La classificazione dei rifiuti: gli otto punti fondamentali

Gli accorgimenti necessari da seguire per evitare errori e le sanzioni che ne conseguono

1. A chi spetta il compito di classificare correttamente i rifiuti?

La corretta classificazione dei rifiuti spetta al produttore. Il nuovo art. 184, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dal recente D.Lgs. n. 116/2020, ribadisce che «la corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore».

Pertanto, anche nell’eventualità in cui si avvalga della collaborazione e del consulto di altri soggetti (ad esempio, un consulente esterno o l’intermediario), il produttore rimane comunque il soggetto responsabile della corretta classificazione.

 

2. Rifiuti urbani e speciali. E i rifiuti speciali assimilati?

A seconda della loro provenienza, i rifiuti si suddividono in due macrocategorie: rifiuti urbani e rifiuti speciali. Inoltre, per effetto della riforma approvata con il D.Lgs. n.116/2020, da gennaio 2021 è il legislatore stesso a prevedere quali rifiuti siano da qualificarsi comunque come rifiuti urbani pur provenendo da attività economiche e non da nuclei domestici. Infatti, ai sensi di quanto disposto dall’art. 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2, sono rifiuti urbani «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies».

 

3. Rifiuti non pericolosi assoluti, rifiuti pericolosi assoluti e codici a specchio

In base alla loro natura, i rifiuti possono essere classificati come rifiuto non pericoloso o rifiuto pericoloso. Più precisamente, con riferimento specifico all’attività di classificazione, i rifiuti possono essere suddivisi in tre categorie: i rifiuti non pericolosi, i pericolosi “assoluti” e i rifiuti con codici “a specchio”. Benché per i primi sussiste una presunzione di carattere assoluto, in particolare, per quelli pericolosi può risultare necessario ricorrere ad analisi o prove di laboratorio per individuare la relativa caratteristica di pericolo: è un’informazione richiesta per la compilazione del Fir e può assumere rilievo per la successiva gestione del rifiuto (ad esempio per il conferimento in discarica).

 

4. Per i codici a specchio è sempre necessaria l’analisi di laboratorio?

Il tema è stato oggetto di dibattito tra gli esperti, nonché di ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la quale, con la sentenza 28 marzo 2019, cause riunite da C-487/17 a C-489/17, ha chiarito che, ai fini della scelta tra il codice che identifica il rifiuto come “pericoloso” e quello speculare “non pericoloso”, non è indispensabile la caratterizzazione chimico-fisica mediante analisi o metodi di prova, quando la valutazione della pericolosità di un rifiuto possa essere compiuta sulla base delle informazioni già in possesso del produttore.

 

5. Disciplina particolare per conferimento in discarica e altre ipotesi

Diverso è il caso in cui la verifica analitica riguardo limiti massimi di concentrazione di alcune sostanze o l’esperimento di test di laboratorio siano richiesti non ai fini della classificazione, bensì ai fini dell’ammissibilità del rifiuto in impianto, ossia per sottoporre il rifiuto a determinati trattamenti, di smaltimento (si veda l’art. 7-quater D.Lgs. n. 36/2003 per l’ammissibilità in discarica per rifiuti inerti) oppure di recupero (si veda, per il recupero in forma semplificata di rifiuti non pericolosi, l’allegato 1 al D.M. 5 febbraio 1998 che, in alcuni punti, impone alcune caratteristiche chimiche per i rifiuti da trattare).

 

6. Quali sono i tempi per la classificazione dei rifiuti?

Ai sensi dell’art. 185-bis, D.Lgs. n. 152/2006, le categorie omogenee secondo cui devono essere raggruppati i rifiuti posti in deposito temporaneo coincidono con i singoli codici Eer. Ne consegue che la classificazione di un rifiuto deve essere effettuata, al più tardi, nel momento in cui sia collocato in deposito temporaneo.

 

7. Quali sanzioni in caso di errata classificazione?

Un’errata classificazione conduce ad un’inesatta annotazione nel Fir, che nel caso di rifiuti non pericolosi integra, ai sensi dell’art. 258, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006, un illecito amministrativo punito con una sanzione pecuniaria da 1.600 a 10.000 euro, si tratti di un’inesattezza voluta o dovuta solo a negligenza e/o incompetenza. Nell’ipotesi di rifiuti pericolosi, si configura, invece, un delitto punito con reclusione fino a due anni ed è richiesto il dolo.

Qualora, a causa della non corretta classificazione, il rifiuto venga trasportato o sottoposto a trattamento da parte di soggetti il cui titolo autorizzativo non ricomprende quella reale tipologia di rifiuto, può, altresì, sussistere la responsabilità a titolo concorsuale del produttore nel reato contravvenzionale di gestione illecita di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.

 

8. Linee guida Snpa sulla classificazione dei rifiuti

Con la delibera 27 novembre 2019, n. 61, sono state approvate dal Snpa le linee guida sulla classificazione dei rifiuti. Queste linee guida, al pari di quelle pubblicate dalla Commissione Ue nell’aprile del 2018, non recano indicazioni di carattere vincolante. Il nuovo art. 184, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006, ha previsto l’emanazione di nuove linee guida da parte del Snpa, stabilendo, al contempo, che il produttore dovrà compiere la classificazione dei propri rifiuti «sulla base di» queste linee guida. Di conseguenza, non si può escludere che le future linee guida, a oggi non ancora rese note, potranno avere valore cogente.

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