DL.vo 81/2008, Art. 15, co.1, lett. f). Procedura di sanificazione dei luoghi di lavoro.

Per sanificazione si intende il complesso di procedimenti ed operazioni di pulizia e/o disinfezione e mantenimento della buona qualità dell’aria. I generatori di ozono vengono correntemente promossi come dispositivi impiegabili per la sanificazione degli ambienti di lavoro. Produttori e rivenditori di generatori di ozono spesso presentano l’ozono come un disinfettante naturale e l’ozono stesso come una variante salutare dell’ossigeno.

Come visto in precedenza, l’ozono è un gas in grado di provocare effetti avversi sulla salute umana con proprietà molto differenti dall’ossigeno. A causa delle sue proprietà tossicologiche e della sua capacità di ossidare diversi materiali, la sanificazione degli ambienti di lavoro tramite ozono deve avvenire in assenza di persone, utilizzando una dose e un tempo di impiego sufficienti a eliminare i microrganismi e virus ma con effetti di deterioramento minimi sui materiali. È infatti noto che concentrazioni ambientali di ozono accettabili per la salute umana possono essere non sufficientemente efficaci come sanificanti.

Pertanto è necessario adottare tutte le possibili precauzioni incluse operazioni finalizzate a ridurre la concentrazione residua di ozono e le concentrazioni degli inquinanti che si possono formare per reazione secondaria tra ozono e composti organici volatili (COV) (es. formaldeide e altre sostanze di particolare interesse igienico-sanitario).

Sul mercato vi è un’ampia disponibilità di prodotti con differente capacità di produzione di ozono. Il tempo necessario a raggiungere la concentrazione desiderata nell’aria deve essere calcolato anche in base al volume dell’ambiente da trattare.

Le fasi tipiche di un ciclo di trattamento sono:

  • la fase di condizionamento, in cui l’ozono viene iniettato nell’ambiente per raggiungere la concentrazione di ozono programmata;
  • la fase di trattamento, che dura il tempo necessario ad ottenere un trattamento efficace rispetto ai risultati attesi;
  • la ventilazione o la fase di conversione dell’ozono, che garantisce l’eliminazione dell’ozono dall’aria nell’ambiente trattato e continua fino al raggiungimento delle concentrazioni di ozono compatibili con la tutela della salute dei

A tale proposito alcuni generatori di ozono sono dotati di un catalizzatore che, dopo il trattamento, trasforma tutto l’ozono residuo in ossigeno.

Qualora in base alle indicazioni del fornitore non sia possibile stabilire quali siano tempi e modalità di aerazione dell’ambiente necessari a raggiungere concentrazioni sicure per i lavoratori, in funzione del volume ambientale e della quantità di ozono utilizzata, sarà necessario effettuare delle misure per determinarle.

1.4. Valori limite di esposizione professionale

Per l’ozono, l’Unione Europea non ha fissato alcun valore limite indicativo di esposizione professionale (IOELV, Indicative Occupational Exposure Limit Values), ma alcuni Stati Membri hanno stabilito valori limite nazionali per esposizioni occupazionali sia a lungo che a breve termine.

Anche a livello nazionale l’allegato XXXVIII del DL.vo 81/2008 non include alcun Valore Limite per l’Esposizione Professionale (VLEP) all’ozono. Tuttavia in assenza di valori nazionali e comunitari, nel quadro normativo italiano, il riferimento è rappresentato dai TLV®–TWA[2]TLV®-TWA (Threshold Limit Value - Time Weighted Average): Valore Limite per esposizioni prolungate nel tempo, detto anche Valore Limite ponderato. Rappresenta la concentrazione media, ponderata nel tempo, degli inquinanti presenti nell'aria degli ambienti di lavoro nell'arco dell'intero turno lavorativo ed indica il livello di esposizione al quale si presume che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, il lavoratore possa essere esposto 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana, per tutta la durata della vita lavorativa, senza risentire di effetti dannosi per la salute.dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) che ha stabilito nel 1999 per l’ozono differenti valori in relazione al carico di lavoro e alla durata cumulativa dell’esposizione (in quanto cambiano i volumi di aria inspirata) (ACGIH, 2019).

Nel dossier di registrazione REACH dell’ozono è stato identificato un DNEL[3]I DNEL, livelli derivati senza effetto, sono i livelli di esposizione a una sostanza al di sotto dei quali non si prevedono effetti negativi per la salute dell'uomo. Sono ricavati dai dichiaranti (cioè fabbricanti o importatori della sostanza) dalle informazioni tossicologiche e dalla relazione dose-effetto generate e raccolte durante il processo di registrazione della sostanza ai sensi del Regolamento REACH e funzionano come valori di riferimento per la valutazione della sicurezza chimica.(Derived No Effect Level) inalatorio a lungo termine per i lavoratori pari a 24 µg/m3 (ECHA, 2020).

Nella Tabella 1 sono riportati i valori limite di esposizione professionale, disponibili nel database IFA GESTIS[4]Institut für Arbeitsschutz der Deutschen Gesetzlichen Unfallversicherung (IFA, Institute for Occupational Safety and Health of the German Social Accident Insurance). IFA https://limitvalue.ifa.dguv.de/WebForm_ueliste2.aspx adottati in diversi Paesi europei ed extraeuropei. I valori vanno da un minimo di 0,05 ppm (circa il doppio della soglia olfattiva di 0,02 ppm) per esposizioni a lungo termine ad un massimo di 0,3 ppm per esposizioni a breve termine. Irlanda e Spagna, hanno adottato gli stessi valori limite dell’ACGIH.

Tabella 1
Valori limite di esposizione professionale in diversi Paesi europei ed extraeuropei

 

 

Paese o Agenzia

Valore limite per 8 ore Valore limite per esposizioni a breve termine (15 minuti)
ppm mg/m³ ppm mg/m³
Austria 0,1 0,2 0,2 0,4
Belgio 0,1 0,2
Danimarca 0,1 0,2 0,1 0,2
Finlandia 0,05 0,1 0,2 0,4
Francia 0,1 0,2 0,2 0,4
Ungheria 0,1 0,2 0,1 0,2
Lavoro pesante 0,05 Lavoro pesante 0,1 Lavoro pesante, moderato e leggero

< 2 ore 0,2

Lavoro pesante, moderato e leggero

< 2 ore 0,4

Irlanda Lavoro moderato 0,08 Lavoro moderato 0,16
Lavoro leggero 0,1 Lavoro leggero 0,2
Lettonia 0,05 0,1
Polonia 0,075 0,15
Romania 0,05 0,1 0,1 0,2
Lavoro pesante 0,05 Lavoro pesante 0,1 Lavoro pesante, moderato e leggero

< 2 ore 0,2

Lavoro pesante, moderato e leggero

< 2 ore 0,4

Spagna Lavoro moderato 0,08 Lavoro moderato 0,16
Lavoro leggero 0,1 Lavoro leggero 0,2
Svezia 0,1 0,2 0,3 0,6
Svizzera 0,1 0,2 0,1 0,2
Paesi Bassi 0,06 0,12
Lavoro pesante 0,05 Lavoro pesante 0,1 Lavoro pesante, moderato o leggero

≤ 2 ore 0,2

Lavoro pesante, moderato o leggero

≤ 2 ore 0,4

ACGIH Lavoro moderato 0,08 Lavoro moderato 0,16
Lavoro leggero 0,1 Lavoro leggero 0,2
USA – NIOSH

(National Institute for Occupational Safety

and Health)

 

0,1

 

0,2

USA - OSHA

(Occupational Safety and Health

Administration)

 

0,1

 

0,2

Regno Unito 0,2 0,4
Canada (Ontario) 0,1 0,2 0,3 0,6
Canada (Québec) 0,1 0,2
Giappone (JSOH) 0,1 0,2
Nuova Zelanda 0,1 0,2
Repubblica Popolare Cinese 0,15 0,3
Singapore 0,1 0,2
Corea del Sud 0,08 0,16 0,2 0,4

 

1.4.1. Rischio dovuto al campo elettromagnetico

I generatori di ozono sono apparecchiature elettriche che operano ad alto voltaggio, con tutte le conseguenti implicazioni per la sicurezza. L’effetto corona che si genera, qualsiasi sia la frequenza della corrente applicata, produce un ampio spettro di radiofrequenze dipendenti da molti parametri (Moongilan D. et al., 2009).

Il tema della tutela della salute dei lavoratori esposti a campi elettromagnetici è normato anche dal DL.vo 81/2008, che all’art. 209, co.5, lett d) precisa come il datore di lavoro debba prestare attenzione agli effetti sulla salute di lavoratori particolarmente sensibili, come i soggetti portatori di dispositivi medici impiantati, attivi o passivi, o dispositivi medici portati sul corpo e di lavoratrici in stato di gravidanza.

Anche il dossier di registrazione REACH dell’ozono, disponibile ad accesso libero sul sito di ECHA, nella sezione “Guidance on safe use – Exposure controls / personal protection” riporta tra le precondizioni per operazioni in sicurezza il divieto di ingresso nei locali in cui sono presenti generatori di ozono ai portatori di pacemaker e di altri dispositivi elettrici (ECHA, 2020). Nella valutazione del rischio occorre prendere in particolare considerazione l’estensione dell’area in cui il campo elettromagnetico supera i valori di riferimento stabiliti per la protezione della salute umana che, a seconda della configurazione del generatore, può variare da alcuni centimetri a qualche metro. Comunque, una frequenza di emissione di radiofrequenze troppo alta può compromettere il corretto funzionamento di altri dispositivi critici.

1.4.2. Misure di mitigazione del rischio

Ai fini dell’uso sicuro di ozono in ambienti lavorativi, è necessario predisporre idonee misure di prevenzione e protezione di tipo tecnico e organizzativo che includono dispositivi di protezione individuale (DPI). Complessivamente, tali misure devono riguardare sia gli operatori addetti al trattamento (lavoratori professionali che sono sottoposti a piani di sorveglianza sanitaria dedicata, formazione specifica sulle caratteristiche e sull’utilizzo dell’ozono, dotati di DPI nel caso sia necessario intervenire, ecc.) sia, ove necessario, i lavoratori che prestano la propria attività negli ambienti trattati con l’ozono.

Sul sito dell’ECHA sono disponibili le raccomandazioni sull’uso sicuro dell’ozono (ECHA, 2020). In particolare, sono raccomandate le misure di mitigazione del rischio di seguito riportate.

In merito alle informazioni disponibili sul sito di ECHA si fa presente che i dati riportati nel fascicolo di registrazione REACH, forniti da produttori e importatori nell’ambito del processo di registrazione, si riferiscono in particolare all’uso industriale dell’ozono. Inoltre, si sottolinea che tali dati vanno usati con grande cautela in quanto non vi è alcuna garanzia che le informazioni contenute nel fascicolo siano corrette o che il fascicolo sia conforme al REACH. Infatti, tali dati, sono ospitati sul sito di ECHA ma non necessariamente verificati dall’Agenzia che attualmente vaglia esclusivamente il 20% dei fascicoli di registrazione relativi a ciascuna fascia di tonnellaggio. Inoltre, il contenuto dei fascicoli può essere modificato dai registranti senza alcun preavviso.

Misure tecniche

  • I sistemi di generazione dell’ozono devono essere collocati in locali chiusi e con
  • I locali in cui sono collocati i sistemi di generazione dell’ozono non devono essere utilizzati come luoghi di lavoro Se ciò non è possibile per motivi legati al processo, è necessario garantire che la concentrazione di ozono nell’aria sul luogo di lavoro non superi il valore limite di esposizione professionale.
  • I locali in cui, in caso di guasto, può verificarsi una perdita di ozono, devono essere monitorati con rilevatori di ozono con segnale ottico e acustico che interrompano la generazione di ozono quando innescati. Ciò non è necessario per i locali in cui sono presenti tubazioni contenenti ozono senza connessioni rimovibili, che siano state esaminate per eventuali perdite da persona
  • Nei locali con sistemi di generazione dell’ozono deve essere presente opportuna
  • I locali in cui sono collocati i sistemi di generazione dell’ozono devono essere dotati di scarico della ventilazione installato in modo tale che l’aspirazione sia posizionata all’altezza del pavimento e si accenda automaticamente quando viene attivato il rivelatore di gas; devono essere garantiti almeno tre ricambi d’aria per ora
  • I locali in cui sono collocati i sistemi di generazione dell’ozono devono essere dotati di scarico della ventilazione installato in modo tale che l’aspirazione sia posizionata all’altezza del pavimento e si accenda automaticamente quando viene attivato il rivelatore di gas; devono essere garantiti almeno tre ricambi d’aria per
  • Utilizzare le unità di distruzione dell’ozono (termiche e/o catalitiche) per eliminare l’ozono residuo dall’aria dopo i
  • Possibilità di monitoraggio delle concentrazioni di ozono nell’aria: controllo nei locali della qualità dell’aria tramite sistemi di misurazione delle concentrazioni del

Misure organizzative

  • Le istruzioni per l’uso dei generatori di ozono devono essere fornite prima dell’impiego e successivamente almeno una volta all’anno.
  • Deve essere predisposto un piano di fuga e salvataggio se il luogo di lavoro lo richiede
  • Solo gli addetti alla procedura possono accedere alle aree trattate durante il trattamento o dopo il suo completamento per verificare che siano rispettate le condizioni per il rientro dei lavoratori che devono operare in tali
  • Sostituire gli indumenti che sono stati a contatto o hanno assorbito l’ozono e aerare gli indumenti lontano da qualsiasi fonte di
  • Le persone con pacemaker cardiaci o altri dispositivi elettrici non devono accedere in un ambiente con un sistema di generazione dell’ozono.
  • Tenuto conto della durata della procedura di trattamento e del tempo necessario per il completo decadimento e/o eliminazione dell’ozono residuo, è necessario programmare gli interventi in maniera tale da garantire il rientro in sicurezza dei lavoratori che occuperanno i locali e le aree Ciò può essere realizzato, ad esempio, utilizzando sistemi automatizzati programmabili che consentano le operazioni durante gli orari di fermo delle attività produttive.

Protezione personale

Tenuto conto della pericolosità connessa all’uso dell’ozono, come già sottolineato il trattamento degli ambienti deve avvenire in assenza di personale. Pertanto, in linea generale, l’uso di DPI è limitato a eventuali situazioni di emergenza in cui sia necessario accedere agli ambienti in corso di trattamento e, quindi, con presenza di concentrazioni pericolose di ozono nell’aria.

Oltre ai DPI per la protezione delle mani (guanti), del corpo (tute di protezione chimica) e degli occhi (occhiali a maschera), sono di fondamentale importanza i dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

In caso di basse concentrazioni o di operazioni a breve termine è consigliato l’utilizzo di un apparecchio filtrante con filtro per gas NO-P3 (codice colore blu-bianco) o CO (codice colore nero). In caso di operazioni a lungo termine è consigliato l’uso di un autorespiratore (es. sistemi aerei o autorespiratori ad aria compressa).

1.4.3. Impatto dell’ozono su materiali e attrezzature presenti negli ambienti di lavoro

L’ozono è un forte agente ossidante pertanto, può danneggiare sia dal punto di vista funzionale che estetico (colore, resistenza, durata, ecc.) materiali e attrezzature presenti nei luoghi di lavoro, creando nuovi rischi in relazione alla alterata funzionalità delle attrezzature di lavoro o generando costi aggiuntivi per le aziende in relazione alla necessità di ripristinare/sostituire i materiali o le attrezzature danneggiate.

1.5. Conclusioni

Da quanto precede risulta come, sia pure in assenza di valori comunitari, siano disponibili valori di riferimento in ambito lavorativo (es. ACGIH). Le misure di mitigazione del rischio sopra descritte, riferite in particolare all’uso industriale dell’ozono, possono essere anche adattate a scenari di esposizione professionale diversi.

2.    Impatto sugli ambienti indoor e sui materiali: depurazione da inquinanti chimici

Considerando le indicazioni generali che derivano dal DL.vo 81/2008, gli ambienti indoor intesi come luoghi di lavoro (es. scuole, uffici, banche, poste, ospedali, biblioteche, palestre, mezzi di trasporto), presentano differenze sostanziali in termini di: caratteristiche strutturali, tipologie di attività, livelli di esposizione attesi e sensibilità della popolazione potenzialmente esposta (es. soggetti asmatici o con problematiche respiratorie) o altre categorie vulnerabili (quali i bambini).

Come noto la situazione nel campo della qualità dell’aria indoor o più in generale della qualità dell’aria nei luoghi di lavoro tipicamente indoor risulta estremamente contenuta sebbene siano in corso numerose iniziative tendenti a rendere possibile l’emanazione di uno specifico atto legislativo sulla tematica e a incrementare l’utilizzo degli specifici riferimenti della WHO.

Una delle criticità è l’assenza di una politica nazionale integrata in materia di qualità dell’aria indoor, con riferimenti legislativi specifici che includano per l’ozono valori numerici di riferimento nazionali (es. valori guida, valori di riferimento, valori d’azione, ecc.) mentre per una corretta strategia di monitoraggio e valutazione dei risultati sono disponibili i Rapporti ISTISAN (pubblicati dal GdS Inquinamento Indoor dell’ISS) che tengono conto delle indicazioni presenti nei documenti della WHO. In assenza di riferimenti nazionali è possibile utilizzare quelli presenti nelle Air Quality Guidelines della WHO che nel caso dell’ozono riportano un valore guida che è stato ridotto da 120 µg/m3 a 100 µg/m3 come media massima giornaliera calcolata sulle 8 ore (WHO, 2005). In alternativa si può fare riferimento, per analogia, ad altri standard quali, ad esempio, quelli relativi all’aria ambiente per cui sono disponibili specifici riferimenti legislativi (quale il DL.vo 155/2010 s.m.i.) per un numero limitato di inquinanti tra cui l’ozono con un valore di 120 µg/m3 come media giornaliera su periodo di 8 ore ai fini della protezione della salute umana, una soglia di informazione[5]Soglia di informazione: livello oltre il quale sussiste un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione nel suo complesso ed il cui raggiungimento impone di assicurare informazioni adeguate e tempestive. di 180 µg/m3 e una soglia di allarme[6]Soglia di allarme: livello oltre il quale sussiste un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per la popolazione nel suo complesso ed il cui raggiungimento impone di adottare provvedimenti immediati. di 240 µg/m3, entrambe come media oraria.

L’Europa nell’affrontare le complesse problematiche connesse agli ambienti indoor ha attuato, nell’ambito dell’Azione concertata European Collaborative Action (ECA) Indoor Air Quality and its Impact on Man (attualmente Urban Air, Indoor Environment and Human Exposure), una collaborazione multidisciplinare tra studiosi che si occupano in maniera integrata degli aspetti legati agli ambienti indoor (sorgenti, qualità e quantità di prodotti chimici e biologici, comfort termico, consumo di energia e ventilazione) realizzando una serie di report/monografie specifiche. Il Report n. 26 Impact of Ozone-iniziated Terpene Chemistry on Indoor Air Quality and Human Health riporta lo stato delle ricerche sull’ozono e il suo impatto sulla qualità dell’aria indoor e sulla salute umana nonché quello dei prodotti che si formano a seguito della reattività dell’ozono che porta a una degradazione dei composti organici volatili (COV) (ossidazione) con formazione di prodotti stabili come aldeidi e perossidi, alcuni dei quali sono irritanti per gli occhi e per le vie respiratorie. Il Report indica la necessità di una maggiore conoscenza della caratterizzazione del rischio per gli effetti di esposizione acuta e a lungo termine (occhi e vie aeree superiori e inferiori) (EC, 2007).

Diversi Paesi come il Canada (Health Canada: Residential Indoor Air Quality Guideline Ozone, 2016) hanno elaborato un valore di riferimento per l’ozono negli ambienti indoor di 40 µg/m3 come media su un periodo di 8 ore. Tale concentrazione è considerata più rappresentativa dell’esposizione complessiva ad ozono. Il documento evidenzia come il valore di 40 µg/m3 rappresenti la metà del NOAEL (No Observed Adverse Effect Level) derivato da uno studio di esposizione controllata sulla popolazione (Adams, 2002).

I valori elaborati vengono utilizzati dagli Organismi governativi di controllo al fine di individuare/valutare le sorgenti presenti, e per la raccolta di specifiche informazioni da utilizzare per le necessarie soluzioni/mitigazioni, o per valutare l’efficacia delle azioni adottate.

Nel caso dell’ozono presente negli ambienti indoor diversi studi hanno evidenziato come le concentrazioni dipendano da sorgenti interne (es. stampanti, fotocopiatrici e molti altri e apparecchi progettati per uso interno che rilasciano ozono intenzionalmente o non intenzionalmente), ricambio dell’aria, reazioni con altri inquinanti indoor e contributo outdoor. In assenza di specifiche sorgenti indoor il rapporto indoor/outdoor di ozono è generalmente tra 0,2-0,7 (Kirchner et al., 2002).

L’ozono può interagire con i COV emessi dalle diverse sorgenti (es. materiali e prodotti di largo consumo come i terpeni) presenti negli ambienti indoor portando alla produzione di COV che possono essere più tossici e anche cancerogeni (es. formaldeide) e di PM10 e PM2,5 oppure attraverso reazioni omogenee ed eterogenee reagiscono con i materiali indoor (Poppendieck et al., 2007; Nicolas et al., 2007).

Diversi studi legati all’uso di ozonizzatori per la purificazione dell’aria da inquinanti chimici documentano gli effetti infiammatori e una maggiore suscettibilità alle infezioni respiratorie legati alla presenza di ozono, soprattutto nella popolazione più vulnerabile come i bambini (Salonen et al., 2018; Kunkel et al., 2010; Triche et al., 2006; Mudway et al., 2000; Levy et al., 2001).

Alcuni studi sui dispositivi generanti ozono per la purificazione dell’aria e sui livelli di ozono rilevano che esposizioni a concentrazioni di 120 ppb (0,12 ppm = 240 µg/m3) sono associate a una varietà di effetti acuti (es. irritazione respiratoria, tosse, cefalea, ecc.) (Boeniger, 1995). Inoltre, l’ozono è stato associato all’assenteismo scolastico a causa di malattie respiratorie, uso di farmaci, problemi respiratori associati all’asma, diminuzione delle funzioni respiratorie e aumento dei ricoveri ospedalieri per asma (Salonena, 2018).

È stato stimato che un aumento di 10 μg/m3 di ozono (1 ora) porta a un aumento medio della mortalità dello 0,21% (Levy et al., 2005)

L’Agence Nationale de Sécurité Sanitaire de l’Alimentation, de l’Environnement et du Travail (ANSES) francese ha pubblicato il documento “Identification et analyse des différentes techniques d’épuration d’air intérieur émergentes” che esamina le principali tecniche utilizzate per la purificazione (da sostanze chimiche) dell’aria indoor tra cui quelle basate sui principi di plasma, catalisi e fotocatalisi, ozonizzazione e ionizzazione (ANSES, 2017). Questi dispositivi per la purificazione dell’aria da sostanze chimiche sono destinati a tutta la popolazione e possono provocare effetti avversi su soggetti sensibili quali individui con asma e/o allergie. Dalla raccolta bibliografica effettuata risulta, inoltre, che questi dispositivi utilizzati con lo scopo di ridurre gli inquinanti chimici, possono purificare la qualità dell’aria indoor generando nuovi inquinanti (PM10, PM2,5 formaldeide, ecc.). L’ANSES, sulla base della letteratura scientifica esaminata, riporta che l’ozono può essere efficace sui contaminanti chimici e biologici ma a concentrazioni in aria che possono avere un impatto sulla salute umana. Al contrario, concentrazioni di ozono che non presentano alcun effetto sulla salute umana risultano di scarsa efficacia. I generatori di ozono produrrebbero concentrazioni in aria superiori al valore guida di 100 µg/m3 stabilito dalla WHO (ANSES, 2017).

Anche l’Institut National de Santè Publicque du Quebec (INSPQ) nel documento «Analyse de l’efficacité des dispositifs d’épuration de l’air intérieur en milieu résidentiel. Revue De La Littérature Scientifique” del 2019 riporta, nel caso degli ambienti indoor, come le organizzazioni sanitarie generalmente raccomandano di eliminare le fonti di ozono e di evitare esposizioni non necessarie a questo gas (INSPQ, 2019).

L’uso di questo tipo di dispositivo per controllare i contaminanti dell’aria indoor (come decontaminante dell’aria dagli inquinanti chimici) non è quindi raccomandato in quanto i soggetti che usano questi dispositivi (ozonizzatori per purificare l’aria da sostanze chimiche) sono generalmente esposti a concentrazioni che superano le soglie di esposizione raccomandate dalle organizzazioni sanitarie (US EPA, 2014; Gouvernement du Canada, 2012; Britigan et al., 2006; Zhang et al., 2011).

2.1. Conclusioni

Considerando le implicazioni igienico-sanitarie che si possono presentare nell’utilizzo dell’ozono negli ambienti indoor per la purificazione dell’aria da inquinanti chimici, alcuni autori esprimono perplessità sui potenziali rischi per la salute che necessitano di essere approfonditi (ANSES, 2017; INSPQ, 2019). Alla luce degli studi attualmente disponibili e in considerazione delle possibili concentrazioni di ozono e dei prodotti secondari (COV, PM10, PM2,5) che si formano in aria indoor, permane pertanto la necessità di ulteriori approfondimenti.

3.    Efficacia biocida: inquadramento normativo e applicazioni

3.1. Quadro normativo nazionale, europeo, internazionale

L’ozono generato in situ a partire da ossigeno, è un principio attivo ad azione “biocida” ed è in revisione (valutazione) ai sensi del Regolamento (UE) 528/2012 (BPR) sui biocidi (Europa, 2012) da parte degli Stati membri Germania e Paesi Bassi, come disinfettante per le superfici (PT2 e PT4), per la disinfezione dell’acqua potabile (PT5) e per impiego nelle torri di raffreddamento degli impianti industriali (PT11). Sebbene la valutazione del relativo dossier non sia stata completata, è disponibile un’ampia base di dati che ne conferma l’efficacia microbicida che comprende anche i virus (ISS, 2020).

In attesa dell’esito dell’iter valutativo a livello europeo come biocida, il rilascio dell’autorizzazione alla commercializzazione in Italia come “disinfettante” non è possibile, in quanto l’autorizzazione nazionale come Presidio Medico Chirurgico (PMC) – disinfettante, comporta la sola produzione in officine che devono essere autorizzate dal Ministero della Salute. Tale condizione, in caso di generazione in situ (produzione fuori officina), non è praticabile. In attesa del completamento della valutazione a livello europeo, il prodotto in questione può essere presente sul mercato nazionale come prodotto ad azione “sanitizzante” e non disinfettante. Quanto sopra è chiaramente stabilito nella nota del Ministero della Salute del 22 febbraio 2019 (Ministero della Salute, 2019) che recita:

“Tutti i prodotti che vantano in etichetta un’azione di disinfezione sono classificabili come prodotti biocidi – e sono posti in commercio solo dopo aver ottenuto una specifica autorizzazione alla commercializzazione da parte del Ministero della Salute o della Commissione Europea. Anche i prodotti che riportano l’indicazione del termine “sanitizzante/sanificante” si considerano rientranti nella definizione di prodotti biocidi e pertanto sono sottoposti al relativo regime autorizzativo”.

La stessa problematica si applica anche ad altri prodotti generati in situ, quali il cloro attivo generato per elettrolisi, da diversi precursori, mediante dispositivi mobili/portatili. Sebbene anche in questo caso le valutazioni secondo il BPR siano in corso, a livello nazionale l’immissione in commercio è attualmente consentita solo come sanitizzanti (o igienizzanti per ambienti) e pertanto conformemente al Regolamento (CE) 648/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativo ai detergenti (Europa, 2004).

In merito all’attività virucida dell’ozono, è noto che l’inattivazione dei virus avviene rapidamente in seguito a ozonizzazione, anche se richiede una somministrazione di gas a concentrazioni superiori rispetto a quella necessaria per i batteri.

La stessa International Ozone Association, organizzazione no-profit per l’informazione degli specialisti sull’ozono nel mondo, sul suo sito (www.ioa-pag.org) pur confermando che l’ozono è efficace per l’inattivazione di numerosi virus, dichiara di non essere a conoscenza di alcuna ricerca e test condotti specificamente sul coronavirus SARS-CoV-2.

L’assenza di dati specifici con i test previsti per dimostrare l’efficacia come disinfettante biocida è comune a diversi disinfettanti ad oggi in commercio, sia come PMC che come Biocidi, per i quali non sono disponibili dati sull’efficacia contro il SARS-CoV-2.

Un singolo studio, ad oggi, ha valutato l’effetto di alcuni disinfettanti specificamente sul virus SARS-CoV-2 in sospensione, rilevando come tutti quelli saggiati – la candeggina (ipoclorito di sodio) a uso domestico a varie diluizioni, l’etanolo al 70%, il povidone iodio al 7,5%, la clorexidina allo 0,05% e il cloruro di benzalconio allo 0,1% – rendessero il virus non rilevabile dopo 5 minuti di incubazione (Chin et al., 2020).

A tale proposito è necessario rappresentare che le prove di efficacia per l’autorizzazione come disinfettante, valide e applicabili per tutti i principi attivi finora autorizzati o in revisione – come ad esempio l’etanolo (in revisione come p.a. biocida), l’ipoclorito di sodio (già autorizzato come p.a. biocida), gli ammoni quaternari, ecc. – devono essere eseguite secondo le due norme tecniche standard (UNI EN 14476:2013 e UNI EN 16777:2019), previste sia a livello nazionale che europeo, per la valutazione dell’efficacia di prodotti da autorizzare come PMC/Biocidi. Le due norme richiedono che le prove di efficacia vengano effettuate su specie che sono state individuate come rappresentative dei virus con involucro e dei virus nudi. Nello specifico vengono saggiati, nel test in sospensione secondo la UNI EN14476, poliovirus, adenovirus e norovirus murino (Murine NoroVirus, MNV). Per un claim contro i soli virus con involucro, viene valutata l’efficacia contro il virus vaccinico. Adenovirus, norovirus e virus vaccinico vengono utilizzati per la verifica dell’efficacia su superfici secondo la UNI EN16777 (il poliovirus è escluso in quanto fortemente sensibile all’essiccamento). A seconda dei virus esaminati, e del fatto se siano stati eseguiti i test secondo entrambe le norme, a fronte di una riduzione logaritimica > 4, si può rivendicare in etichetta un’azione contro virus con involucro, virucida limitata o virucida completa.

È spesso difficile confrontare quanto riportato in studi scientifici pubblicati con i dati ottenuti secondo le norme tecniche EN (standard) richieste dalle disposizioni, non essendo chiaramente definiti, negli studi pubblicati tutti i parametri che vengono presi in considerazione nell’ applicazione dei protocolli standard previsti per la dimostrazione dell’efficacia e autorizzazione come disinfettante.

Ad esempio, come indicato, sono disponibili studi che indicano l’efficacia dell’ozono su norovirus (Hudson et al., 2007). Il norovirus murino è una delle specie considerate nei protocolli standard EN ma, sempre nell’ottica che quanto considerato in uno studio scientifico non sempre è univocamente paragonabile alle condizioni di un protocollo standard, nello studio citato il norovirus in questione era identificato genericamente come calicivirus felino – anch’esso nella famiglia dei norovirus ma non lo stesso utilizzato negli standard EN. Solo a titolo di esempio, è noto che il norovirus murino è più stabile ad ampi intervalli di pH rispetto al calicivirus felino, ma entrambi presentano un’analoga curva di inattivazione tra 63°C e 72°C (Cannon, 2006).

In questo periodo, è spesso citata la N-list dell’US EPA, che include i prodotti biocidi autorizzati negli USA con l’indicazione di quali siano attivi contro i virus. L’ozono non è citato tra questi, in quanto è incluso nella lista dei Pesticide Devices e ricade pertanto in un diverso inquadramento regolatorio. Come tale è classificato come “strumento/macchinario utilizzato per distruggere, allontanare, intrappolare o mitigare agenti nocivi, inclusi batteri e virus”.

3.2. Applicazioni nella decontaminazione degli ambienti

L’azione biocida dell’ozono per il trattamento degli ambienti è comprovata da diversi studi disponibili in letteratura. Un primo report aveva indicato come il trattamento con ozono non fosse sufficiente alla decontaminazione di ambienti ospedalieri nei confronti di Stafilococchi Meticillino Resistenti (MRSA) (Berrington et al., 1998). Studi successivi di laboratorio hanno indicato come fosse possibile raggiungere una Rlog=4 (99,99%) di E. coli e S. aureus dopo esposizione a concentrazioni di ozono tra 300 e 1500 ppm, in un intervallo di tempo tra 10 secondi e 8 minuti (Kowalski et al., 2008). Ai tempi dell’epidemia di SARS, Kenneth (2003), per verificare l’efficienza dell’ozono nella disinfezione degli ambienti, dimostrava come, mantenendo per 30 minuti un livello di ozono di 2,5 ppm si otteneva una diminuzione della carica microbica del 93%. Lo stesso studio desumeva, da tale dato, come, essendo i virus molto più sensibili dei batteri all’ozono, alle stesse concentrazioni e tempi di contatto si poteva ottenere una clearance importante dei virus.

Inoltre, in uno studio, l’ozono generato in situ è risultato efficace nell’inattivazione di norovirus in stanze d’albergo, cabine di nave e ambienti sanitari (Hudson et al., 2009) e, nel 2020 Dubuis et al. hanno riportato come l’ozono utilizzato a basse concentrazioni in combinazione con un’elevata umidità relativa, sia efficace contro batteriofagi e norovirus presenti in aria con riduzioni log di almeno 2 ordini di grandezza con basse concentrazioni di ozono (1,13 ppm ± 0,26 ppm e 0,23 ppm ± 0,03 ppm, rispettivamente, a vari livelli di umidità relativa per un’esposizione di 70 minuti).

Sarebbero comunque utili ulteriori studi, effettuati secondo standard predefiniti, al fine di definire tecnicamente un protocollo per la “sanitizzazione” degli ambienti/superfici, con indicazioni della concentrazione, tempo di contatto e altri parametri determinanti per l’efficacia del trattamento sanitizzante.

3.3. Applicazioni nella decontaminazione dei dispositivi medici riutilizzabili

L’utilizzo dell’ozono, ma come “sterilizzante” (distruzione di tutte le forme microbiche incluse le spore) è stato dichiarato idoneo dall’FDA nel 2003 per il trattamento di dispositivi medici riutilizzabili. L’ozono è compatibile, come sopra esposto, con un gran numero di materiali, tra i quali, l’acciaio, il titanio, l’alluminio anodizzato, ceramica, vetro, silicone, PVC, PTFE Teflon®, polipropilene, polietilene, ecc., è stato giudicato idoneo per il trattamento di dispositivi con lume rigido con diametro interno >2 mm, lunghi fino a 25 cm. L’efficacia di un trattamento di ca. 4 h a 30-35°C era in grado di causare un decremento di 6 log di uno degli organismi più resistenti, il Geobacillus stearothermophilus.

La Food and Drug Administration (FDA) ha recentemente concesso un’autorizzazione per uso emergenziale del dispositivo STERIZONE VP4 Sterilizer (Stryker) che impiega vapore di perossido di idrogeno e ozono in sequenza in un processo multifase per la sterilizzazione di dispositivi medici e anche per la decontaminazione di respiratori N95 per un massimo di due cicli. Il sistema di applicazione deve naturalmente essere adattato di volta in volta in relazione ai materiali e ai microrganismi target (FDA, 2020).

Analoghi riconoscimenti non risultano nel quadro regolatorio comunitario.

3.4. Conclusioni

Alla luce dell’informazioni disponibili sull’efficacia contro i virus, l’applicazione dell’ozono per la sanificazione può essere utile in diversi contesti ambientali. Tuttavia, in relazione alle sue proprietà pericolose e ai rischi associati, i generatori di ozono andrebbero utilizzati previa opportuna valutazione del rischio e adottando adeguate misure organizzative in modo da effettuare in totale sicurezza il processo di sanificazione.

Per i motivi sopra richiamati ne è pertanto sconsigliato l’impiego in ambito domestico da parte di operatori non professionali.

4. Applicazioni nel settore alimentare: inquadramento normativo e applicazioni

4.1. Aspetti normativi e valutazioni da parte di organismi regolatori
4.1.1. A livello comunitario

Allo stato non esiste una normativa specifica per l’uso diretto dell’ozono sugli alimenti, con l’eccezione delle acque minerali naturali (Europa, 2003). L’uso di sostanze diverse dall’acqua potabile o pulita, per ridurre la contaminazione microbica superficiale negli alimenti, è stato consentito con l’entrata in vigore del Regolamento (CE) 853/2004 e successive modifiche, che non hanno inficiato questo approccio generale. Nell’Unione Europea (UE), per l’uso di tali sostanze è necessario presentare un dossier e acquisire il parere favorevole dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Authority, EFSA) che ne deve valutare i potenziali benefici e rischi (es. persistenza di residui di sostanze tossiche negli alimenti) alle condizioni d’uso proposte (Hugas & Tsigarida, 2008).

L’EFSA non ha sinora prodotto un parere specifico sull’efficacia e sicurezza dell’uso dell’ozono; inoltre non risulta che attualmente, in attesa di valutazione, né la Commissione Europea né gli Stati Membri abbiano posto sull’argomento alcun quesito. Nel 2012 EFSA ha discusso l’ozonizzazione come trattamento di disinfezione per l’acqua marina imbottigliata (considerata come prodotto di nicchia) (EFSA, 2012). In estrema sintesi EFSA ha concluso che l’ozono è generalmente efficace contro virus e batteri nell’acqua, ma come gas è tossico e nell’acqua marina può interagire con tracce di bromuri, formando bromato, che è una sostanza cancerogena: per minimizzare questo problema la concentrazione nell’acqua non dovrebbe eccedere 0,5 mg/L, di poco superiore – quindi – alla concentrazione abitualmente usata di 0,4 mg/L. Inoltre, EFSA osserva che il trattamento con ozono è comunemente utilizzato per la disinfezione delle acque negli impianti di depurazione dei molluschi bivalvi; dal momento che l’ozono può essere tossico per gli animali, la quantità in eccesso va eliminata dall’acqua tramite aerazione forzata o filtrazione con carbone attivo.

Il trattamento con ozono è anche stato considerato da EFSA (2011) nell’ambito di un parere sulla decontaminazione delle carcasse di pollo potenzialmente contaminate con Campylobacter (EFSA, 2011). Il parere non ha evidenziato problematiche specifiche per l’ozono; in linea generale e in accordo con altri pareri, EFSA ha sottolineato come i trattamenti di decontaminazione vadano considerati complementari, e non sostitutivi, alle buone pratiche igieniche nella macellazione.

4.1.2. In Italia

Il Ministero della Sanità, con protocollo del 31 luglio 1996 n. 24482, ha riconosciuto l’utilizzo dell’ozono nel trattamento dell’aria e dell’acqua, come presidio naturale per la sterilizzazione di ambienti contaminati da batteri, virus, spore, muffe ed acari. Nel 2010 il Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare (CNSA) ha emesso un parere sull’utilizzo dell’ozono per la disinfezione delle camere di stagionatura dei formaggi (CNSA, 2010). Il CNSA, che fa riferimento al protocollo del Ministero della Salute del 31 luglio 1996 n. 24482, ha espresso parere favorevole alla ozonizzazione delle camere di stagionatura e/o degli ambienti di stoccaggio, purché in assenza di alimenti e purché il trattamento non sia in contrasto con specifici disciplinari di produzione. A parte il ben noto potere ossidante dell’ozono il parere non ha evidenziato contro indicazioni specifiche.

4.1.3. Negli USA

L’ozono è riconosciuto come additivo chimico GRAS (Generally Recognized As Safe) a partire dal 1997; è consentito come additivo secondo CFR (Code of Federal Regulations) title 21 vol 3 – Ref 21CFR173.368. Nel 2001 è approvato dalla FDA come additivo antimicrobico per contatto diretto (per carne, uova, pesce, formaggi, frutta e verdura).

4.2. Aspetti di sicurezza dell’uso dell’ozono nel settore alimentare

Per quanto riguarda l’esposizione degli utilizzatori: come descritto sopra (capitolo 1) l’ozono presenta caratteristiche di pericolosità che debbono portare a misure per minimizzare l’esposizione del tratto respiratorio e delle mucose ed il conseguente rischio. L’utilizzo deve quindi avvenire secondo protocolli e buone pratiche che tengano l’esposizione degli utilizzatori al di sotto dei parametri indicati nel punto 1.4.

Ovviamente l’utilizzo dell’ozono sugli alimenti non dà luogo a residui: l’ozono “in eccesso” viene rapidamente trasformato in ossigeno (Prabha et al., 2015). L’uso a livelli eccessivi a contatto con talune matrici può tuttavia provocare la formazione di composti tossici: questo aspetto va valutato caso per caso (EFSA, 2012).

La letteratura scientifica evidenzia possibili problemi indiretti relativi ad un impatto sulle qualità nutrizionali, in particolare la riduzione della vitamina C e di altri antiossidanti e l’aumento di perossidi. La letteratura disponibile mostra che questi effetti esistono, che la loro presenza ed entità variano in relazione al tipo di alimenti (e quindi del contenuto di antiossidanti, della quantità di sostanze, ad esempio grassi polinsaturi, vulnerabili alla ossidazione, ecc.) nonché all’entità del trattamento. Per contro, dai dati della letteratura è molto difficile trarre indizioni per un rapporto fra la dose di ozono e l’effetto (rapporto verosimilmente diverso a seconda del tipo di alimento). Inoltre, i lavori pubblicati non forniscono alcuna indicazione su un eventuale rischio per la salute associato a tali effetti, che sono comunque indesiderati. Queste considerazioni spingono tuttavia ad introdurre un elemento di ulteriore prudenza nei confronti di trattamenti indiscriminati con ozono (Sachadyn-Król et al., 2020; Zhu et al., 2019; Goffi et al., 2020; Singh et al., 2019; Ismail et al., 2018; Ianni et al., 2019)

4.3. Efficacia dell’uso dell’ozono nel settore alimentare

L’utilizzo dell’ozono in campo alimentare è stato estesamente investigato per la riduzione del rischio biologico, chimico e tossicologico di specifici prodotti non idonei a subire trattamenti convenzionali o per i quali tali trattamenti non risultino efficaci.

Fra le varie possibili applicazioni dell’ozono o dell’acqua ozonizzata, rientra ad esempio: i) la riduzione della carica microbica superficiale di prodotti ready-to-eat quali ad esempio frutta e verdura di IV gamma al fine di prolungarne la shelf-life; ii) l’abbattimento di microorganismi patogeni potenzialmente presenti, quali ad esempio Salmonella, Listeria, Campylobacter, pathogenic E. coli, ecc. su materie prime di origine animale (es. carne e pesce) o su carcasse animali; iii) la degradazione e detossificazione di specifiche micotossine nei cereali; iv) la degradazione e rimozione di residui di pesticidi da prodotti ortofrutticoli; v) l’uso come alternativa ai fumiganti per il controllo degli insetti infestanti; vi) l’uso per la sanificazione delle superfici e degli impianti/macchinari.

Diversi studi hanno specificamente valutato l’efficacia dell’ozono o dell’acqua ozonizzata come virucida in ambito alimentare o di produzione agroalimentare:

  • In un confronto operato fra diversi trattamenti virucidi (acido acetico, perossido di idrogeno, acido cloridrico, sodio ipoclorito, trattamento al calore secco, trattamento con acqua a 65°C, ultravioletti), l’ozono si è mostrato fra i più efficaci, riducendo mediamente del 32% le concentrazioni dei diversi virus vegetali – Tomato Mosaic Tobamovirus (ToMV), Cucumber Mosaic Cucumovirus (CMV), Soybean Mosaic Potyvirus (SMV), Lettuce Mosaic Potyvirus (LMV) – utilizzati nello studio (Paylan et al., 2014).
  • L’efficacia dell’ozono gassoso è stata valutata nella disattivazione di alcuni virus comunemente trasmessi da alimenti – norovirus umani, testati attraverso un loro surrogato, MNV, e virus dell’epatite A –, inoculati sulla superficie di Lo studio ha evidenziato come una concentrazione di 3 ppm con tempi di esposizione di 1 minuto fosse idonea ad ottenere una riduzione >3 log del norovirus surrogato. Di contro né la medesima concentrazione/tempo di applicazione, né concentrazioni e tempi superiori hanno mostrato una efficacia significativa sul virus dell’epatite A, evidenziando pertanto una notevole variabilità della resistenza virale ai trattamenti con ozono (Brie et al., 2018).
  • Analogamente al precedente studio, lo studio di Predomore et , (2015) ha valutato l’efficacia dell’ozono gassoso (6% in ossigeno) per la disattivazione di due surrogati del norovirus umano (MNV e Tulane Virus, TV) inoculati su lattuga e fragole, effettuando trattamenti variabili da 10 a 40 minuti. I risultati hanno dimostrato che l’ozono gassoso inattiva i norovirus in modo dose-dipendente, con una riduzione del virus infettante presente sulla superficie dell’alimento >3 log dopo 40 minuti (Predomore et al., 2015).
  • L’utilizzo di acqua ozonizzata (6,25 ppm) è stato invece valutato per la disattivazione dei norovirus (surrogati: MNV e TV) in germogli alfalfa (con tempi di trattamento variabili da 30 secondi a 30 minuti), mettendo in evidenza una riduzione dell’infettività virale variabile da 1,7 a 5,6 log (Wang et , 2015).
  • L’efficacia dell’acqua ozonizzata (6.25 ppm) nella disattivazione dei norovirus (surrogati: MNV e Feline Calicivirus, FCV) è stata altresì confermata da Hirneisen et (2011) che, in esperimenti su lattuga e scalogno sperimentalmente inoculati e trattati per tempi variabili fra 30 secondi e 10 minuti, hanno evidenziato una riduzione dell’infettività virale >2 log dopo 1 minuto per MNV e dopo 5 minuti per FCV. Lo studio ha inoltre mostrato che la matrice alimentare ha un effetto protettivo rispetto al trattamento e ha confermato la variabilità nella resistenza di virus diversi (Hirneisen et al., 2011).

5.    Ozono per il trattamento delle acque: inquadramento normativo e applicazioni

5.1. Efficacia dell’ozono nei confronti dei microrganismi idrodiffusi

L’ozono è in grado di disattivare rapidamente una vasta gamma di agenti patogeni (batteri, comprese le spore, virus, protozoi) (Wang, 2018). Generalmente, la dose necessaria per garantire una disinfezione efficace delle acque è più alta di quella che permette la degradazione dei composti organici che, pertanto, vengono co-rimossi (Xi, 2017). Le condizioni operative devono essere attentamente selezionate perché l’efficacia dei processi di ozonizzazione varia significativamente in funzione delle caratteristiche dell’acqua trattata (Ried, 2009). Secondo la US EPA (US EPA, 1999), l’ozono è più efficace del cloro nella disinfezione delle acque, con tempi di reazione più brevi.

Diversi studi hanno valutato la sua efficacia nella rimozione di virus umani (adenovirus, poliomavirus, cocksakievirus, norovirus, astrovirus e parvovirus) dalle acque reflue (Ried, 2009; Wolf, 2018; Tondera, 2015). Il trattamento di ozonizzazione conduce all’ossidazione delle proteine virali del capside, che si traduce o nella distruzione di tale struttura o nella sua incapacità di legarsi al recettore cellulare prevenendo, quindi, l’infezione virale delle cellule sensibili (Ried, 2009). Al pari di altri disinfettanti, l’efficacia della sua azione viene valutata quantitativamente in termini del prodotto C·t, ovvero quello tra la concentrazione residua di disinfettante in acqua e il tempo di contatto necessario per la rimozione di un numero prefissato di log del microrganismo. La Tabella 2 riassume alcuni valori del prodotto C·t per la rimozione di 2 log di batteri, protozoi e virus a seguito del trattamento di ozonizzazione di acque reflue contaminate artificialmente: batteri e virus risultano molto più suscettibili dei protozoi all’azione biocida dell’ozono poiché necessitano di dosi e/o di tempi di contatto più bassi. Ciò implica la necessità di progettare il sistema di disinfezione tenendo presente le condizioni minime operative necessarie alla rimozione dei protozoi che rappresentano il fattore limitante del processo.

Tabella 2
Alcuni valori del prodotto C·t per la rimozione di 2 log di batteri, protozoi e virus a seguito del trattamento di ozonizzazione di acque reflue contaminate artificialmente

 

Patogeno Tipologia C·t (mg O3·min/L)
E. Coli batterio 6,0 · 10-3
C. parvum protozoo 3,1 · 10-0
G. lamblia protozoo 0,65 · 10-0
G. muris protozoo 0,24 · 10-0
Echovirus virus 1,9 · 10-3
Adenovirus virus 4,1 · 10-3

 

5.2. Applicazione nella potabilizzazione di acque superficiali e sotterranee da destinare al consumo umano

In Italia le risorse idriche utilizzate per l’approvvigionamento idropotabile sono per la maggior parte di origine sotterranea (48,0% acque di pozzo, 36,3% acque di sorgente) e, in misura minore, di origine superficiale (9,9% acque di bacino artificiale, 4,8% acque fluviali, 0,9% acque di lago naturale, 0,1% acque marine o salmastre) (ISTAT, 2017).

Le acque con buone caratteristiche fin dal prelievo, derivate da sorgenti e pozzi profondi, necessitano in genere di trattamenti semplici (quali, ad esempio, la filtrazione su sabbia e/o la disinfezione) in quanto beneficiano dei fenomeni naturali di autodepurazione che si verificano durante la permeazione dell’acqua piovana attraverso gli strati del sottosuolo. Le acque superficiali e alcune acque di falda meno profonde, a causa delle loro caratteristiche intrinseche e della loro vulnerabilità a inquinamenti accidentali, richiedono filiere di trattamento più complesse, comprendenti in genere la sedimentazione (nella quale le sostanze solide più grossolane si separano dall’acqua per gravità), la chiariflocculazione (attraverso la quale le particelle sospese vengono aggregate in fiocchi più voluminosi e sedimentabili da parte di reagenti chimici a base di sali di alluminio o di ferro), l’ossidazione, la filtrazione su sabbia, carbone attivo, allumina e/o altri mezzi filtranti e la post-disinfezione. In tutti i casi, i trattamenti di potabilizzazione, a cui possono essere sottoposte le acque captate prima di essere immesse nelle reti di distribuzione, hanno la finalità di garantire i requisiti di salubrità e pulizia dell’acqua erogata dal gestore idrico attraverso il raggiungimento e il mantenimento, fino all’utenza, delle caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e microbiologiche disciplinate dalla normativa vigente (DL.vo 31/2001 e s.m.i.).

Nell’ambito della filiera di trattamento delle acque superficiali e di quelle sotterranee contaminate, l’impiego dell’ozono, da solo o in associazione con il perossido di idrogeno o l’irraggiamento UV nei processi di ossidazione avanzata, rappresenta un valido strumento, spesso insostituibile, nell’ambito dei trattamenti di pre-disinfezione (o riduzione della presenza dei patogeni), di rimozione del particolato sospeso e di ossidazione di sostanze organiche di origine naturale e microinquinanti organici e inorganici, come di seguito descritto.

5.2.1. Uso dell’ozono nella rimozione del particolato

Tutte le acque superficiali contengono, prima della loro potabilizzazione, solidi sospesi di origine, dimensioni e composizione differenti, spesso contaminati da cisti infettive e oocisti di parassiti (Giardia, Cryptosporidium). A seconda della qualità dell’acqua grezza in ingresso all’impianto di trattamento, la rimozione del particolato può essere realizzata mediante filtrazione rapida o lenta, coagulazione/flocculazione/filtrazione a letto profondo, decantazione o flottazione seguite da filtrazione rapida, filtrazione tangenziale su membrana (come la nano, la micro e l’ultrafiltrazione). Si è visto che un trattamento di pre-ozonazione a dosaggi piuttosto bassi (0,5-2,0 mg/L), in prossimità dell’ingresso dell’unità di abbattimento del particolato, può migliorare significativamente l’efficienza di quest’ultimo e può ridurre notevolmente il consumo dei reagenti incrementando, al contempo, le portate dell’acqua trattata (Jekel, 1998). Complessivamente sono state osservate riduzioni della torbidità finale pari a circa il 20-90% di quelle misurate in assenza di ozono.

La pre-ozonazione può essere efficacemente combinata con la flottazione nella rimozione delle alghe presenti nelle acque captate da invasi superficiali durante le fioriture algali. Il processo consente anche la concomitante distruzione delle tossine sia intracellulari che extracellulari.

5.2.2. Uso dell’ozono nei trattamenti di pre-disinfezione

L’acqua captata da risorse idriche superficiali può contenere una moltitudine di batteri, virus e parassiti, escreti nelle feci animali e umane, che devono essere efficacemente rimossi al fine di assicurare il raggiungimento dei requisiti minimi di salubrità e pulizia richiesti dalla normativa vigente. Il conseguimento di questo obiettivo è assicurato dall’implementazione di un complesso sistema a barriere multiple, di cui l’ozono è un componente chiave: la sua efficacia nei trattamenti di disinfezione è spesso superiore a quella esibita da altri reagenti (cloro libero, biossido di cloro, perossido di idrogeno e clorammine), soprattutto nei confronti di quelli più resistenti, come i protozoi.

Il breve tempo di emivita dell’ozono disciolto (che lo rende praticamente inutilizzabile durante la fase di distribuzione idrica all’utenza) e la sua capacità di produrre sostanze organiche biodegradabili (che devono essere rimosse prima dell’ingresso nella rete idrica) ne collocano l’uso immediatamente prima dei trattamenti di filtrazione a sabbia o a carbone attivo.

5.2.3. Uso dell’ozono nell’ossidazione dei microinquinanti inorganici

L’impiego diretto dell’ozono nella rimozione ossidativa dei microinquinanti inorganici è un’applicazione piuttosto rara dal momento che esistono altri metodi più efficaci per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. La capacità di abbattere alcune specie inorganiche viene quindi considerata come un effetto secondario dei trattamenti di ozonizzazione implementati per altre finalità (rimozione delle particelle, pre- disinfezione, ossidazione della NOM- Natural Organic Matter).

Una reazione particolarmente critica dal punto di vista sanitario è la formazione di bromato a partire da acque contenenti lo ione bromuro. Trattandosi di un potenziale cancerogeno, la WHO ha proposto un valore guida provvisorio di 10 μg/L (WHO, 2017), recentemente adottato nella proposta di rifusione della Direttiva UE sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (UE, 2019). Le strategie attualmente implementate per limitare la formazione di questo sottoprodotto si basano sull’ottimizzazione del dosaggio dell’ozono, sulla correzione del pH dell’acqua prima dell’ozonizzazione, o sul dosaggio di piccole quantità di ammoniaca o di perossido di idrogeno (Jarvis et al., 2007; von Gunten, 2003). L’impiego dei filtri a carbone attivo contribuisce solo parzialmente alla sua rimozione dall’acqua trattata (Hoigné et al., 1985; Haag et al., 1983; von Gunten & Hoigné, 1994; Koudjonou et al., 1994).

L’ozono è in grado di decomporre rapidamente altri disinfettanti: quest’ultimi possono essere impiegati solo dopo la rimozione dei residui di ozono, immediatamente prima dell’immissione in rete (post- disinfezione). Un caso particolare è rappresentato dall’interazione con il perossido di idrogeno, utilizzata proficuamente nei processi di ossidazione avanzata (AOP) a seguito della formazione di radicali ossidrilici e perossidrilici, fortemente reattivi nei confronti di composti organici bersaglio persistenti.

  • Uso dell’ozono nell’ossidazione della Natural Organic Matter (NOM)

Tutte le fonti di approvvigionamento idropotabile contengono un complesso insieme di sostanze organiche di origine naturale in concentrazione compresa tra 0,2 e 10 mg/L. La presenza della NOM a concentrazioni superiori a 0,4-0,6 mg/L può rappresentare un problema nel raggiungimento dei requisiti minimi di qualità delle acque potabili in quanto è corresponsabile di una serie di fenomeni negativi come l’alterazione delle caratteristiche organolettiche dell’acqua, la formazione dei sottoprodotti di disinfezione per interazione con i biocidi, la ricrescita batterica nel sistema di distribuzione, la riduzione di efficienza nel trattamento di rimozione del particolato e la saturazione precoce dei filtri a carbone attivo. La rimozione della NOM o la sua trasformazione in sostanze meno reattive con il cloro è un compito di prioritaria importanza soprattutto nel trattamento delle acque di origine superficiale. A tal fine, si possono impiegare vari processi tecnologici tra cui l’ossidazione chimica mediata dall’ozono, da collocare tra i processi di decantazione/flottazione e filtrazione rapida o tra quelli di filtrazione rapida e adsorbimento su carbone attivo (Camel & Bermond, 1998).

5.2.5. Uso dell’ozono nell’ossidazione dei microinquinanti organici

I microinquinanti organici possono essere rinvenuti nelle acque superficiali e in quelle sotterranee in concentrazioni comprese nell’intervallo 0,01-100 μg/L in funzione del livello di inquinamento della fonte di approvvigionamento. La degradazione di questi composti a metaboliti ossidati o la loro decomposizione totale mediante l’impiego di ozono è un processo complesso influenzato dalle caratteristiche dell’acqua trattata (pH, carbonio inorganico e organico, ecc.). Per tale ragione l’azione ossidativa dell’ozono sui microinquinanti organici presenti nelle acque da potabilizzare viene, ad oggi, considerata un effetto collaterale positivo riscontrabile nei trattamenti di ozonizzazione implementati per altre finalità. La rimozione dei microinquinanti organici ad opera dell’ozono non è quasi mai completa, per cui è necessario implementare una successiva unità di trattamento come, ad esempio, la degradazione biologica e/o l’adsorbimento su carbone attivo.

5.3.  Applicazione nel trattamento delle acque di piscina destinate ad un’utenza pubblica

In ottemperanza alla riforma costituzionale del 2001, l’esercizio delle piscine natatorie è regolamentato, in Italia, dalle singole Regioni e Provincie Autonome di Trento e Bolzano, tenuto conto dei principi generali e dei parametri essenziali definiti dall’Accordo Stato-Regioni del 16 gennaio 2003 (Italia, 2003) e dal successivo Accordo interregionale del 16 dicembre 2004 (Italia, 2004). Nell’Allegato I del suddetto Accordo Stato-Regioni viene elencato l’ozono tra le sostanze consentite per il trattamento dell’acqua in immissione in vasca al fine di garantire il controllo del rischio microbiologico negli impianti natatori (Bonadonna et al., 2007) minimizzando, al contempo, la formazione dei sottoprodotti della disinfezione del cloro (Glauner, 2006). Il trattamento di ozonizzazione viene implementato all’esterno della vasca natatoria sull’acqua di ricircolo, prima della successiva riclorazione. La concentrazione di ozono aggiunto all’acqua trattata è tale da assicurare un valore di C·t (ovvero del prodotto tra la concentrazione del reagente e il tempo di contatto) compreso tra 2,4 e 15,0 mg·min/L (pari a 0,8-1,5 mg/L di ozono per 3-10 minuti di contatto) (DIN, 1997). Immediatamente prima della re-immissione in vasca, l’acqua trattata non deve contenere residui di ozono a concentrazioni superiori o uguali a 0,01 mg/L in modo da garantire il rispetto di tale limite anche nell’acqua contenuta nella vasca natatoria (Italia, 2003). Al contempo, per le piscine coperte viene prescritto un ricambio di aria esterna di almeno 20 m3/h per m2 di vasca (Italia, 2003) con l’obiettivo di ridurre il rischio associato all’esposizione ai sottoprodotti volatili derivanti dall’ozono (acetaldeide) o dalla miscela ozono- cloro (trialoacetaldeidi).

5.4. Applicazione nel trattamento delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente

Le acque minerali naturali, disciplinate dal DL.vo 176/2011 e dal DM 10 febbraio 2015, sono definite come “le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute”. Si differenziano dalle acque potabili per la purezza originaria, l’assenza di qualsiasi trattamento di disinfezione e il livello di protezione da potenziali rischi di inquinamento: sono generalmente più gradevoli dal punto di vista organolettico e garantiscono l’assenza dei sottoprodotti della disinfezione. La natura e la configurazione idrogeografica della fonte fanno sì che queste acque presentino sempre, in tutte le stagioni, le stesse caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche.

Le acque di sorgente, disciplinate anch’esse dalla normativa sopra citata, sono, invece, “acque destinate al consumo umano, allo stato naturale e imbottigliate alla sorgente, che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una sorgente con una o più emergenze naturali o perforate”. Pur essendo sottoposte agli stessi criteri di qualità organolettici, fisici, chimico-fisici e chimici delle acque potabili, a differenza di quest’ultime, non possono essere sottoposte ai normali trattamenti di potabilizzazione, inclusa la post-disinfezione. Devono, pertanto, soddisfare i requisiti di purezza microbiologica previsti per le acque minerali naturali.

Sia le acque minerali naturali che quelle di sorgente devono essere imbottigliate vicino alla fonte senza subire processi che possono alterare il loro carattere attraverso la modifica della composizione nei componenti essenziali. Fanno eccezione alcuni trattamenti specifici, come quello con aria arricchita con ozono per la separazione ossidativa di ferro, manganese, zolfo e arsenico: tale trattamento deve essere effettuato senza provocare la formazione di residui ad una concentrazione superiore ai limiti massimi stabiliti dalla normativa vigente (50 μg/L per l’ozono disciolto, 3 μg/L per il bromato e 1 μg/L per il bromoformio) o, in generale, a livelli che possono presentare un rischio per la salute del consumatore. Il trattamento di ozonizzazione deve comunque essere espressamente autorizzato dal Ministero della Salute, sentito il Consiglio Superiore della Sanità.

5.5. Applicazione nel trattamento delle acque reflue urbane

Le acque reflue urbane sono costituite da una combinazione complessa e variabile delle acque di rifiuto domestiche (provenienti dalle attività domestiche e dalle deiezioni umane), delle acque di ruscellamento (provenienti dal lavaggio delle strade e dal collettamento dei pluviali) e delle acque reflue industriali che possono ritenersi assimilabili, dal punto di vista qualitativo, a quelle domestiche. Una delle principali caratteristiche dei reflui urbani è la presenza di un elevato quantitativo di solidi disciolti e sospesi di natura organica con elevata biodegradabilità, che ne rende possibile l’abbattimento mediante processi biologici.

Il trattamento di depurazione consiste in una successione di più fasi (ovvero: grigliatura, dissabbiatura, disoleazione, sedimentazione primaria, aerazione e sedimentazione secondaria, nitrificazione, denitrificazione, defosfatazione e disinfezione finale) durante le quali vengono rimossi i contaminanti chimici e i microrganismi patogeni dai reflui urbani, dando luogo ad un effluente finale di qualità tale da risultare compatibile con la capacità autodepurativa del corpo ricettore (terreno, lago, fiume o mare), in ottemperanza a quanto stabilito dalla normativa vigente (DL.vo 152/2006 s.m.i.). I contaminanti rimossi, ma non completamente degradati durante il trattamento delle acque reflue, vengono preconcentrati sotto forma di fanghi sottoposti, previa separazione dal refluo chiarificato, ad una serie di ulteriori trattamenti (quali: ispessimento, stabilizzazione biologica, condizionamento e disidratazione) per renderli idonei allo smaltimento in discariche speciali, all’incenerimento nei termovalorizzatori e/o al riutilizzo in agricoltura tal quale o previo compostaggio.

Nell’ambito della filiera di depurazione delle acque reflue urbane l’ozono risulta molto efficace sia nel trattamento primario che nella fase di disinfezione antecedente allo scarico nel corpo ricettore.

Durante il trattamento primario, l’ozono può essere iniettato direttamente nelle vasche che precedono i trattamenti secondari per correggere il BOD (Biochemical Oxygen Demand) e il COD (Chemical Oxygen Demand), eliminare gli odori molesti, ridurre il carico di patogeni come E. coli, Listeria, Pseudomonas, Candida e Penicillium, ossidare gli elementi (ferro, manganese, ecc.), i composti inorganici (cianuri, solfiti, nitrati, nitriti, ecc.) e i composti organici (fenoli, detersivi, pesticidi, derivati dell’ammonio quaternario, metallo-proteine, composti aromatici o etero-aromatici, ecc.).

In fase di post-disinfezione l’ozono è in grado di raggiungere livelli di efficacia superiori a quelli della clorazione o dell’irraggiamento UV nell’abbattimento di batteri, protozoi e virus dopo tempi di contatto compresi tra 10 e 30 minuti. Al termine del trattamento di ozonizzazione non si registra alcuna ricrescita algale nella frazione solubile dell’effluente.

Il trattamento di ozonizzazione è spesso attuato nell’ambito di un processo chimico-biologico multistadio (CBP) nel quale il processo di biodegradazione operato dai microrganismi è preceduto e talvolta seguito dalla fase di ossidazione chimica con ozono che incrementa la frazione organica biodegradabile ossidando i composti i microinquinanti organici più stabili.

5.6. Applicazione nel trattamento dei reflui industriali

L’efficacia delle tecnologie basate sull’impiego dell’ozono è stata accertata per diversi settori produttivi, come il tessile (Moraes et al., 2000), la galvanoplastica e le industrie del petrolio, dei fenoli e della carta (Li et al., 2006).

In particolare, l’impiego combinato della fotocatalisi UV/H2O2 con l’ozonizzazione ha permesso di abbattere completamente i composti fenolici dai reflui industriali (Kusic et al., 2006). Inquinanti organici come gli esteri degli ftalati e altri POP (Persistent Organic Pollutants) presenti nell’acqua grezza sono stati eliminati in modo efficiente grazie a vari processi che combinano l’uso di catalizzatori a base di TiO2, radiazioni UV, ozono e carbone attivo biologico (Ciardelli et al., 2001).

Gli effluenti provenienti dall’industria farmaceutica mostrano una bassa biodegradabilità per la presenza di sostanze attive (antibiotici, agenti antitumorali e analgesici) scarsamente degradabili e adsorbibili nei fanghi di depurazione. L’impiego dell’ozono in associazione con UV e/o H2O2 consente di ossidare completamente i composti più recalcitranti, rendendoli meno dannosi e formando sottoprodotti facilmente biodegradabili (Hernando et al., 2007).

6.  Ozonoterapia e indicazioni di uso medico

6.1. Proprietà e meccanismi d’azione

L’ozonoterapia (utilizzo di una miscela di ossigeno e ozono a scopo terapeutico) viene proposta per il trattamento di diverse condizioni cliniche.

I meccanismi alla base degli effetti esercitati dall’ozono sono piuttosto complessi e ancora non completamente noti, in quanto una volta introdotto nell’organismo tale composto attiva una cascata di molteplici e multiformi eventi il cui esito finale può variare considerevolmente in base alle concentrazioni e ai rapporti ossigeno-ozono, alle capacità anti-ossidanti endogene e allo stato immunitario del paziente. L’idea di questa complessità è stata resa molto efficacemente da Sunnen, che ha osservato che, se la configurazione biochimica del siero (con i suoi enzimi, immunoglobuline, fattori della coagulazione, ormoni, vitamine, lipoproteine, carboidrati, elettroliti, ecc.) fosse paragonata a un’orchestra, l’introduzione dell’ozono equivarrebbe all’inserimento di un nuovo, potente strumento musicale che influenza l’armonia e l’integrazione di tutti gli altri (Sunnen, 2013, rev. 2014). La letteratura riferisce che le principali proprietà dell’ozono sono rappresentate dall’azione ossidante (induzione di un moderato e transitorio stress ossidativo che induce secondariamente un effetto antiossidante), dalla stimolazione del passaggio transmembrana dell’ossigeno con miglioramento della respirazione mitocondriale, da complessi effetti sul sistema immunitario (stimolo alla produzione di citochine infiammatorie con conseguente induzione di una risposta regolatoria antinfiammatoria), e molte altre (Smith et al., 2017; Martinez-Sanchez et al., 2020).

6.2. Vie di somministrazione

Con l’eccezione della via inalatoria (che non può essere utilizzata a causa della sua tossicità per le vie aeree), la somministrazione di ozono a fini terapeutici viene effettuata praticamente attraverso quasi tutte le vie di somministrazione: endovenosa (sia per somministrazione diretta che per autoemoinfusione maggiore., intramuscolare, intrarettale, infiltrazione locale (cutanea, sottocutanea, transdermica, intradiscale, paravertebrale, intrarticolare). In particolare l’autoemoinfusione maggiore (GAEI) consiste nel prelievo di 180 ml di sangue del paziente e nella sua immediata reinfusione in vena dopo essere stato trattato con una miscela ossigeno e ozono a concentrazione di 10-80 microgrammi/ml di sangue.

6.3. Usi terapeutici

Una review del 2011 dichiara che l’ozono può essere utilizzato per curare “114 malattie” (Elvis & Ekta, 2011). Secondo le Linee Guida e Buone Pratiche in Ossigeno-Ozonoterapia art. 6 (Legge 8 marzo 2017, n. 24, rev. 05/10/2019), tuttavia, delle molteplici indicazioni terapeutiche che sono state proposte quelle sostenute da evidenze più solide (evidenze di tipo A, cioè basate su revisioni sistematiche di studi clinici controllati randomizzati, di studi omogenei di coorte e di studi caso-controllo) sono rappresentate dalle patologie ortopediche della colonna vertebrale e del ginocchio. Altre condizioni per le quali esistono evidenze di livello inferiore (tipo B) sono rappresentate da indicazioni ortopediche di altro tipo, ulcere cutanee, piede diabetico, infezioni cutanee sostenute da virus, funghi e batteri. Per altre indicazioni (tra cui la sindrome da distress respiratorio) non sono invece disponibili evidenze sufficientemente solide, ma solo evidenze di tipo C, basate su opinioni di esperti senza valutazioni critiche esplicite, case reports, studi di laboratorio ed epidemiologici.

6.3.1.  Uso dell’ozonoterapia nell’infezione da SARS-CoV-2

L’ozonoterapia, e in particolare l’autoemoinfusione maggiore, è stata proposta anche nel trattamento di pazienti COVID-19. Tale utilizzo si basa, in buona parte, sull’osservazione che (attraverso l’induzione di perossidazione lipidica e fosfoproteica con conseguente danno del capside), l’ozono può esercitare un’attività antivirale diretta (Murray et al., 2008). È stato anche ipotizzato che tale effetto potrebbe essere specificamente rilevante nei confronti di coronavirus come SARS e MERS (Sunnen, 2013, rev. 2014). Quanto l’attività antivirale dell’ozono sia realmente osservabile in vivo, tuttavia, rimane da definire, sia perché – su base teorica – l’induzione di uno stress ossidativo transitorio e l’iniziale rilascio di citochine potrebbero perfino stimolare la riproduzione virale, contrapponendosi all’eventuale effetto virucida diretto (Bocci et al., 1998), sia perché le proprietà antiossidanti endogene proteggono di fatto l’integrità delle particelle virali (Martinez-Sanchez et al., 2020). I risultati degli studi clinici condotti in pazienti affetti da infezioni virali sono in effetti piuttosto discordanti. Uno studio clinico condotto diversi anni fa in pazienti con infezione da HIV non ha mostrato alcun effetto antivirale dell’autoemoinfusione maggiore (Bocci et al., 1998), mentre in pazienti affetti da epatite C è stata riferita una riduzione della carica virale a seguito del trattamento con autoemoinfusione maggiore più insufflazione rettale di ozono (Zaky, 2011). È stata inoltre riportata una risposta clinica immediata in 5 pazienti affetti da Ebola trattati da due clinici su invito del Presidente della Sierra Leone (Rowen, 2019).

Oltre all’ipotizzata attività antivirale, i meccanismi che sarebbero alla base della possibile efficacia dell’ozono in COVID-19 comprendono gli effetti antiossidante, antinfiammatorio, immunostimolante, ossigenante e citoprotettivo (Martinez-Sanchez et al., 2020; Valdenassi et al., 2020).

Sebbene la maggior parte di tali meccanismi possa teoricamente esitare in un effetto benefico in pazienti affetti da COVID-19, al momento (come per la maggior parte degli altri trattamenti proposti) mancano ancora delle dimostrazioni dirette ottenute in studi controllati. Recentemente sono stati descritti due casi di pazienti con COVID-19 trattati con ozonoterapia. I pazienti hanno ricevuto per 7 giorni un’autoemoinfusione di 100 ml di sangue trattati con ossigeno- ozono in rapporto 1:1 con concentrazione finale di ossigeno-ozono di 20 µl/ml di sangue. La terapia con ossigeno-ozono si aggiungeva alla terapia con antivirali, antibiotici, immunoglobuline e omeprazolo e alla supplementazione con ossigeno (3 L/min). Entrambi i pazienti sono migliorati sia dal punto di vista sintomatologico che radiologico con negativizzazione per acidi nucleici di SARS-CoV-2 del tampone naso-faringeo e sono stati dimessi a 18 e 7 giorni dal ricovero. Confrontando il decorso di malattia di questi due pazienti trattati con ossigeno-ozono terapia in aggiunta alla terapia standard (vedi sopra) con 2 pazienti con COVID-19 di paragonabile gravità ma trattati con terapia standard, si osservava in questi ultimi un periodo di tempo più lungo di shedding virale e di ricovero ospedaliero (Zheng et al., 2020).

Sembra che l’ozonoterapia tramite autoemoinfusione maggiore sia attualmente utilizzata presso alcuni centri clinici italiani per il trattamento di pazienti con infezione da SARS-CoV-2. Per quanto a nostra conoscenza, tuttavia, i risultati di questi trattamenti non sono stati ancora pubblicati.

6.4. Conclusioni

In attesa di disporre di evidenze derivanti da studi clinici, è opportuno richiamare che -per la complessità dei meccanismi attivati “a cascata” dall’ozono- è difficile prevedere l’effetto complessivo del trattamento, specialmente nel caso di pazienti in condizioni critiche. La reattività e la risposta immunitaria di base sembrano infatti delle variabili molto importanti, in grado di influenzare in maniera drammatica (in senso sia positivo che negativo) l’esito del trattamento. Il dosaggio e la durata del trattamento nelle varie indicazioni devono inoltre essere definiti opportunamente con studi clinici dose-risposta. Infine, alcuni degli effetti esercitati dall’ozono (es. la sua capacità di rilasciare citochine pro-infiammatorie) impongono un’ovvia cautela per l’uso nella condizione clinica in oggetto.

7.  Metodiche per la decomposizione dell’ozono

La tossicità dell’ozono a concentrazioni superiori a 0,1 mg/m3 in fase gassosa ha stimolato l’interesse della comunità scientifica nei confronti dello sviluppo di sistemi per la decomposizione istantanea dei suoi residui rinvenibili negli ambienti indoor a seguito dell’uso di dispositivi in grado di generarlo (fotocopiatrici, stampanti laser, sterilizzatori, ecc.).

Le tecnologie convenzionali per la sua rimozione dall’aria si basano sull’impiego di filtri a carbone attivo o di catalizzatori a base di metalli nobili o di ossidi di altri metalli di transizione (Dhandapani et al., 1997; Batakliev et al., 2015).

I filtri a carbone attivo vengono comunemente impiegati nel trattamento dell’aria per la rimozione sia dell’ozono che di altri contaminanti (come, ad esempio, i COV) dagli ambienti indoor (Weschler et al., 1993; Gundel et al., 2002; Beko et al., 2008). Necessitano di interventi di sostituzione periodica a seguito della progressiva riduzione della loro efficacia per graduale saturazione dei siti attivi da parte di contaminanti organici e per il concomitante danneggiamento della struttura dei pori da parte dell’ozono (Lee & Davison, 1999). Ciò li rende poco adatti al trattamento di elevati flussi di aria, come quelli generati dagli impianti centralizzati di ventilazione/climatizzazione.

Una valida alternativa ai filtri a carbone attivo è rappresentata dei convertitori catalitici in grado di operare la decomposizione dell’ozono a temperatura ambiente (20-50°C) con rese superiori al 95%, anche in presenza di elevati flussi di aria. Il componente attivo del convertitore è costituito principalmente da un catalizzatore a base di metalli nobili (Pt, Pd e/o Rh) o, in alternativa, da ossidi di altri metalli di transizione appartenenti al tipo “p” (in particolare: MnO2, Co3O4, NiO, Fe2O3, Ag2O, Cr2O3, CeO2, V2O5, CuO, MoO3); quest’ultimi hanno progressivamente sostituito i primi a causa del minor costo. Tra i differenti ossidi impiegabili, il biossido di manganese è risultato il più attivo (Dhandapani & Oyama, 1997): ciò giustifica la sua prevalenza nei dispositivi attualmente in commercio. In entrambe i casi, il catalizzatore è depositato su una matrice con elevato sviluppo superficiale (γ-Al2O3, SiO2, TiO2 ZrO2 o carbone attivo), supportata da un substrato monolitico in grado di assicurare un adeguato contatto con l’aria trattata in assenza di sostanziali perdite di carico.

Tra le tecnologie emergenti nel settore della purificazione dell’aria occorre segnalare l’ossidazione fotocatalitica (PCO, acronimo del termine anglosassone Photocatalytic Oxidation) in quanto considerata molto promettente nella rimozione dei residui di ozono (Jacoby et al. 1996; Hager & Bauer 1999; Ohtani et al. 1992; Mills et al. 2003; Cho et al. 2004; He et al. 2006; Lin & Lin 2008; Lu et al. 2014; Lee et al. 2015). La PCO utilizza materiali semiconduttori come il biossido di titanio, eventualmente dopati con metalli nobili, che si attivano assorbendo la luce ultravioletta generando lacune positive all’interno del semiconduttore. La successiva interazione con acqua determina la formazione di radicali ossidrilici che inducono, tra l’altro, la decomposizione dell’ozono. Recentemente sono stati testati prototipi avanzati basati sull’impiego di questa tecnologia (Ohtani et al. 1992; Mills et al. 2003; Lu et al. 2014; Cho et al. 2004; He et al. 2006; Lin & Lin 2008; Kadribegovic et al. 2011).

8.  Monitoraggio e metodi analitici

8.1. Metodi per la determinazione dell’ozono in aria negli ambienti indoor

La concentrazione dell’ozono in aria negli ambienti indoor è influenzata, in modo complesso, da numerosi parametri come, ad esempio, i livelli di emissione dei dispositivi in grado di generarlo, la presenza e la modalità di funzionamento dei sistemi di ventilazione/climatizzazione, la concentrazione di fondo all’esterno degli edifici (variabile nel corso della giornata in funzione, tra l’altro, dell’irraggiamento solare e del traffico autoveicolare), la velocità di scambio dell’aria tra gli ambienti interni e l’esterno dell’edificio, la cinetica delle interazioni chimiche e chimico-fisiche con le superfici interne e gli altri microinquinanti ambientali (Weschler, 2006). La difficoltà di prevedere l’andamento della sua concentrazione nel tempo e il conseguente livello di esposizione umana ha reso necessario lo sviluppo di metodi analitici da impiegare nel monitoraggio della sua concentrazione in prossimità del suolo, sia in continuo che in modalità integrata e mediata nell’arco di un periodo temporale predefinito.

I principali documenti di riferimento sono quelli elaborati dagli organismi di normazione come il CEN e la ISO, che da tempo sono impegnati nello sviluppo di metodiche standardizzate con cui effettuare le misurazioni (metodologie di campionamento, di analisi e di valutazione dei livelli misurati) e riguardano le norme della serie EN ISO 16000: Aria in ambienti indoor, norme che sono state in parte recepite in Italia dall’UNI (Ente Italiano di Unificazione). Accanto a queste norme vanno utilizzate le UNI EN 13528 Qualità dell’aria ambiente Campionatori diffusivi per la determinazione della concentrazione di gas e vapori. Requisiti e metodi di prova, la UNI EN 14625 metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione di ozono in aria mediante fotometria ultravioletta, e la norma ISO 10313:2017 Aria ambiente - Determinazione della concentrazione di massa di ozono - Metodo di chemiluminescenza

La determinazione in continuo in aria viene generalmente effettuata in stazioni fisse o portatili utilizzando prevalentemente una delle seguenti tipologie di dispositivi di misura diretta, attraverso le quali viene fatta fluire in continuo l’aria prelevata dall’ambiente sottoposto a monitoraggio:

  • Analizzatori fotometrici, in grado di misurare l’assorbimento della radiazione UV a 254 nm da parte della molecola di Al fine di correggere l’interferenza prodotta da numerosi altri microinquinanti ambientali con gruppi cromoforici sensibili alla medesima lunghezza d’onda, il flusso del campione di aria viene analizzato una seconda volta dopo decomposizione dell’ozono ad opera di un convertitore catalitico contenente MnO2: dalla differenza tra le due misure si ottiene la concentrazione dell’ozono presente nel flusso originale del campione a meno di una potenziale sovrastima per la presenza di idrocarburi, vapori di mercurio e SO2, anch’essi rimossi dal convertitore (Andersen et al., 2010; UNI 2005). Questo metodo di misura (UNI EN 14625 metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione di ozono in aria mediante fotometria ultravioletta) è stato scelto come metodo di riferimento ufficiale per il monitoraggio dell’ozono nell’aria ambiente (Decreto Legislativo 155/2010).
  • Analizzatori a chemiluminescenza, in grado di misurare un’emissione di radiazione generata a seguito della reazione dell’ozono con un gas specifico (es. etilene o NO) o una superfice attiva (disco imbevuto di coloranti organici come la rodamina B). Questa tipologia di strumentazione non è affetta da interferenze da parte di altri microinquinanti (Eipel et , 2003; Takeuchi et al. 1990).
  • Analizzatori elettrochimici, in grado di misurare la variazione del potenziale chimico tra due elettrodi immersi in un elettrolita a seguito della diffusione di ozono attraverso una membrana Essendo la loro risposta affetta anche dalla presenza di Cl2 e NO2, questa tipologia di sensori viene impiegata quasi esclusivamente nel monitoraggio indoor e in quello industriale (Cho, 2015; Pang et al., 2017).
  • Analizzatori a semiconduttore del tipo HMOS (Heated Metal Oxide Sensor), in grado di misurare le variazioni di resistenza elettrica di un ossido metallico gas sensibile a seguito del passaggio di ozono ad una determinata temperatura (Cao et , 2016; Piedrahita et al., 2014). La risposta di questa tipologia di sensore è affetta dall’interferenza da microinquinanti organici volatili.

Altre possibilità per la misura in continuo dell’ozono in prossimità del suolo sono state offerte dalla recente introduzione della spettroscopia a cavità ottica (CRDS) (Washenfelder et al., 2011), della spettroscopia di assorbimento ottico differenziale (DOAS) (Hoffman et al., 1995) e di sensori per la rilevazione del ritardo nella riflessione di onde acustiche di superficie (SAW) (Westafer et al., 2014).

La taratura e la successiva verifica dell’attendibilità dei dispositivi di misura in continuo viene effettuata applicando, in concomitanza, metodi indiretti alla determinazione della concentrazione in aria dell’ozono: un’aliquota dell’aria in esame viene fatta fluire attraverso una soluzione acquosa contenete uno specifico reagente in grado di interagire e fissare l’ozono presente (es. l’indigocarmine o lo ioduro di potassio); successivamente la quantità rimanente del reagente o il suo prodotto di reazione vengono misurati spettrofotometricamente o volumetricamente (Tjahjanto et al., 2012; Bergshoeff et al., 1984).

A differenza della determinazione in continuo, il monitoraggio passivo integrato dell’ozono in aria viene effettuato con dispositivi di campionamento indossati direttamente dal personale esposto, al fine di valutare la quantità media di ozono inalata nell’arco di un periodo di tempo predefinito (8 ore, 1 giorno o 2 settimane) (Demirel et al., 2014; Koutrakis et al., 1994; Liard et al., 1999; Liu et al., 1995). In questo caso il campionamento viene effettuato passivamente, ovvero in assenza di pompe di aspirazione o di altre parti in movimento, esponendo all’ambiente strisce test o badge indicatori che richiedono la successiva analisi di laboratorio al termine del periodo di misura. I dispositivi personali di campionamento sono trattati con indicatori in grado di reagire, più o meno selettivamente, con l’ozono (come, ad esempio, il 10,10’-dimetil- 9,9’-biacridilidene, il sodio nitrito, il 3-metil-2-benzotiazolone idrazone, il p-acetamidofenolo o l’indigocarmine). Recentemente sono stati proposti in commercio dispositivi personali di campionamento basati sull’impiego di sistemi di monitoraggio in continuo opportunamente miniaturizzati e capaci di mediare la risposta istantanea.

8.2. Metodi per la determinazione dell’ozono in acqua

L’impiego dell’ozono nei trattamenti di potabilizzazione dell’acqua e in quelli di depurazione dei reflui comporta la generazione in loco dell’ossidante e la sua concomitante introduzione nel flusso idrico mediante un adeguato sistema di contatto gas-liquido. Il controllo di questo processo e la valutazione delle sue prestazioni si basa sia sulla misurazione della dose di ozono nel flusso di gas immesso in acqua che sulla determinazione periodica della sua concentrazione residua in acqua dopo un tempo di contatto predefinito.

Quest’ultima viene generalmente effettuata utilizzando uno dei dispositivi di misura diretta descritti nel paragrafo 10,1 (in particolare gli analizzatori fotometrici all’UV) o, in alternativa, il metodo colorimetrico all’indigotrisolfonato esente da interferenze da ossidanti secondari (perossido di idrogeno e clorito) e da residui di cloro quando si opera in presenza di agenti mascheranti (Bader et al., 1982).

 

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Appendice
Ozonizzatori e procedure di sicurezza

L’ozono non può essere immagazzinato né trasportato a causa della sua elevata reattività, ma viene generato in situ a partire da aria, ossigeno o acqua. Sul mercato sono disponibili ozonizzatori basati su diversi principi di funzionamento e a diversa capacità produttiva a seconda dell’impiego cui sono destinati. Quelli a minore capacità produttiva sono adatti ad ambienti di dimensioni contenute e in genere sono dotati di programmi predefiniti non modificabili e spesso di dispositivo di riconversione dell’ozono al termine dell’erogazione. Quelli a maggiore capacità produttiva sono destinati ad ambienti grandi, fra i quali quelli produttivi: consentono di adottare protocolli di impiego personalizzati e quindi sono destinati ad un uso professionale. La produzione di calore, essendo collegata alla quantità di ozono formata, è intensa e richiede la presenza di tecniche per il raffreddamento della cella (con il crescere della temperatura l’ozono formato tende a decomporsi).

Il processo più importante e più diffuso per la produzione di ozono è ottenuto mediante generatori che operano su principi simili o derivati dal generatore progettato da Welsbach nel 1950 utilizzando celle che ricalcano il brevetto di Werner von Siemens del 1857 ad effetto corona (o scarica effetto corona) e delle quali si sono sviluppate nel tempo diverse varianti. Tra i loro vantaggi, la possibilità di costruire generatori di dimensioni anche contenute, la longevità delle celle (diverse migliaia di ore) e l’elevata produttività.

Un altro processo disponibile per la produzione di ozono impiega lampade a raggi ultravioletti con banda di emissione concentrata sui 185 nm. Tale modalità presenta in generale diversi svantaggi rispetto alle celle ad effetto corona: produttività di ozono molto più modesta, maggior consumo di elettricità, breve vita operativa delle lampade. Questo processo non sarà oggetto di trattazione in questo documento.

Un terzo processo è basato sull’elettrolisi dell’acqua ed è utilizzato per la produzione di ozono da utilizzare in soluzione acquosa.

Scopo di questo allegato è fornire alcune indicazioni sull’uso corretto e sicuro dei generatori di ozono in situ a partire da aria/ossigeno come precursore.

A. Precursore

Le celle ozonogene possono essere alimentate da aria oppure da ossigeno (Valeri, 2004).

  1. Utilizzo dell’ossigeno presente nell’aria dell’ambiente

La maggior parte dei generatori in situ di ozono oggi disponibili sul mercato utilizzano, come precursore dell’ozono, l’ossigeno presente nell’aria dell’ambiente. I vantaggi sono rappresentati dall’assenza di costi per la materia prima e dalla praticità di utilizzo. Per contro, l’ozonizzazione diretta dell’aria dell’ambiente stesso comporta la possibile produzione di sostanze nocive, principalmente prodotti dell’azoto.

La produzione di ossidi di azoto è fortemente determinata dalla tecnologia impiegata ovvero dal tipo di cella ozonogena e dalle sue modalità di funzionamento. L’impiego di generatori a cella chiusa, anziché di generatori che utilizzano scarica a corona a piastra superficiale, offre vantaggi qualitativi e di durata fondamentali.

L’aria che alimenta la cella deve essere purificata e disidratata. È necessario infatti che i generatori siano dotati di apposito sistema di filtrazione della fonte aria ambiente in modo da trattenere i possibili contaminanti presenti (particolato atmosferico PM10, , PM2,5, COV, ecc.) ed evitare o limitare la generazione di sottoprodotti di reazione (inquinanti secondari) dannosi all’organismo umano. L’aria ambiente come precursore non va quindi utilizzata in presenza di attività lavorative che comportano il rilascio di inquinanti chimici.

È necessario che il sistema filtrante sia in grado di abbattere anche l’umidità dell’aria per evitare un decremento della resa relativa in ozono e la possibile produzione di acido nitrico in grado di danneggiare la cella e di vaporizzare e disperdersi nell’ambiente attraverso il flusso di erogazione.

In assenza di informazioni a riguardo nel manuale d’uso, sarà quindi indispensabile acquisire dal produttore una specifica dichiarazione sulle garanzie adottate per evitare i fenomeni indesiderati di cui sopra.

  1. Utilizzo di ossigeno da bombole o da appositi concentratori di ossigeno portatili (cella ozonogena alimentata da ossigeno di purezza > 95%)

Tale soluzione ha il vantaggio di disporre di una fonte di ossigeno controllata che non genera inquinanti secondari oltre a offrire la possibilità di raggiungere concentrazioni più alte di ozono nel flusso erogato e rese di produzione più alte.

Si tratta di apparecchiature che comportano costi aggiuntivi e che risultano più complesse. In questo caso va inoltre controllato il rischio di incendio/esplosione. In particolare il funzionamento della cella deve essere tale da evitare la formazione di scariche elettriche. Il manuale d’uso dovrà fornire elementi utili ad evidenziare il pericolo e gli accorgimenti adottati per prevenire il rischio. Di norma l’impiego dei concentratori è preferito a quello delle bombole perché più sicuri.

B. Ciclo di trattamento per la sanificazione ambientale

Le fasi tipiche di un ciclo di trattamento sono (SSICA, 2010):

  • Fase di condizionamento:

Questa fase coincide esattamente con quella in cui si inizia ad erogare ozono nel locale da trattare. Tale erogazione deve consentire in breve tempo il raggiungimento della concentrazione di ozono programmata come necessaria in relazione al target da raggiungere.

  • Fase di azione dell’ozono:

Questa fase ha lo scopo di garantire l’efficacia del ciclo protraendosi per il tempo necessario della sanificazione mantenendo porte e finestre chiuse.

  • Fase di eliminazione dell’ozono residuo:

Questa fase deve garantire l’eliminazione dell’ozono dall’aria nel locale trattato e si protrae sino al raggiungimento delle concentrazioni di ozono richieste per la sicurezza degli occupanti.

Per poter sviluppare il ciclo di trattamento è determinante conoscere:

  • caratteristiche del generatore,
  • caratteristiche dell’ambiente da

Il processo deve essere in grado inoltre di raggiungere tutte le superfici e i punti critici, distribuendo il gas ozono in forma omogenea e costante per esplicare la sua attività.

Dati tecnici del generatore di ozono da prendere in considerazione:

  • produzione ozono (g/h);
  • portata di erogazione della miscela aria (o ossigeno) /ozono (m3/h);
  • concentrazione di ozono nel punto di erogazione (ppm o mg/m3).

Tali parametri determinano la concentrazione e la distribuzione di ozono nell’ambiente e il tempo di azione necessari per raggiungere l’obiettivo prefissato in relazione alle dimensioni del locale. La maggior parte dei macchinari sono dotati solo di un timer, mentre alcune attrezzature dispongono di programmi approssimati che definiscono la durata del ciclo in relazione ai m2/m3 del locale interessato al trattamento e, a volte, anche di dispositivi di controllo/allarme per un impiego sicuro.

Se disponiamo ad esempio di un generatore con una capacità di produzione di 2 g/h di ozono, per il trattamento di un locale di 100 m3 saranno necessari ca. 20 minuti di erogazione per raggiungere una concentrazione di 2,5 ppm (tenendo presente che in aria 1 ppm = 2,14 mg/m3). All’aumentare del volume dell’ambiente, a parità di capacità produttiva di ozono, occorrerà impiegare un tempo di erogazione maggiore ovvero per ambienti più piccoli si potranno impiegare tempi più brevi o, a parità di tempo di azione, concentrazioni più alte.

Durante il processo di ozonizzazione, la concentrazione di ozono aumenta molto lentamente nel periodo iniziale. Il ritardo nell’accumulo della concentrazione di ozono è dovuto al consumo di ozono per la presenza di inquinanti nel periodo iniziale. Successivamente, dopo aver ossidato i principali inquinanti, la concentrazione di ozono all’interno della stanza aumenta rapidamente fino al livello desiderato. Per garantire l’azione “biocida” la concentrazione di ozono va quindi mantenuta per il tempo previsto (tempo di azione). Umidità relativa, temperatura, sostanze chimiche, microrganismi presenti determinano la reale quantità di ozono necessaria per raggiungere la concentrazione desiderata e mantenerla per il tempo necessario. A tale riguardo si sottolinea l’importanza di procedere alla detersione preliminare delle superfici per la rimozione dello sporco.

Quando il generatore viene spento, la concentrazione di ozono diminuisce gradualmente per riconversione spontanea dell’ozono in ossigeno.

Le condizioni ambientali di temperatura/umidità relativa rivestono un’importante influenza sulla suscettibilità dei microrganismi all’ozono. Dati di letteratura evidenziano, in particolare, che la suscettibilità aumenta in presenza di alti livelli di umidità relativa (>70%): l’effetto combinato dell’ozono e dei radicali OH rafforza l’efficacia del trattamento.

Per ambienti di grandi dimensioni (es. capannoni) occorre utilizzare generatori dotati di ventilatori a lunga gittata atti a garantire una distribuzione omogenea del gas.

Durante il trattamento è necessario chiudere porte e finestre ed è vietato soggiornare nel locale.

C. Eliminazione dell’ozono residuo ambientale

L’ozono è un gas instabile e decade spontaneamente a ossigeno. Il tempo necessario per riportare la concentrazione di ozono a quella adeguata per la sicurezza degli occupanti è sempre funzione della concentrazione di ozono utilizzata nel trattamento. Il tempo di decomposizione dell’ozono dipende inoltre dalla temperatura, dall’umidità relativa e dai livelli di contaminazione chimica e biologica dell’ambiente.

In condizioni reali il tempo di decadimento naturale necessario per rendere accessibili i locali è di almeno 2 ore (concentrazione residua inferiore alla soglia di percettibilità olfattiva per l’uomo, compresa tra 0,02 ppm (40 µg/m3) e 0,05 ppm (100 µg/m3), e pari a circa 1/10 della soglia di 0,2 ppm definita sicura negli ambienti di lavoro per un tempo di esposizione max di 2 ore).

Se possibile, è preferibile eseguire i trattamenti nelle ore notturne in modo che alla ripresa del lavoro la quantità di ozono ambientale si trovi entro i limiti di sicurezza sanitaria.

Per accelerare i tempi di riconversione si può ricorrere comunque all’impiego di raggi ultravioletti UV-C 254 nm o di catalizzatori chimici che alcuni produttori già installano all’interno delle loro apparecchiature e che vengono attivati nella fase finale del ciclo, a cella ozonogena spenta.

Evitare di eliminare l’ozono residuo ricorrendo alla ventilazione forzata per convogliarlo in ambiente esterno: il Decreto Legislativo 155/2010 fissa infatti valori limite e obiettivi di qualità anche per le concentrazioni nell’aria ambiente di ozono (Italia, 2010)

D. Validazione del ciclo di trattamento

Si sottolinea che per la sanificazione con l’ozono gassoso, tutti i parametri di trattamento devono essere adattati alle diverse condizioni ambientali delle realtà produttive considerate. Perciò è auspicabile, soprattutto nel caso di contesti importanti per dimensioni o caratteristiche di arredamento quali ad esempio presenza di arredi in stoffa, che siano eseguite prove tecniche di concentrazione, di omogeneità di distribuzione e di sicurezza per poter trasferire l’impiego nella realtà operativa.

Le attrezzature più evolute sono dotate di un sistema che gestisce il funzionamento del generatore al fine di controllare la produzione di ozono, la concentrazione in ambiente e le tempistiche del trattamento e successivo decadimento dell’ozono. È sempre buona norma comunque validare l’intero ciclo del trattamento attraverso il monitoraggio delle concentrazioni di ozono mediante appositi sensori per la misura di ozono in grado di memorizzare e restituire i valori rilevati (prove di mantenimento delle concentrazioni, diffusione nonché di decadimento/eliminazione dell’ozono).

Qualunque certificazione di avvenuto trattamento ambientale necessita dei dati di concentrazione di ozono e di umidità relativa rilevati in ambiente (report o grafico) nonché del protocollo di riferimento adottato e validato da Laboratorio accreditato per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato che ha determinato la definizione della concentrazione e tempo di azione dell’ozono, delle condizioni di umidità relativa e temperatura dell’aria. La certificazione deve anche precisare il tipo di generatore impiegato, il precursore adottato (ovvero se ossigeno o aria ambiente), indicando gli accorgimenti per evitare la formazione di inquinanti secondari. L’impiego dell’ozono è indicato per ambienti non contaminati da sostanze chimiche. Ambienti con grande afflusso di persone o con importante presenza di sostanze chimiche volatili richiedono una valutazione preliminare: alcune classi di composti organici possono reagire rapidamente con l’ozono per formare, a seguito di un’ossidazione incompleta, nuovi inquinanti che hanno effetti avversi sulla salute umana. In tali casi può risultare utile misurare, tramite appositi strumenti, la quantità di COV prima e dopo il trattamento. A tale riguardo un adeguato ricambio dell’aria al termine del trattamento assume in ogni caso particolare importanza.

E. Marcatura CE

Secondo quanto indicato dalle direttive comunitarie relative alle apparecchiature elettriche ed elettroniche, i generatori di ozono devono essere conformi alle seguenti direttive:

  • BASSA TENSIONE Direttiva 2014/35/CE;
  • COMPATIBILITÀ ELETTROMAGNETICA Direttiva 2014/30/CE;
  • Direttiva 2011/65/CE (RoHS) sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche

I produttori devono quindi fornire idonea dichiarazione di conformità CE a riguardo e rispettare i requisiti di etichettatura.

Bibliografia

SSICA (Fortini G, Cardoso CC). Linee guida per l’utilizzo dell’ozono gassoso nella sanificazione degli ambienti di lavorazione di prodotti a base di carne. Parma: SSICA - Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari; 2010.

Valeri GAN. Su un nuovo parametro caratterizzante le celle ozonogene. In: Convegno Associazione Italiana Progettisti Industriali, Milano, 15 novembre 2004.

Rapporti ISS COVID-19 Accessibili da https://www.iss.it/rapporti-covid-19
    1. Gruppo di lavoro ISS Prevenzione e controllo delle Infezioni.
      Indicazioni ad interim per l’effettuazione dell’isolamento e della assistenza sanitaria domiciliare nell’attuale contesto COVID-19. Versione del 7 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 (Rapporto ISS COVID-19, n. 1/2020)
    2. Gruppo di lavoro ISS Prevenzione e controllo delle Infezioni.
      Indicazioni ad interim per un utilizzo razionale delle protezioni per infezione da SARS-CoV-2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie (assistenza a soggetti affetti da covid-19) nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2. Versione del 14 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 (Rapporto ISS COVID-19, n. 2/2020)
    3. Gruppo di lavoro ISS Ambiente e Gestione dei Rifiuti.
      Indicazioni ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2. Versione del 14 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 (Rapporto ISS COVID-19, n.3/2020)
    4. Gruppo di lavoro ISS Prevenzione e controllo delle Infezioni.
      Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell’infezione da SARS-CoV-2 in strutture residenziali sociosanitarie. Versione del 16 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 (Rapporto ISS COVID-19, n. 4/2020)
    5. Gruppo di lavoro ISS Ambiente e Qualità dell’aria indoor.
      Indicazioni ad per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2. Versione del 23 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 5/2020).
    6. Gruppo di lavoro ISS Cause di morte COVID-19.
      Procedura per l’esecuzione di riscontri diagnostici in pazienti deceduti con infezione da SARS-CoV-2. Versione del 23 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 6/2020).
    7. Gruppo di lavoro ISS Biocidi COVID-19 e Gruppo di lavoro ISS Ambiente e Rifiuti COVID-19. Raccomandazioni per la disinfezione di ambienti esterni e superfici stradali per la prevenzione della trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2. Versione del 29 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 7/2020).
    8. Osservatorio Nazionale Autismo ISS.
      Indicazioni ad interim per un appropriato sostegno delle persone nello spettro autistico nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2. Versione del 30 marzo 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 8/2020).
    9. Gruppo di Lavoro ISS Ambiente – Rifiuti COVID-19.
      Indicazioni ad interim sulla gestione dei fanghi di depurazione per la prevenzione della diffusione del virus SARS-CoV-2. Versione del 3 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 9/2020).
    10. Gruppo di Lavoro ISS Ambiente-Rifiuti COVID-19.
      Indicazioni ad interim su acqua e servizi igienici in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2 Versione del 7 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 10/2020).
    11. Gruppo di Lavoro ISS
      Diagnostica e sorveglianza microbiologica COVID-19: aspetti di analisi molecolare e sierologica
      Raccomandazioni per il corretto prelievo, conservazione e analisi sul tampone oro/nasofaringeo per la diagnosi di COVID-19. Versione del 7 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 11/2020).
    12. Gabbrielli F, Bertinato L, De Filippis G, Bonomini M, Cipolla M.
      Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19. Versione del 13 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 12/2020).
    13. Gruppo di lavoro ISS Ricerca traslazionale COVID-19
      Raccomandazioni per raccolta, trasporto e conservazione di campioni biologici COVID-19. Versione del 15 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 13/2020).
    14. Gruppo di lavoro ISS Malattie Rare COVID-19
      Indicazioni ad interim per un appropriato sostegno delle persone con enzimopenia G6PD (favismo) nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2. Versione del 14 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 14/2020).
    15. Gruppo di lavoro ISS Farmaci COVID-19
      Indicazioni relative ai rischi di acquisto online di farmaci per la prevenzione e terapia dell’infezione COVID-19 e alla diffusione sui social network di informazioni false sulle terapie. Versione del 16 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 15/2020).
    16. Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare COVID-19
      Animali da compagnia e SARS-CoV-2: cosa occorre sapere, come occorre comportarsi. Versione del 19 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 16/2020).
    17. Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare COVID-19
      Indicazioni ad interim sull’igiene degli alimenti durante l’epidemia da virus SARS-CoV-2. Versione del 19 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 17/2020).
    18. Gruppo di lavoro ISS Ricerca traslazionale COVID-19
      Raccomandazioni per la raccolta e analisi dei dati disaggregati per sesso relativi a incidenza, manifestazioni, risposta alle terapie e outcome dei pazienti COVID-19. Versione del 26 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 18/2020).
    19. Gruppo di lavoro ISS Biocidi COVID-19
      Raccomandazioni ad interim sui disinfettanti nell’attuale emergenza COVID-19: presidi medico-chirurgici e biocidi. Versione del 25 aprile 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 19/2020).
    20. Gruppo di Lavoro ISS Prevenzione e Controllo delle InfezioniI
      ndicazioni per la sanificazione degli ambienti interni per prevenire la trasmissione di SARS-COV 2. Versione dell’8 maggio 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 20/2020).
    21. Ricci ML, Rota MC, Scaturro M, Veschetti E, Lucentini L, Bonadonna L, La Mura S.
      Guida per la prevenzione della contaminazione da Legionella negli impianti idrici di strutture turistico recettive e altri edifici ad uso civile e industriale, non utilizzati durante la pandemia COVID-19. Versione del 3 maggio 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 21/2020).
    22. Gruppo di lavoro ISS Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni ad interim per la gestione dello stress lavoro-correlato negli operatori sanitari e socio-sanitari durante lo scenario emergenziale SARS-COV-2. Versione del 7 maggio.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 22/2020)
    23. Gruppo di lavoro ISS Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni di un programma di intervento dei Dipartimenti di Salute Mentale per la gestione dell’impatto dell’epidemia COVID-19 sulla salute mentale. Versione del 6 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 23/2020).
    24. Gruppo di lavoro ISS Malattie Rare COVID-19
      Indicazioni ad interim per una appropriata gestione dell’iposurrenalismo in età pediatrica nell’attuale scenario emergenziale da infezione da SARS-CoV-2. Versione del 10 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 24/2020)
    25. Gruppo di Lavoro ISS Biocidi COVID-19
      Raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie nell’attuale emergenza COVID-19: superfici, ambienti interni e abbigliamento. Versione dell’8 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 25/2020)
    26. Gruppo di Lavoro ISS Ambiente e Rifiuti
      Indicazioni ad interim sulla gestione e smaltimento di mascherine e guanti monouso provenienti da utilizzo domestico e non domestico. Versione del 18 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 26/2020)
    27. Indicazioni per la prevenzione del rischio Legionella nei riuniti odontoiatrici durante la pandemia da COVID-19. Versione del 17 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 27/2020).
    28. Gruppo di Lavoro ISS Test Diagnostici COVID-19 e Gruppo di Lavoro ISS Dispositivi Medici COVID-19
      Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19. Parte 1: normativa e tipologie. Versione del 18 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 28/2020)
    29. Gruppo di lavoro ISS Malattie Rare COVID-19
      Indicazioni ad interim su malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta multisistemica in età pediatrica e adolescenziale nell’attuale scenario emergenziale da infezione da SARS-CoV-2. Versione 21 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 29/2020)
    30. Gruppo di lavoro Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni sull’intervento telefonico di primo livello per l’informazione personalizzata e l’attivazione dell’empowerment della popolazione nell’emergenza COVID-19. Versione del 14 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 30/2020)
    31. Gruppo di lavoro Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni ad interim per il supporto psicologico telefonico di secondo livello in ambito sanitario nello scenario emergenziale COVID-19. Versione del 26 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 31/2020)
    32. Gruppo di lavoro ISS Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare COVID-19
      Indicazioni ad interim sul contenimento del contagio da SARS-CoV-2 e sull'igiene degli alimenti nell’ambito della ristorazione e somministrazione di alimenti. Versione del 27 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 32/2020).
    33. Gruppo di Lavoro ISS Ambiente-Rifiuti COVID-19
      Indicazioni sugli impianti di ventilazione/climatizzazione in strutture comunitarie non sanitarie e in ambienti domestici in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2. Versione del 25 maggio 2020.

      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 33/2020).
    34. Gruppo di Lavoro Bioetica COVID-19
      Sorveglianza territoriale e tutela della salute pubblica: alcuni aspetti etico- giuridici. Versione del 25 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 34/2020)
    35. Gruppo di Lavoro Bioetica COVID-19
      Il Medico di Medicina Generale e la pandemia di COVID-19: alcuni aspetti di etica e di organizzazione. Versione del 25 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 35/2020)
    36. Gruppo di Lavoro ISS Ambiente-Rifiuti COVID-19
      Indicazioni sulle attività di balneazione, in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2. Versione del 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 36/2020).
    37. Gruppo di Lavoro ISS Ambiente-Rifiuti COVID-19.
      Indicazioni per le piscine, di cui allAccordo 16/1/2003 tra il Ministro della salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2. Versione del 31 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID- 19, n. 37/2020).
    38. Silano M, Bertinato L, Boirivant M, Pocchiari M, Taruscio D, Corazza GR, Troncone R
      Indicazioni ad interim per un’adeguata gestione delle persone affette da celiachia nell’attuale scenario emergenziale SARS-CoV-2. Versione del 29 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 38/2020).
    39. Gruppo di lavoro ISS Malattie Rare COVID-19 Censimento dei bisogni (23 marzo - 5 aprile 2020) delle persone con malattie rare in corso di pandemia da SARS-CoV-2. Versione del 30 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 39/2020).
    40. Gruppo di Lavoro Bioetica COVID-19. Comunicazione in emergenza nei reparti COVID-19. Aspetti di etica. Versione del 25 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 40/2020).
    41. Gruppo di lavoro ISS Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni per prendersi cura delle difficoltà e dei bisogni dei familiari di pazienti ricoverati in reparti ospedalieri COVID-19. Versione del 29 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 41/2020).
    42. Gruppo di Lavoro ISS Bioetica COVID-19
      Protezione dei dati personali nell’emergenza COVID-19. Versione del 28 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 42/2020).
    43. Gruppo di lavoro ISS Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni ad interim per un appropriato sostegno della salute mentale nei minori di età durante la pandemia COVID-19. Versione del 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 43/2020)
    44. Gruppo di lavoro ISS Salute mentale ed emergenza COVID-19
      Indicazioni di un programma di intervento per la gestione dell’ansia e della depressione perinatale nell’emergenza e post emrgenza COVID-19. Versione del 31 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 44/2020)
    45. Giusti A, Zambri F, Marchetti F, Sampaolo L, Taruscio D, Salerno P, Chiantera A, Colacurci N, Davanzo R, Mosca F, Petrini F, Ramenghi L, Vicario M, Villani A, Viora E, Zanetto F, Donati S.
      Indicazioni ad interim per gravidanza, parto, allattamento e cura dei piccolissimi 0-2 anni in risposta all’emergenza COVID-19. Versione 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020 (Rapporto ISS COVID-19 n. 45/2020)
    46. Gruppo di Lavoro ISS Test Diagnostici COVID-19 e Gruppo di Lavoro ISS Dispositivi Medici COVID-19
      Dispositivi diagnostici in vitro per COVID-19. Parte 2: evoluzione del mercato e informazioni per gli stakeholder. Versione del 23 maggio 2020.
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 46/2020)
    47. Gruppo di Lavoro ISS Bioetica COVID-19. Etica della ricerca durante la pandemia di COVID-19: studi osservazionali e in particolare epidemiologici. Versione del 29 maggio 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 47/2020)
    48. Gruppo di Lavoro Immunologia COVID-19
      Strategie immunologiche ad interim per la terapia e prevenzione della COVID-19. Versione del 4 giugno 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 48/2020).
    49. Gruppo di Lavoro ISS Cause di morte COVID-19, Gruppo di lavoro Sovrintendenza sanitaria centrale – INAIL, ISTAT
      COVID-19: rapporto ad interim su definizione, certificazione e classificazione delle cause di morte. Versione dell’8 giugno 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 49/2020)
    50. Perilli R, Grigioni M, Porta M, Cruciani F, Bandello F, Mastropasqua L. S
      Contributo dell’innovazione tecnologica alla sicurezza del paziente diabetico da sottoporre ad esame del fondo oculare in tempi di COVID-19. Versione del 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 50/2020).
    51. Gruppo di Lavoro ISS Farmaci COVID-19
      Integratori alimentari o farmaci? Regolamentazione e raccomandazioni per un uso consapevole in tempo di COVID-19. Versione del 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 51/2020)
    52. Gruppo di lavoro SISVet-ISS
      Protocollo di gestione dell’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 nelle strutture veterinarie universitarie. Versione dell’11 giugno 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 52/2020)
    53. Filia A, Urdiales AM, Rota MC
      Guida per la ricerca e gestione dei contatti (contact tracing) dei casi di COVID-19. Versione del 25 giugno 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19, n. 53/2020).
    54. Giansanti D, D’Avenio G, Rossi M, Spurio A, Bertinato L, Grigioni M.
      Tecnologie a supporto del rilevamento della prossimità: riflessioni per il cittadino, i professionisti e gli stakeholder in era COVID-19. Versione del 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 54/2020).
    55. Cisbani E, Dini V, Grande S, Palma A, Rosi A, Tabocchini MA, Gasparrini F, Orlacchio A.
      Stato dell’arte sull’impiego della diagnostica per immagini per COVID-19. Versione del 7 luglio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 55/2020)
    56. Gruppo di lavoro ISS-INAIL
      Focus on: utilizzo professionale dell’ozono anche in riferimento al COVID-19. Versione del 21 luglio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 56/2020)
    57. Gruppo di lavoro ISS Formazione COVID-19
      Formazione per la preparedness nell’emergenza COVID-19: il case report dell’Istituto Superiore di Sanità. Versione del 31 maggio 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 57/2020)

    58. Gruppo di Lavoro ISS, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Emilia-Romagna, Regione Veneto, R.
      Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia. Versione del 21 agosto 2020
      Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2020. (Rapporto ISS COVID-19 n. 58/2020)

Note   [ + ]

1. Il Registro delle Intenzioni (RoI), gestito da ECHA e disponibile pubblicamente sul sito web dell’Agenzia, contiene informazioni delle parti che intendono presentare all’Agenzia un fascicolo per l’armonizzazione della classificazione e dell’etichettatura.
2. TLV®-TWA (Threshold Limit Value - Time Weighted Average): Valore Limite per esposizioni prolungate nel tempo, detto anche Valore Limite ponderato. Rappresenta la concentrazione media, ponderata nel tempo, degli inquinanti presenti nell'aria degli ambienti di lavoro nell'arco dell'intero turno lavorativo ed indica il livello di esposizione al quale si presume che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, il lavoratore possa essere esposto 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana, per tutta la durata della vita lavorativa, senza risentire di effetti dannosi per la salute.
3. I DNEL, livelli derivati senza effetto, sono i livelli di esposizione a una sostanza al di sotto dei quali non si prevedono effetti negativi per la salute dell'uomo. Sono ricavati dai dichiaranti (cioè fabbricanti o importatori della sostanza) dalle informazioni tossicologiche e dalla relazione dose-effetto generate e raccolte durante il processo di registrazione della sostanza ai sensi del Regolamento REACH e funzionano come valori di riferimento per la valutazione della sicurezza chimica.
4. Institut für Arbeitsschutz der Deutschen Gesetzlichen Unfallversicherung (IFA, Institute for Occupational Safety and Health of the German Social Accident Insurance). IFA https://limitvalue.ifa.dguv.de/WebForm_ueliste2.aspx
5. Soglia di informazione: livello oltre il quale sussiste un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione nel suo complesso ed il cui raggiungimento impone di assicurare informazioni adeguate e tempestive.
6. Soglia di allarme: livello oltre il quale sussiste un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per la popolazione nel suo complesso ed il cui raggiungimento impone di adottare provvedimenti immediati.

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