Le autorizzazioni ambientali: il quadro aggiornato

Guida all'ambiente 2022- Capitolo 2. Valutazione di impatto ambientale (Via), valutazione ambientale strategica (Vas) e autorizzazione integrata ambientale (Aia) sono istituti di derivazione europea, tradotti da diversi anni nell’ordinamento nazionale e oggi riassunti nel testo unico ambientale (D.Lgs. n. 152/2006). A questi vanno aggiunti altri procedimenti a carattere locale (Paur, Pauar eccetera) che concorrono a definire un quadro estremamente articolato, in continua evoluzione tano sotto il profilo legislativo quanto sotto quello giurisprudenziale

LE AUTORIZZAZIONI AMBIENTALI NEL QUADRO NORMATIVO EUROPEO E NAZIONALE

Le attività industriali, per propria natura e configurazione, determinano potenziali impatti sulle diverse componenti ambientali. Stimare questi impatti e definire condizioni di esercizio che permettano di contemperare le esigenze produttive e quelle ambientali/sanitarie è l’obiettivo dei procedimenti di valutazione di impatto ambientale e di rilascio delle autorizzazioni ambientali. Si tratta di percorsi articolati, svolti attraverso il contraddittorio tra proponente e autorità, il coinvolgimento dei privati interessati e l’assessment tecnico sulle condizioni di esercizio mediante strutturati apparati documentali e istruttori.

Valutazione di impatto ambientale (Via), valutazione ambientale strategica (Vas) e autorizzazione integrata ambientale (Aia) sono istituti di derivazione europea, tradotti da diversi anni nell’ordinamento nazionale e oggi riassunti nel testo unico ambientale (D.Lgs. n. 152/2006).

La valutazione di impatto ambientale è stata introdotta nell’ordinamento italiano per la prima volta nel 1986 (legge 8 luglio 1986, n. 349). Oggi la disciplina è contenuta nella direttiva 2011/92/Ue, modificata e aggiornata dalla direttiva 2014/52/Ue e recepita nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. n. 104/2017, ultimo provvedimento ad aver sensibilmente mutato il contesto normativo e operativo nazionale in materia. Scopo della Via è garantire che l’autorizzazione di progetti – sia pubblici che privati – aventi un potenziale rilevante impatto sull’ambiente, sia concessa solo previa determinazione e valutazione specifica di questi impatti, nonché definizione di modalità di contenimento degli stessi. Il concetto di “ambiente” che rileva non corrisponde soltanto all’insieme delle ordinarie matrici ambientali, bensì comprende biodiversità, ecosistemi, patrimonio paesaggistico e culturale e molto altro[1]Scopo della Via è salvaguardare l’habitat nel quale l’uomo vive, che si configura come valore primario e fondamentale in quanto espressione della personalità umana (Consiglio di Stato n. 1109/2008; similmente, si vedano Tar Brescia, n. 247/2018 e Consiglio di Stato, n. 3000/2016). Il procedimento di Via, a detta di consolidata giurisprudenza amministrativa, non consiste in una verifica dell’astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma si sostanzia in un’analisi comparata e specifica, tesa a valutare il reale sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenendo conto delle alternative praticabili (tra le tante, si vedano le sentenze Consiglio di Stato, n. 4566/2014 e n. 1236/2018, Tar Sardegna n. 439/2018, Tar Molise n. 15/2018 – che parla di «giudizio di complessiva compatibilità, al quale non sono estranee valutazioni relative all’attività economica imprenditoriale la quale non può essere pregiudizialmente inquadrata come un controinteresse rispetto alla tutela ambientale» – e Tar Toscana n. 1383/2017). . Medesime valutazioni possono essere svolte in ordine alla valutazione ambientale strategica, riguardante piani e programmi ed avente obiettivi comuni a quelli della Via.

Scopo delle autorizzazioni ambientali (tra cui l’Aia) è, invece, definire le condizioni di esercizio degli impianti, anche a esito degli approfondimenti svolti in seno alla valutazione degli impatti ambientali. In tema di autorizzazioni ambientali, la disciplina principale e più strutturata è quella riguardante il controllo e la prevenzione dell’inquinamento derivante dagli stabilimenti industriali (integrated pollution prevention and control - Ippc, direttiva 1996/61/Ce), oggi trasfusa nella direttiva Ied (industrial emissions directive)[2] Direttiva 2010/75/Ue relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento). recepita in Italia mediante il D.Lgs. n. 46/2014 (che ha significativamente inciso il testo del D.Lgs. n. 152/2006)[3] Sul recepimento della direttiva Ied in Italia si vedano: L. Butti, A. Balestreri, Il recepimento della direttiva IED modifica sostanzialmente il D.Lgs. n. 152/2006, in Ambiente&Sicurezza, n. 9/2014; L. Butti, IED: rischio chiusura per le imprese in attesa del rinnovo autorizzativo, in Ambiente&Sicurezza, n. 9/2015; L. Butti, AIA – Costosa garanzia finanziaria per il rilascio o per il rinnovo: disposizione anticostituzionale, in Ambiente&Sicurezza, n. 4/2015.. Risultato dell’accorpamento in un unico testo delle sette direttive sulle emissioni industriali preesistenti[4] Le sette direttive accorpate sono: direttiva 1978/176/Cee («Rifiuti provenienti dall’industria del biossido di titanio»), direttiva 1982/833/Cee («Modalità di vigilanza e di controllo degli ambienti interessati dagli scarichi dell’industria del biossido di titanio»), direttiva 1992/112/Cee («Modalità di armonizzazione dei programmi per la riduzione, al fine dell’eliminazione, dell’inquinamento dei rifiuti provocati dall’industria del biossido di titanio»), direttiva 1999/13/Ce («Limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici in talune attività e in taluni impianti»), direttiva 2000/76/Ce («Incenerimento dei rifiuti»), direttiva 2001/80/Ce («Limitazione delle emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti originati da grandi impianti di combustione»), direttiva 2008/1/Ce («Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento»). , la “direttiva Ied” – disciplina europea degli impianti Aia - ha:

  • valorizzato il cosiddetto “approccio integrato” (in sintesi, la valutazione congiunta dei diversi profili tecnici e dei relativi impatti dello stabilimento nell’ambito di un unitario procedimento e relativo provvedimento);
  • rafforzato il ruolo delle “migliori tecniche disponibili” (best available techniques – Bat);
  • introdotto nuovi obblighi per il gestore dell’impianto nell’ottica di un sempre più intenso controllo delle attività.

Se l’Aia è la disciplina per gli impianti cosiddetti “Ippc”, altri titoli autorizzativi disciplinano diverse tipologie di impianti, anche in questo caso con un approccio sempre più integrato e unificato. Da qui, le molteplici discipline delle autorizzazioni settoriali (ad esempio emissioni in atmosfera e scarichi, di cui si dirà nei capitoli dedicati), che hanno ormai trovato negli anni recenti un coordinamento, attraverso l’autorizzazione unica ambientale e i nuovi provvedimenti unici ambientali (di cui, invece, si dirà nel seguito di questo capitolo).

Più nel complesso, si assiste negli ultimi anni a una progressiva migrazione da un sistema basato su procedimenti autonomi (Via e autorizzazioni ambientali) a un sistema atto a prediligere la gestione unificata (pur mantenendo la separazione interna delle fasi procedimentali e delle relative competenze tra gli uffici chiamati a svolgere l’istruttoria). Valutazione di impatto ambientale e autorizzazione all’esercizio dell’impianto sono, infatti, percorsi procedimentali intimamente connessi[5]Con sentenza n. 5298/2017 il Tar Campania – Napoli ha sostenuto che i procedimenti di Via e Aia tendono ormai a formare un unicum (conformemente Tar Lombardia – Brescia n. 211/2010). Pur se intimamente connessi, i procedimenti di Via e Aia sono però preordinati ad accertamenti diversi ed autonomi, pertanto ciascuno dei due titoli abilitativi deve essere sorretto da una propria istruttoria completa e autosufficiente (Consiglio di Stato n. 3559/2017 e n. 3034/2018). Ciò, tuttavia, non significa che l’istruttoria di un procedimento non possa supportare l’istruttoria dell’altro: secondo il Tar Lombardia – Brescia n. 1197/2016, «La Via precede il rilascio dell’Aia e ne condiziona il contenuto [...] ma è evidente che l’ampiezza dell’esame svolto in sede di Aia si riflette poi sul giudizio di Via favorevole, in relazione al quale assumono necessariamente rilievo anche gli studi effettuati in vista del rilascio dell’Aia. Esiste quindi una retroazione dell’Aia sulla procedura di Via, nel senso che la prima, benché cronologicamente successiva, conferma e precisa la seconda. [La Via] si tratta in sostanza di una condizione di procedibilità dell’Aia-Au, in quanto accerta la sussistenza dei presupposti minimi per svolgere studi più approfonditi in relazione a una determinata area. La conseguenza è che le impugnazioni contro il giudizio di Via favorevole non possono limitarsi a lamentare profili di incompletezza dell’istruttoria o figure simili, essendo evidente che l’istruttoria, mancando l’Aia-Au, non è ancora conclusa, o comunque destinata a proseguire con studi sempre più sofisticati e mirati». Sull’autonoma impugnabilità del provvedimento di Via, si vedano le sentenze Tar Calabria – Catanzaro n. 564/2018 e Tar Lombardia – Brescia n. 247/2018. , nell’ambito dei quali le direttive europee valorizzano sempre più lo scambio di informazioni, la partecipazione pubblica e il confronto tecnico tra autorità e gestore. A ciò si affiancano importanti spinte verso obiettivi di semplificazione e snellimento dei procedimenti, la cui durata (e connessa incertezza in ordine agli sviluppi) costituisce uno dei grandi vincoli allo sviluppo dei progetti industriali[6] Con la Circolare n. 45113 del 18/11/ 2020 recante: «Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120», il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha esortato Regioni, Province, Comuni, Provveditorati, Anas e Rfi all’applicazione delle misure di cui al decreto “semplificazioni”, rammentando l’importanza dell’accelerazione delle procedure in materia ambientale. .

Nella medesima ottica di snellimento è orientato il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)[7] Il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha ricevuto il via libera da parte del Governo lo scorso 29 aprile 2021 ed è stato approvato dal Consiglio europeo il 13 luglio 2021. Esso si inserisce all’interno del programma “Next Generation EU (NGEU)”, il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione europea in risposta alla crisi pandemica. , un ambizioso progetto di riforme per rispondere alla crisi economica e sociale determinata dalla pandemia da Covid-19 che si articola in sei “missioni” tra le quali spicca, con particolare riferimento alle misure in tema di ambiente e gestione dei procedimenti amministrativi, la “Rivoluzione verde e transizione ecologica”.

Il Pnrr – presidiato da una soprintendenza speciale ad hoc che sarà operativa sino al 31 dicembre 2026 – ha, infatti, inteso procedere a una razionalizzazione e accelerazione dei procedimenti al fine di agevolare la realizzazione di infrastrutture e di altri interventi sul territorio, in particolar modo con riferimento alle attività ed ai progetti strategici per l’attuazione della green economy.

A dare prima attuazione alle disposizioni e alle finalità del piano nazionale di ripresa e resilienza è stato il decreto “semplificazioni-bis” (decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77)[8] Decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, recante «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2021, n. 181. , convertito con legge n. 108/2021[9] Si veda sul punto L. Butti, F. Peres, A. Kiniger, A. Balestreri, ll semplificazioni-bis è legge: cosa cambia per il D.Lgs. n. 152/2006, in Ambiente&Sicurezza n. 9/2021. . In tema di autorizzazioni ambientali il decreto – pur senza dettagliare una disciplina transitoria specifica – ha previsto vari aggiornamenti della disciplina, che si avrà modo di illustrare, orientati in particolare a:

  • codificare procedure autorizzative “speciali” e “accelerate” per le opere strategiche del piano;
  • aggiornare termini e step di alcuni procedimenti specifici (in particolare Via, Pua, Paur);
  • efficientare il confronto pubblico/privato;
  • promuovere il principio once only (unificazione dei procedimenti di competenza di più amministrazioni).

Nel corso dell’ultimo anno sono intervenuti ulteriori provvedimenti che hanno disciplinato alcuni aspetti di dettaglio in punto di autorizzazioni ambientali, sempre al fine di garantire una maggiore efficienza del percorso valutativo ed uno snellimento delle tempistiche. Tra questi:

il decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 cosiddetto “decreto aiuti” – convertito con la legge 15 luglio 2022, n. 91 – che ha introdotto novità con riguardo alla documentazione da allegare all’istanza di Via, alla proroga della validità del provvedimento di Via e alle categorie di impianti sottoposti a Via statale[10] Per un’approfondita analisi delle novità apportate dal decreto “aiuti”, si veda A.Balestreri Le novità su Via e rifiuti nella conversione del D.L. “Aiuti” in Ambiente&Sicurezza n. 9/2022. ;

il decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, cosiddetto “decreto aiuti-bis” - convertito con la legge 21 settembre 2022 n. 142 - la cui novità di maggior rilievo in tema di autorizzazioni consiste nell’aver introdotto l’articolo 27-ter del D.Lgs. n.  152/2006 avente a oggetto un procedimento autorizzatorio unico accelerato regionale (Pauar) per settori ritenuti di rilevanza strategica.

Un’importante spinta applicativa è stata data poi dall’istituto dell’interpello ambientale che – introdotto a fine 2020 – ha trovato applicazione soprattutto nell’ultimo anno ed ha portato, già soltanto in materia di Via e autorizzazioni ambientali, a numerosi pareri ministeriali utili ai fini dell’applicazione della disciplina. Un elenco dei principali e più recenti interpelli in materia è riportato nella tabella 1 (l’analisi di quelli di maggiore interesse è poi svolta nel capitolo nei punti pertinenti).

Le autorizzazioni ambientaliNel seguito, dunque, saranno analizzati struttura, contenuti e articolazione dei procedimenti di valutazione degli impatti ambientali e dei procedimenti autorizzativi “unificati” alla luce della disciplina attuale, considerando a ogni modo anche le riforme più recenti che hanno impattato la normativa di settore. Per quanto riguarda, invece, la struttura dei procedimenti antecedente all’entrata in vigore del decreto semplificazioni si vedano i precedenti numeri della Guida all’Ambiente.

 

VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (VIA) INTRODUZIONE GENERALE

La Via riguarda i progetti[11]Per progetto, ai sensi dell’art. 5, lettera g), D.Lgs. n. 152/2006, si intende oggi, a seguito dell’intervento operato dal D.L. Semplificazioni, «la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo. Ai fini del rilascio del provvedimento di Via il proponente presenta il progetto di fattibilità come definito dall’articolo 23, commi 5 e 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 o, ove disponibile, il progetto definitivo come definito dall’articolo 23, comma 7, del decreto legislativo n. 50 del 2016, ed in ogni caso tale da consentire la compiuta valutazione dei contenuti dello studio di impatto ambientale ai sensi dell’allegato IV della direttiva 2011/92/UE». In precedenza, anche il D.Lgs. n. 104/2017 era intervenuto sulla definizione, prevedendo che gli elaborati progettuali da presentare ai fini dell’istanza di Via dovessero avere un grado di dettaglio pari a quello richiesto per il progetto di fattibilità. Nella versione ancora precedente al 2017, invece, si faceva riferimento alla nozione di progetto definitivo, imponendo così un maggior grado di dettaglio. Sembrerebbe, quindi, che con l’intervento del D.L. “semplificazioni” si sia voluto trovare un punto mediano tra i precedenti interventi.   di impianti e opere ed è incentrata sugli «impatti ambientali», di cui la lettera c) dell’art. 5, D.Lgs. n. 152/2006 fornisce una definizione ampia e diversificata. Rientrano, infatti, tra gli impatti ambientali gli «effetti significativi, diretti ed indiretti […] sui seguenti fattori: popolazione e salute umana; biodiversità, […]; territorio, suolo, acqua e clima; beni materiali, patrimonio culturale, paesaggio; […] vulnerabilità del progetto a rischio di gravi incidenti o calamità pertinenti il progetto medesimo […]». L’ampiezza della definizione, l’utilizzo del plurale “impatti” e l’enfasi che viene fornita dalla definizione alla valutazione circa gli effetti della «interazione tra i fattori sopra elencati» evidenziano l’assetto cumulativo della valutazione di impatto ambientale, che non si ferma alle ricadute ambientali che potremmo definire “ordinarie” (ad esempio scarichi, emissioni, rifiuti eccetera), bensì valorizza il contesto socio-economico, sanitario e ambientale complessivo.

Quanto all’ambito di applicazione della disciplina in materia di Via, l’art. 6, D.Lgs. n. 152/2006, distingue tra progetti obbligatoriamente soggetti a Via e progetti sottoposti a preventiva verifica di assoggettabilità a Via (nota come screening). Come si dirà a breve, si tratta di due procedimenti autonomi, sebbene strettamente collegati e tra loro consequenziali. In particolare, la Via deve essere svolta:

  • obbligatoriamente per i progetti di cui all’allegato II («Progetti di competenza statale») e all’allegato III («Progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano»), nonché per i progetti di cui all’allegato II-bis («Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza statale») e all’allegato IV («Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano») solo quando relativi a opere di nuova realizzazione che ricadano, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette;
  • in via eventuale – sulla base di screening da effettuarsi caso per caso – per i progetti di cui all’allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo e il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di 2 anni, per le modifiche ed estensione dei progetti di cui agli allegati II, II–bis, III e IV che possono avere impatti significativi e negativi (ad eccezione delle modifiche o estensioni che risultino conformi agli eventuali valori limite stabiliti nei medesimi allegati II e III), nonché per i progetti di cui agli allegati II-bis e IV, sulla base di criteri definiti con decreto ministeriale.

La normativa, già oggetto di modifica in passato con riferimento all’ambito di applicazione della verifica di assoggettabilità a Via dei progetti di competenza regionale e provinciale[12] Al fine di adempiere a specifiche richieste della Commissione europea, il legislatore, con legge n. 116/2014, ha infatti demandato al ministero dell’Ambiente la ridefinizione dei criteri e delle soglie da applicare per lo screening, oggi contenuti nel D.M. 30 marzo 2015. La nuova disciplina, entrata in vigore il 26 aprile 2015 e applicabile anche ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore (come confermato dalla corte di Cassazione a sezioni unite nella sentenza n. 15453/2016), detta, dunque, criteri e soglie, lasciando in ogni caso margini di discrezionalità e intervento per regioni e province nell’ambito delle competenze a esse attribuite. , è stata rivisitata nel complesso ad opera del D.Lgs. n. 104/2017 (in attuazione della già citata direttiva 2014/52/Ue) nell’ottica di armonizzazione dei procedimenti autorizzatori, semplificazione e riduzione dei tempi del procedimento, nonché per l’aggiornamento delle sanzioni e di complessivo adeguamento alle nuove disposizioni europee. Le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104/2017, applicabili ai procedimenti avviati dopo l’entrata in vigore del decreto (21 luglio 2017)[13]Le disposizioni introdotte con il D.Lgs. n. 104/2017, oltre a trovare applicazione con riferimento ai procedimenti avviati dopo l’entrata in vigore del decreto (21 luglio 2017), possono, in realtà, aver trovato applicazione anche in relazione ai procedimenti avviati successivamente al 16 maggio 2017 – fatti salvi gli effetti degli atti già emanati ed eventuali integrazioni documentali richieste dalle autorità – al fine di coordinare la normativa nazionale con quella europea, la quale imponeva di recepire la direttiva 2014/527/ Ue entro il 16 maggio. Per i procedimenti avviati prima del 16 maggio 2017 resta, invece, applicabile la previgente disciplina, a meno che non ne sia stata richiesta la conversione entro il 19 settembre 2017. Nella prassi operativa nazionale, che registra in molti casi significativi ritardi rispetto alle tempistiche procedimentali scandite per legge, si possono avere procedimenti ancora disciplinati dalla normativa previgente. , in larga parte non hanno mutato la vera e propria “sostanza” della normativa in materia di Via (e del relativo screening), ma non sono mancate importanti novità sul piano procedimentale e con riferimento ai contenuti delle valutazioni da operare[14] In particolare, numerose sono state le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104/2017 agli allegati alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006, ovvero agli allegati II «Progetti di competenza statale», III «Progetti di competenza delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano» e IV «Progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità di competenza delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano». Mentre sono stati integralmente sostituiti gli allegati V «Criteri per la verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 19» e VII «Contenuti dello Studio di Impatto Ambientale di cui all’art. 22» e sono stati introdotti i nuovi allegati II-bis «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza statale» e IV-bis «Contenuti dello Studio preliminare ambientale di cui all’art. 19». .

La normativa è stata successivamente modificata dal decreto “semplificazioni” (D.L. n. 76/2020[15] Per una approfondita analisi delle novità apportate in materia di ambiente e green economy dal D.L. n. 76/2020, si veda F. Rigo, L. Tronconi, Pubblicato il D.L. “Semplificazioni”: quali novità per l’ambiente?, in Ambiente&Sicurezza n. 10/2020. Per completezza si segnala che anche il cosiddetto “D.L. rilancio” (decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito in legge con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) è intervenuto sui procedimenti disciplinati nella parte II del D.Lgs. n. 152/2006, come sempre illustrato nel contributo citato. In merito alla conversione in legge del D.L. “semplificazioni”, intervenuta con la legge del 14 settembre 2020 n. 120, si veda F. Rigo, L. Tronconi Autorizzazioni e valutazioni in vigore novità sostanziali, in Ambiente&Sicurezza n. 10/2020. , convertito con modificazioni dalla legge n. 120/2020) - applicabile solo nei confronti di istanze presentate a partire dal 14 ottobre 2020 - nonché dal decreto “semplificazioni-bis”, convertito con legge n. 108/2021 entrata in vigore il 31 luglio 2021, sia attraverso interventi circoscritti sia con emendamenti di più ampio respiro, in continuità con gli intenti di semplificazione e di riduzione delle tempistiche procedimentali perseguiti dal D.Lgs. n. 104/2017. 

Sull’attuazione della disciplina in materia di Via si segnala, inoltre, la comunicazione pubblicata lo scorso dicembre dalla la Commissione europea[16] Comunicazione pubblicata in G.U.C.E. C del 3 dicembre 2021, n. 486. Per un approfondimento dei contenuti della comunicazione si veda A.Balestreri, F.Rigo Via: la comunicazione della Commissione europea fa il punto della situazione in Ambiente&Sicurezza n. 5/2022.   con la quale, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sono individuati alcuni “orientamenti” consolidati con l’intento di migliorare l’applicazione della direttiva Via mediante esempi pratici.

Nell’analisi dei procedimenti di valutazione dell’impatto ambientale, si prenderanno le mosse dai procedimenti prodromici e funzionali alla valutazione di impatto ambientale, per poi analizzare in dettaglio la disciplina della valutazione di impatto ambientale (Via), della valutazione ambientale strategica (Vas) e della valutazione di impatto sanitario (Vis).

 

SCREENING, SCOPING, PRE-SCREENING E VERIFICHE PRELIMINARI AL PROCEDIMENTO DI VIA

Nell’ottica di migliorare l’efficienza del procedimento di valutazione ambientale, sulla scorta delle indicazioni fornite dalla direttiva 2014/52/Ue e della legge delega n. 114/2015[17] La legge citata aveva stabilito infatti come criteri e principi direttivi per il decreto legislativo la «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale», nonché il «rafforzamento della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionalità» (art. 14). , il D.Lgs. n. 152/2006 prevede alcuni procedimenti di assessment preliminare, vale a dire autonomi procedimenti funzionali a definire l’esigenza[18] Considerando 27, direttiva 2014/52/Ue: «La procedura di screening dovrebbe garantire che una valutazione dell’impatto ambientale sia richiesta solo per i progetti suscettibili di avere effetti significativi sull’ambiente».   e gli eventuali contenuti[19] Considerando 30, direttiva 2014/52/Ue: «Per migliorare la qualità di una valutazione dell’impatto ambientale, semplificare le procedure e razionalizzare il processo decisionale, l’autorità competente dovrebbe esprimere un parere, ove richiesto dal committente, sulla portata e il livello di dettaglio delle informazioni ambientali da fornire nell’ambito di rapporto di valutazione dell’impatto ambientale (definizione dell’ambito di applicazione)».  del procedimento di Via e della relativa documentazione. Il più noto (e attuato) di questi procedimenti, ovverosia la verifica di assoggettabilità a Via, è stato oggetto di modifiche prima con il D.Lgs. n. 104/2017, poi con il decreto “semplificazioni” e, successivamente, con il decreto “semplificazioni-bis”. Gli ulteriori procedimenti rappresentano, invece, importanti novità nell’ambito della normativa nazionale che, tuttavia, ad alcuni anni dall’entrata in vigore delle disposizioni, stentano ancora a trovare capillare attuazione. Resta poi, su base regionale, una importante incidenza delle discipline territoriali, che attuano e dettagliano – non sempre in modo uniforme – la cornice normativa nazionale.

In sintesi, il quadro di tali procedimenti di carattere “preliminare” è così sintetizzabile:

  • procedimento di valutazione preliminare delle modifiche progettuali (“pre-screening”- art. 6, comma 9, D.Lgs. n. 152/2006);
  • procedimento di verifica di assoggettabilità a Via (“screening”- art. 19, D.Lgs. n. 152/2006);
  • procedimento di consultazione preventiva (art. 20, D.Lgs. n. 152/2006);
  • procedimento finalizzato alla definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale (“scoping”-art. 21, D.Lgs. n. 152/2006).

La procedura di pre-screening consente al proponente di richiedere all’autorità competente una valutazione preliminare[20] Il proponente trasmette, a questo fine, adeguati elementi informativi tramite apposite liste di controllo. L’art. 25, comma 1, D.Lgs. n. 104/2017, prevede che siano individuati, con uno o più decreti del ministero dell’Ambiente, anche in relazione a specifiche tipologie progettuali, i contenuti della modulistica necessaria ai fini della presentazione delle liste di controllo.   circa l’eventuale procedura da avviare nel caso di modifiche, estensioni o adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti sottoposti a Via o a screening. Il procedimento è snello ed essenziale: l’autorità, entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, comunica al proponente la necessità, o meno, di dar corso ai procedimenti e la relativa tipologia. L’obiettivo, dunque, è quello di ottimizzare le fasi successive, permettendo al proponente di organizzare e predisporre la documentazione necessaria. Il procedimento di pre-screening è stato integrato dal decreto “semplificazioni” con l’introduzione di una fase conclusiva consistente nella tempestiva pubblicazione – da parte dell’autorità competente sul proprio sito internet – dell’esito della valutazione preliminare e della documentazione trasmessa dal proponente. La sintesi grafica del procedimento è riportata nel grafico 1 .

La verifica di assoggettabilità a Via (o screening), da effettuare – come già ricordato – per i progetti definiti negli allegati II-bis e IV al D.Lgs. n. 152/2006[21] Sono, inoltre, sottoposti a screening le modifiche o estensioni dei progetti elencati negli allegati citati che possono avere impatti significativi e negativi sull’ambiente, nonché i progetti di competenza statale elencati nell’allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti che non sono utilizzati per più di 2 anni.   (salvo diverse e ulteriori indicazioni delle discipline regionali), è finalizzata, invece, a determinare se un progetto debba o meno essere assoggettato a Via e ha un grado di dettaglio tale da risultare in molti tratti sovrapponibile a quello della Via. 

La procedura di screening, come ricordato da recente giurisprudenza[22] Il Tar Campania, con sentenza n. 840/2021, ha precisato che laddove il coinvolgimento dei soggetti interessati al procedimento venga meno, sarà necessaria la riedizione dell’intera procedura. Per questa ragione, nel caso di specie, il Tar ha annullato il provvedimento conclusivo di non assoggettabilità a Via del progetto rilevando il mancato coinvolgimento dei Comuni interessati alla realizzazione dell’impianto da parte dell’Autorità competente. , deve svolgersi in contradditorio con i soggetti interessati e va considerata quale procedimento autonomo[23] Sull’autonomia del procedimento di screening si veda Tar Campania n. 2370/2022. Sulla separazione dei procedimenti si era già espresso il Consiglio di Stato con sentenze n. 5092/2014 e n. 4327/2017, affermando che «la procedura di verifica dell’assoggettabilità a VIA» si configura «come vero e proprio subprocedimento autonomo che si conclude, nel rispetto delle garanzie partecipative, con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione». Sulla autonoma impugnabilità del provvedimento di non assoggettabilità, si vedano anche le sentenze Consiglio di Stato n. 2122/2018 e Tar Sicilia n. 675/2018. In tempi recenti, sul punto, anche Tar Puglia – Bari n. 1507/2019, ove si ricorda che le motivazioni degli atti conclusivi dei procedimenti di screening e di Via «non sono reciprocamente vincolate, non essendo rinvenibile alcuna disposizione o norma che imponga la consequenzialità tra le ragioni poste a fondamento della verifica di assoggettabilità e quelle espresse in sede di valutazione di impatto ambientale. L’autonomia dei due procedimenti amministrativi è predicabile anche in ragione delle distinte finalità: l’uno (verifica di assoggettabilità) essendo funzionale ad individuare i motivi che potenzialmente potrebbero rappresentare un pericolo per beni giuridici ambientali protetti; l’altro (valutazione di impatto ambientale) avendo lo scopo di verificare, in concreto, l’impatto delle progettualità proposte sui beni giuridici ambientali tutelati, senza alcun limite sullo spettro valutativo».   seppure intimamente connesso rispetto a quello di Via. Il Consiglio di Stato è recentemente intervenuto sul tema chiarendo che la fase di screening è uno strumento che “sonda” la progettualità e impone il passaggio alla successiva fase procedurale (Via) solo in presenza di incidenza negativa sull’ambiente[24] La funzione dello screening quale “sonda” della progettualità è stata ribadita recentemente da Tar Sicilia n. 490/2022. . Il rapporto tra i due procedimenti, pertanto, è stato interpretato dai giudici come «graficamente configurabile in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa» (Consiglio di Stato n. 5379/2020).

Nell’ambito del procedimento di assoggettabilità a Via[25] Nel mese di ottobre 2022, il Mite ha pubblicato un nuovo modulo di presentazione della istanza di verifica di assoggettabilità a Via di competenza statale predisposto ai sensi dell’articolo 19, D.Lgs. n.152/2006 , documento fondamentale è lo studio preliminare ambientale, contenente le informazioni sulle caratteristiche del progetto[26] Lo studio preliminare ambientale, in estrema sintesi, contiene una descrizione del progetto e delle componenti ambientali sulle quali il progetto potrebbe avere un impatto, nonché tutte le informazioni relative ai possibili impatti derivanti da emissioni, produzione di rifiuti e uso delle risorse naturali. Si rileva che la relativa definizione ha subito minimali modifiche ad opera del D.L. “semplificazioni”.  e i suoi probabili effetti sull’ambiente, redatto in conformità alle indicazioni contenute nell’allegato IV-bis alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006. Il procedimento di screening, quindi, si conclude con il provvedimento di valutazione di assoggettabilità che determina la necessità – o meno – dell’esecuzione del procedimento di Via e le relative eventuali condizioni[27] Il Tar Lombardia n. 1798/2022 ha ricordato che la sottoposizione di un progetto, per il quale in precedenza sia già stata esclusa la necessità di sottoposizione a Via vera e propria, a nuova verifica di assoggettabilità, va effettuata solo qualora questo progetto sia stato oggetto di modifiche sostanziali che abbiano determinato una variazione tale da incidere in maniera significativa e negativa sull’ambiente o sulla salute umana. . Già prevista prima del decreto “semplificazioni-bis” - e da questo integrata – è, invece, la fase di richiesta delle condizioni ambientali per l’esclusione del procedimento di Via. Su questa richiesta formulata dal proponente, funzionale a costituire una garanzia di impatti contenuti ai fini dell’esclusione dalla procedura di Via, l’autorità avrà trenta giorni per esprimersi. Importante sarà poi la fase del monitoraggio.

Quanto alla struttura del procedimento, lo screening è, tra i procedimenti di assessment preliminare, quello maggiormente rivisitato dal D.L. “semplificazioni” che ha peraltro – sul piano testuale – interamente sostituito l’art. 19, D.Lgs. n. 152/2006. Importanti modifiche erano state apportate da questo decreto alla scansione delle fasi procedimentali ma, a meno di un anno dall’entrata in vigore di queste disposizioni, il decreto “semplificazioni-bis” ha ulteriormente impattato sulla scansione procedimentale. 

Una sintesi grafica del procedimento vigente prima dell’intervento del decreto “semplificazioni-bis” è riportata nel grafico 2. La nuova configurazione del procedimento di screening di Via, all’esito dell’entrata in vigore del decreto “semplificazioni-bis”, è invece riportata nel grafico 3[28] Il Tar Sicilia n. 1988/2022 si è pronunciato in relazione alla fase procedimentale dello screening relativa all’esame della documentazione precisando che tale esame può non essere esaustivo anche se idoneo ad indirizzare l’amministrazione “prima facie” verso la decisione più opportuna. Ciò in quanto la Pa ha il potere e non il dovere di chiedere chiarimenti e sono proprio le caratteristiche della verifica di assoggettabilità che incidono sul grado di approfondimento richiesto per l’espletamento del procedimento. .

Dal punto di vista giurisprudenziale, merita accenno il tema del rapporto tra l’applicazione del principio di precauzione e l’esclusione del procedimento di Via all’esito della procedura di screening, oggetto di diverse pronunce. Si è, infatti, evidenziato come l’eventuale provvedimento conclusivo di non assoggettabilità a Via non possa essere messo in discussione sulla scorta di un rischio ambientale ipotetico o di generali richiami al principio di precauzione[29] Tar Umbria con sentenza n. 152/2021 ha giudicato illegittimo il comportamento della Regione che ha bloccato l’azione del Comune, fondata sull’art. 3-ter, D.Lgs. n. 152/2006 e il principio di precauzione, affermando che fondare il provvedimento sul principio di precauzione richiede una forte motivazione, carente nel caso di specie. . Quest’ultimo aspetto è stato, altresì, oggetto di recenti rilevanti pronunce del Consiglio di Stato[30] Consiglio di Stato nn. 3597/2021 e 4199/2021: in entrambe le pronunce, i giudici hanno ribadito che il principio di precauzione non può legittimare un’interpretazione delle disposizioni normative, tecniche e amministrative che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli. , la più recente delle quali (28 gennaio 2022, n. 625) ha precisato che la doverosità della Via non può essere fatta derivare sic et simpliciter dal principio di precauzione per due ragioni: la prima è che una siffatta conclusione si risolverebbe in una mera opinione soggettiva, priva di concrete e verificabili basi oggettive; la seconda è che il principio di precauzione costituisce un criterio metodologico per conformare nel quomodo lo svolgimento del giudizio. Vi sono poi pronunce che, pur riconoscendo come non sia possibile una meccanicistica imposizione della Via ogniqualvolta insorga un dubbio sulla probabilità di danno all’ambiente, hanno sostenuto come la logica di tutela dell’ambiente sottesa all’assoggettamento a Via non possa non orientare verso la stessa in tutti i casi in cui si ritenga necessario un approfondimento progettuale ben più pregnante della mera integrazione e chiarimento richiedibile in fase di screening[31] Tar Marche n. 179/2022 richiama quanto affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n.5379/2020. .

Ulteriore procedimento funzionalmente connesso al procedimento di Via è quello attualmente noto come consultazione preventiva, disciplinato dall’art. 20, D.Lgs. n. 152/2006. Questa disposizione consente al proponente, attraverso apposita istanza, di aprire un confronto con l’autorità, preventivo rispetto al deposito delle istanze di valutazione, al fine di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni necessarie per la redazione dello studio di impatto ambientale (Sia), ottimizzando quindi lo sviluppo del procedimento valutativo successivo. L’intento di semplificazione di questo procedimento collideva, tuttavia, sin dall’origine con una generale indeterminatezza dei contenuti e della collocazione. Proprio su questi aspetti è intervenuto il decreto “semplificazioni”: da un lato è stato circoscritto l’oggetto del procedimento, limitato alle informazioni necessarie per la redazione dello Sia, dall’altro è stata puntualizzata la collocazione temporale, ovvero solo in un momento anteriore alla presentazione del progetto ai fini della Via. Aveva complicato le valutazioni, invece, la rimozione – sempre a opera del decreto “semplificazioni” – di un termine per l’espressione del parere da parte delle autorità. A colmare questa lacuna è intervenuto il decreto “semplificazioni-bis” precisando che il parere in merito alla proposta di elaborati progettuali trasmessi dal proponente deve essere reso entro 30 giorni.

L’art. 21, infine, disciplina il cosiddetto procedimento di scoping finalizzato a un preventivo confronto sullo studio di impatto ambientale attraverso un percorso che prevede – questa volta – anche una fase di pubblicizzazione della richiesta. Il procedimento, snello negli sviluppi, è riportato al grafico 4, nel quale sono, peraltro, evidenziate le circoscritte modifiche apportate dal decreto “semplificazioni”.

L’importanza dei procedimenti preliminari – o comunque connessi – all’eventuale effettuazione della Via, dei quali si è sin qui detto, ha trovato e trova puntuale conferma in atti di indirizzo europei e nazionali. La Commissione europea, nel novembre 2017, ha, infatti, emanato tre linee guida in materia di screening (guidance on screening), scoping (guidance on the preparation of the environmental impact assessment report) e definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale (guidance documents for the implementation of Eia directive 2011/92/ EU as amended by 2014/52/EU), aggiornando – a esito dell’entrata in vigore della direttiva 2014/52/Ue – le precedenti linee guida risalenti al 2001. Nei documenti si trovano checklist che, pur non vincolanti, rappresentano uno strumento di evidente utilità per i proponenti e per le autorità coinvolte nel processo di valutazione di impatto ambientale. Anche su base nazionale, la valorizzazione dei procedimenti sin qui analizzati è passata attraverso importanti interventi del ministero dell’Ambiente volti alla razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative. In questo senso si muovono, ad esempio, il decreto direttoriale 3 agosto 2017, n. 239 (con il quale è stata fornita la modulistica di carattere generale necessaria per la presentazione delle liste di controllo per la procedura di pre-screening), il decreto direttoriale 5 febbraio 2018, n. 48 (che ha previsto la modulistica specifica per gli impianti eolici) e il decreto 19 febbraio 2019, n. 39 (con cui sono stati dettati gli indirizzi per condurre in modo uniforme i procedimenti di Via e di Aia di competenza statale relativi ad opere di prospezione geofisica, perforazione di pozzi ed altre opere a mare). A ciò si aggiungono poi ulteriori interventi su base regionale e provinciale (qui non richiamati per esigenze di sintesi) nell’ottica di razionalizzare e organizzare i procedimenti sul territorio.

 

IL PROCEDIMENTO DI VIA E I RELATIVI CONTENUTI

Il procedimento di Via muove, oggi come in passato, dalla presentazione e pubblicazione del progetto e si articola attraverso la formulazione di osservazioni da parte dei privati, l’eventuale integrazione documentale, l’istruttoria tecnica e la decisione finale. Negli anni, l’ambito valutativo ha assunto un carattere sempre più ampio e infatti oggi la Via è il procedimento attraverso cui vengono individuati, valutati, stimati, monitorati e mitigati tutti gli impatti del progetto (non solo sul piano strettamente ambientale, bensì anche su quello sociale, sanitario, economico, territoriale).

Il procedimento origina dall’istanza presentata dal proponente[32] Il ministero della Transizione ecologica, nel mese di luglio 2022, ha aggiornato la modulistica per la presentazione della domanda di VIA statale. In particolare: è stato aggiornato il modulo “istanza di Via” che tiene conto dell’obbligo di allegare la relazione paesaggistica o la relazione paesaggistica semplificata (introdotto dal decreto “aiuti-bis”) ed è stato introdotto un nuovo “Modulo trasmissione integrazioni di Via”, che il proponente dovrà usare per presentare integrazioni alla domanda volontariamente o su richiesta della Commissione Via o delle altre amministrazioni interessate, all’esito della fase di consultazione del pubblico. La documentazione aggiornata si trova sul portale del Mite all’indirizzo: https://va.mite.gov.it/it-IT/ps/DatiEStrumenti/Modulistica   e si articola, di norma, attraverso conferenze di servizi[33] La conferenza di servizi relativa alla Via è sempre convocata in modalità simultanea (o sincrona), con le modalità descritte dagli artt. 14 e seguenti, legge n. 241/1990. , nell’ambito delle quali sono raccolti i pareri e le prescrizioni degli enti e sono valutate le osservazioni delle parti private interessate. Con riferimento alla durata del procedimento, il D.Lgs. n. 104/2017 ha portato a una complessiva riduzione delle tempistiche rispetto alla disciplina previgente, cui si è accompagnata la precisazione che i termini procedimentali vanno intesi come “perentori” ai sensi degli artt. 2 commi da 9 a 9-quater e 2-bis, legge n. 241/1990. A margine del dato testuale (che farebbe ritenere inderogabili e, come tali, sanzionati i limiti temporali previsti), il richiamo normativo alla legge n. 241/1990 riguarda, tuttavia, soltanto le norme relative alla responsabilità dei dirigenti e delle amministrazioni per mancato rispetto dei termini del procedimento, al risarcimento del danno da ritardo e alla facoltà di attivazione dei poteri sostitutivi. Ciò significa, dunque, che il decorso infruttuoso dei termini comporterà responsabilità dirigenziali, profili risarcitori per l’istante e possibilità di attivare poteri sostitutivi, ma non inciderà direttamente sulla conclusione del procedimento e sulla validità del relativo provvedimento finale (in nota un approfondimento sul tema[34] Le disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006 che disciplinano il procedimento di screening (art. 19), il procedimento di Via (art. 25), il procedimento unico (art. 27) e il provvedimento unico regionale (art. 27-bis), specificano – a valle della riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 104/2017 che «Tutti i termini del procedimento si considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241». La disposizione circoscrive gli effetti della perentorietà richiamando specificamente l’art. 2, legge n. 241/1990, che determina la responsabilità (amministrativa e disciplinare-contabile) del dirigente o funzionario inadempiente ai propri oneri (per il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento) e la facoltà di attivazione – su istanza di parte – di poteri sostitutivi degli organi sovraordinati nonché l’art. 2-bis, riguardante la risarcibilità del danno da ritardo. Sebbene l’utilizzo del termine “perentorio” possa generare incertezze interpretative, l’analisi – tanto sul piano letterale quanto in ottica sistematica – della disposizione porta ad escludere che dal decorso dei termini procedimentali possano discendere effetti decadenziali o comunque l’esaurimento del potere di provvedere da parte della pubblica amministrazione con conseguenti profili di illegittimità del provvedimento tardivamente emanato. Dunque, laddove il termine decorra, l’amministrazione ha comunque l’onere di concludere nel più breve tempo possibile l’istruttoria. Il Tar Marche, con sentenza n.187/2021, ha confermato questo orientamento affermando che sebbene sussista l’obbligo per l’amministrazione preposta di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale e di rilascio del Paur, il mancato rispetto degli stessi non invalida l’atto conclusivo. Per un commento alla sentenza vedere A. Kiniger: Paur il criterio della vicinitas e la perentorietà dei termini nel procedimento, in Ambiente&Sicurezza, n 6/2021. Peraltro, diversamente argomentando (e quindi, riconducendo al decorso del termine la perdita del potere in capo all’Autorità), si priverebbe di qualsivoglia rilievo il riferimento operato dal legislatore ai citati articoli della legge n. 241/1990 e si giungerebbe all’irragionevole conclusione che il mancato rispetto di un qualunque termine possa imporre l’avvio di un nuovo procedimento. Ciò si porrebbe in evidente contrasto non solo con l’intento acceleratorio e di sollecitazione delle amministrazioni al rispetto delle tempistiche fissate – ratio della novella normativa – bensì anche con i principi generali, sia di matrice nazionale che comunitaria, che regolano il procedimento amministrativo (in primis, economicità ed efficacia), comportando la moltiplicazione dei procedimenti amministrativi, l’illegittimo e ingiusto aggravio procedimentale per il privato (trattandosi di procedimenti ad istanza di parte), l’inutile dispendio di risorse pubbliche e la vanificazione dell’istruttoria già avviata (sul tema si vedano anche le sentenze Consiglio di Stato n. 4333/2008 e 1239/2016). Recentemente, sul punto, si è pronunciato anche il Tar Toscana, affermando appunto che «la violazione dei termini stessi assume giuridica rilevanza solo “ai sensi e per gli effetti” di cui alle richiamate disposizioni degli articoli 2 e 2-bis della legge n. 241 del 1990, cioè ai fini di far valere la responsabilità dirigenziale, per richiedere il danno da ritardo o l’indennizzo, per attivare il potere sostitutivo, non già per inferirne la illegittimità del provvedimento per il solo fatto che sia stato emesso dopo la consumazione dei termini stessi» (Tar Toscana n. 1322/2019). ).

La disciplina è stata poi modificata dal decreto “semplificazioni” e dal decreto “semplificazioni-bis” che hanno parzialmente revisionato i termini del procedimento, restringendoli, ed apportato ulteriori modifiche. Nel grafico 5 è riportata una sintesi grafica del procedimento come scandito sino al decreto “semplificazioni-bis”. Con il grafico 6 viene, invece, tracciato il procedimento strutturato oggi all’esito del decreto “semplificazioni-bis”. Da segnalare poi, senza entrare nel dettaglio, la previsione di una procedura differenziata per la valutazione di impatto ambientale di progetti strategici ricompresi nel programma nazionale integrato energia e clima (Pniec) e nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). 

Una specifica disciplina è stata poi introdotta dal decreto “semplificazioni-bis” per le opere strategiche di rilevante complessità ed impatto scandite nel Pnrr (che comprendono importanti assi ferroviari ed infrastrutture del sistema idrico). Senza entrare nel merito dell’articolata disciplina – che fonde elementi delle procedure in tema di affidamenti pubblici e di quelle ambientali – nel grafico 7 è riportata una sintesi dei criteri principali alla base del nuovo procedimento.

Venendo agli elaborati da produrre nel procedimento di Via, ruolo centrale ha l’art. 23, D.Lgs. n. 152/2006, che dettaglia la documentazione – da trasmettersi in formato elettronico – che deve essere prodotta in fase di istanza, ovvero:

a) il progetto;

b) lo studio di impatto ambientale;

c) la sintesi non tecnica;

d) le informazioni sugli eventuali impatti transfrontalieri del progetto;

e) l’avviso al pubblico;

f) copia della ricevuta di avvenuto pagamento del contributo istruttorio[35] Un breve accenno va fatto agli oneri economici che devono essere sostenuti dal proponente per la copertura dei costi istruttori pubblici. Con il decreto direttoriale del ministero dell’Ambiente 17 gennaio 2017, n. 6, sono state definite le nuove tariffe per le attività istruttorie relative ai procedimenti di Via di competenza statale, stabilendone le modalità di pagamento. A questo provvedimento hanno fatto seguito i decreti ministeriali 4 gennaio 2018, nn. 1 e 2, che hanno, rispettivamente, definito le tariffe da applicare in relazione alle procedure di screening, Via e Vas (sostituendo il previgente decreto) e i costi per il funzionamento della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale. Infine, il decreto direttoriale 2 febbraio 2018, n. 47, ha stabilito le modalità di versamento degli oneri economici per le procedure di valutazione ambientale (e quindi tanto Vas quanto Via) di competenza statale. Va, infine, segnalata sul punto la sentenza del Tar Puglia – Bari, n. 368/2018, per la quale il deposito della certificazione di avvenuto pagamento della tariffa prevista per la copertura dei costi istruttori deve considerarsi elemento costitutivo dell’istanza di rilascio della Via e non meramente accessorio, in quanto strumentale a garantire la realizzazione delle operazioni istruttorie. ;

g) i risultati della procedura di dibattito pubblico eventualmente svolta;

g-bis) la relazione paesaggistica prevista dal D.P.C.M. 12 dicembre 2005 (che si potrebbe definire “ordinaria”) o la relazione paesaggistica semplificata (prevista dal D.P.R. 13 febbraio 2017 n. 31);

g-ter) l’atto della soprintendenza del ministero della Cultura relativo alla verifica preventiva di interesse archeologico (art. 25, D.Lgs. n. 50/2016)[36] Le lettere g-bis e g-ter sono state introdotte dal D.L. “aiuti” (D.L. 17 maggio 2022, n. 50).;

h) nei casi previsti dalla legge, la valutazione di impatto sanitario.

 

Documento fondamentale nel procedimento di Via è lo studio di impatto ambientale – Sia (i cui contenuti specifici possono essere oggetto di preventivo confronto tra privato e autorità con le procedure descritte nel paragrafo che precede) nell’ambito del quale si ritrovano tutte le informazioni necessarie per la valutazione di dettaglio degli impatti dell’opera in progetto, vale a dire:

  • la descrizione del progetto con informazioni relative a caratteristiche, ubicazione e dimensioni dello stesso;
  • la descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti;
  • i dati necessari per individuare e valutare i principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre, sia in fase di realizzazione sia in fase di esercizio;
  • la descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, compresa la cosiddetta “opzione-zero”, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale;
  • la descrizione delle misure previste per il monitoraggio.

 

Nel maggio 2020 sono state pubblicate le linee guida Snpa 28/2020 «Valutazione di impatto ambientale. Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale» con l’obiettivo di chiarire contenuti, modalità di redazione e livelli di approfondimento dello studio di impatto ambientale e nell’ottica di uniformare i criteri redazionali (dal lato del proponente) e valutativi (dal lato dell’autorità) in merito a un documento di rilievo centrale per il procedimento di Via. Il documento, articolato e puntuale, prende le mosse dall’inquadramento dei fattori ambientali di rilievo per poi definirne modalità di valutazione, stima e monitoraggio e potrà costituire un interessante riferimento per gli estensori degli elaborati[37] Le linee guida Snpa n. 28/2020, «Valutazione di Impatto Ambientale. Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale», già approvate dal consiglio Snpa nel luglio 2019, sono reperibili al seguente link: https://www.snpambiente.it/2020/05/08/valutazione-di-impatto-ambientale-norme-tecniche-per-la-redazione-degli-studi-di-impatto-ambientale/. Per approfondimenti si veda il contributo di A. Balestreri e B. Toniolo, Studio di impatto ambientale: le norme tecniche Snpa, in Ambiente&Sicurezza n. 11/2020. Si segnala che il decreto “semplificazioni” ha introdotto nel D.Lgs. n. 152/2006 una disposizione di incerta portata interpretativa, la quale dispone che «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministero della salute, sono recepite le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale, elaborate dal Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, finalizzata allo svolgimento della valutazione di impatto ambientale, anche ad integrazione dei contenuti degli studi di impatto ambientale di cui all’allegato VII alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» (art. 32, comma 3-bis). .

Come emerge dall’analisi dei contenuti dello Sia, l’istante non è soltanto chiamato ad analizzare e valutare la soluzione progettata, ma deve fornire agli enti anche una descrizione delle possibili alternative praticabili tra le quali anche la cosiddetta “opzione-zero”, ovvero l’ipotesi di non realizzazione dell’opera, valutando i relativi impatti – che si potrebbero definire “risparmiati” – e i risvolti operativi conseguenti. Ovviamente, la valutazione dell’opzione-zero deve anche tenere conto dei servizi che, attraverso la realizzazione dell’opera, sarebbero forniti (e che, dunque, si perderebbero in caso di esito negativo del procedimento) nonché delle connesse ricadute socio-economiche. È questo un tema delicato che la giurisprudenza – europea e nazionale – ha significativamente valorizzato cercando di definirne i contorni. In numerose pronunce, infatti, il Consiglio di Stato ha ribadito che «la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero»[38] Da ultimo, del Consiglio di Stato si vedano le sentenze n. 6777/2018 e 1236/2018, nonché le sentenze conformi nn. 3000/2016, 1225/2016, 4928/2014, 4566/2014, 361/2013, 3254/2012, 4246/2010, 4206/2009 e 2851/2006. . In questi termini è, dunque, fondamentale – e dirimente – il contenuto tecnico della documentazione depositata dall’istante per avvalorare il contenuto progettuale e le ragioni della richiesta.

Tornando ora al procedimento, il percorso istruttorio di Via vede un forte coinvolgimento del pubblico, rafforzato dal D.Lgs. n. 104/2017 al fine di valorizzare i principi di trasparenza ed efficacia dell’attività amministrativa e di garantire un contraddittorio sulla realizzazione di opere destinate a produrre impatti sul territorio. Oltre all’obbligo di predisporre l’avviso al pubblico con i contenuti di cui all’art. 24[39]Il D.Lgs. n. 104/2017 ha eliminato l’obbligo in capo al proponente di pubblicazione (a spese sue) della comunicazione al pubblico, essendo ora sufficiente la pubblicazione della stessa sul sito web dell’autorità competente. , l’articolo 24-bis prevede ora la possibilità – già peraltro valorizzata in diversi contesti regionali – di svolgere la fase di consultazione nelle forme dell’inchiesta pubblica. Quest’ultima, in tal caso, è disposta dall’autorità competente – seppure con oneri a carico del proponente – e deve essere svolta nel termine massimo di 90 giorni, concludendosi poi con una relazione dell’autorità sui lavori svolti e i risultati emersi. La procedura è attivabile anche laddove – nei procedimenti statali – associazioni, privati o enti locali ne facciano richiesta. In ottica di coordinamento normativo, le nuove disposizioni richiamano poi la procedura di dibattito pubblico prevista, in tema di appalti, dall’art. 22, D.Lgs. n. 50/2016 e il cui contenuto può, dunque, assumere rilievo per la partecipazione nel procedimento autorizzativo[40] Si segnala che le modalità di svolgimento del dibattito pubblico sono state recentemente dettagliate nel D.P.C.M. 10 maggio 2018, n. 76..

Completato il percorso istruttorio, il procedimento di Via giunge a conclusione con un provvedimento finale espresso, da emanarsi con le opportune forme e pubblicarsi immediatamente sul sito web dell’autorità competente[41] Nella sentenza n. 4322/2019, il Tar Campania – Napoli ha ricordato come ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006 tutta la documentazione del procedimento di Via debba essere pubblicata sul sito web dell’autorità competente pena l’illegittimità (e quindi l’annullabilità) del procedimento autorizzatorio, non essendo sufficiente depositare gli atti del procedimento negli uffici dell’autorità competente dandone avviso, in quanto altrimenti non sarebbe garantito al pubblico la possibilità di prenderne visione. , come tale suscettibile di impugnazione[42] Con riguardo all’individuazione del dies a quo per l’impugnazione del provvedimento conclusivo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5608/2022, ha osservato come la pubblicazione del provvedimento non può che essere volta alla conoscibilità dello stesso a tutti i fini di legge, e dunque, anche quelli connessi all’impugnazione della Via. . Sul punto, la facoltà di impugnativa è stata a lungo considerata particolarmente estesa, ritenendo sufficiente ai fini dell’impugnazione la mera vicinitas all’impianto - intesa come vicinanza dei soggetti che si ritengono lesi dal sito prescelto per l’ubicazione dell’installazione[43] Con sentenza n. 1423/2019 il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimazione e l’interesse ad agire anche ai Comuni limitrofi a quello in cui è in programma un determinato progetto (nello stesso senso, in precedenza, anche Tar Calabria – Catanzaro, n. 682/2018). Si veda sul punto anche Tar L’Aquila n. 237/2016.   - e non essendo, pertanto, necessariamente richiesta la determinazione di un pregiudizio concreto, diverso ed ulteriore (Consiglio di Stato n. 1217/2014). 

Questo orientamento[44] Con sentenza n. 7042/2021, il Tar Lazio ha ribadito come il Consiglio di Stato avesse a più riprese sottolineato che il criterio giuridicamente rilevante per verificare la sussistenza non solo della legittimazione, ma anche dell’interesse a ricorrere, fosse dato dallo stabile collegamento (la cosiddetta vicinitas) tra ricorrente e contesto territoriale nel quale si trovava l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato. Anche il Tar Bologna, con sentenza n. 756/2021, ha ricordato come non fosse necessario dimostrare – ai fini dell’interesse un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute poiché sarebbe stata una “probatio” diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, in particolare a tutela della salute ex art. 32 Cost.   è ora in forte discussione, dovendosi concretamente valutare l’interesse ad agire in giudizio. Una recente pronuncia del Tar Lazio (vedere il box 1 - Leading case), infatti, ha sottolineato la necessità di accertare in concreto dei presupposti per l’azione giudiziale contribuendo ad un “cambio di rotta” che potrebbe portare a una più rigida valutazione dei presupposti dell’azione in giudizio rispetto alla valutazione della mera vicinitas. 

Nel rispetto dei criteri di legge (legge n. 241/1990), il provvedimento dovrà poi essere adeguatamente motivato, sia in caso di rigetto dell’istanza (motivando, dunque, le ragioni del rigetto)[45] Sulla necessaria motivazione in caso di diniego dell’istanza si è pronunciato il Tar Umbria n. 416/2021 rigettando le doglianze di un Comune che aveva espresso una mera opposizione al progetto secondo un principio di precauzione. I giudici hanno ricordato che la disciplina prevede un dissenso “costruttivo” in ossequio a due principi fondamentali: l’imparzialità e il buon andamento della Pa. Il dissenso, pertanto, deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso. Allo stesso modo l’invocato principio di precauzione deve fondarsi sull’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa.   sia laddove siano emerse in giudizio criticità o osservazioni pregnanti degli interessati (Consiglio di Stato n. 2234/2012). Sul punto, in giurisprudenza si è riconosciuta in capo all’amministrazione ampia discrezionalità circa il merito delle valutazioni operate nel corso dell’istruttoria. Il tema è stato oggetto di pronunce giurisprudenziali, tutte sostanzialmente concordi nel ritenere che – proprio perché questa discrezionalità non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, bensì presenta profili di discrezionalità amministrativa e istituzionale[46] In particolare, nella recente sentenza n. 2248/2020, il Consiglio di Stato ha affermato che «la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati». La sentenza del Consiglio di Stato n. 1902/2021, nel confermare questo orientamento, ha precisato che la Via comporta un’analisi di tutte le alternative possibili, per comparare il sacrificio imposto all’ambiente con l’utilità socio-economica che viene perseguita con il progetto. Recentemente il Tar Puglia n.81/2022 ha ribadito che costituisce jus receptum il principio secondo cui «L’Amministrazione, nel formulare il giudizio sull’impatto ambientale, esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti». – la valutazione di legittimità giudiziale della determinazione finale deve essere limitata alla eventuale sussistenza di vizi rilevanti e identificabili ictu oculi, restando estranei alla verifica giudiziale i profili di più stretta discrezionalità nel merito[47] Tra le più recenti pronunce: Consiglio di Stato n. 1191/2021, Consiglio di Stato n. 5380/2020, Tar Calabria – Reggio Calabria n. 306/2019, Tar Lombardia – Brescia n. 184/2019 e n. 1098/2018, Tar Lazio – Roma n. 449/2019, Tar Sardegna – Cagliari n. 439/2018 (in merito si veda la nota a sentenza a cura di A. Balestreri in Ambiente&Sicurezza, n. 8/2018, p. 113), Tar Piemonte n. 604/2018, Tar Sicilia n. 675/2018, Consiglio di Stato nn. 3011/2018, 392/2017 e 575/2017. Andando indietro nel tempo meritano menzione le sentenze Consiglio di Stato nn. 3938/2014, 36/2014, 4611/2013, 3561/2011; Corte di Giustizia 25 luglio 2008, C-142/07; Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 367. Rimangono comunque censurabili in giudizio l’incompetenza e la violazione di legge, nonché le più rilevanti figure sintomatiche di eccesso di potere (in particolare, per illogicità o irragionevolezza della scelta operata, oppure ancora per difetto di istruttoria, errore di fatto, travisamento dei presupposti; si vedano, sul punto, le sentenze Tar Calabria – Catanzaro n. 1147/2018, Consiglio di Stato nn. 3011/2018 e 1392/2017, Tar Piemonte n. 604/2018 e Tar Umbria n. 608/2016. Anche le S.U. della Corte di Cassazione si sono espresse conformemente a riguardo con la sentenza n. 16013/2018. . Sono state, peraltro, considerate sottratte al sindacato del giudice amministrativo, in quanto attinenti a valutazioni discrezionali, le scelte dell’amministrazione procedente di non fornire all’impresa un’alternativa funzionale a determinare un esito provvedimentale favorevole e di motivare il diniego per relationem, ossia facendo rinvio a pareri negativi precedentemente resi nel corso della Conferenza di servizi. Anche in queste ipotesi, secondo il recente arresto giurisprudenziale, i giudici potrebbero pronunciarsi solo in presenza di evidenti e macroscopiche illogicità o irragionevolezze (Tar Puglia n.408/2021).

Il provvedimento conclusivo dovrà poi contenere tutte le prescrizioni necessarie per la progettazione e lo svolgimento delle attività di controllo e monitoraggio. Quest’ultimo aspetto è stato fortemente valorizzato dal D.Lgs. n. 104/2017 prevedendo che il provvedimento debba espressamente indicare:

  • le condizioni per la realizzazione, l’esercizio e la dismissione del progetto;
  • le misure previste per evitare, prevenire, ridurre e, se possibile, compensare, gli impatti ambientali significativi e negativi;
  • le misure per il monitoraggio degli impatti, con la specificazione che queste devono essere proporzionali alla tipologia e alle caratteristiche dell’opera.
  • Ulteriore enfasi al tema è stata data dal decreto “semplificazioni” che ha previsto che, tra le condizioni ambientali del provvedimento di Via, debbano esservi anche «le linee di indirizzo da seguire nelle successive fasi di sviluppo progettuale delle opere per garantire l’applicazione di criteri ambientali atti a contenere e limitare gli impatti ambientali significativi e negativi o incrementare le prestazioni ambientali del progetto».

Importante rilievo assumono, infatti, le attività di monitoraggio[48] Nel mese di ottobre 2022, il Mite ha pubblicato il modulo di verifica dell’ottemperanza, predisposto ai sensi dell’articolo 28 del Dlgs 152/2006, che consente il controllo sul rispetto delle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a Via o nel provvedimento di Via.  e i relativi esiti (per cui viene definita dall’art. 28, D.Lgs. n. 152/2006 un’articolata disciplina) in quanto ritenute fondamentali per valutare che la compatibilità ambientale dell’opera in fase operativa corrisponda a quanto stimato e valutato nel procedimento di Via[49] Essendo questa la funzione propria dei monitoraggi, il Consiglio di Stato ha rilevato come non può che essere «illegittima una VIA relativa a un’infrastruttura se le relative scelte progettuali qualificanti non sono valutate in sede di VIA ma ex post in sede di osservanza delle prescrizioni. Ciò in quanto le prescrizioni servono a mitigare gli effetti del progetto sull’ambiente in fase esecutiva, ma a monte deve esserci una valutazione complessiva degli impatti ambientali» (Consiglio di Stato n. 1170/2020). . Si segnala, in ultimo, che in sede di conversione del decreto “semplificazioni” è stato introdotto il nuovo comma 7-bis dell’art. 28, D.Lgs. n. 152/2006, il quale prevede che il proponente, entro i termini di validità disposti dal provvedimento di screening o di Via, trasmetta all’autorità competente la documentazione riguardante il collaudo delle opere o la certificazione di regolare esecuzione delle stesse, indicante anche la conformità delle opere rispetto al progetto depositato e alle condizioni ambientali prescritte. Questa documentazione deve poi essere tempestivamente pubblicata sul sito internet dell’autorità competente. 

Sul piano della validità temporale del provvedimento di Via, in passato il termine era identificato in cinque anni entro i quali il proponente avrebbe dovuto realizzare l’opera. Oggi le previsioni sono maggiormente flessibili con l’intento di adeguare la durata della Via alla struttura e allo sviluppo temporale del progetto da realizzare, ma impongono comunque – anche in forza di recente giurisprudenza[50] Il Tar Umbria n. 120/2022, in tema di validità temporale, ha precisato che «un provvedimento VIA – in qualunque momento adottato e, a maggior ragione, se adottato in epoca remota – debba ontologicamente avere una efficacia temporale limitata e non possa essere ritenuto avere efficacia sine die. Per cui, se l’efficacia temporale non risulta individuata nel provvedimento può presumersi che la stessa debba intendersi di cinque anni e che, in ogni caso, a distanza di molti anni, in un contesto fattuale e normativo necessariamente mutato, sia venuta meno». Con sentenza n. 512/2022, il Tar Emilia Romagna ha giudicato la limitazione temporale coerente con i principi di prevenzione in materia ambientale, posto che «il contesto ambientale in cui gli interventi vanno ad inserirsi è destinato a modificarsi nel tempo e si pone dunque la necessità che la compatibilità ambientale degli interventi sia ponderata sulla base di un quadro conoscitivo il più possibile aderente allo stato effettivo».   – la determinazione di una durata specifica. L’art. 25, D.Lgs. n. 152/2006 prevede infatti che:

  • il provvedimento abbia la durata in esso espressamente prevista e comunque non inferiore a cinque anni[51] Si segnala che l’art. 51, D.L. “semplificazioni” dispone che la durata dell’efficacia del provvedimento di Via non possa essere inferiore a 10 anni se avente a oggetto progetti volti alla realizzazione o alla modifica di infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche esistenti e ricadenti nelle categorie progettuali di competenza statale di cui agli allegati II e II-bis alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006. ;
  • il proponente possa proporre nell’ambito del progetto la tempistica realizzativa dello stesso;
  • in caso di mancato rispetto dei termini, sia possibile richiedere una proroga motivata degli stessi oppure – ove non ne sussistano le condizioni – la procedura di Via possa essere reiterata (ovviamente, in questo caso, con il solo scopo di valutare gli impatti dovuti al differimento temporale)[52] Il Tar Toscana ha rilevato come, in caso di richiesta di proroga, l’autorità competente debba verificare se, a distanza di tempo, permangono le condizioni necessarie per una pronuncia positiva. Peraltro, secondo il Collegio, «Non può sussistere un legittimo affidamento della ricorrente derivante dalla precedente pronuncia positiva di compatibilità ambientale perché [...] le condizioni ambientali relative alla realizzazione di un’opera possono modificarsi nel corso del tempo e quello che è ambientalmente compatibile in un determinato momento, a distanza di tempo può non esserlo più» (Tar Toscana, n. 1759/2019). .

Il decreto “aiuti” è da ultimo intervenuto in tema di proroga di validità del provvedimento di Via per meglio dettagliare le condizioni di questo adempimento e i relativi effetti[53] Nel mese di ottobre 2022, inoltre, il Mite ha pubblicato il nuovo modulo per la presentazione della domanda di proroga del provvedimento di Via. . Il rinnovato comma 5 dell’art. 25, D.Lgs. n. 152/2006, infatti, dispone che:

l’istanza debba essere «corredata da una relazione esplicativa aggiornata che contenga i pertinenti riscontri in merito al contesto ambientale di riferimento e alle eventuali modifiche, anche progettuali, intervenute»;

salvo che non sia intervenuto un «mutamento del contesto ambientale di riferimento», la concessione della proroga non possa contenere «prescrizioni diverse e ulteriori rispetto a quelle già previste nel provvedimento di VIA originario».

Quanto in ultimo all’apparato sanzionatorio, al netto di eventuali profili di responsabilità di rilievo penalistico, il D.Lgs. n. 104/2017 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie per il mancato rispetto delle disposizioni in materia di Via (art. 29, D.Lgs. n. 152/2006), ovvero:

  • sanzione da 35.000 a 100.000 euro per colui che realizza un progetto o una parte di esso senza la preventiva Via o verifica di assoggettabilità;
  • sanzione da 20.000 a 80.000 euro per colui che, in possesso di provvedimento di Via, non ne osserva le condizioni[54] Si segnala che con decreto ministeriale 28 marzo 2018 n. 94, il ministero dell’Ambiente ha definito i contenuti minimi e i formati dei verbali di accertamento, contestazione e notificazione dei procedimenti di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 152/2006 citati nel testo. Rimandando al testo del decreto, merita qui rilevare la previsione di tre diverse modalità con cui può avvenire l’accertamento: 1) accertamento diretto durante la visita in loco con eventuale e immediata contestazione; 2) accertamento successivo alla visita ispettiva in loco con contestazione differita tramite notificazione della violazione; 3) accertamento successivo a una verifica documentale in ufficio. .

 

Sono poi state riviste e aggiornate le conseguenze in senso lato sanzionatorie per omissioni o difformità connesse al provvedimento di Via:

  • diffide, sospensioni o revoche, in caso di inadempimento alle condizioni dettate nel provvedimento di Via, o di difformità del progetto, da valutare in funzione del grado e del rilievo della difformità; 
  • l’obbligo di riattivare la procedura di Via, adeguandosi alle prescrizioni impartite a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio, nel caso in cui i progetti siano stati realizzati senza il provvedimento di valutazione di compatibilità ambientale necessario, oppure in violazione delle disposizioni generali, o ancora, laddove questo provvedimento abbia perso efficacia per intervenute declaratorie di illegittimità o provvedimenti di annullamento in autotutela. In questi casi, l’autorità competente potrà dettare termini e condizioni per l’adeguamento il cui mancato rispetto, così come la negativa pronuncia di Via nel procedimento di compatibilità ambientale riavviato, condurrà all’ordine di demolizione delle opere realizzate.

 

LA VIA POSTUMA

Tra i temi di particolare interesse ed attualità – anche in forza di recentissimi interventi ministeriali - vi è poi la cosiddetta Via “postuma”, vale a dire la valutazione di impatto ambientale di impianti o stabilimenti già realizzati e autorizzati in anni passati in assenza di procedura di Via, tema che – per la particolare rilevanza – merita una trattazione specifica. L’attuale disciplina relativa al procedimento di “Via postuma” di cui all’art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006 (la cui attuale formulazione è riportata nel box 2), è stata introdotta nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. n. 104/2017, che ha recepito a livello nazionale la direttiva 2014/52/UE, cosiddetta “direttiva Via”.

 

L’attenzione alla tematica deriva anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, tra cui la fondamentale sentenza 27 luglio 2017 (cause C-196/2016 e C-197/2016), in cui è stato confermato che, nei casi di omissione della Via, la normativa europea impone un intervento dell’autorità. In questo senso, la normativa nazionale può prevedere una valutazione “successiva” degli impatti a titolo di “regolarizzazione”, purché ciò abbia carattere eccezionale e la valutazione “postuma” tenga conto dell’impatto complessivo dell’opera e, dunque, sia degli impatti futuri sia dell’impatto ambientale intervenuto a partire dal momento della sua realizzazione, definendo le conseguenti eventuali misure di mitigazione[55] L’orientamento della Corte di giustizia europea si pone, dunque, in continuità con l’approccio già adottato in Italia in diversi contesti regionali e recentemente ribadito dal Tar Toscana n. 156/2018, nonché dalla stessa Corte di giustizia europea con sentenza del 28 febbraio 2018, causa C-117/2017. .

La Via postuma è, in questo senso, una procedura che mira alla definizione degli impatti dell’opera già esistenti e alla eventuale identificazione di misure per mitigarli o ridurli, nell’ottica di garantire la prosecuzione dell’attività compatibilmente con il monitoraggio e la mitigazione dei relativi impatti[56] Il Tar Marche, con sentenza n.484/2021, richiamando la pronuncia della corte di Giustizia Ue del 26 luglio 2017 e chiudendo una complessa vicenda autorizzatoria relativa a un impianto per la produzione di energia elettrica da biogas, ha ribadito come sia possibile una Via in sede di regolarizzazione ai sensi del diritto comunitario. Quindi, in caso di annullamento di un’autorizzazione rilasciata in assenza di Via, è possibile mantenere l’impianto qualora venga accertata, anche in via successiva, la compatibilità ambientale. . Il tema è diventato di centrale rilievo nel corso dell’ultimo anno anche in esito a un interpello ministeriale[57] Interpello 29 luglio 2021, prot. 83573. Per un’analisi dettagliata dei contenuti dell’interpello si veda A. Balestreri, C.Cea e M.Polato Via postuma: la distinzione tra patologica e fisiologica in Ambiente&Sicurezza n. 7/2022.   che ha fatto il punto sulla disciplina della Via postuma distinguendone casistiche e condizioni. Il ministero, infatti, ha avuto modo di chiarire che la valutazione di impatto ambientale intervenuta successivamente alla realizzazione di un progetto (appunto, “postuma”) può avere connotati “patologici” o “fisiologici” a seconda del contesto normativo in vigore all’epoca della realizzazione. In particolare, si discute di Via postuma “patologica” ogni qualvolta un progetto sia stato realizzato senza la previa valutazione ambientale, nonostante le disposizioni allora vigenti ne imponessero lo svolgimento. Il tratto patologico scaturisce, dunque, dalla violazione della normativa di settore a suo tempo applicabile. La Via postuma “fisiologica”, invece, si ha laddove la realizzazione del progetto sia avvenuta in un momento storico in cui nessuna disposizione normativa imponeva il previo svolgimento di una procedura di valutazione dell’impatto ambientale. In questo caso, non sussistendo alcuna violazione normativa, la realizzazione del progetto dovrà ritenersi legittima e la valutazione avrà riguardo alle ipotesi in cui vengono in rilievo modifiche di carattere fisico o autorizzativo che conducano alla Via. Il tratto patologico o fisiologico della Via incide, altresì, sugli effetti della valutazione postuma e ciò in quanto nel primo caso (Via postuma patologica) il giudizio potrebbe concludersi con un pronunciamento negativo che giunga a disporre la demolizione dell’opera ed il ripristino dello stato dei luoghi; nel secondo caso (Via postuma fisiologica) l’opera non potrà essere demolita in quanto legittimamente realizzata. Sarà, invece, possibile che l’amministrazione procedente non consenta, o sottoponga a particolari condizioni, la futura attività o la modifica richiesta e imponga eventuali misure di mitigazione tenuto conto dell’opera complessiva.

Una sintesi grafica del percorso decisionale circa le diverse casistiche di Via postuma è riportata nel grafico 8.

 

LA VALUTAZIONE DI IMPATTO SANITARIO (VIS)

Tra gli aspetti di centrale rilievo nell’ambito della valutazione operata dalle autorità in sede di Via rientra anche la componente sanitaria. La stessa può essere valutata in diverse forme, la più strutturata delle quali è la valutazione di impatto sanitario (Vis) che, per l’importanza assunta nel tempo, merita una – seppur sintetica – trattazione dedicata in quanto, peraltro, interessata da recenti interventi normativi. La valutazione di impatto sanitario è «l’elaborato predisposto dal proponente sulla base delle linee guida adottate con decreto del Ministro della salute, che si avvale dell’Istituto superiore di sanità, al fine di stimare gli impatti complessivi, diretti e indiretti, che la realizzazione e l’esercizio del progetto può procurare sulla salute della popolazione» [art. 5, comma 1, lettera b-bis), D.Lgs. 152/2006]. L’interesse sviluppatosi sul tema sanitario negli ultimi anni trova traduzione nell’ambito della Vis attraverso un percorso scientifico di identificazione degli impatti, analisi, stima e monitoraggio.

Ai sensi dell’art. 23, D.Lgs. n.152/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 104/2017, la Vis deve essere obbligatoriamente predisposta nell’ambito della Via, in conformità alle linee guida adottate con decreto del Ministero della Salute, per: 

i progetti di cui al punto 1 dell’allegato II alla parte II del D.Lgs. 152/2006 (vale a dire raffinerie di petrolio greggio - escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio - nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate al giorno di carbone o di scisti bituminosi, nonché terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto);

per i progetti riguardanti le centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica superiore a 300 MW, di cui al punto 2) del medesimo allegato II sopra citato. 

Nondimeno, la giurisprudenza non ha mancato di sottolineare che, anche laddove la Vis non sia obbligatoria per espressa disposizione normativa (e quindi al di fuori dei casi poc’anzi indicati), la valutazione dei profili sanitari debba essere svolta e, ove necessario alla luce della specifica istruttoria, possa articolarsi attraverso questo percorso valutativo (è dunque facoltà dell’amministrazione, sulla base di una valutazione discrezionale fondata sui dati tecnici e sui pareri espressi nel procedimento, definire le modalità per i necessari approfondimenti dei profili sanitari). Eloquente, in questo senso, la pronuncia del Consiglio di Stato nella sentenza n. 983/2019, resa nell’ambito di un giudizio riguardante la legittimità della richiesta di effettuare una valutazione di impatto sanitario per un progetto non obbligatoriamente sottoposto a questa disciplina, laddove si è affermato: «malgrado vada confermato che - in linea di principio- nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’AIA (o di VIA) non è obbligatorio procedere alla valutazione di incidenza sanitaria, va tuttavia ribadito che è necessario procedervi quando le concrete evidenze istruttorie dimostrino la sussistenza di un serio pericolo per la salute pubblica. L’amministrazione che in tali casi non la effettui incorre, pertanto, nel tipico vizio dell’eccesso di potere sotto il profilo del mancato approfondimento istruttorio, sintomatico della disfunzione amministrativa»[58] La medesima pronuncia precisa poi, confermando la legittimità dell’approfondimento istruttorio svolto mediante la Vis anche sotto il profilo del rapporto con i principi di precauzione e proporzionalità: «Ancora, sotto il profilo del rapporto tra principio di precauzione e principio di proporzionalità, il Giudice osserva che “Il principio di precauzione è stato correttamente applicato e bilanciato con quello di proporzionalità: la necessità dell’approfondimento istruttorio non è una misura né eccessiva né sproporzionata rispetto all’effetto utile che si intende perseguire (l’esercizio dell’attività economica in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute delle persone), ma è anzi la soluzione più appropriata e commisurata al grado di pericolo per i rischi per la salute delle persone che abitano o lavorano nelle immediate vicinanze”». . 

Per dare attuazione alla disciplina come aggiornata dal D.Lgs. n. 104/2017, il 31 maggio 2019 sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 2019, n. 126, le linee guida per la valutazione di impatto sanitario, adottate con decreto ministeriale 27 marzo 2019 (e contenute in allegato al decreto) e applicabili a procedimenti che prevedano la Via la cui istanza sia successiva al 30 luglio 2019 (data di entrata in vigore del decreto). Esse vanno, inoltre, a sostituire e aggiornare i contenuti del rapporto Istisan 17/4 dell’istituto superiore di sanità (che attuava quanto previsto dall’art. 9, legge n. 221/2015) e gli elaborati prodotti nell’ambito del progetto «CCM-Valutazione di Impatto sulla salute – Linee Guida e strumenti per valutatori e proponenti – t4HIA» del centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del ministero della Salute. Questi documenti costituivano, infatti, il precedente riferimento in materia.

Sul piano dei contenuti e delle modalità di redazione degli elaborati, le linee guida hanno portata obbligatoria per i procedimenti di competenza statale (i casi di Vis obbligatoria, peraltro, ricadono nella sostanza in queste casistiche); per i procedimenti assoggettati a competenze diverse sono, invece, destinate, per espressa previsione, a «rappresentare un modello di riferimento al fine di avere una metodologia uniforme a livello nazionale per poter valutare congiuntamente gli impatti che il progetto può avere sulla salute».

Le linee guida – al cui testo, strutturato e dettagliato nei profili tecnici, si rimanda per ogni approfondimento – scandiscono l’articolato procedimento di Vis in 5 fasi: 1. screening; 2. scoping; 3. assessment e appraisal; 4. monitoring; 5. reporting.

La fase di screening ha lo scopo di valutare l’effettiva necessità di effettuazione della Vis, soprattutto per il caso di modifiche a impianti esistenti non originariamente sottoposti a questa valutazione. Nella fase di screening, il gestore/proponente dovrà produrre «tutte le informazioni necessarie ad identificare i possibili fattori di rischio per la popolazione» derivanti dalla realizzazione dell’opera, per compiere la conseguente valutazione. 

Nella fase di scoping avviene poi la raccolta delle informazioni necessarie per procedere con l’assessment vero e proprio, identificando i potenziali impatti sulla salute e gli indicatori di salute che saranno oggetto di valutazione e quantificazione nella successiva fase di assessment.

Raccolte le informazioni necessarie, hanno avvio le fasi di assessment e appraisal. La prima ha lo scopo di «quantificare i potenziali impatti sulla salute, definendone anche la loro relativa importanza in termini di magnitudo e verosomiglianza». Si tratta della fase centrale della procedura di Vis, nell’ambito della quale, tramite una procedura di risk assessment[59] La valutazione di risk assessment, secondo quanto indicato nelle linee guida, si compone a sua volta di più fasi: i) identificazione del pericolo, ii) valutazione della relazione tra dose e risposta, iii) valutazione dell’esposizione, iv) caratterizzazione del rischio.   e attraverso valutazioni sia di natura tossicologica che epidemiologica, sono valutati gli effetti sulla salute causati dall’esposizione della popolazione all’inquinamento ambientale nonché gli effetti sugli altri determinanti della salute (comportamenti e stili di vita; condizioni di vita e lavorative; fattori sociali; fattori economici; disponibilità e accesso ai servizi; disponibilità di risorse ambientali). La seconda attiene, invece, al confronto tra i dati ottenuti a esito della fase di assessment e le conoscenze e le opinioni degli stakeholder, per individuare le azioni di mitigazione più efficaci ai fini della riduzione e gestione del potenziale rischio sul territorio.

La Vis dovrà, infatti, contemplare anche la fase di monitoraggio dell’opera realizzata, prevedendone contenuti e modalità, tra cui la periodicità e il set di parametri da monitorare. A questi aspetti è demandata la fase di monitoring.

Il complesso delle valutazioni confluisce poi nel reporting, vale a dire la fase di stesura del rapporto di Vis, che contiene la sintesi di tutti gli elementi conoscitivi fondamentali acquisiti nel percorso valutativo.

Una sintesi grafica degli step e dei principali contenuti è riportata nel grafico 9.

Sulla base della Vis verranno poi valutati, ai fini della Via e del monitoraggio dell’opera nel tempo, gli impatti sanitari dell’opera in progetto, della relativa realizzazione e del successivo esercizio.

 

IL PROVVEDIMENTO UNICO IN MATERIA AMBIENTALE (STATALE) E IL PROVVEDIMENTO AUTORIZZATORIO UNICO REGIONALE (PAUR)

Con il D.Lgs. n. 104/2017 è stato introdotto un nuovo schema procedimentale unificato con l’obiettivo di riunire nell’ambito di un singolo procedimento le diverse autorizzazioni ambientali (e non solo) necessarie per l’esercizio dell’opera nei casi in cui tra esse figuri la valutazione di impatto ambientale.

Si tratta del “nuovo” procedimento unico in materia ambientale che, pur non mutando la sostanza delle verifiche e degli standard tecnici di riferimento, cambia la struttura e le tempistiche di istruttoria e valutazione e che è ormai, a qualche anno dall’entrata in vigore delle disposizioni, oggi ampliamente (anche se non sempre efficacemente) attuato dalle autorità sul territorio nazionale. 

Sul piano procedimentale, differenti discipline sono previste nei casi di procedimenti di competenza statale o regionale.

Per quanto concerne i procedimenti di competenza statale, il proponente può – alternativamente all’ordinario procedimento di Via statale e alla separata richiesta di eventuali ulteriori autorizzazioni – optare per il procedimento unico in materia ambientale al fine di ottenere il relativo provvedimento che sostituisce e coordina la Via e le ulteriori autorizzazioni, intese, pareri o nulla osta necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto, nell’ambito di un elenco predefinito riportato nel grafico 10.

I più recenti interventi sulla struttura del procedimento sono stati apportati dal decreto “semplificazioni-bis con riguardo al contenuto del provvedimento unico, alla fase di consultazione e alle pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento[60] Nel mese di ottobre 2022, il Mite ha pubblicato il modulo per il rilascio del provvedimento unico ambientale (Pua) da utilizzare per richiedere il provvedimento, alternativo alla Via statale, comprensivo delle autorizzazioni ambientali elencate dall’articolo 27, D.Lgs. n. 152/2006 .

Tra le più recenti novità, funzionali ad agevolare la fruizione di questo procedimento unificato (come detto, facoltativo), la possibilità di escludere dal novero dei titoli sostituiti quelli che richiedono un «livello di progettazione esecutivo». In coerenza, si è specificata la necessità di ricondurre le amministrazioni coinvolte a quelle «competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali» richieste, sempre con l’intento di circoscrivere il raggio d’azione della disciplina. Importante enfasi è stata poi data alla fase di consultazione del pubblico.

 

La sintesi del procedimento è riportata nei grafici 11 e 12, rispettivamente relativi al procedimento in vigore prima dell’avvento del decreto semplificazioni-bis e al procedimento come attualmente previsto (all’esito dell’entrata in vigore del decreto “semplificazioni-bis”).

Il provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur), invece, nelle previsioni di legge avrebbe natura «obbligatoria» [61] Infatti, mentre all’art. 27, che disciplina il procedimento unico statale, viene espressamente previsto che «il proponente può richiedere all’autorità competente che il provvedimento sia rilasciato nell’ambito di un provvedimento unico», l’art.27-bis, che disciplina invece il procedimento unico regionale, recita: «il proponente presenta all’autorità competente un’istanza [...], allegando documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per consentire una compiuta istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio di tutte le autorizzazioni, [...] necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto». La diversa formulazione porta a far ritenere che solo nel caso di progetti di competenza statale il proponente possa scegliere se attivare il procedimento unico o richiedere unicamente la Via.   per i progetti di competenza regionale per cui sia necessaria l’effettuazione della Via oltre al titolo autorizzativo ambientale; proprio in questo senso, la disciplina del Paur ha trovato applicazione, in questi anni, ormai sull’intero territorio nazionale (sebbene non manchino, come sovente accade, casi di ritardo nell’attuazione). Una sintesi grafica aggiornata del procedimento è riportata al grafico 13.

In termini generali, sul piano operativo, il proponente che intenda avviare il procedimento unico regionale o statale dovrà presentare all’autorità competente apposita istanza di Via, allegando, altresì, la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalla normativa di settore relativa agli ulteriori provvedimenti autorizzativi (ad esempio Aia) di cui si chiede il rilascio. Inoltre, l’avviso al pubblico redatto dal proponente dovrà indicare in dettaglio tutte le autorizzazioni e gli ulteriori atti di assenso richiesti.

La più rilevante novità apportata dal decreto “semplificazioni-bis” in tema di provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur) è l’introduzione della nuova (facoltativa) “fase preliminare”, disciplinata dal neo-introdotto art. 26-bis, D.Lgs. n. 152/2006. Obiettivo del nuovo procedimento, scandito nella rappresentazione del grafico 14, è avviare un formale preventivo contraddittorio con gli enti circa i contenuti del progetto e del futuro studio di impatto ambientale, al fine di ottenere indicazioni per la fase autorizzativa e accelerare il rilascio del Paur futuro, aumentando, altresì, la qualità tecnica e progettuale. La necessità di una nuova disciplina, si legge nella relazione illustrativa del decreto, nasce dalla constatazione che la tempistica dei procedimenti spesso è rallentata dalla scarsa qualità progettuale e da studi di impatto ambientale inadeguati. Per queste ragioni si è reso necessario introdurre questa fase facoltativa e preliminare che consenta contemporaneamente di definire i contenuti del Sia e le condizioni per il rilascio dei successivi titoli abilitativi necessari alla realizzazione e all’esercizio del progetto. Se da un lato il procedimento potrebbe di fatto comportare tempistiche maggiori per l’ottenimento del Paur (alla cui disciplina va, di fatto, a sommarsi) è, tuttavia, previsto che i termini della Conferenza dei servizi preliminare «possono essere ridotti fino alla metà», l’autorità competente possa disporre la riduzione alla metà anche dei tempi del Paur successivo e le determinazioni assunte in conferenza di Servizi preliminare possano essere modificate, in sede di Paur, soltanto in presenza di «significativi elementi emersi nel successivo procedimento» (da motivarsi specificamente)[62] Con sentenza n. 603/2022, il Tar Basilicata ha precisato che una volta avviato il procedimento per il rilascio del Paur, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di concluderlo. . Tanto la disciplina del procedimento unico in materia ambientale statale quanto di quello regionale sono destinate a incidere sulla sola struttura procedimentale, senza che venga mutata la disciplina sostanziale dei provvedimenti autorizzativi sostituiti. In sostanza, per quanto concerne prescrizioni, durata, modifiche, rinnovi o riesami, controlli e disciplina sanzionatoria continuerà dunque a trovare applicazione la normativa di settore, e relativa competenza sostanziale, specificatamente prevista per ogni atto sostituito.

Il procedimento per il rilascio dei provvedimenti unici ha, nella previsione di legge, una struttura sostanzialmente simile al procedimento di Via, con le particolarità dettate dal maggior numero di soggetti coinvolti e la conseguente maggiore complessità delle valutazioni da svolgere (sarà, infatti, obbligatoriamente indetta una conferenza di servizi simultanea e il procedimento avrà una durata tendenzialmente maggiore dell’autonoma Via). I tempi vengono, tuttavia, nel complesso contenuti se parametrati alla “somma” delle durate dei procedimenti sostituiti. 

Non poche problematiche ha creato, nondimeno, proprio il carattere “unificato” sul piano procedimentale – ma, di fatto, separato su quello sostanziale – dei singoli titoli abilitativi richiesti. Parimenti complessa è risultata, nei primi anni di attuazione, l’integrazione tra gli elaborati di Via (che, come in precedenza evidenziato, hanno un livello di dettaglio ed una tipologia di contenuti peculiari e specifici per la valutazione degli impatti ambientali) e quelli relativi alla realizzazione ed esercizio dell’opera (sia in relazione ai titoli autorizzativi ambientali che, ad esempio, con riferimento agli assensi edilizi, alla variante urbanistica ed agli ulteriori titoli necessari). 

La rilevanza di queste criticità attuative è sintetizzata nelle linee guida ministeriali emanate, nella seconda parte del 2019, sul tema[63] Si fa qui riferimento al documento, pubblicato dal ministero dell’Ambiente il 6 settembre 2019, dal titolo «Indirizzi operativi per l’applicazione dell’art.27 bis, D.Lgs. 152/2006: il Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale», finalizzato a contribuire all’interpretazione della disciplina in materia di Paur, dettata dall’art. 27-bis, D.Lgs. 152/2006. Per un commento di dettaglio si veda A. Balestreri, B. Toniolo Paur: punti fermi e criticità negli indirizzi operativi, in Ambiente&Sicurezza n. 1/2020. , che hanno condensato, talvolta risolvendole e più spesso limitandosi a suggerire spunti valutativi, i principali disagi riscontrati dalle autorità nei primi anni di attuazione della nuova disciplina. 

Nel complesso, la previsione del nuovo procedimento unificato è certamente positiva nell’intento di riunire sul medesimo “tavolo” le valutazioni degli impatti ambientali dell’opera (tipicamente oggetto della Via) e quelle dei profili tecnici e operativi (fondamentali nei procedimenti autorizzativi ambientali). La legittimità costituzionale di questo nuovo assetto – volto a unificare, razionalizzare, snellire e rendere maggiormente efficienti i procedimenti ambientali – è stata affermata anche dalla Corte costituzionale con sentenza n.198/2018[64] Con sentenza n. 198/2018, la corte Costituzionale, respingendo le numerose questioni di legittimità costituzionale avanzate da otto Regioni e dalle due Province autonome di Trento e Bolzano, ha sostanzialmente confermato l’impianto del D.Lgs. n. 104/2017, ritenendolo coerente con la delega legislativa di semplificazione ed armonizzazione del procedimento di Via (legge n. 114/2015) e col dettato europeo cui si doveva dare attuazione (direttiva 2014/52/Ue). In particolare, la Consulta ha escluso che la novella normativa abbia eluso il dettato costituzionale in materia di ripartizione di competenze fra Stato e Regioni/Province autonome – principale ragione di impugnativa – con la riallocazione in capo allo Stato di alcuni procedimenti in materia di Via in precedenza assegnati alle Regioni nonché con l’introduzione di significative innovazioni, tra cui il provvedimento unico in materia ambientale. La sentenza, particolarmente articolata e strutturata, valorizza la Via come strumento necessario a garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente, riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato e le cui disposizioni principali devono essere qualificate come «norme fondamentali di riforma economico-sociale». Nel complesso, viene poi valorizzata l’impostazione di snellimento, unificazione e coordinamento dei procedimenti, introdotta dalla nuova disciplina.   nonché in ulteriori pronunce[65] Si vedano, in particolare, le sentenze della Corte Costituzionale nn. 9/2019 e n. 93/2019, entrambe in materia di Via, nonché la sentenza n. 118/2019 in materia di Vas.   tra cui, recentemente, la n. 147/2019[66] Con sentenza n. 147/2019, la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità di numerose disposizioni della Regione Valle d’Aosta (L.R. n. 3/2018) riguardanti la separazione del procedimento di Via da quello di autorizzazione, la sottoposizione a Via di progetti non assoggettati dalla legge nazionale a questo procedimento e l’attribuzione alla conferenza dei Servizi di un ruolo meramente consultivo, snaturandone le finalità. In particolare, la Corte ha evidenziato come la materia rientri tra le competenze esclusive dello Stato, e non sia dunque derogabile nei suoi profili essenziali dalle Regioni, nemmeno se a statuto speciale. La disciplina delle procedure ambientali è dunque un ambito “chiuso”, in cui le Regioni possono intervenire soltanto in ottica di organizzazione, razionalizzazione e semplificazione senza poter introdurre ulteriori (e, secondo la Corte, ingiustificati) aggravi. . Permangono, tuttavia, le criticità procedimentali e operative riscontrate nei primi anni di attuazione e (almeno in parte) sintetizzate nelle linee guida ministeriali. Alcune Regioni si sono, peraltro, attivate (già dall’indomani dell’entrata in vigore della disciplina) per dettare indicazioni operative di dettaglio per la gestione dei procedimenti[67] Tra queste, si segnalano la Regione Abruzzo (D.G.R. 14 novembre 2017, n. 660), Basilicata (D.G.R. 22 gennaio 2019, n. 46), Campania (D.G.R. 7 novembre 2017, n. 680), Emilia-Romagna (D.G.R. 30 ottobre 2017, n. 1692; L.R. 20 aprile 2018, n. 4; D.G.R. 9 luglio 2018, n. 1071), Friuli-Venezia Giulia (D.G.R. 21 marzo 2018, n. 803), Liguria (D.G.R. 12 febbraio 2018, n. 107), Lazio (D.G.R. 27 febbraio 2018, n. 132), Lombardia (D.G.R. 21 dicembre 2020 n. 4107),Toscana (L.R. n. 25/2018), Trento (L.P. 19 settembre 2019, n. 6; L.P. 23 dicembre 2019, n. 12), Umbria (D.G.R. 9 ottobre 2017, n. 1155; D.G.R. 18 dicembre 2017, n. 1541; Dd 17 ottobre 2018, n. 10641; D.G.R. 6 maggio 2019, n. 582; Dd 5 novembre 2019, n. 11081 D.G.R. 28 ottobre 2020 n. 1003 ), Veneto (D.G.R. 30 aprile 2018, n. 568)..

Deve, comunque, ancora essere monitorata nel tempo e nella realtà operativa l’efficacia delle disposizioni (ancor di più oggi, con le modifiche introdotte all’esito del decreto “semplificazioni-bis”) stante la notoria complessità dell’attuazione di nuove discipline procedimentali sul territorio nazionale e la tendenza, purtroppo a oggi non eliminata, ad adottare prassi locali sovente difformi nelle diverse Regioni. Va segnalato conclusivamente che il decreto “aiuti-bisha, da ultimo, previsto l’introduzione di nuovo procedimento autorizzatorio accelerato regionale (Pauar). Il nuovo art. 27-ter, D.Lgs 152/2006[68] Introdotto dall’art. 3, D.L. n. 115/2022, cosiddetto decreto “aiuti-bis”. , infatti, dispone che, nell’ambito delle aree di interesse strategico nazionale[69] Ai sensi dell’art. 32, D.L. n. 115/2022, sono di rilevanza strategica i settori delle filiere della microelettronica e dei semiconduttori, delle batterie, del supercalcolo e calcolo ad alte prestazioni, della cibersicurezza, dell’internet delle cose (IoT), della manifattura a bassa emissione di CO2, dei veicoli connessi, autonomi e a basse emissioni, della sanità digitale e intelligente e dell’idrogeno, individuate dalla Commissione Ue come catene strategiche del valore.   per la realizzazione di piani o programmi che prevedano investimenti pubblici o privati per un importo non inferiore a euro 400.000.000,00 relativi ai settori ritenuti di rilevanza strategica, caratterizzati da più elementi progettuali corrispondenti a diverse tipologie soggette a Via o a verifica di assoggettabilità a Via o, laddove necessario, a Vas, rientranti in parte nella competenza statale e in parte nella competenza regionale, l’autorità ambientale competente sia la Regione e che tutte le autorizzazioni siano rilasciate, se il proponente ne fa richiesta nell’istanza, con lo specifico percorso procedimentale previsto. Una sintesi grafica del procedimento è riportata nel grafico 15.

 

LA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA

La valutazione ambientale strategica (Vas) ha – così come la Via – lo scopo di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006)[70] Sulle finalità proprie del procedimento di Vas si veda la sentenza del Tar Marche n. 429/2019. Sulla discrezionalità tecnico-amministrativa che caratterizza anche questo procedimento, si vedano le sentenze del Tar Piemonte n. 1235/2019 e Tar Toscana n. 342/2020.Sulla distinzione tra Vas e Via si veda la sentenza del Tar Sicilia n. 380/2022. . L’istituto riguarda, tuttavia, piani e programmi ed è destinata a fungere da “guida” per le amministrazioni chiamate a compiere scelte discrezionali nei procedimenti volti all’approvazione degli stessi, orientando le scelte ad un elevato livello di protezione dell’ambiente (Consiglio di Stato n. 975/2015 e Tar Milano n. 648/2016)[71] Come ricordato dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 118/2019), la disciplina della Vas configura un complesso normativo idoneo a vincolare la potestà legislativa di Regioni e Province autonome. Invero, nonostante la Vas attenga alla materia “tutela dell’ambiente” di competenza esclusiva dello Stato, le norme che la disciplinano sono configurabili come norme fondamentali delle riforme economico-sociali sia per il loro contenuto riformatore che per la loro attinenza a un bene comune, qual è quello ambientale, di primaria importanza per la vita sociale ed economica. Conseguentemente, anche la competenza legislativa primaria regionale in tema di “tutela del paesaggio”, ne risulta vincolata, posto che questa deve essere esercitata nel rispetto delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». . Più nel dettaglio, la Vas deve sempre essere effettuata per i piani e programmi che riguardano, tra gli altri, la gestione della qualità dell’aria, i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, della pianificazione dei suoli, nonché i piani e programmi che potrebbero avere impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale[72] Il Consiglio di Stato, con sentenza n.7598/2022, ha precisato che se è vero che vanno sottoposti a valutazione ambientale strategica i Piani e Programmi che costituiscono il quadro di riferimento in cui entrano progetti da sottoporre a screening o Via, è altrettanto vero che ai sensi dell’articolo 6, commi 3 e 3-bis, Dlgs 152/2006 l’Autorità competente può sempre verificare se Piani o Programmi che siano il quadro regolatorio di progetti esclusi dallo screening o dalla Via, producono effetti negativi sull’ambiente e quindi decidere di sottoporli a valutazione ambientale strategica. . Per tutti gli altri piani e programmi (fatte salve le esclusioni previste[73] L’art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 dispone infatti che: «Sono comunque esclusi dal campo di applicazione del presente decreto: a) i piani e i programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale caratterizzati da somma urgenza o ricadenti nella disciplina di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni; b) i piani e i programmi finanziario di bilancio; c) i piani di protezione civile in caso di pericolo per l’incolumità pubblica; c-bis) i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi dalle stesse individuati». ), nonché per i piani che determinano l’uso di piccole aree e per le modifiche minori a piani e programmi già soggetti a Vas, la valutazione andrà effettuata solo se ritenuta necessaria a seguito di specifica verifica di assoggettabilità[74] La Corte costituzionale, nella sentenza n. 197/2014, ha evidenziato come non sia possibile per le regioni prevedere a priori e sulla base di criteri astratti l’esclusione dalla procedura di Vas (o dalla verifica di assoggettabilità) di determinati piani o programmi. Sulla possibilità per la PA di non sottoporre a Vas modifiche minori, ad esempio, ai Piani regolatori, si veda la sentenza Tar Marche, n. 180/2020. . Questa verifica è svolta sulla base di un rapporto preliminare (oggi, all’esito del decreto “semplificazioni-bis”, denominato «rapporto preliminare di assoggettabilità a Vas») contenente una descrizione del piano o programma e tutti i dati e le informazioni necessarie per valutare gli impatti significativi sull’ambiente.

Venendo al procedimento, l’art. 11, D.Lgs. n. 152/2006, prevede che la procedura di Vas debba essere avviata dall’autorità procedente (ovvero l’autorità che presenta l’istanza) contestualmente all’avvio del processo di formazione del piano o programma e che il provvedimento debba essere emanato prima della realizzazione. In particolare, l’inizio del procedimento coincide con la redazione del rapporto preliminare – documento fondamentale per il procedimento di Vas – il cui contenuto è definito dall’autorità procedente (che presenta l’istanza) e dall’autorità competente (che decide in merito alla stessa) e deve necessariamente contenere:

  • illustrazione di contenuti, obiettivi principali e rapporto con altri pertinenti piani o programmi;
  • aspetti pertinenti dello stato attuale dell’ambiente e sua evoluzione probabile senza l’attuazione del piano o del programma;
  • caratteristiche ambientali, culturali e paesaggistiche delle aree che potrebbero essere significativamente interessate;
  • eventuali problematiche ambientali esistenti;
  • obiettivi di protezione ambientale stabiliti a livello internazionale, comunitario o degli stati membri e modalità attraverso cui se n’è tenuto conto nel piano o programma;
  • possibili impatti significativi sull’ambiente, compresi gli effetti secondari, cumulativi, sinergici, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi;
  • misure previste per impedire, ridurre e compensare gli eventuali impatti negativi;
  • sintesi delle ragioni della scelta delle alternative individuate e descrizione di come è stata effettuata la valutazione, nonché delle eventuali difficoltà incontrate;
  • descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio e controllo degli impatti ambientali significativi;
  • sintesi non tecnica delle informazioni di cui alle lettere precedenti.

Svolta l’istruttoria, il procedimento si conclude con l’emanazione di un parere motivato, da parte dell’autorità competente[75] Il Tar Lombardia, con sentenza n. 2662/2020, si è pronunciato con riguardo all’individuazione dell’autorità competente in materia di VAS: dopo aver richiamato la sentenza della Cgue 20 ottobre 2011 in causa C-474/10 e quella del Consiglio Stato n. 4081/2015, il Tar ha confermato che, qualora l’autorità competente per la predisposizione e adozione del piano coincida con quella competente ad esprimere la Vas, è necessaria una separazione funzionale che garantisca un’autonomia effettiva. , che contiene le indicazioni per l’attuazione del piano o programma e che deve essere accompagnato da una dichiarazione di sintesi in cui siano esplicitati i profili ambientali da valutare nel piano o programma, gli esiti delle valutazioni svolte in sede di Vas e le modalità di selezione dell’alternativa pianificatoria individuata. Una sintesi grafica del procedimento, con le modifiche all’esito dell’entrata in vigore del decreto “semplificazioni-bis”, è riportata nel grafico 16.

 

AIA: PROCEDIMENTO E CONTENUTI

La disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) è contenuta nella parte II, titolo III-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (art. 29-bis e seguenti). L’ambito di applicazione della disciplina è circoscritto a uno specifico elenco di attività, con relative soglie dimensionali, oggi contenuto nell’allegato VIII alla parte seconda. Si tratta di quelle che, in passato, venivano definite “attività Ippc”, connotate da impatti cumulativi diversificati e potenzialmente rilevanti che impongono, pertanto, una valutazione integrata dei diversi profili emissivi (l’“approccio integrato” di cui già si è detto)[76] Le sezioni unite della Corte di Cassazione civile, nella sentenza n. 31240/2017, ricordano in questo senso che l’«autorizzazione in esame è definita, appunto, “integrata” perché con essa, al fine di uniformarsi ai principi di integrated pollution prevention and control (IPPC) dettati dall’Unione europea a partire dal 1996, si è passati da autorizzazioni di tipo settoriale ad un controllo complessivo, con il quale nelle relative valutazioni tecniche sono considerati congiuntamente i diversi danni sull’ambiente causati dall’attività da autorizzare». . Non rileva, dunque, soltanto la dimensione dell’impianto (aspetto su cui sono peraltro intervenuti chiarimenti ministeriali[77] Sulla definizione di capacità produttiva dell’impianto è intervenuta, da ultimo, la circolare n. 27569/2016. Per approfondimenti si rimanda al contributo di A. Balestreri, AIA: le novità nella nota del Ministero dell’Ambiente del 14 novembre 2016, in Ambiente&Sicurezza, n. 2/2017. ), bensì, soprattutto, la tipologia di attività svolta. In questo senso, l’elenco è puntuale, tassativo ed è periodicamente aggiornato alla luce del progresso tecnico e delle necessità nel tempo manifestatesi. Ogni attività ricompresa nell’ambito Aia è identificata da specifici codici di categoria, per ciascuno dei quali sono redatti documenti contenenti le migliori tecniche disponibili. Il procedimento è puntualmente scandito dall’art. 29-quater, D.Lgs. n. 152/2006 e – in sostanziale parallelismo rispetto a quanto già visto per Via e Vas – è avviato dalla presentazione della domanda cui segue una fase di pubblicazione e consultazione aperta, l’eventuale integrazione documentale, l’articolazione dell’istruttoria in conferenze di servizi[78] Nella sentenza n. 2733/2020, il Consiglio di Stato ricorda come la conferenza dei servizi decida secondo un criterio maggioritario, per cui il dissenso di un ente non determina automaticamente la conclusione negativa del procedimento. Del resto, l’Aia è un provvedimento nel quale convergono tutti gli atti di autorizzazione, non la mera sommatoria dei singoli provvedimenti di competenza degli enti chiamati a partecipare. Un eventuale potere di veto può, pertanto, essere riconosciuto in capo alle singole amministrazioni partecipanti solo qualora siano preposte alla tutela della salute o del paesaggio. Con la recente sentenza n. 1714/2021, il Consiglio di Stato dopo aver ricordato che l’Aia è un provvedimento autonomo e non una sommatoria di diversi atti ha precisato che, per quanto attiene all’impugnazione del provvedimento rilasciato dalla conferenza dei servizi, è necessario impugnare l’adozione della determinazione conclusiva e non la determinazione stessa. Inoltre, nella medesima pronuncia, il Collegio ha evidenziato che il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 14-ter, legge n. 241/1990, non determina un’invalidità del provvedimento adottato ma un mero obbligo di adozione dello stesso.   e la determinazione finale. Anche in questo caso, nel grafico 17 è riassunto graficamente l’iter procedimentale[79] Per approfondimenti sul procedimento di Aia ed i relativi adempimenti, si veda anche il contributo dello Studio B&P Avvocati, Autorizzazione integrata ambientale. Tutte le procedure, in Ambiente&Sicurezza, n. 7/2019. .

 

Questo procedimento, oggi, può innestarsi nell’ambito del procedimento autorizzatorio unico di cui si è dato conto al precedente paragrafo "Il provvedimento unico in materia ambientale (statale) e il provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur)", ferma comunque la sua autonomia “interna” a livello di istruttoria e dettaglio della documentazione da produrre, nonché con riferimento al contenuto tecnico delle valutazioni da svolgere. La giurisprudenza[80] Con sentenza n. 1881/2022, il Tar Campania si è pronunciato sul rapporto tra Via e Aia. La pronuncia ricorda che la Via è preordinata a sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso l’apporto dei concorrenti fattori idonei ad evidenziare le ricadute sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera. L’Aia, invece, è il provvedimento che sostituisce, uno actu, tutti i numerosi titoli che erano precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e investe gli aspetti gestionali, ubicativi e strutturali dell’impianto. I giudici, tuttavia, hanno evidenziato come l’ampiezza delle valutazioni svolte in relazione all’autorizzazione integrata ambientale si rifletta sulla procedura di valutazione di impatto ambientale, nella quale assumono rilievo necessariamente anche gli studi effettuati in vista del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Pertanto, quando sono necessarie sia la Via sia l’autorizzazione integrata ambientale, la prima assume una funzione accessoria e può subire la retroazione della seconda, la quale, seppure successiva, cronologicamente si basa su un’istruttoria particolarmente ampia e idonea anche a incidere su aspetti già considerati al momento della verifica dell’impatto ambientale. Dunque, pur essendo la Via orientata alla verifica della compatibilità ambientale della localizzazione scelta dai promotori del progetto, tale obiettivo non può dirsi pienamente raggiunto finché non sia stato confermato nell’autorizzazione integrata ambientale   si è, peraltro, recentemente soffermata sul rapporto tra Via ed Aia, entrambi fondamentali per la compiuta autorizzazione dei progetti oggetto di istanza.

La domanda di Aia[81] Il Ministero dell’ambiente ha approvato, con decreto direttoriale 10 ottobre 2019, n. 311, la nuova modulistica per la presentazione della domanda di Aia di competenza statale (pubblicata al seguente link: https://va.minambiente.it/it-IT/Comunicazione/DettaglioDirezione/1880), che va a sostituire quella approvata con decreto direttoriale 15 marzo 2016, n. 86.   deve in dettaglio descrivere:

  • l’installazione[82] Il provvedimento di Aia riguarda oggi l’installazione, definita come l’«unità tecnica permanente, in cui sono svolte una o più attività elencate all’allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull’inquinamento. È considerata accessoria l’attività tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore». Si tratta di una novità in quanto, prima del recepimento della direttiva Ied, il paramento di riferimento era l’impianto, definito come l’«unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato VIII e qualsiasi altra attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte nel luogo suddetto e possano influire sulle emissioni e sull’inquinamento».   e le attività;
  • le materie prime e ausiliarie, le sostanze e l’energia usate o prodotte dall’installazione;
  • le fonti di emissione dell’installazione;
  • lo stato del sito di ubicazione dell’installazione;
  • il tipo e l’entità delle emissioni prevedibili;
  • le tecnologie utilizzate;
  • le modalità di gestione dei rifiuti;
  • le misure previste per controllare le emissioni (autocontrolli e controlli programmati);
  • le principali alternative sul piano tecnologico prese in esame e applicabili;
  • ogni misura adottata per ridurre le emissioni;
  • se l’attività comporta l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose e, tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterrane nel sito dell’installazione, una relazione di riferimento.

Nell’ottica di garantire l’effettiva partecipazione dei privati interessati nel procedimento, visti i contenuti strettamente tecnici della documentazione progettuale prodotta nel procedimento di Aia, all’istante è richiesta anche la predisposizione di una sintesi non tecnica, che riassuma i contenuti dell’istanza presentata.

Tra i contenuti della domanda, la prima rilevante novità degli ultimi anni è, senza dubbio, la necessità di predisporre la relazione di riferimento. Sino al 2014 mancavano nell’ordinamento italiano precise e generali disposizioni volte a imporre alle imprese periodiche verifiche sullo stato ambientale del sottosuolo o delle acque sotterranee. D’altro lato, al rinvenimento di una situazione di potenziale contaminazione delle matrici ambientali, l’impresa aveva – e ha – precisi e stringenti oneri di comunicazione e di attivazione[83] Si vedano i criteri e le procedure riportati negli artt. 239 e seguenti, D.Lgs. n. 152/2006, approfonditi nel capitolo 5. . La situazione si è evoluta con la relazione di riferimento. Si tratta di un documento tecnico che il gestore è tenuto a predisporre, secondo l’art. 29-sexies, «prima della messa in servizio della nuova installazione o prima dell’aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata per l’installazione esistente» – dunque necessariamente in caso di nuove istallazioni o modifiche sostanziali delle esistenti – e che contiene «informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività» [art. 5, comma 1, lettera v-bis)]. In estrema sintesi, la relazione di riferimento costituisce un “bianco” delle condizioni ambientali dello stabilimento in fase di autorizzazione col quale saranno poste a confronto le condizioni dell’installazione in fase di cessazione dell’attività, per valutare l’eventuale necessità di intervento in relazione all’apporto di contaminazione fornito dall’esercizio dell’impianto (con specifico riferimento alle sostanze pericolose pertinenti). A livello tecnico, la relazione di riferimento è predisposta secondo un percorso di screening preliminare (per valutare la necessità, o meno, di predisporla, sulla base delle sostanze presenti in stabilimento e dei relativi criteri di gestione) e di elaborazione successiva, tenuto conto delle sostanze pericolose pertinenti presenti in impianto. Tra le informazioni necessarie:

  • l’utilizzo presente e passato del sito;
  • i dati analitici relativi a suolo e falda;
  • le sostanze pericolose usate, prodotte o rilasciate dall’installazione.

Per l’elaborazione della relazione di riferimento sono state emanate negli anni scorsi linee guida europee[84] Ci si riferisce alla comunicazione della Commissione europea 2014/C 136/01, «Linee guida della Commissione Europea sulle relazioni di riferimento di cui all’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/Ue relativa alle emissioni industriali», la cui rilevanza è stata anche confermata nella sentenza del Tar Calabria – Catanzaro, n. 682/2018.   e ministeriali[85] Si veda il D.M. 13 novembre 2014, n. 272 modificato, da ultimo, dal D.M. 17 luglio 2015, n. 141. I criteri di determinazione delle garanzie finanziarie – finalizzate a garantire l’obbligo di ripristino del sito al momento della cessazione delle attività, ai sensi dell’art. 29-sexies, comma 9-septies D.Lgs. n. 152/2006 – sono stati fissati dal D.M. 26 maggio 2016, n. 141, modificato poi dal D.M. 28 aprile 2017. Su quest’ultimo si veda il commento di A. Kiniger, Relazione di riferimento garanzie meno gravose, in Ambiente&Sicurezza, n. 9/2017.  nonché circolari che hanno contribuito a determinarne limiti, profili e tempistiche di elaborazione[86] Si vedano, ad esempio, le note del ministero dell’Ambiente 17 giugno 2015, n. 12442, 27 ottobre 2014, n. 22295 e 14 novembre 2016, n. 27569. . Le linee guida ministeriali emanate all’indomani dell’introduzione della relazione di riferimento, destinate a disciplinare tanto le modalità di redazione della stessa quanto i criteri per il calcolo delle garanzie finanziarie dovute, sono state oggetto di impugnativa in sede amministrativa. Quanto alle garanzie finanziarie, la decisione è ancora attesa. Invece, con sentenza del Tar Lazio n. 11452/2017 il decreto ministeriale n. 272/2014 che definiva le modalità tecniche per la redazione della relazione di riferimento è stato annullato per vizi della relativa procedura di formazione[87] Avendo natura regolamentare (aspetto che viene giustificato dal Tar Lazio sia in relazione ai contenuti che ai destinatari del decreto), il D.M. avrebbe dovuto essere emanato secondo il procedimento scandito dall’art. 17, legge n. 400/1998. Invece, non è stato comunicato al presidente del Consiglio dei ministri prima dell’emanazione, né sottoposto al parere del Consiglio di Stato e al visto e registrazione della Corte dei conti e neppure pubblicato in Gazzetta Ufficiale, essendone stata resa nota la sola emanazione con un breve comunicato comparso in Gazzetta Ufficiale da cui, peraltro, non emergeva la natura regolamentare.   generando un “vuoto” regolamentare e la conseguente assenza di criteri di indirizzo tanto per i proponenti, al fine di redigere la relazione di riferimento, quanto per le autorità, tenute a valutarla. Nel 2019 è stato dunque pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell’Ambiente 15 aprile 2019, n. 95, che contiene le attuali modalità di redazione della relazione di riferimento. La struttura del nuovo provvedimento è, per molti tratti, similare a quella del regolamento previgente, pur non mancando differenze e punti ancora critici che sono proprio in questi primi anni di applicazione oggetto di analisi e approfondimento[88] Per un approfondimento dei contenuti si veda A. Kiniger, Relazione di riferimento: il minAmb ci riprova, in Ambiente&Sicurezza n. 8/2019. .

A livello operativo va notato che la relazione di riferimento – come anticipato, di genesi europea – è un documento difficilmente coordinabile con la disciplina nazionale in materia di siti contaminati (art. 239 e seguenti, D.Lgs. n. 152/2006). Infatti, la disciplina interna – connotata da valori limite predeterminati (Csc/Csr) al superamento dei quali scattano precisi oneri di intervento – non attribuisce, sul piano pubblicistico diretto rilievo, all’apporto di potenziale contaminazione realizzato dall’attività, laddove lo stesso non superi questi valori-soglia. Difficile coordinare, pertanto, questo assunto con l’esplicita richiesta di legge di intervenire laddove l’attività abbia «provocato un inquinamento significativo del suolo o delle acque sotterranee con sostanze pericolose pertinenti, rispetto allo stato constatato nella relazione di riferimento»; e, ancor di più, difficile tradurre in concreto le indicazioni per cui anche il gestore che non sia tenuto a predisporre la relazione di riferimento debba, comunque, porre in essere «gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere o ridurre le sostanze pericolose pertinenti in modo che il sito […] non comporti un rischio significativo per la salute umana o per l’ambiente». Questi elementi, peraltro, risultano ancor più critici laddove nel sito di cui si tratta si sia susseguita l’attività di diversi gestori. Sono quesiti che, a oggi, a ormai alcuni anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/2014, non hanno ancora avuto puntuale e compiuto riscontro (stanti anche i circoscritti casi di effettiva elaborazione della relazione di riferimento ad esito di screening) e non sono stati compiutamente affrontati dalla decretazione ministeriale sul tema, sebbene alcune circolari abbiano contribuito a fornire primi chiarimenti sul tema[89] Sul punto è intervenuta la circolare 14 novembre 2016, n. 27569, da un lato, dettagliando le diverse azioni da attuare alla cessazione definitiva delle attività, d’altro lato, valorizzando l’autonomia e specialità della disciplina in materia di bonifiche, nel tentativo di coordinare le due discipline. In primo luogo, la circolare dispone che alla cessazione delle attività debbano essere realizzati i seguenti interventi: i) pulizia, protezione passiva e messa in sicurezza degli impianti; ii) ripristino ambientale del sito alle condizioni della relazione di riferimento; iii) dismissione delle infrastrutture; iv) eventuale bonifica del sottosuolo e delle acque sotterranee. Queste attività, nella maggior parte dei casi, dovranno essere disciplinate da apposite disposizioni contenute in Aia. In secondo luogo, è chiarito – con specifico riferimento ai casi in cui sia stata prodotta la relazione di riferimento – che, al momento della cessazione dell’attività, il gestore dovrà provvedere «ad una nuova valutazione dello stato di contaminazione» ed eventualmente provvedere «a ripristinare il sito». Infine, si evidenzia che la circolare, nell’individuare gli interventi di ripristino ambientale da effettuare, riconosce che la bonifica «può avere qualche connessione con gli obblighi recati dall’articolo 29-sexies, comma 9-quinquies, del D.lgs. 152/06, poiché, ai sensi delle lettere d) ed e) di tale comma, nell’AIA dovrebbero essere presenti condizioni sostanzialmente volte a garantire la successiva bonifica, ove necessaria». Ciò, tuttavia, non pare sufficiente a chiarire del tutto i dubbi sulla piena sovrapponibilità degli oneri di ripristino previsti nelle disposizioni in materia di Aia e in quelle in tema di bonifiche. Per ogni approfondimento si rimanda al contributo di A. Balestreri, AIA: le novità nella nota del Ministero dell’Ambiente del 14 novembre 2016, in Ambiente&Sicurezza, n. 2/2017.  e la prassi operativa possa, in futuro, contribuire a meglio circoscrivere le tematiche[90] I tempi attesi sono comunque lunghi, considerato che la rilevanza sostanziale della relazione di riferimento si ha in caso di dismissione dell’attività o di compravendita del sito. .

Tornando al procedimento di Aia, il relativo provvedimento conclusivo – svolta l’istruttoria – sostituisce tutte le autorizzazioni all’esercizio dell’impianto elencate all’allegato IX alla parte II del D.Lgs. n. 152/2006 (si veda il grafico 18) e dello stesso è data informazione al pubblico. 

È da notare come tra le autorizzazioni espressamente sostituite per legge non figurino, ad esempio, i titoli (ad esempio edilizi) necessari alla realizzazione dell’impianto. Questo aspetto ha trovato conferma giurisprudenziale. Già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46/2014 – e la nuova normativa non ha innovato la disciplina – si era, infatti, precisato in giurisprudenza che «gli accertamenti in ordine alla conformità edilizia-urbanistica non rilevano sulla legittimità dell’autorizzazione integrata ambientale, legata unicamente alle modalità di esercizio dell’impianto» (Tar Toscana n. 569/2011). La prassi, tuttavia, registra l’unificazione dei profili urbanistici ed edilizi nell’ambito del procedimento di Aia. Affinché siano discussi nel procedimento di Aia – e dunque nella medesima istruttoria – anche i profili realizzativi, è, in ogni caso, necessaria una specifica istanza del proponente. Il tema si è oggi ulteriormente evoluto con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di procedimento unico [vedere il paragrafo "Il provvedimento unico in materia ambientale (statale) e il provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur)"], che sono il riferimento laddove sia necessaria la Via e che espressamente unificano tutti i titoli abilitativi necessari nell’ambito di un procedimento unitario.

 

AIA: LA “GESTIONE” DEL PROVVEDIMENTO AUTORIZZATIVO (RIESAME E MODIFICHE)

Ottenuta l’Aia, l’azienda ne deve “gestire” i contenuti per il periodo di durata della stessa, ponendo particolare attenzione alle scadenze in essa previste, alle necessità di rinnovo o modifica nonché all’ottemperanza a tutte le prescrizioni autorizzative (tanto di natura formale quanto di natura operativa/sostanziale). Tra le principali innovazioni apportate dal D.Lgs. n. 46/2014 vi è il passaggio da un sistema basato su scadenze fisse – con onere del gestore, entro un termine specifico, di presentare un’istanza di rinnovo – a un sistema fondato sul riesame, distinguendo tra:

  • riesame con valenza di rinnovo, nei seguenti casi:

      -  entro 4 anni dalla data di pubblicazione nella G.U.C.E. delle decisioni relative alle conclusioni sulle Bat di settore[91] Sul tema è intervenuta la circolare ministeriale n. 27569/2016 chiarendo alcuni dubbi operativi, ovvero specificando che: i) il riesame a seguito di aggiornamento delle Bat deve riguardare l’intera installazione e non può limitarsi alla verifica della coerenza dell’autorizzazione con le conclusioni sulle Bat; ii) se l’Aia già le tiene «effettivamente in conto» e «cita espressamente» le più recenti conclusioni sulle Bat, non dovrà essere attivato un nuovo riesame, pena un inutile aggravio procedimentale; iii) il procedimento di riesame deve essere comunque attivato anche in presenza – o pendenza – di proce-dimenti di Via, sebbene negli stessi si sia tenuto conto delle nuove conclusioni sulle Bat. ;

     -  decorsi 10 anni dal rilascio dell’Aia o dall’ultimo riesame effettuato sull’intera installazione (salvo diverse scadenze collegate alle certificazioni ambientali Iso (12 anni) o Emas (16 anni) possedute dall’azienda);

  • riesame, fuori dai casi che precedono, disposto qualora ricorrano le condizioni indicate all’art. 29-octies, comma 4, vale a dire, laddove vi sia necessità di revisione dei valori limite di emissione, siano mutate sostanzialmente le Bat o le norme ambientali o sanitarie di riferimento, oppure la necessità sia emersa nel corso di controlli delle autorità[92] Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6513/2022, ha precisato che l’elenco delle ipotesi di riesame dell’Aia contemplato dall’articolo 29-octies, D.Lgs. n. 152/2006 è tassativo e non esemplificativo. .

L’istituto del riesame pare, dunque, porre i principali oneri, in termini di input, in capo all’autorità competente, tenuta a richiedere al gestore la presentazione della documentazione per l’avvio del procedimento, fissando calendari e tempistiche di riferimento anche in funzione degli sviluppi delle Bat di settore. Tuttavia – in termini scarsamente chiari, ma a conferma del fatto che in caso di inerzia dell’amministrazione il gestore non può omettere di attivarsi – si prevede che, in caso di scadenza temporale dell’autorizzazione, «la domanda di riesame è comunque presentata entro il termine ivi indicato. Nel caso di inosservanza del predetto termine l’autorizzazione si intende scaduta». Fondamentale, dunque, per il gestore, il rispetto delle scadenze previste per legge (o disciplinate in dettaglio in autorizzazione) per la presentazione dell’istanza, ai fini di mantenere la validità dell’Aia, e ciò anche a prescindere dall’attivazione dell’autorità competente. La prassi registra, peraltro, la virtuosa (e coerente con la disciplina di riferimento) redazione da parte di molte autorità di calendari di presentazione del riesame per i gestori, documenti certamente utili per ottimizzare l’attività del pubblico e del privato.

Nell’ambito del riesame il gestore deposita, nel termine indicato dall’autorità, la documentazione tecnica di aggiornamento riferita alle condizioni autorizzative per permettere agli enti di rivalutare e aggiornare il titolo abilitativo. Laddove i termini previsti per la produzione della documentazione necessaria all’aggiornamento del titolo abilitativo siano rispettati, sino alla pronuncia dell’autorità competente in merito al riesame il gestore è titolato a continuare a svolgere l’attività, sulla base dell’autorizzazione originaria già in suo possesso.

Può, inoltre, accadere che, nel corso di validità dell’autorizzazione, l’installazione subisca modifiche. La nozione di modifica è prevista in termini generali all’art. 5, comma 1, lettera l), D.Lgs. n. 152/2006 che la definisce come «la variazione di un piano, programma, impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento, che possano produrre effetti sull’ambiente». La successiva lettera l-bis) definisce poi in termini generali la modifica sostanziale come «la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull’ambiente o sulla salute umana» (definizione modificata dalla legge n. 167/2017, che ha introdotto il riferimento esplicito alla salute umana) [93] Con sentenza n. 8487/2021, Il Tar Lazio ha confermato che per la definizione di modifica sostanziale di un progetto occorre fare riferimento all’articolo 5, comma 1, lettera l-bis), D.Lgs. n. 152/2006 e ha sottolineato il ruolo decisivo della valutazione dell’autorità competente sui possibili effetti ambientali o sanitari della modifica proposta. . In ambito Aia, viene poi previsto un caso di modifica sostanziale specifica, laddove si «dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa» nel caso in cui l’allegato VIII indichi per l’attività valori soglia[94] Sul tema è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato con sentenza n. 2679/2021 affermando che se un impianto è soggetto ad Aia, le modifiche sostanziali devono considerarsi individuate nell’art. 5, comma 1, lettera l-bis), D.Lgs. n. 152/2006, che si riferisce ai valori soglia di cui alla allegato VIII, parte II, D.Lgs. n. 152/2006. Costituisce , quindi, modifica “sostanziale” dell’Aia, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di soglia, una modifica all’installazione che dia luogo a un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa (fattispecie in tema di aumento volumetrico di una discarica). Contestualmente, i giudici hanno precisato che non è da escludersi che l’autorità competente, con espressa e specifica motivazione, possa giudicare “sostanziale” qualsivoglia altra tipologia di intervento a seguito di proprio motivato parere in sede istruttoria. Trattasi, in questo caso, di valutazione “aggiuntiva” dell’Autorità procedente, non imposta dal legislatore. . Non è prevista, invece, una puntuale definizione di modifica non sostanziale, che deve, dunque, essere desunta in negativo (quindi per esclusione) rispetto a quella di modifica sostanziale. Linee guida regionali, ove emanate, costituiscono utile spunto per il gestore nella definizione della tipologia di modifica. Va notato, inoltre, che la normativa ambientale trova – in diversi settori – differenti, e talvolta maggiormente puntuali, definizioni di modifica e modifica sostanziale; una sintesi è riportata in tabella 2.

La qualifica sostanziale o meno della modifica proposta in regime Aia – la cui valutazione lascia, come è agevole intendere, ampio spazio alla discrezionalità delle amministrazioni, essendo fondata su concetti di ampio respiro quali gli «effetti negativi e significativi sull’ambiente» – comporta conseguenze profondamente diverse[95] Da segnalare due sentenze del Trga Trento n. 300/2017 e n. 86/2018, con le quali il tribunale ha sostenuto che rientri, tra le modifiche di una installazione sottoposta ad Aia, anche la modifica delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo. Da ultimo il Tar Lazio, con sentenza n. 8487/2021 ha stabilito che anche le varianti progettuali per l’adeguamento energetico di un impianto di gassificazione integrano una modifica sostanziale. . Infatti:

  • laddove la modifica proposta dal gestore venga qualificata come non sostanziale, sarà sufficiente una comunicazione e

-   l’autorità competente potrà aggiornare l’autorizzazione;

-  in assenza di riscontro o diverse indicazioni, il gestore decorsi 60 giorni potrà realizzare la modifica[96] Sul carattere di silenzio-assenso del mancato riscontro alla comunicazione di una modifica ritenuta non sostanziale dal gestore di un impianto soggetto ad Aia si è pronunciato recentemente il Tar Piemonte con sentenza n. 737/2022. I giudici hanno precisato che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, l’art. 29-nonies, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 non introduce alcun meccanismo di silenzio assenso, ma stabilisce solamente che in caso di modifiche ritenute sostanziali dall’amministrazione, questa ne dia notizia entro 60 giorni al gestore; decorso questo termine si potrà dar corso alle modifiche comunicate. ;

-  ove l’autorità ritenga sostanziale la modifica, dovrà informarne, entro 60 giorni, il gestore affinché depositi una nuova domanda di autorizzazione corredata da una relazione di aggiornamento dei profili tecnici[97] Con la recente sentenza n. 12232/2022, il Tar Lazio ha precisato che, laddove vi siano dubbi circa la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 35, comma 3, D.L. n. 77/2021 – legate alla invariabilità della capacità produttiva dell’impianto e al rispetto dei limiti di emissione per il coincenerimento dei rifiuti la Pa è legittimata a ordinare la presentazione di nuova istanza autorizzativa; ciò in quanto, anche a fronte di esigenze di semplificazione procedurale, permane in capo all’amministrazione un’ampia discrezionalità tecnica riguardo alle valutazioni di operatività della disciplina.

  • laddove, invece, la modifica proposta dal gestore venga qualificata come sostanziale, oppure sia ritenuta tale dalle autorità, il gestore dovrà depositare una nuova domanda di autorizzazione corredata da una relazione di aggiornamento dei profili tecnici.

Il procedimento, per le due tipologie di modifica, risulta, dunque, sensibilmente diverso. In caso di modifica non sostanziale basterà il decorso del termine di 60 giorni dalla comunicazione dell’istanza all’autorità per considerare la stessa assentita (salvo che l’Autorità non formuli diverse valutazioni in ordine alla sostanzialità della modifica, o salvo l’eventuale nulla osta anticipato rispetto al termine). In caso di modifica sostanziale servirà, invece, un provvedimento espresso dell’autorità ad esito di un procedimento sostanzialmente conforme in termini di struttura a quello di prima autorizzazione (sebbene ovviamente incentrato sui profili oggetto di modifica). Differenti anche le sanzioni (per il cui dettaglio complessivo si rimanda al capitolo dedicato):

  • amministrativa per la modifica non sostanziale non autorizzata o non comunicata nei termini;
  • penale negli altri casi.

Tenuto conto di quanto sopra, risulta evidente l’opportunità di attivarsi preventivamente per progettare ogni modifica da apportare all’impianto e di qualificare (con adeguato supporto motivazionale) espressamente la stessa come sostanziale o non sostanziale. Necessari, dunque, il preventivo approfondimento tecnico e documentale e la chiarezza nelle istanze o comunicazioni da formulare. Ove la valutazione delle autorità circa la natura della modifica sia difforme da quella proposta dal gestore, residuerà la possibilità per l’istante di impugnare, nelle competenti sedi, il giudizio espresso dall’autorità, laddove sussistano profili di illegittimità e lo stesso sia lesivo degli interessi del proponente.

 

AIA: COMUNICAZIONI, CONTROLLI ED EFFETTI SULL’AUTORIZZAZIONE

La normativa ambientale prevede poi, in capo al gestore di impianti Aia, rilevanti oneri informativi e comunicativi nei confronti delle autorità, nonché una specifica disciplina circa i controlli. A ciascun adempimento corrispondono poi specifiche e differenti sanzioni. Tra i principali oneri di comunicazione si annoverano (salvo diverse prescrizioni autorizzative) gli obblighi di:

  • comunicare ogni variazione nella titolarità dell’impianto (art. 29-nonies, comma 4);
  • comunicare preventivamente l’avvio delle attività previste nell’Aia (art. 29-decies, comma 1);
  • in caso di incidenti o eventi imprevisti che incidano in modo significativo sull’ambiente, informare immediatamente l’autorità competente e l’ente responsabile dei controlli, adottando le misure per limitare le conseguenze ambientali e prevenire ulteriori eventuali incidenti (art. 29-undecies, comma 1);
  • nel termine massimo di 8 ore, effettuare la comunicazione di cui all’art. 271, comma 14, nel caso in cui un guasto non permetta di garantire il rispetto dei valori limite di emissione in aria (art. 29-undecies, comma 3);
  • informare l’autorità di nuove istanze negli ambiti Via, Aia, “Seveso” o urbanistico/edilizio, che possano incidere sull’impianto, dettagliando le valutazioni in merito ai possibili effetti sull’ambiente e sull’Aia (art. 29-nonies, comma 3).

A questi oneri informativi e comunicativi si accostano le comunicazioni, a scadenze periodiche, previste nell’autorizzazione in relazione all’esercizio dell’impianto e ai relativi autocontrolli. In termini generali, l’art. 29-decies prevede, infatti, che il gestore trasmetta agli enti i dati relativi ai controlli delle emissioni richiesti in Aia, secondo modalità e frequenze stabilite nel provvedimento, informando le autorità in caso di violazione delle condizioni dell’autorizzazione e adottando, al contempo, le misure necessarie a ripristinare nel più breve tempo possibile la conformità. In merito al rilievo (operativo e sanzionatorio) degli autocontrolli del gestore, la posizione originariamente assunta nelle indicazioni ministeriali fornite sul tema[98] Il riferimento è alla circolare del ministero dell’Ambiente del 14 novembre 2016 («Criteri e modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46») laddove si evidenzia che «gli esiti dell’autocontrollo potrebbero essere affetti da imprecisioni o essere fraintesi, e per tanto senza una verifica tecnica non costituiscono di per sé automatica evidenza della violazione» e, conseguentemente, si chiarisce che «l’individuazione delle situazioni di mancato rispetto dell’AIA e la proposizione delle misure da adottare è compito degli enti di controllo, previa valutazione e verifica delle comunicazioni del gestore».  è stata ridiscussa nella giurisprudenza della Cassazione penale[99] La Corte di Cassazione, sez. III penale, con sentenza n. 48401/2019 ha ritenuto legittima la sanzione applicata in relazione ai contenuti degli autocontrolli precisando, tuttavia, che non vi è automaticità tra il mero dato del superamento dei valori rilevato in sede di autocontrollo e la sanzione penale, in quanto il Giudice deve comunque effettuare una valutazione complessiva della posizione dell’imputato, dei profili tecnici e della rilevanza delle violazioni. Per un commento alla sentenza vedere D. Salvagno, AIA: superamento dei valori ottenuti in sede di autocontrollo e accertamento delle violazioni, in Ambiente&Sicurezza n 4/2020. . Il tema, tuttavia, resta a oggi controverso e l’interpretazione di questo aspetto, di importante rilievo per il gestore, è ancora in evoluzione.

In parallelo ai controlli del gestore – eventualmente secondo cadenze o criteri indicati in autorizzazione (controlli ordinari) o in caso di eventi che rendano opportuno il controllo (straordinari) – l’autorità verifica:

  • il rispetto delle condizioni dell’Aia;
  • la regolarità dei controlli a carico del gestore;
  • la regolarità delle comunicazioni in precedenza citate.

È poi previsto, in termini generali, che il gestore debba fornire tutta l’assistenza necessaria all’effettuazione dei controlli[100] Questa disposizione assume ulteriore rilievo in relazione all’introduzione del reato di impedimento del controllo (art. 452-septies, codice penale, introdotto con legge n. 68/2015, cosiddetta “legge sui reati ambientali”) il quale prevede che chiunque, «negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni». e che tutti gli enti demandati al controllo condividano ogni informazione utile con l’autorità competente. Gli esiti delle ispezioni possono avere sostanziali effetti sulla validità dell’autorizzazione. Infatti, a margine delle specifiche sanzioni amministrative o penali (di cui si dirà nel capitolo dedicato), l’art. 29-decies scandisce una serie progressiva di effetti sulla validità dell’autorizzazione [101] La giurisprudenza maggioritaria afferma che l’art. 29-decies, elencando le sanzioni che l’amministrazione può comminare per l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, applica i principi di proporzionalità e gradualità delle sanzioni. Conseguentemente, la revoca dell’Aia è da ritenersi l’estrema e ultima decisione che l’Amministrazione può prendere, dovendo per il resto attuare le ulteriori previsioni sanzionatorie secondo la scansione prevista per legge ed individuando (in ottica di proporzionalità) le misure meno afflittive per il gestore a parità di obiettivi. Sul tema, da ultima, si veda la sentenza del Tar Friuli-Venezia Giulia, n. 125/2020. . È previsto che, in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzative o di esercizio in assenza di autorizzazione, l’autorità competente possa procedere, in relazione all’entità della violazione[102] Con sentenza n. 674/2021, il Tar Lombardia ha accolto un ricorso in ordine a due diffide emanate nei confronti della ricorrente valorizzando sia la correttezza dell’operato della società quanto l’interesse all’annullamento funzionale a evitare le “reiterate violazioni” in presenza delle quali l’amministrazione sarebbe stata legittimata, in caso di future violazioni, a irrogare sanzioni più gravi, tra cui la revoca dell’autorizzazione e l’ordine di chiusura degli impianti. :

  • alla diffida, assegnando un termine per eliminare le inosservanze[103] Il Consiglio di Stato con sentenza n. 5582/2017 ha sottolineato la differenza tra diffida “mera” e diffida sanzionatoria: «Sono del tutto corrette e meritano di essere condivise le considerazioni [secondo le quali], nell’ambito delle previsioni dell’art. 29-decies, comma 9, lett. a), b) e c), del codice dell’ambiente [...] occorre distinguere fra mere diffide, che rientrano nelle funzioni di controllo e accertamento attribuite all’ente dall’art. 197, comma 1, lett. b), del codice stesso, e diffide connesse a provvedimenti di sospensione o revoca dell’autorizzazione in corso, che hanno effettivamente natura sanzionatoria e ricadono nella competenza regionale». Similmente, si veda la sentenza del Consiglio di Stato, n. 422/2012. ;
  • alla diffida e contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, nel caso in cui si manifestino «situazioni che costituiscano un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente»[104] Il Tar Veneto, con sentenza n. 481/2022, ha precisato che la sospensione, come effetto della mancata comunicazione di una modifica apportata all’impianto, è illegittima se l’amministrazione non ha motivato la relazione tra l’inottemperanza all’Aia e il verificarsi di un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente.  (inciso specificato dalla legge n. 167/2017) o nel caso in cui violazioni specifiche siano comunque reiterate più di due volte all’anno. Sul punto la legge n. 167/2017 ha introdotto due casi di proroga automatica della sospensione decorso il tempo indicato in diffida. La sospensione è automaticamente prorogata:

-  fino a quando il gestore dichiari di aver individuato e risolto e il problema che ha causato l’inottemperanza;

-  nel caso in cui i controlli sul successivo esercizio non confermino che è stata ripristinata la conformità. 

  • alla revoca dell’autorizzazione e alla connessa cessazione dell’attività dell’installazione fino a eventuale nuova autorizzazione, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente;
  • alla chiusura dell’installazione, nel caso in cui l’infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione.

Dal tenore delle disposizioni qui sintetizzate emerge, dunque, la necessità, per il gestore, di una rigida e puntuale valutazione dei contenuti dell’Aia (sia con riferimento al provvedimento che in relazione ai relativi allegati tecnici e al piano di monitoraggio e controllo) e della conseguente organizzazione interna dei necessari adempimenti (scadenziari, procedure, format di comunicazioni periodiche eccetera). Organizzare al meglio, sin dal rilascio dell’Aia, gli adempimenti può permetterne, infatti, una più efficace ed efficiente gestione nel tempo, limitando i rischi sanzionatori.

 

BAT, BREF, BAT CONCLUSION E CONDIZIONI AUTORIZZATIVE

Un concetto centrale sul piano tecnico nella disciplina Aia è certamente quello di Bat (best available techniques o migliori tecniche disponibili), che assume rilievo anche in altri settori del diritto ambientale quali, ad esempio, la bonifica dei siti contaminati. Le Bat, secondo la definizione normativa, sono «la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio» e possono «costituire la base dei valori limite di emissione delle altre condizioni di autorizzazione». In particolare, come indicato dall’art. 3, si intende:

  • per «tecniche», sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’installazione;
  • per «tecniche disponibili», le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente attuabili nell’ambito del pertinente comparto industriale, ad esito di una analisi di fattibilità tecnica e di una valutazione costi/benefici;
  • per «migliori», le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

Le Bat costituiscono il “cuore” della disciplina Aia, in quanto si tratta di un imprescindibile riferimento tecnico sia per gli operatori che per l’autorità competente nell’individuazione delle condizioni autorizzative[105] In riferimento alle Bat di alcuni settori industriali sono stati emanati a livello regionale indirizzi applicativi per fornire indicazioni condivise per la gestione dei procedimenti autorizzativi. Tra questi, a titolo esemplificativo: Lombardia (D.G.R. 20 luglio 2020 n. 3398; D.G.R. 20 novembre 2020 n. 3895), Marche (D.G.R. 20 aprile 2020, n. 469). . All’interno delle Bat sono descritte diverse tecniche che, tra loro, possono porsi come alternative o cumulative per la riduzione dei livelli emissivi e degli impatti, nonché per la corretta gestione dell’installazione Aia. Non ogni tecnica assurge alla definizione di Bat. Quelle rilevanti in ambito Aia su scala europea sono, infatti, individuate dall’Ippc bureau di Siviglia attraverso una complessa procedura – fatta di confronti tecnici, consultazioni aperte e negoziazioni con presenza anche degli stakeholders del comparto industriale – che prende il nome di “procedimento di Siviglia” e che, per maggior chiarezza, si riassume nel grafico 19.

Una volta definite sul piano tecnico, le Bat sono raccolte in specifici documenti, in particolare:

  • «documenti di riferimento sulle Bat» (Brefs): risultato della procedura di scambio di informazioni e dei lavori dei technical working group (Twgs), riportano le tecniche applicate, i livelli attuali di emissione e di consumo, le tecniche considerate per la determinazione delle migliori tecniche disponibili, nonché le conclusioni sulle Bat e ogni tecnica emergente, con particolare attenzione ai criteri di cui all’allegato III della direttiva 2010/75/Ue (tra i quali si ritrovano, ad esempio, la riduzione della produzione di rifiuti, l’utilizzo di sostanze meno impattanti, il recupero di materia, il contenimento complessivo delle emissioni e dei consumi);
  • «conclusioni sulle Bat» (Bat conclusion), documenti formalmente adottati dalla Commissione europea secondo la procedura di comitato[106] La procedura di comitato è la procedura con la quale la commissione europea esercita i poteri di esecuzione che le sono conferiti dal legislatore Ue. Il nome è dovuto al fatto che, nell’esercitare questi poteri, la commissione è assistita da comitati composti da rappresentanti degli Stati membri i quali forniscono un parere sull’attuazione degli atti proposti. , contenenti le parti di un documento di riferimento sulle Bat riguardanti le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l’applicabilità, i livelli di emissione e i consumi associati alle migliori tecniche disponibili, nonché i sistemi di monitoraggio e le indicazioni per eventuali interventi di bonifica. Tra i documenti emanati negli anni più recenti vanno ricordate le decisioni europee 2019/2010/Ue (conclusioni sulle Bat per l’incenerimento dei rifiuti), 2020/2009/Ue (conclusioni sulle Bat per il trattamento di superficie con solventi organici, anche per la conservazione del legno e dei prodotti in legno mediante prodotti chimici), 2021/2326/Ue (conclusioni sulle Bat per i grandi impianti di combustione rettificata con provvedimento del 27 luglio 2022). Va ricordata, inoltre, la rilevanza di questi documenti ai fini del riesame delle condizioni autorizzative (vedere il paragrafo "Aia: la “gestione” del provvedimento autorizzativo (riesame e modifiche)" pag. 40).

Altro concetto estremamente rilevante in questo ambito è quello di Bat-Ael (Bat associated emission limits), valori limite di emissione associati alle migliori tecniche disponibili che si pongono come generalizzati standard per gli Stati membri. Questi valori non sono collegati all’implementazione di una tecnica specifica tra quelle eventualmente proposte come alternative nell’ambito delle Bat, bensì associati all’utilizzo delle Bat sulla base dell’esperienza di settore e del confronto svolto tra operatori e autorità in sede di creazione dei documenti di Bat. È inevitabile domandarsi come le Bat e i relativi valori limite possano rientrare nell’ambito del procedimento autorizzativo, traducendosi in prescrizioni. La risposta di carattere generale si trova nell’art. 29-sexies, D.Lgs. n. 152/2006, che chiarisce come l’autorità debba valutare e gestire le Bat del comparto industriale e i relativi livelli emissivi nell’emanazione (o nel riesame) dell’autorizzazione. In termini generali è, infatti, previsto che l’autorizzazione includa specifici valori limite per le sostanze che possono essere emesse dall’installazione in quantità significativa, con i relativi valori di emissione. Questi valori, fissati nelle Aia:

  • non possono, comunque, essere meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l’installazione e possono, eventualmente (e motivatamente), essere sostituiti da misure tecniche equivalenti puntualmente indicate in autorizzazione;
  • fanno riferimento all’applicazione delle Bat, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell’ambiente;
  • garantiscono in termini generali che, in condizioni di esercizio normali, le emissioni non superino i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili (Bat-Ael).

L’autorità competente può, tuttavia, fissare valori limite di emissione più rigorosi laddove lo giustifichino peculiari condizioni locali o normative di carattere regionale oppure, ancora, provvedimenti diversi dall’Aia e dalla stessa non sostituiti. Nella medesima ottica, l’autorità competente può stabilire condizioni autorizzative non descritte nelle pertinenti conclusioni sulle Bat, adeguatamente motivando la propria richiesta e, in ogni caso, garantendo elevati livelli di protezione dell’ambiente, comunque non inferiori a quelli definiti nelle Bat. Laddove, invece, per l’attività in questione non siano previste Bat di settore, il D.Lgs. n. 152/2006 detta specifici criteri che l’autorità è tenuta a seguire (descritti nell’allegato XI alla parte seconda), restando, peraltro, di riferimento le specifiche discipline settoriali. 

A livello, invece, di deroghe rispetto ai limiti emissivi associati alle Bat, il comma 9-bis dell’art. 29-sexies prevede per l’autorità competente, dietro istanza motivata del gestore, la possibilità di fissare limiti meno rigorosi «a condizione che una valutazione dimostri che porre limiti di emissione corrispondenti ai “livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili” comporterebbe una maggiorazione sproporzionata dei costi rispetto ai benefici ambientali, in ragione dell’ubicazione geografica e delle condizioni ambientali locali dell’istallazione interessata e delle caratteristiche tecniche dell’istallazione interessata»[107] Sul punto è intervenuto il Tar Veneto affermando, con sentenza n. 65/2020, che per applicare le deroghe di cui all’art. 29-sexies, D.Lgs. n. 152/2006 deve essere fornita prova rigorosa della sproporzione tra i vantaggi di tipo ambientale e le conseguenze economiche dell’applicazione delle migliori tecniche disponibili. . La disposizione precisa, peraltro, che i valori limite di emissione così fissati non possono superare, in ogni caso, i valori previsti negli allegati di settore laddove pertinenti (ad esempio per scarichi ed emissioni). Di rilievo, sul punto, il contenuto dell’allegato XII-bis alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006 che “codifica”, seppur in termini esemplificativi, casi di applicabilità delle deroghe (l’elenco di questi casi di deroga è riportato nel box 3). Occorre precisare che, anche in questi casi, è comunque richiesto al gestore di allegare all’istanza un’analisi costi/benefici. Sovente, peraltro, le soluzioni adottate in questo senso possono avere carattere di temporaneità oppure passare attraverso valori “obiettivo” e monitoraggi di lungo periodo, con l’intento di individuare le ottimali condizioni di esercizio.

 Il D.Lgs. n. 152/2006 detta poi ulteriori possibilità di deroga in casi specifici. Ad esempio:

  • per gli impianti di incenerimento e coincenerimento, l’autorità può individuare il numero massimo, la durata e la massima intensità dei superamenti di valori limite di emissione dovuti a una medesima causa, che possono essere considerati situazioni diverse dal normale esercizio e al contempo non rientrare tra le situazioni di incidenti o imprevisti. L’individuazione di questi valori deve essere fatta sulla base delle tecniche adottate, dell’affidabilità dei controlli e del rispetto degli oneri di comunicazione durante il precedente periodo di validità dell’autorizzazione (peraltro, tali previsioni trovano poi specifico dettaglio nella disciplina settoriale in tema di incenerimento);
  • per le installazioni assoggettate alla normativa “Seveso” è previsto che le prescrizioni dell’Aia siano coordinate con i provvedimenti in tema di sicurezza e prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti;
  • possono essere individuate ulteriori condizioni specifiche, ritenute opportune dall’autorità competente, come la redazione di progetti migliorativi o il raggiungimento di specifici livelli di prestazioni ambientali entro termini stabiliti. In questo caso, per le modifiche strettamente necessarie ad adeguare la funzionalità degli impianti alle prescrizioni, non sarà necessario effettuare le comunicazioni di modifica;
  • a determinate condizioni, possono anche essere accordate deroghe temporanee – per un periodo non superiore a 9 mesi – relativamente alle misure di prevenzione dell’inquinamento [art. 6, comma 16, lettera a)] e ai valori limite di emissione [art. 29-sexies, commi 4-bis e 5-bis], nei casi di sperimentazione e di utilizzo di tecniche emergenti.
  • Non da ultimo, è prevista dal comma 3 dell’art. 29-quattuordecies la facoltà per l’autorità di determinare nell’ambito dell’autorizzazione “margini di tolleranza”, in termini di frequenza ed entità, per il superamento dei valori limite giustificati da peculiari condizioni di esercizio. Affinché ciò sia previsto in Aia, è ovviamente fondamentale una specifica e motivata richiesta del gestore.
  • Inoltre, l’autorizzazione integrata ambientale contiene le misure relative alle condizioni diverse da quelle di esercizio normali, in particolare per:
  • le fasi di avvio e arresto dell’installazione;
  • le emissioni fuggitive;
  • i malfunzionamenti;
  • l’arresto definitivo dell’installazione e la conseguente disciplina gestionale.

È poi prevista la possibilità di raggiungere obiettivi di miglioramento per fasi temporali scandite in autorizzazione. 

Si tratta – in tutti i casi sopra citati – di aspetti da definire nell’ambito del procedimento autorizzativo. Per questa ragione, la valutazione preventiva dei profili emissivi dello stabilimento, della necessità di eventuali deroghe rispetto ai limiti di Bat o dell’eventualità di situazioni di fermo e riavvio impianto o funzionamento anomalo deve necessariamente assumere carattere prioritario in fase di predisposizione dell’istanza di autorizzazione ed essere dettagliatamente illustrata nei documenti Aia. 

Tutte le prescrizioni operative e gestionali sono monitorate attraverso sistemi di controllo tradotti in piani di monitoraggio e controllo (Pmc) che scandiscono tempistiche, modalità e contenuti dei controlli che il gestore è chiamato a effettuare e l’autorità a verificare. Almeno una volta all’anno, il gestore comunica i dati necessari per verificare la conformità dell’esercizio dell’installazione alle condizioni di Aia, sintetizzando i risultati in un documento riassuntivo. L’Aia deve poi prevedere controlli almeno una volta ogni 5 anni per le acque sotterranee e almeno una volta ogni 10 anni per il suolo, salvo diverse motivate più stringenti prescrizioni. Parimenti, sono dettati termini minimi di controllo periodico per l’autorità. Si tratta, comunque, di indicazioni di carattere generale che trovano specifico dettaglio – con riferimento alla singola installazione – nel provvedimento autorizzativo, costituente il riferimento essenziale per il gestore.

 

L’AUTORIZZAZIONE UNICA AMBIENTALE

L’autorizzazione unica ambientale (Aua) è stata introdotta dal D.P.R. 29 maggio 2013, n. 59 con l’obiettivo di semplificare gli adempimenti autorizzativi per le imprese[108] Per un approfondimento si veda il contributo dello Studio B&P Avvocati Autorizzazione unica ambientale richiesta e modifica, in Ambiente&Sicurezza, n. 5/2019. Sempre in tema di Aua si veda anche: L. Butti, A. Kiniger, A. Balestreri, M. Molinaro, Autorizzazione Unica: novità e punti critici, in Ambiente&Sicurezza, n. 12/2013; L. Butti, Autorizzazione Unica Ambientale: risposte ai primi dubbi interpretativi, in Ambiente&Sicurezza, n. 15/2013; L. Butti, AUA – Il nuovo modello unico, in Ambiente&Sicurezza, n. 14/2015. . L’Aua, infatti, costituisce un provvedimento “contenitore” all’interno del quale confluiscono più provvedimenti autorizzativi che in precedenza dovevano essere richiesti singolarmente. Le sette categorie di autorizzazioni sostituite dall’Aua sono riportate al box 4.

Alle autorità competenti è poi lasciata la possibilità di estendere l’ambito di applicazione dell’Aua ad altri provvedimenti autorizzativi. In ogni caso, il D.P.R. n. 59/2013 non dovrebbe trovare applicazione per quei procedimenti che già si caratterizzano per l’“unicità”, tra i quali, ad esempio, l’autorizzazione unica per impianti di gestione rifiuti (art. 208, D.Lgs. n. 152/2006)[109] In questo senso si vedano le «Linee guida applicative sul D.P.R. 59/2013» di Confindustria, datate 24 luglio 2013, e la circolare della Regione Lombardia 5 agosto 2013 n. 19 «Primi indirizzi regionali in materia di autorizzazione unica ambientale»..

Malgrado le iniziali incertezze dovute a un improprio richiamo alle piccole e medie imprese, è stato chiarito che la disciplina Aua si applica agli impianti non soggetti ad Aia, come confermato dalla circolare ministeriale 7 novembre 2013 n. 0049801. L’Aua non trova poi applicazione nel caso di progetti che siano già sottoposti a Via, laddove la normativa statale o regionale preveda che la stessa Via comprenda e sostituisca tutti gli atti di assenso in materia ambientale. Resta poi fermo quanto già evidenziato con riferimento al nuovo procedimento autorizzatorio unico di cui si è parlato [vedere il paragrafo "Il provvedimento unico in materia ambientale (statale) e il provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur)"], volto a unificare i provvedimenti autorizzativi laddove sia necessaria la valutazione di impatto ambientale.  

Ciò premesso, laddove il gestore debba, dunque, ottenere una delle autorizzazioni sostituite dovrà dunque richiedere l’Aua. In soli due casi la richiesta di Aua è facoltativa, ovvero quando le attività svolte nell’impianto sono:

  • soggette a sole comunicazioni;
  • soggette solo all’autorizzazione generale di cui all’art. 272, D.Lgs. n. 152/2006.
  • In questi casi, il gestore potrà optare tra il “vecchio” regime autorizzativo e l’Aua. 

Relativamente al momento a partire dal quale diventa obbligatorio il regime Aua, l’art. 10, D.P.R. n. 59/2013, stabilisce che «l’autorizzazione unica ambientale può essere richiesta alla scadenza del primo titolo abilitativo da essa sostituito». Con la circolare ministeriale 7 novembre 2013, n. 0049801, è stato chiarito che l’indicazione «può» non implica alcuna facoltatività di richiesta dell’Aua – da ritenersi obbligatoria – e che, pertanto, alla scadenza del primo titolo abilitativo sostituito, il gestore dovrà chiederla. Nella medesima circolare ministeriale si specifica anche che il gestore non deve attendere la scadenza del titolo sostituito, ma presentare la prima istanza di Aua nel termine preventivo eventualmente previsto per il rinnovo del provvedimento autorizzativo esistente (ad esempio, in materia di scarichi la richiesta di rinnovo deve essere presentata un anno prima della scadenza).

Entrando nel merito dei contenuti del provvedimento, la disciplina dell’Aua rimanda per molti aspetti alle discipline di settore: la domanda di Aua – seppur presentata mediante una nuova e specifica modulistica – deve, infatti, contenere tutte le informazioni richieste dalle relative discipline di settore e il provvedimento finale deve rispecchiare i contenuti delle autorizzazioni sostituite. Quanto al procedimento amministrativo volto all’ottenimento dell’Aua, schematizzato nel grafico 20 , la domanda deve essere presentata al Suap (sportello unico attività produttive) che ne cura poi la trasmissione all’autorità competente (la provincia, salvo che la disciplina regionale attribuisca la competenza a una diversa autorità)[110] Con la sentenza n. 1254/2018, il Tar Campania ha ricordato come ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n. 59/2013, il Suap del Comune sia mero organo coordinatore-attuatore, mentre l’adozione del provvedimento autorizzativo spetta all’autorità competente. Con la recente sentenza n.3516/2021, il Consiglio di Stato ha specificato che, se è vero che ai fini del rilascio dell’Aua, ai sensi del D.P.R. n. 59/2013, l’autorità competente è la Provincia, questa autorizzazionesempre in base a tale norma“confluisce” nel provvedimento conclusivo del procedimento la cui adozione viene affidata al Suap comunale. . Al Suap è attribuito un importante ruolo di coordinamento ed è fondamentale che l’attività dello stesso sia svolta tempestivamente, in quanto i termini procedimentali decorrono dalla domanda presentata dall’istante indipendentemente da eventuali ritardi del Suap nella trasmissione della documentazione agli altri enti. Il procedimento di Aua è diversificato in funzione della durata dei procedimenti per il rilascio dei provvedimenti sostituiti (inferiore o superiore a 90 giorni), nonché in funzione della necessità di acquisire o meno altri titoli abilitativi oltre all’Aua. La disciplina del procedimento è scandita dai commi 4 e 5 dell’art. 4, D.P.R. n. 59/2013, modificati dal D.Lgs. n. 127/2016, ampliando i casi di obbligatoria indizione della conferenza di servizi[111] Si veda, in questo senso, anche il parere del Consiglio di Stato n. 431/2016 avente ad oggetto «Norme per il riordino della disciplina in materia di Conferenza di Servizi, art. 2, l. n. 124/2015», p. 20, paragrafo 10.4..

 

Venendo, infine, alla durata, l’Aua ha validità di 15 anni decorrenti dal momento del rilascio e può essere rinnovata presentando, almeno sei mesi prima della scadenza, apposita istanza contenente la documentazione aggiornata (con la possibilità di limitarsi a richiamare quanto già in possesso dell’autorità, se le informazioni non sono variate nel tempo). Presentata l’istanza di rinnovo nei termini, l’impianto potrà continuare a operare sino all’ottenimento del relativo provvedimento. Come già per l’Aia, l’autorità competente può imporre al gestore una revisione dell’Aua prima della scadenza, al mutare delle condizioni normative o in funzione di motivate esigenze ambientali. Quanto alle eventuali modifiche dell’impianto nel corso di validità dell’Aua, la disciplina contenuta nel D.P.R. n. 59/2013 ricalca in larga parte quella già descritta trattando dell’Aia. Infatti, in caso di modifica non sostanziale sarà sufficiente una semplice comunicazione all’autorità competente – salvo diverso avviso dell’autorità da manifestare nel termine di 60 giorni – mentre, in caso di modifica sostanziale, il gestore dell’impianto dovrà presentare una nuova domanda di Aua e ottenere il relativo provvedimento espresso[112] Con sentenza n. 524/2019, il Tar Puglia ha chiarito che non spetta al gestore dell’impianto determinare la natura rilevante o meno delle modifiche apportate allo stesso in considerazione dei possibili effetti sull’ambiente, bensì all’autorità. Ciò in quanto il D.P.R., da un lato, indica l’obbligo di comunicare ogni modifica che «possa produrre effetti sull’ambiente» e non delle sole modifiche che effettivamente li producano; dall’altro, attribuisce all’autorità competente il compito di decidere se una modifica produca o meno effetti sull’ambiente, e ciò al fine di sottoporre al controllo pubblico tutte le modifiche potenzialmente idonee a modificare l’ambiente..

Ad alcuni anni di distanza dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’efficacia del provvedimento di Aua in ottica di unificazione dei procedimenti e coordinamento istruttorio è stata raggiunta in molti contesti. Tuttavia, tratti specifici della disciplina hanno ancora una difforme applicazione sul territorio nazionale, in larga parte dovuta alle difficoltà a “superare” le precedenti autorizzazioni settoriali (la cui disciplina resta, comunque, il riferimento per i contenuti dell’Aua). Anche il coordinamento tra gli enti e il ruolo operativo e gestionale del Suap restano aspetti talvolta critici. Il consolidamento della disciplina è, comunque, la conferma di un percorso avviato verso la definizione di un provvedimento autorizzativo che sta assumendo la stessa efficienza ed efficacia raggiunta negli anni dall’Aia nel proprio ambito di applicazione e che è pienamente coerente con gli intenti di “unificazione” degli adempimenti propri della recente normativa ambientale. 

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Note   [ + ]

1. Scopo della Via è salvaguardare l’habitat nel quale l’uomo vive, che si configura come valore primario e fondamentale in quanto espressione della personalità umana (Consiglio di Stato n. 1109/2008; similmente, si vedano Tar Brescia, n. 247/2018 e Consiglio di Stato, n. 3000/2016). Il procedimento di Via, a detta di consolidata giurisprudenza amministrativa, non consiste in una verifica dell’astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma si sostanzia in un’analisi comparata e specifica, tesa a valutare il reale sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenendo conto delle alternative praticabili (tra le tante, si vedano le sentenze Consiglio di Stato, n. 4566/2014 e n. 1236/2018, Tar Sardegna n. 439/2018, Tar Molise n. 15/2018 – che parla di «giudizio di complessiva compatibilità, al quale non sono estranee valutazioni relative all’attività economica imprenditoriale la quale non può essere pregiudizialmente inquadrata come un controinteresse rispetto alla tutela ambientale» – e Tar Toscana n. 1383/2017).
2. Direttiva 2010/75/Ue relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento).
3. Sul recepimento della direttiva Ied in Italia si vedano: L. Butti, A. Balestreri, Il recepimento della direttiva IED modifica sostanzialmente il D.Lgs. n. 152/2006, in Ambiente&Sicurezza, n. 9/2014; L. Butti, IED: rischio chiusura per le imprese in attesa del rinnovo autorizzativo, in Ambiente&Sicurezza, n. 9/2015; L. Butti, AIA – Costosa garanzia finanziaria per il rilascio o per il rinnovo: disposizione anticostituzionale, in Ambiente&Sicurezza, n. 4/2015.
4. Le sette direttive accorpate sono: direttiva 1978/176/Cee («Rifiuti provenienti dall’industria del biossido di titanio»), direttiva 1982/833/Cee («Modalità di vigilanza e di controllo degli ambienti interessati dagli scarichi dell’industria del biossido di titanio»), direttiva 1992/112/Cee («Modalità di armonizzazione dei programmi per la riduzione, al fine dell’eliminazione, dell’inquinamento dei rifiuti provocati dall’industria del biossido di titanio»), direttiva 1999/13/Ce («Limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici in talune attività e in taluni impianti»), direttiva 2000/76/Ce («Incenerimento dei rifiuti»), direttiva 2001/80/Ce («Limitazione delle emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti originati da grandi impianti di combustione»), direttiva 2008/1/Ce («Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento»).
5. Con sentenza n. 5298/2017 il Tar Campania – Napoli ha sostenuto che i procedimenti di Via e Aia tendono ormai a formare un unicum (conformemente Tar Lombardia – Brescia n. 211/2010). Pur se intimamente connessi, i procedimenti di Via e Aia sono però preordinati ad accertamenti diversi ed autonomi, pertanto ciascuno dei due titoli abilitativi deve essere sorretto da una propria istruttoria completa e autosufficiente (Consiglio di Stato n. 3559/2017 e n. 3034/2018). Ciò, tuttavia, non significa che l’istruttoria di un procedimento non possa supportare l’istruttoria dell’altro: secondo il Tar Lombardia – Brescia n. 1197/2016, «La Via precede il rilascio dell’Aia e ne condiziona il contenuto [...] ma è evidente che l’ampiezza dell’esame svolto in sede di Aia si riflette poi sul giudizio di Via favorevole, in relazione al quale assumono necessariamente rilievo anche gli studi effettuati in vista del rilascio dell’Aia. Esiste quindi una retroazione dell’Aia sulla procedura di Via, nel senso che la prima, benché cronologicamente successiva, conferma e precisa la seconda. [La Via] si tratta in sostanza di una condizione di procedibilità dell’Aia-Au, in quanto accerta la sussistenza dei presupposti minimi per svolgere studi più approfonditi in relazione a una determinata area. La conseguenza è che le impugnazioni contro il giudizio di Via favorevole non possono limitarsi a lamentare profili di incompletezza dell’istruttoria o figure simili, essendo evidente che l’istruttoria, mancando l’Aia-Au, non è ancora conclusa, o comunque destinata a proseguire con studi sempre più sofisticati e mirati». Sull’autonoma impugnabilità del provvedimento di Via, si vedano le sentenze Tar Calabria – Catanzaro n. 564/2018 e Tar Lombardia – Brescia n. 247/2018.
6. Con la Circolare n. 45113 del 18/11/ 2020 recante: «Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120», il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha esortato Regioni, Province, Comuni, Provveditorati, Anas e Rfi all’applicazione delle misure di cui al decreto “semplificazioni”, rammentando l’importanza dell’accelerazione delle procedure in materia ambientale.
7. Il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha ricevuto il via libera da parte del Governo lo scorso 29 aprile 2021 ed è stato approvato dal Consiglio europeo il 13 luglio 2021. Esso si inserisce all’interno del programma “Next Generation EU (NGEU)”, il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione europea in risposta alla crisi pandemica.
8. Decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, recante «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2021, n. 181.
9. Si veda sul punto L. Butti, F. Peres, A. Kiniger, A. Balestreri, ll semplificazioni-bis è legge: cosa cambia per il D.Lgs. n. 152/2006, in Ambiente&Sicurezza n. 9/2021.
10. Per un’approfondita analisi delle novità apportate dal decreto “aiuti”, si veda A.Balestreri Le novità su Via e rifiuti nella conversione del D.L. “Aiuti” in Ambiente&Sicurezza n. 9/2022.
11. Per progetto, ai sensi dell’art. 5, lettera g), D.Lgs. n. 152/2006, si intende oggi, a seguito dell’intervento operato dal D.L. Semplificazioni, «la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo. Ai fini del rilascio del provvedimento di Via il proponente presenta il progetto di fattibilità come definito dall’articolo 23, commi 5 e 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 o, ove disponibile, il progetto definitivo come definito dall’articolo 23, comma 7, del decreto legislativo n. 50 del 2016, ed in ogni caso tale da consentire la compiuta valutazione dei contenuti dello studio di impatto ambientale ai sensi dell’allegato IV della direttiva 2011/92/UE». In precedenza, anche il D.Lgs. n. 104/2017 era intervenuto sulla definizione, prevedendo che gli elaborati progettuali da presentare ai fini dell’istanza di Via dovessero avere un grado di dettaglio pari a quello richiesto per il progetto di fattibilità. Nella versione ancora precedente al 2017, invece, si faceva riferimento alla nozione di progetto definitivo, imponendo così un maggior grado di dettaglio. Sembrerebbe, quindi, che con l’intervento del D.L. “semplificazioni” si sia voluto trovare un punto mediano tra i precedenti interventi.
12. Al fine di adempiere a specifiche richieste della Commissione europea, il legislatore, con legge n. 116/2014, ha infatti demandato al ministero dell’Ambiente la ridefinizione dei criteri e delle soglie da applicare per lo screening, oggi contenuti nel D.M. 30 marzo 2015. La nuova disciplina, entrata in vigore il 26 aprile 2015 e applicabile anche ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore (come confermato dalla corte di Cassazione a sezioni unite nella sentenza n. 15453/2016), detta, dunque, criteri e soglie, lasciando in ogni caso margini di discrezionalità e intervento per regioni e province nell’ambito delle competenze a esse attribuite.
13. Le disposizioni introdotte con il D.Lgs. n. 104/2017, oltre a trovare applicazione con riferimento ai procedimenti avviati dopo l’entrata in vigore del decreto (21 luglio 2017), possono, in realtà, aver trovato applicazione anche in relazione ai procedimenti avviati successivamente al 16 maggio 2017 – fatti salvi gli effetti degli atti già emanati ed eventuali integrazioni documentali richieste dalle autorità – al fine di coordinare la normativa nazionale con quella europea, la quale imponeva di recepire la direttiva 2014/527/ Ue entro il 16 maggio. Per i procedimenti avviati prima del 16 maggio 2017 resta, invece, applicabile la previgente disciplina, a meno che non ne sia stata richiesta la conversione entro il 19 settembre 2017. Nella prassi operativa nazionale, che registra in molti casi significativi ritardi rispetto alle tempistiche procedimentali scandite per legge, si possono avere procedimenti ancora disciplinati dalla normativa previgente.
14. In particolare, numerose sono state le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104/2017 agli allegati alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006, ovvero agli allegati II «Progetti di competenza statale», III «Progetti di competenza delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano» e IV «Progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità di competenza delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano». Mentre sono stati integralmente sostituiti gli allegati V «Criteri per la verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 19» e VII «Contenuti dello Studio di Impatto Ambientale di cui all’art. 22» e sono stati introdotti i nuovi allegati II-bis «Progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza statale» e IV-bis «Contenuti dello Studio preliminare ambientale di cui all’art. 19».
15. Per una approfondita analisi delle novità apportate in materia di ambiente e green economy dal D.L. n. 76/2020, si veda F. Rigo, L. Tronconi, Pubblicato il D.L. “Semplificazioni”: quali novità per l’ambiente?, in Ambiente&Sicurezza n. 10/2020. Per completezza si segnala che anche il cosiddetto “D.L. rilancio” (decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito in legge con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) è intervenuto sui procedimenti disciplinati nella parte II del D.Lgs. n. 152/2006, come sempre illustrato nel contributo citato. In merito alla conversione in legge del D.L. “semplificazioni”, intervenuta con la legge del 14 settembre 2020 n. 120, si veda F. Rigo, L. Tronconi Autorizzazioni e valutazioni in vigore novità sostanziali, in Ambiente&Sicurezza n. 10/2020.
16. Comunicazione pubblicata in G.U.C.E. C del 3 dicembre 2021, n. 486. Per un approfondimento dei contenuti della comunicazione si veda A.Balestreri, F.Rigo Via: la comunicazione della Commissione europea fa il punto della situazione in Ambiente&Sicurezza n. 5/2022.
17. La legge citata aveva stabilito infatti come criteri e principi direttivi per il decreto legislativo la «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale», nonché il «rafforzamento della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionalità» (art. 14).
18. Considerando 27, direttiva 2014/52/Ue: «La procedura di screening dovrebbe garantire che una valutazione dell’impatto ambientale sia richiesta solo per i progetti suscettibili di avere effetti significativi sull’ambiente».
19. Considerando 30, direttiva 2014/52/Ue: «Per migliorare la qualità di una valutazione dell’impatto ambientale, semplificare le procedure e razionalizzare il processo decisionale, l’autorità competente dovrebbe esprimere un parere, ove richiesto dal committente, sulla portata e il livello di dettaglio delle informazioni ambientali da fornire nell’ambito di rapporto di valutazione dell’impatto ambientale (definizione dell’ambito di applicazione)».
20. Il proponente trasmette, a questo fine, adeguati elementi informativi tramite apposite liste di controllo. L’art. 25, comma 1, D.Lgs. n. 104/2017, prevede che siano individuati, con uno o più decreti del ministero dell’Ambiente, anche in relazione a specifiche tipologie progettuali, i contenuti della modulistica necessaria ai fini della presentazione delle liste di controllo.
21. Sono, inoltre, sottoposti a screening le modifiche o estensioni dei progetti elencati negli allegati citati che possono avere impatti significativi e negativi sull’ambiente, nonché i progetti di competenza statale elencati nell’allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti che non sono utilizzati per più di 2 anni.
22. Il Tar Campania, con sentenza n. 840/2021, ha precisato che laddove il coinvolgimento dei soggetti interessati al procedimento venga meno, sarà necessaria la riedizione dell’intera procedura. Per questa ragione, nel caso di specie, il Tar ha annullato il provvedimento conclusivo di non assoggettabilità a Via del progetto rilevando il mancato coinvolgimento dei Comuni interessati alla realizzazione dell’impianto da parte dell’Autorità competente.
23. Sull’autonomia del procedimento di screening si veda Tar Campania n. 2370/2022. Sulla separazione dei procedimenti si era già espresso il Consiglio di Stato con sentenze n. 5092/2014 e n. 4327/2017, affermando che «la procedura di verifica dell’assoggettabilità a VIA» si configura «come vero e proprio subprocedimento autonomo che si conclude, nel rispetto delle garanzie partecipative, con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione». Sulla autonoma impugnabilità del provvedimento di non assoggettabilità, si vedano anche le sentenze Consiglio di Stato n. 2122/2018 e Tar Sicilia n. 675/2018. In tempi recenti, sul punto, anche Tar Puglia – Bari n. 1507/2019, ove si ricorda che le motivazioni degli atti conclusivi dei procedimenti di screening e di Via «non sono reciprocamente vincolate, non essendo rinvenibile alcuna disposizione o norma che imponga la consequenzialità tra le ragioni poste a fondamento della verifica di assoggettabilità e quelle espresse in sede di valutazione di impatto ambientale. L’autonomia dei due procedimenti amministrativi è predicabile anche in ragione delle distinte finalità: l’uno (verifica di assoggettabilità) essendo funzionale ad individuare i motivi che potenzialmente potrebbero rappresentare un pericolo per beni giuridici ambientali protetti; l’altro (valutazione di impatto ambientale) avendo lo scopo di verificare, in concreto, l’impatto delle progettualità proposte sui beni giuridici ambientali tutelati, senza alcun limite sullo spettro valutativo».
24. La funzione dello screening quale “sonda” della progettualità è stata ribadita recentemente da Tar Sicilia n. 490/2022.
25. Nel mese di ottobre 2022, il Mite ha pubblicato un nuovo modulo di presentazione della istanza di verifica di assoggettabilità a Via di competenza statale predisposto ai sensi dell’articolo 19, D.Lgs. n.152/2006
26. Lo studio preliminare ambientale, in estrema sintesi, contiene una descrizione del progetto e delle componenti ambientali sulle quali il progetto potrebbe avere un impatto, nonché tutte le informazioni relative ai possibili impatti derivanti da emissioni, produzione di rifiuti e uso delle risorse naturali. Si rileva che la relativa definizione ha subito minimali modifiche ad opera del D.L. “semplificazioni”.
27. Il Tar Lombardia n. 1798/2022 ha ricordato che la sottoposizione di un progetto, per il quale in precedenza sia già stata esclusa la necessità di sottoposizione a Via vera e propria, a nuova verifica di assoggettabilità, va effettuata solo qualora questo progetto sia stato oggetto di modifiche sostanziali che abbiano determinato una variazione tale da incidere in maniera significativa e negativa sull’ambiente o sulla salute umana.
28. Il Tar Sicilia n. 1988/2022 si è pronunciato in relazione alla fase procedimentale dello screening relativa all’esame della documentazione precisando che tale esame può non essere esaustivo anche se idoneo ad indirizzare l’amministrazione “prima facie” verso la decisione più opportuna. Ciò in quanto la Pa ha il potere e non il dovere di chiedere chiarimenti e sono proprio le caratteristiche della verifica di assoggettabilità che incidono sul grado di approfondimento richiesto per l’espletamento del procedimento.
29. Tar Umbria con sentenza n. 152/2021 ha giudicato illegittimo il comportamento della Regione che ha bloccato l’azione del Comune, fondata sull’art. 3-ter, D.Lgs. n. 152/2006 e il principio di precauzione, affermando che fondare il provvedimento sul principio di precauzione richiede una forte motivazione, carente nel caso di specie.
30. Consiglio di Stato nn. 3597/2021 e 4199/2021: in entrambe le pronunce, i giudici hanno ribadito che il principio di precauzione non può legittimare un’interpretazione delle disposizioni normative, tecniche e amministrative che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli.
31. Tar Marche n. 179/2022 richiama quanto affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n.5379/2020.
32. Il ministero della Transizione ecologica, nel mese di luglio 2022, ha aggiornato la modulistica per la presentazione della domanda di VIA statale. In particolare: è stato aggiornato il modulo “istanza di Via” che tiene conto dell’obbligo di allegare la relazione paesaggistica o la relazione paesaggistica semplificata (introdotto dal decreto “aiuti-bis”) ed è stato introdotto un nuovo “Modulo trasmissione integrazioni di Via”, che il proponente dovrà usare per presentare integrazioni alla domanda volontariamente o su richiesta della Commissione Via o delle altre amministrazioni interessate, all’esito della fase di consultazione del pubblico. La documentazione aggiornata si trova sul portale del Mite all’indirizzo: https://va.mite.gov.it/it-IT/ps/DatiEStrumenti/Modulistica
33. La conferenza di servizi relativa alla Via è sempre convocata in modalità simultanea (o sincrona), con le modalità descritte dagli artt. 14 e seguenti, legge n. 241/1990.
34. Le disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006 che disciplinano il procedimento di screening (art. 19), il procedimento di Via (art. 25), il procedimento unico (art. 27) e il provvedimento unico regionale (art. 27-bis), specificano – a valle della riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 104/2017 che «Tutti i termini del procedimento si considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2, commi da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241». La disposizione circoscrive gli effetti della perentorietà richiamando specificamente l’art. 2, legge n. 241/1990, che determina la responsabilità (amministrativa e disciplinare-contabile) del dirigente o funzionario inadempiente ai propri oneri (per il mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento) e la facoltà di attivazione – su istanza di parte – di poteri sostitutivi degli organi sovraordinati nonché l’art. 2-bis, riguardante la risarcibilità del danno da ritardo. Sebbene l’utilizzo del termine “perentorio” possa generare incertezze interpretative, l’analisi – tanto sul piano letterale quanto in ottica sistematica – della disposizione porta ad escludere che dal decorso dei termini procedimentali possano discendere effetti decadenziali o comunque l’esaurimento del potere di provvedere da parte della pubblica amministrazione con conseguenti profili di illegittimità del provvedimento tardivamente emanato. Dunque, laddove il termine decorra, l’amministrazione ha comunque l’onere di concludere nel più breve tempo possibile l’istruttoria. Il Tar Marche, con sentenza n.187/2021, ha confermato questo orientamento affermando che sebbene sussista l’obbligo per l’amministrazione preposta di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale e di rilascio del Paur, il mancato rispetto degli stessi non invalida l’atto conclusivo. Per un commento alla sentenza vedere A. Kiniger: Paur il criterio della vicinitas e la perentorietà dei termini nel procedimento, in Ambiente&Sicurezza, n 6/2021. Peraltro, diversamente argomentando (e quindi, riconducendo al decorso del termine la perdita del potere in capo all’Autorità), si priverebbe di qualsivoglia rilievo il riferimento operato dal legislatore ai citati articoli della legge n. 241/1990 e si giungerebbe all’irragionevole conclusione che il mancato rispetto di un qualunque termine possa imporre l’avvio di un nuovo procedimento. Ciò si porrebbe in evidente contrasto non solo con l’intento acceleratorio e di sollecitazione delle amministrazioni al rispetto delle tempistiche fissate – ratio della novella normativa – bensì anche con i principi generali, sia di matrice nazionale che comunitaria, che regolano il procedimento amministrativo (in primis, economicità ed efficacia), comportando la moltiplicazione dei procedimenti amministrativi, l’illegittimo e ingiusto aggravio procedimentale per il privato (trattandosi di procedimenti ad istanza di parte), l’inutile dispendio di risorse pubbliche e la vanificazione dell’istruttoria già avviata (sul tema si vedano anche le sentenze Consiglio di Stato n. 4333/2008 e 1239/2016). Recentemente, sul punto, si è pronunciato anche il Tar Toscana, affermando appunto che «la violazione dei termini stessi assume giuridica rilevanza solo “ai sensi e per gli effetti” di cui alle richiamate disposizioni degli articoli 2 e 2-bis della legge n. 241 del 1990, cioè ai fini di far valere la responsabilità dirigenziale, per richiedere il danno da ritardo o l’indennizzo, per attivare il potere sostitutivo, non già per inferirne la illegittimità del provvedimento per il solo fatto che sia stato emesso dopo la consumazione dei termini stessi» (Tar Toscana n. 1322/2019).
35. Un breve accenno va fatto agli oneri economici che devono essere sostenuti dal proponente per la copertura dei costi istruttori pubblici. Con il decreto direttoriale del ministero dell’Ambiente 17 gennaio 2017, n. 6, sono state definite le nuove tariffe per le attività istruttorie relative ai procedimenti di Via di competenza statale, stabilendone le modalità di pagamento. A questo provvedimento hanno fatto seguito i decreti ministeriali 4 gennaio 2018, nn. 1 e 2, che hanno, rispettivamente, definito le tariffe da applicare in relazione alle procedure di screening, Via e Vas (sostituendo il previgente decreto) e i costi per il funzionamento della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale. Infine, il decreto direttoriale 2 febbraio 2018, n. 47, ha stabilito le modalità di versamento degli oneri economici per le procedure di valutazione ambientale (e quindi tanto Vas quanto Via) di competenza statale. Va, infine, segnalata sul punto la sentenza del Tar Puglia – Bari, n. 368/2018, per la quale il deposito della certificazione di avvenuto pagamento della tariffa prevista per la copertura dei costi istruttori deve considerarsi elemento costitutivo dell’istanza di rilascio della Via e non meramente accessorio, in quanto strumentale a garantire la realizzazione delle operazioni istruttorie.
36. Le lettere g-bis e g-ter sono state introdotte dal D.L. “aiuti” (D.L. 17 maggio 2022, n. 50).
37. Le linee guida Snpa n. 28/2020, «Valutazione di Impatto Ambientale. Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale», già approvate dal consiglio Snpa nel luglio 2019, sono reperibili al seguente link: https://www.snpambiente.it/2020/05/08/valutazione-di-impatto-ambientale-norme-tecniche-per-la-redazione-degli-studi-di-impatto-ambientale/. Per approfondimenti si veda il contributo di A. Balestreri e B. Toniolo, Studio di impatto ambientale: le norme tecniche Snpa, in Ambiente&Sicurezza n. 11/2020. Si segnala che il decreto “semplificazioni” ha introdotto nel D.Lgs. n. 152/2006 una disposizione di incerta portata interpretativa, la quale dispone che «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministero della salute, sono recepite le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale, elaborate dal Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, finalizzata allo svolgimento della valutazione di impatto ambientale, anche ad integrazione dei contenuti degli studi di impatto ambientale di cui all’allegato VII alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» (art. 32, comma 3-bis).
38. Da ultimo, del Consiglio di Stato si vedano le sentenze n. 6777/2018 e 1236/2018, nonché le sentenze conformi nn. 3000/2016, 1225/2016, 4928/2014, 4566/2014, 361/2013, 3254/2012, 4246/2010, 4206/2009 e 2851/2006.
39. Il D.Lgs. n. 104/2017 ha eliminato l’obbligo in capo al proponente di pubblicazione (a spese sue) della comunicazione al pubblico, essendo ora sufficiente la pubblicazione della stessa sul sito web dell’autorità competente.
40. Si segnala che le modalità di svolgimento del dibattito pubblico sono state recentemente dettagliate nel D.P.C.M. 10 maggio 2018, n. 76.
41. Nella sentenza n. 4322/2019, il Tar Campania – Napoli ha ricordato come ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006 tutta la documentazione del procedimento di Via debba essere pubblicata sul sito web dell’autorità competente pena l’illegittimità (e quindi l’annullabilità) del procedimento autorizzatorio, non essendo sufficiente depositare gli atti del procedimento negli uffici dell’autorità competente dandone avviso, in quanto altrimenti non sarebbe garantito al pubblico la possibilità di prenderne visione.
42. Con riguardo all’individuazione del dies a quo per l’impugnazione del provvedimento conclusivo, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5608/2022, ha osservato come la pubblicazione del provvedimento non può che essere volta alla conoscibilità dello stesso a tutti i fini di legge, e dunque, anche quelli connessi all’impugnazione della Via.
43. Con sentenza n. 1423/2019 il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimazione e l’interesse ad agire anche ai Comuni limitrofi a quello in cui è in programma un determinato progetto (nello stesso senso, in precedenza, anche Tar Calabria – Catanzaro, n. 682/2018). Si veda sul punto anche Tar L’Aquila n. 237/2016.
44. Con sentenza n. 7042/2021, il Tar Lazio ha ribadito come il Consiglio di Stato avesse a più riprese sottolineato che il criterio giuridicamente rilevante per verificare la sussistenza non solo della legittimazione, ma anche dell’interesse a ricorrere, fosse dato dallo stabile collegamento (la cosiddetta vicinitas) tra ricorrente e contesto territoriale nel quale si trovava l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato. Anche il Tar Bologna, con sentenza n. 756/2021, ha ricordato come non fosse necessario dimostrare – ai fini dell’interesse un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute poiché sarebbe stata una “probatio” diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, in particolare a tutela della salute ex art. 32 Cost.
45. Sulla necessaria motivazione in caso di diniego dell’istanza si è pronunciato il Tar Umbria n. 416/2021 rigettando le doglianze di un Comune che aveva espresso una mera opposizione al progetto secondo un principio di precauzione. I giudici hanno ricordato che la disciplina prevede un dissenso “costruttivo” in ossequio a due principi fondamentali: l’imparzialità e il buon andamento della Pa. Il dissenso, pertanto, deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso. Allo stesso modo l’invocato principio di precauzione deve fondarsi sull’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa.
46. In particolare, nella recente sentenza n. 2248/2020, il Consiglio di Stato ha affermato che «la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati». La sentenza del Consiglio di Stato n. 1902/2021, nel confermare questo orientamento, ha precisato che la Via comporta un’analisi di tutte le alternative possibili, per comparare il sacrificio imposto all’ambiente con l’utilità socio-economica che viene perseguita con il progetto. Recentemente il Tar Puglia n.81/2022 ha ribadito che costituisce jus receptum il principio secondo cui «L’Amministrazione, nel formulare il giudizio sull’impatto ambientale, esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti».
47. Tra le più recenti pronunce: Consiglio di Stato n. 1191/2021, Consiglio di Stato n. 5380/2020, Tar Calabria – Reggio Calabria n. 306/2019, Tar Lombardia – Brescia n. 184/2019 e n. 1098/2018, Tar Lazio – Roma n. 449/2019, Tar Sardegna – Cagliari n. 439/2018 (in merito si veda la nota a sentenza a cura di A. Balestreri in Ambiente&Sicurezza, n. 8/2018, p. 113), Tar Piemonte n. 604/2018, Tar Sicilia n. 675/2018, Consiglio di Stato nn. 3011/2018, 392/2017 e 575/2017. Andando indietro nel tempo meritano menzione le sentenze Consiglio di Stato nn. 3938/2014, 36/2014, 4611/2013, 3561/2011; Corte di Giustizia 25 luglio 2008, C-142/07; Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 367. Rimangono comunque censurabili in giudizio l’incompetenza e la violazione di legge, nonché le più rilevanti figure sintomatiche di eccesso di potere (in particolare, per illogicità o irragionevolezza della scelta operata, oppure ancora per difetto di istruttoria, errore di fatto, travisamento dei presupposti; si vedano, sul punto, le sentenze Tar Calabria – Catanzaro n. 1147/2018, Consiglio di Stato nn. 3011/2018 e 1392/2017, Tar Piemonte n. 604/2018 e Tar Umbria n. 608/2016. Anche le S.U. della Corte di Cassazione si sono espresse conformemente a riguardo con la sentenza n. 16013/2018.
48. Nel mese di ottobre 2022, il Mite ha pubblicato il modulo di verifica dell’ottemperanza, predisposto ai sensi dell’articolo 28 del Dlgs 152/2006, che consente il controllo sul rispetto delle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a Via o nel provvedimento di Via.
49. Essendo questa la funzione propria dei monitoraggi, il Consiglio di Stato ha rilevato come non può che essere «illegittima una VIA relativa a un’infrastruttura se le relative scelte progettuali qualificanti non sono valutate in sede di VIA ma ex post in sede di osservanza delle prescrizioni. Ciò in quanto le prescrizioni servono a mitigare gli effetti del progetto sull’ambiente in fase esecutiva, ma a monte deve esserci una valutazione complessiva degli impatti ambientali» (Consiglio di Stato n. 1170/2020).
50. Il Tar Umbria n. 120/2022, in tema di validità temporale, ha precisato che «un provvedimento VIA – in qualunque momento adottato e, a maggior ragione, se adottato in epoca remota – debba ontologicamente avere una efficacia temporale limitata e non possa essere ritenuto avere efficacia sine die. Per cui, se l’efficacia temporale non risulta individuata nel provvedimento può presumersi che la stessa debba intendersi di cinque anni e che, in ogni caso, a distanza di molti anni, in un contesto fattuale e normativo necessariamente mutato, sia venuta meno». Con sentenza n. 512/2022, il Tar Emilia Romagna ha giudicato la limitazione temporale coerente con i principi di prevenzione in materia ambientale, posto che «il contesto ambientale in cui gli interventi vanno ad inserirsi è destinato a modificarsi nel tempo e si pone dunque la necessità che la compatibilità ambientale degli interventi sia ponderata sulla base di un quadro conoscitivo il più possibile aderente allo stato effettivo».
51. Si segnala che l’art. 51, D.L. “semplificazioni” dispone che la durata dell’efficacia del provvedimento di Via non possa essere inferiore a 10 anni se avente a oggetto progetti volti alla realizzazione o alla modifica di infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie e idriche esistenti e ricadenti nelle categorie progettuali di competenza statale di cui agli allegati II e II-bis alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006.
52. Il Tar Toscana ha rilevato come, in caso di richiesta di proroga, l’autorità competente debba verificare se, a distanza di tempo, permangono le condizioni necessarie per una pronuncia positiva. Peraltro, secondo il Collegio, «Non può sussistere un legittimo affidamento della ricorrente derivante dalla precedente pronuncia positiva di compatibilità ambientale perché [...] le condizioni ambientali relative alla realizzazione di un’opera possono modificarsi nel corso del tempo e quello che è ambientalmente compatibile in un determinato momento, a distanza di tempo può non esserlo più» (Tar Toscana, n. 1759/2019).
53. Nel mese di ottobre 2022, inoltre, il Mite ha pubblicato il nuovo modulo per la presentazione della domanda di proroga del provvedimento di Via.
54. Si segnala che con decreto ministeriale 28 marzo 2018 n. 94, il ministero dell’Ambiente ha definito i contenuti minimi e i formati dei verbali di accertamento, contestazione e notificazione dei procedimenti di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 152/2006 citati nel testo. Rimandando al testo del decreto, merita qui rilevare la previsione di tre diverse modalità con cui può avvenire l’accertamento: 1) accertamento diretto durante la visita in loco con eventuale e immediata contestazione; 2) accertamento successivo alla visita ispettiva in loco con contestazione differita tramite notificazione della violazione; 3) accertamento successivo a una verifica documentale in ufficio.
55. L’orientamento della Corte di giustizia europea si pone, dunque, in continuità con l’approccio già adottato in Italia in diversi contesti regionali e recentemente ribadito dal Tar Toscana n. 156/2018, nonché dalla stessa Corte di giustizia europea con sentenza del 28 febbraio 2018, causa C-117/2017.
56. Il Tar Marche, con sentenza n.484/2021, richiamando la pronuncia della corte di Giustizia Ue del 26 luglio 2017 e chiudendo una complessa vicenda autorizzatoria relativa a un impianto per la produzione di energia elettrica da biogas, ha ribadito come sia possibile una Via in sede di regolarizzazione ai sensi del diritto comunitario. Quindi, in caso di annullamento di un’autorizzazione rilasciata in assenza di Via, è possibile mantenere l’impianto qualora venga accertata, anche in via successiva, la compatibilità ambientale.
57. Interpello 29 luglio 2021, prot. 83573. Per un’analisi dettagliata dei contenuti dell’interpello si veda A. Balestreri, C.Cea e M.Polato Via postuma: la distinzione tra patologica e fisiologica in Ambiente&Sicurezza n. 7/2022.
58. La medesima pronuncia precisa poi, confermando la legittimità dell’approfondimento istruttorio svolto mediante la Vis anche sotto il profilo del rapporto con i principi di precauzione e proporzionalità: «Ancora, sotto il profilo del rapporto tra principio di precauzione e principio di proporzionalità, il Giudice osserva che “Il principio di precauzione è stato correttamente applicato e bilanciato con quello di proporzionalità: la necessità dell’approfondimento istruttorio non è una misura né eccessiva né sproporzionata rispetto all’effetto utile che si intende perseguire (l’esercizio dell’attività economica in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute delle persone), ma è anzi la soluzione più appropriata e commisurata al grado di pericolo per i rischi per la salute delle persone che abitano o lavorano nelle immediate vicinanze”».
59. La valutazione di risk assessment, secondo quanto indicato nelle linee guida, si compone a sua volta di più fasi: i) identificazione del pericolo, ii) valutazione della relazione tra dose e risposta, iii) valutazione dell’esposizione, iv) caratterizzazione del rischio.
60. Nel mese di ottobre 2022, il Mite ha pubblicato il modulo per il rilascio del provvedimento unico ambientale (Pua) da utilizzare per richiedere il provvedimento, alternativo alla Via statale, comprensivo delle autorizzazioni ambientali elencate dall’articolo 27, D.Lgs. n. 152/2006
61. Infatti, mentre all’art. 27, che disciplina il procedimento unico statale, viene espressamente previsto che «il proponente può richiedere all’autorità competente che il provvedimento sia rilasciato nell’ambito di un provvedimento unico», l’art.27-bis, che disciplina invece il procedimento unico regionale, recita: «il proponente presenta all’autorità competente un’istanza [...], allegando documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per consentire una compiuta istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio di tutte le autorizzazioni, [...] necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto». La diversa formulazione porta a far ritenere che solo nel caso di progetti di competenza statale il proponente possa scegliere se attivare il procedimento unico o richiedere unicamente la Via.
62. Con sentenza n. 603/2022, il Tar Basilicata ha precisato che una volta avviato il procedimento per il rilascio del Paur, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di concluderlo.
63. Si fa qui riferimento al documento, pubblicato dal ministero dell’Ambiente il 6 settembre 2019, dal titolo «Indirizzi operativi per l’applicazione dell’art.27 bis, D.Lgs. 152/2006: il Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale», finalizzato a contribuire all’interpretazione della disciplina in materia di Paur, dettata dall’art. 27-bis, D.Lgs. 152/2006. Per un commento di dettaglio si veda A. Balestreri, B. Toniolo Paur: punti fermi e criticità negli indirizzi operativi, in Ambiente&Sicurezza n. 1/2020.
64. Con sentenza n. 198/2018, la corte Costituzionale, respingendo le numerose questioni di legittimità costituzionale avanzate da otto Regioni e dalle due Province autonome di Trento e Bolzano, ha sostanzialmente confermato l’impianto del D.Lgs. n. 104/2017, ritenendolo coerente con la delega legislativa di semplificazione ed armonizzazione del procedimento di Via (legge n. 114/2015) e col dettato europeo cui si doveva dare attuazione (direttiva 2014/52/Ue). In particolare, la Consulta ha escluso che la novella normativa abbia eluso il dettato costituzionale in materia di ripartizione di competenze fra Stato e Regioni/Province autonome – principale ragione di impugnativa – con la riallocazione in capo allo Stato di alcuni procedimenti in materia di Via in precedenza assegnati alle Regioni nonché con l’introduzione di significative innovazioni, tra cui il provvedimento unico in materia ambientale. La sentenza, particolarmente articolata e strutturata, valorizza la Via come strumento necessario a garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente, riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato e le cui disposizioni principali devono essere qualificate come «norme fondamentali di riforma economico-sociale». Nel complesso, viene poi valorizzata l’impostazione di snellimento, unificazione e coordinamento dei procedimenti, introdotta dalla nuova disciplina.
65. Si vedano, in particolare, le sentenze della Corte Costituzionale nn. 9/2019 e n. 93/2019, entrambe in materia di Via, nonché la sentenza n. 118/2019 in materia di Vas.
66. Con sentenza n. 147/2019, la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità di numerose disposizioni della Regione Valle d’Aosta (L.R. n. 3/2018) riguardanti la separazione del procedimento di Via da quello di autorizzazione, la sottoposizione a Via di progetti non assoggettati dalla legge nazionale a questo procedimento e l’attribuzione alla conferenza dei Servizi di un ruolo meramente consultivo, snaturandone le finalità. In particolare, la Corte ha evidenziato come la materia rientri tra le competenze esclusive dello Stato, e non sia dunque derogabile nei suoi profili essenziali dalle Regioni, nemmeno se a statuto speciale. La disciplina delle procedure ambientali è dunque un ambito “chiuso”, in cui le Regioni possono intervenire soltanto in ottica di organizzazione, razionalizzazione e semplificazione senza poter introdurre ulteriori (e, secondo la Corte, ingiustificati) aggravi.
67. Tra queste, si segnalano la Regione Abruzzo (D.G.R. 14 novembre 2017, n. 660), Basilicata (D.G.R. 22 gennaio 2019, n. 46), Campania (D.G.R. 7 novembre 2017, n. 680), Emilia-Romagna (D.G.R. 30 ottobre 2017, n. 1692; L.R. 20 aprile 2018, n. 4; D.G.R. 9 luglio 2018, n. 1071), Friuli-Venezia Giulia (D.G.R. 21 marzo 2018, n. 803), Liguria (D.G.R. 12 febbraio 2018, n. 107), Lazio (D.G.R. 27 febbraio 2018, n. 132), Lombardia (D.G.R. 21 dicembre 2020 n. 4107),Toscana (L.R. n. 25/2018), Trento (L.P. 19 settembre 2019, n. 6; L.P. 23 dicembre 2019, n. 12), Umbria (D.G.R. 9 ottobre 2017, n. 1155; D.G.R. 18 dicembre 2017, n. 1541; Dd 17 ottobre 2018, n. 10641; D.G.R. 6 maggio 2019, n. 582; Dd 5 novembre 2019, n. 11081 D.G.R. 28 ottobre 2020 n. 1003 ), Veneto (D.G.R. 30 aprile 2018, n. 568).
68. Introdotto dall’art. 3, D.L. n. 115/2022, cosiddetto decreto “aiuti-bis”.
69. Ai sensi dell’art. 32, D.L. n. 115/2022, sono di rilevanza strategica i settori delle filiere della microelettronica e dei semiconduttori, delle batterie, del supercalcolo e calcolo ad alte prestazioni, della cibersicurezza, dell’internet delle cose (IoT), della manifattura a bassa emissione di CO2, dei veicoli connessi, autonomi e a basse emissioni, della sanità digitale e intelligente e dell’idrogeno, individuate dalla Commissione Ue come catene strategiche del valore.
70. Sulle finalità proprie del procedimento di Vas si veda la sentenza del Tar Marche n. 429/2019. Sulla discrezionalità tecnico-amministrativa che caratterizza anche questo procedimento, si vedano le sentenze del Tar Piemonte n. 1235/2019 e Tar Toscana n. 342/2020.Sulla distinzione tra Vas e Via si veda la sentenza del Tar Sicilia n. 380/2022.
71. Come ricordato dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 118/2019), la disciplina della Vas configura un complesso normativo idoneo a vincolare la potestà legislativa di Regioni e Province autonome. Invero, nonostante la Vas attenga alla materia “tutela dell’ambiente” di competenza esclusiva dello Stato, le norme che la disciplinano sono configurabili come norme fondamentali delle riforme economico-sociali sia per il loro contenuto riformatore che per la loro attinenza a un bene comune, qual è quello ambientale, di primaria importanza per la vita sociale ed economica. Conseguentemente, anche la competenza legislativa primaria regionale in tema di “tutela del paesaggio”, ne risulta vincolata, posto che questa deve essere esercitata nel rispetto delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».
72. Il Consiglio di Stato, con sentenza n.7598/2022, ha precisato che se è vero che vanno sottoposti a valutazione ambientale strategica i Piani e Programmi che costituiscono il quadro di riferimento in cui entrano progetti da sottoporre a screening o Via, è altrettanto vero che ai sensi dell’articolo 6, commi 3 e 3-bis, Dlgs 152/2006 l’Autorità competente può sempre verificare se Piani o Programmi che siano il quadro regolatorio di progetti esclusi dallo screening o dalla Via, producono effetti negativi sull’ambiente e quindi decidere di sottoporli a valutazione ambientale strategica.
73. L’art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 dispone infatti che: «Sono comunque esclusi dal campo di applicazione del presente decreto: a) i piani e i programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale caratterizzati da somma urgenza o ricadenti nella disciplina di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni; b) i piani e i programmi finanziario di bilancio; c) i piani di protezione civile in caso di pericolo per l’incolumità pubblica; c-bis) i piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, redatti secondo i criteri della gestione forestale sostenibile e approvati dalle regioni o dagli organismi dalle stesse individuati».
74. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 197/2014, ha evidenziato come non sia possibile per le regioni prevedere a priori e sulla base di criteri astratti l’esclusione dalla procedura di Vas (o dalla verifica di assoggettabilità) di determinati piani o programmi. Sulla possibilità per la PA di non sottoporre a Vas modifiche minori, ad esempio, ai Piani regolatori, si veda la sentenza Tar Marche, n. 180/2020.
75. Il Tar Lombardia, con sentenza n. 2662/2020, si è pronunciato con riguardo all’individuazione dell’autorità competente in materia di VAS: dopo aver richiamato la sentenza della Cgue 20 ottobre 2011 in causa C-474/10 e quella del Consiglio Stato n. 4081/2015, il Tar ha confermato che, qualora l’autorità competente per la predisposizione e adozione del piano coincida con quella competente ad esprimere la Vas, è necessaria una separazione funzionale che garantisca un’autonomia effettiva.
76. Le sezioni unite della Corte di Cassazione civile, nella sentenza n. 31240/2017, ricordano in questo senso che l’«autorizzazione in esame è definita, appunto, “integrata” perché con essa, al fine di uniformarsi ai principi di integrated pollution prevention and control (IPPC) dettati dall’Unione europea a partire dal 1996, si è passati da autorizzazioni di tipo settoriale ad un controllo complessivo, con il quale nelle relative valutazioni tecniche sono considerati congiuntamente i diversi danni sull’ambiente causati dall’attività da autorizzare».
77. Sulla definizione di capacità produttiva dell’impianto è intervenuta, da ultimo, la circolare n. 27569/2016. Per approfondimenti si rimanda al contributo di A. Balestreri, AIA: le novità nella nota del Ministero dell’Ambiente del 14 novembre 2016, in Ambiente&Sicurezza, n. 2/2017.
78. Nella sentenza n. 2733/2020, il Consiglio di Stato ricorda come la conferenza dei servizi decida secondo un criterio maggioritario, per cui il dissenso di un ente non determina automaticamente la conclusione negativa del procedimento. Del resto, l’Aia è un provvedimento nel quale convergono tutti gli atti di autorizzazione, non la mera sommatoria dei singoli provvedimenti di competenza degli enti chiamati a partecipare. Un eventuale potere di veto può, pertanto, essere riconosciuto in capo alle singole amministrazioni partecipanti solo qualora siano preposte alla tutela della salute o del paesaggio. Con la recente sentenza n. 1714/2021, il Consiglio di Stato dopo aver ricordato che l’Aia è un provvedimento autonomo e non una sommatoria di diversi atti ha precisato che, per quanto attiene all’impugnazione del provvedimento rilasciato dalla conferenza dei servizi, è necessario impugnare l’adozione della determinazione conclusiva e non la determinazione stessa. Inoltre, nella medesima pronuncia, il Collegio ha evidenziato che il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 14-ter, legge n. 241/1990, non determina un’invalidità del provvedimento adottato ma un mero obbligo di adozione dello stesso.
79. Per approfondimenti sul procedimento di Aia ed i relativi adempimenti, si veda anche il contributo dello Studio B&P Avvocati, Autorizzazione integrata ambientale. Tutte le procedure, in Ambiente&Sicurezza, n. 7/2019.
80. Con sentenza n. 1881/2022, il Tar Campania si è pronunciato sul rapporto tra Via e Aia. La pronuncia ricorda che la Via è preordinata a sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso l’apporto dei concorrenti fattori idonei ad evidenziare le ricadute sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera. L’Aia, invece, è il provvedimento che sostituisce, uno actu, tutti i numerosi titoli che erano precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e investe gli aspetti gestionali, ubicativi e strutturali dell’impianto. I giudici, tuttavia, hanno evidenziato come l’ampiezza delle valutazioni svolte in relazione all’autorizzazione integrata ambientale si rifletta sulla procedura di valutazione di impatto ambientale, nella quale assumono rilievo necessariamente anche gli studi effettuati in vista del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Pertanto, quando sono necessarie sia la Via sia l’autorizzazione integrata ambientale, la prima assume una funzione accessoria e può subire la retroazione della seconda, la quale, seppure successiva, cronologicamente si basa su un’istruttoria particolarmente ampia e idonea anche a incidere su aspetti già considerati al momento della verifica dell’impatto ambientale. Dunque, pur essendo la Via orientata alla verifica della compatibilità ambientale della localizzazione scelta dai promotori del progetto, tale obiettivo non può dirsi pienamente raggiunto finché non sia stato confermato nell’autorizzazione integrata ambientale
81. Il Ministero dell’ambiente ha approvato, con decreto direttoriale 10 ottobre 2019, n. 311, la nuova modulistica per la presentazione della domanda di Aia di competenza statale (pubblicata al seguente link: https://va.minambiente.it/it-IT/Comunicazione/DettaglioDirezione/1880), che va a sostituire quella approvata con decreto direttoriale 15 marzo 2016, n. 86.
82. Il provvedimento di Aia riguarda oggi l’installazione, definita come l’«unità tecnica permanente, in cui sono svolte una o più attività elencate all’allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull’inquinamento. È considerata accessoria l’attività tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore». Si tratta di una novità in quanto, prima del recepimento della direttiva Ied, il paramento di riferimento era l’impianto, definito come l’«unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato VIII e qualsiasi altra attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte nel luogo suddetto e possano influire sulle emissioni e sull’inquinamento».
83. Si vedano i criteri e le procedure riportati negli artt. 239 e seguenti, D.Lgs. n. 152/2006, approfonditi nel capitolo 5.
84. Ci si riferisce alla comunicazione della Commissione europea 2014/C 136/01, «Linee guida della Commissione Europea sulle relazioni di riferimento di cui all’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/Ue relativa alle emissioni industriali», la cui rilevanza è stata anche confermata nella sentenza del Tar Calabria – Catanzaro, n. 682/2018.
85. Si veda il D.M. 13 novembre 2014, n. 272 modificato, da ultimo, dal D.M. 17 luglio 2015, n. 141. I criteri di determinazione delle garanzie finanziarie – finalizzate a garantire l’obbligo di ripristino del sito al momento della cessazione delle attività, ai sensi dell’art. 29-sexies, comma 9-septies D.Lgs. n. 152/2006 – sono stati fissati dal D.M. 26 maggio 2016, n. 141, modificato poi dal D.M. 28 aprile 2017. Su quest’ultimo si veda il commento di A. Kiniger, Relazione di riferimento garanzie meno gravose, in Ambiente&Sicurezza, n. 9/2017.
86. Si vedano, ad esempio, le note del ministero dell’Ambiente 17 giugno 2015, n. 12442, 27 ottobre 2014, n. 22295 e 14 novembre 2016, n. 27569.
87. Avendo natura regolamentare (aspetto che viene giustificato dal Tar Lazio sia in relazione ai contenuti che ai destinatari del decreto), il D.M. avrebbe dovuto essere emanato secondo il procedimento scandito dall’art. 17, legge n. 400/1998. Invece, non è stato comunicato al presidente del Consiglio dei ministri prima dell’emanazione, né sottoposto al parere del Consiglio di Stato e al visto e registrazione della Corte dei conti e neppure pubblicato in Gazzetta Ufficiale, essendone stata resa nota la sola emanazione con un breve comunicato comparso in Gazzetta Ufficiale da cui, peraltro, non emergeva la natura regolamentare.
88. Per un approfondimento dei contenuti si veda A. Kiniger, Relazione di riferimento: il minAmb ci riprova, in Ambiente&Sicurezza n. 8/2019.
89. Sul punto è intervenuta la circolare 14 novembre 2016, n. 27569, da un lato, dettagliando le diverse azioni da attuare alla cessazione definitiva delle attività, d’altro lato, valorizzando l’autonomia e specialità della disciplina in materia di bonifiche, nel tentativo di coordinare le due discipline. In primo luogo, la circolare dispone che alla cessazione delle attività debbano essere realizzati i seguenti interventi: i) pulizia, protezione passiva e messa in sicurezza degli impianti; ii) ripristino ambientale del sito alle condizioni della relazione di riferimento; iii) dismissione delle infrastrutture; iv) eventuale bonifica del sottosuolo e delle acque sotterranee. Queste attività, nella maggior parte dei casi, dovranno essere disciplinate da apposite disposizioni contenute in Aia. In secondo luogo, è chiarito – con specifico riferimento ai casi in cui sia stata prodotta la relazione di riferimento – che, al momento della cessazione dell’attività, il gestore dovrà provvedere «ad una nuova valutazione dello stato di contaminazione» ed eventualmente provvedere «a ripristinare il sito». Infine, si evidenzia che la circolare, nell’individuare gli interventi di ripristino ambientale da effettuare, riconosce che la bonifica «può avere qualche connessione con gli obblighi recati dall’articolo 29-sexies, comma 9-quinquies, del D.lgs. 152/06, poiché, ai sensi delle lettere d) ed e) di tale comma, nell’AIA dovrebbero essere presenti condizioni sostanzialmente volte a garantire la successiva bonifica, ove necessaria». Ciò, tuttavia, non pare sufficiente a chiarire del tutto i dubbi sulla piena sovrapponibilità degli oneri di ripristino previsti nelle disposizioni in materia di Aia e in quelle in tema di bonifiche. Per ogni approfondimento si rimanda al contributo di A. Balestreri, AIA: le novità nella nota del Ministero dell’Ambiente del 14 novembre 2016, in Ambiente&Sicurezza, n. 2/2017.
90. I tempi attesi sono comunque lunghi, considerato che la rilevanza sostanziale della relazione di riferimento si ha in caso di dismissione dell’attività o di compravendita del sito.
91. Sul tema è intervenuta la circolare ministeriale n. 27569/2016 chiarendo alcuni dubbi operativi, ovvero specificando che: i) il riesame a seguito di aggiornamento delle Bat deve riguardare l’intera installazione e non può limitarsi alla verifica della coerenza dell’autorizzazione con le conclusioni sulle Bat; ii) se l’Aia già le tiene «effettivamente in conto» e «cita espressamente» le più recenti conclusioni sulle Bat, non dovrà essere attivato un nuovo riesame, pena un inutile aggravio procedimentale; iii) il procedimento di riesame deve essere comunque attivato anche in presenza – o pendenza – di proce-dimenti di Via, sebbene negli stessi si sia tenuto conto delle nuove conclusioni sulle Bat.
92. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6513/2022, ha precisato che l’elenco delle ipotesi di riesame dell’Aia contemplato dall’articolo 29-octies, D.Lgs. n. 152/2006 è tassativo e non esemplificativo.
93. Con sentenza n. 8487/2021, Il Tar Lazio ha confermato che per la definizione di modifica sostanziale di un progetto occorre fare riferimento all’articolo 5, comma 1, lettera l-bis), D.Lgs. n. 152/2006 e ha sottolineato il ruolo decisivo della valutazione dell’autorità competente sui possibili effetti ambientali o sanitari della modifica proposta.
94. Sul tema è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato con sentenza n. 2679/2021 affermando che se un impianto è soggetto ad Aia, le modifiche sostanziali devono considerarsi individuate nell’art. 5, comma 1, lettera l-bis), D.Lgs. n. 152/2006, che si riferisce ai valori soglia di cui alla allegato VIII, parte II, D.Lgs. n. 152/2006. Costituisce , quindi, modifica “sostanziale” dell’Aia, per ciascuna attività per la quale l’allegato VIII indica valori di soglia, una modifica all’installazione che dia luogo a un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa (fattispecie in tema di aumento volumetrico di una discarica). Contestualmente, i giudici hanno precisato che non è da escludersi che l’autorità competente, con espressa e specifica motivazione, possa giudicare “sostanziale” qualsivoglia altra tipologia di intervento a seguito di proprio motivato parere in sede istruttoria. Trattasi, in questo caso, di valutazione “aggiuntiva” dell’Autorità procedente, non imposta dal legislatore.
95. Da segnalare due sentenze del Trga Trento n. 300/2017 e n. 86/2018, con le quali il tribunale ha sostenuto che rientri, tra le modifiche di una installazione sottoposta ad Aia, anche la modifica delle materie prime utilizzate nel ciclo produttivo. Da ultimo il Tar Lazio, con sentenza n. 8487/2021 ha stabilito che anche le varianti progettuali per l’adeguamento energetico di un impianto di gassificazione integrano una modifica sostanziale.
96. Sul carattere di silenzio-assenso del mancato riscontro alla comunicazione di una modifica ritenuta non sostanziale dal gestore di un impianto soggetto ad Aia si è pronunciato recentemente il Tar Piemonte con sentenza n. 737/2022. I giudici hanno precisato che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, l’art. 29-nonies, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 non introduce alcun meccanismo di silenzio assenso, ma stabilisce solamente che in caso di modifiche ritenute sostanziali dall’amministrazione, questa ne dia notizia entro 60 giorni al gestore; decorso questo termine si potrà dar corso alle modifiche comunicate.
97. Con la recente sentenza n. 12232/2022, il Tar Lazio ha precisato che, laddove vi siano dubbi circa la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 35, comma 3, D.L. n. 77/2021 – legate alla invariabilità della capacità produttiva dell’impianto e al rispetto dei limiti di emissione per il coincenerimento dei rifiuti la Pa è legittimata a ordinare la presentazione di nuova istanza autorizzativa; ciò in quanto, anche a fronte di esigenze di semplificazione procedurale, permane in capo all’amministrazione un’ampia discrezionalità tecnica riguardo alle valutazioni di operatività della disciplina.
98. Il riferimento è alla circolare del ministero dell’Ambiente del 14 novembre 2016 («Criteri e modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46») laddove si evidenzia che «gli esiti dell’autocontrollo potrebbero essere affetti da imprecisioni o essere fraintesi, e per tanto senza una verifica tecnica non costituiscono di per sé automatica evidenza della violazione» e, conseguentemente, si chiarisce che «l’individuazione delle situazioni di mancato rispetto dell’AIA e la proposizione delle misure da adottare è compito degli enti di controllo, previa valutazione e verifica delle comunicazioni del gestore».
99. La Corte di Cassazione, sez. III penale, con sentenza n. 48401/2019 ha ritenuto legittima la sanzione applicata in relazione ai contenuti degli autocontrolli precisando, tuttavia, che non vi è automaticità tra il mero dato del superamento dei valori rilevato in sede di autocontrollo e la sanzione penale, in quanto il Giudice deve comunque effettuare una valutazione complessiva della posizione dell’imputato, dei profili tecnici e della rilevanza delle violazioni. Per un commento alla sentenza vedere D. Salvagno, AIA: superamento dei valori ottenuti in sede di autocontrollo e accertamento delle violazioni, in Ambiente&Sicurezza n 4/2020.
100. Questa disposizione assume ulteriore rilievo in relazione all’introduzione del reato di impedimento del controllo (art. 452-septies, codice penale, introdotto con legge n. 68/2015, cosiddetta “legge sui reati ambientali”) il quale prevede che chiunque, «negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».
101. La giurisprudenza maggioritaria afferma che l’art. 29-decies, elencando le sanzioni che l’amministrazione può comminare per l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, applica i principi di proporzionalità e gradualità delle sanzioni. Conseguentemente, la revoca dell’Aia è da ritenersi l’estrema e ultima decisione che l’Amministrazione può prendere, dovendo per il resto attuare le ulteriori previsioni sanzionatorie secondo la scansione prevista per legge ed individuando (in ottica di proporzionalità) le misure meno afflittive per il gestore a parità di obiettivi. Sul tema, da ultima, si veda la sentenza del Tar Friuli-Venezia Giulia, n. 125/2020.
102. Con sentenza n. 674/2021, il Tar Lombardia ha accolto un ricorso in ordine a due diffide emanate nei confronti della ricorrente valorizzando sia la correttezza dell’operato della società quanto l’interesse all’annullamento funzionale a evitare le “reiterate violazioni” in presenza delle quali l’amministrazione sarebbe stata legittimata, in caso di future violazioni, a irrogare sanzioni più gravi, tra cui la revoca dell’autorizzazione e l’ordine di chiusura degli impianti.
103. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 5582/2017 ha sottolineato la differenza tra diffida “mera” e diffida sanzionatoria: «Sono del tutto corrette e meritano di essere condivise le considerazioni [secondo le quali], nell’ambito delle previsioni dell’art. 29-decies, comma 9, lett. a), b) e c), del codice dell’ambiente [...] occorre distinguere fra mere diffide, che rientrano nelle funzioni di controllo e accertamento attribuite all’ente dall’art. 197, comma 1, lett. b), del codice stesso, e diffide connesse a provvedimenti di sospensione o revoca dell’autorizzazione in corso, che hanno effettivamente natura sanzionatoria e ricadono nella competenza regionale». Similmente, si veda la sentenza del Consiglio di Stato, n. 422/2012.
104. Il Tar Veneto, con sentenza n. 481/2022, ha precisato che la sospensione, come effetto della mancata comunicazione di una modifica apportata all’impianto, è illegittima se l’amministrazione non ha motivato la relazione tra l’inottemperanza all’Aia e il verificarsi di un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente.
105. In riferimento alle Bat di alcuni settori industriali sono stati emanati a livello regionale indirizzi applicativi per fornire indicazioni condivise per la gestione dei procedimenti autorizzativi. Tra questi, a titolo esemplificativo: Lombardia (D.G.R. 20 luglio 2020 n. 3398; D.G.R. 20 novembre 2020 n. 3895), Marche (D.G.R. 20 aprile 2020, n. 469).
106. La procedura di comitato è la procedura con la quale la commissione europea esercita i poteri di esecuzione che le sono conferiti dal legislatore Ue. Il nome è dovuto al fatto che, nell’esercitare questi poteri, la commissione è assistita da comitati composti da rappresentanti degli Stati membri i quali forniscono un parere sull’attuazione degli atti proposti.
107. Sul punto è intervenuto il Tar Veneto affermando, con sentenza n. 65/2020, che per applicare le deroghe di cui all’art. 29-sexies, D.Lgs. n. 152/2006 deve essere fornita prova rigorosa della sproporzione tra i vantaggi di tipo ambientale e le conseguenze economiche dell’applicazione delle migliori tecniche disponibili.
108. Per un approfondimento si veda il contributo dello Studio B&P Avvocati Autorizzazione unica ambientale richiesta e modifica, in Ambiente&Sicurezza, n. 5/2019. Sempre in tema di Aua si veda anche: L. Butti, A. Kiniger, A. Balestreri, M. Molinaro, Autorizzazione Unica: novità e punti critici, in Ambiente&Sicurezza, n. 12/2013; L. Butti, Autorizzazione Unica Ambientale: risposte ai primi dubbi interpretativi, in Ambiente&Sicurezza, n. 15/2013; L. Butti, AUA – Il nuovo modello unico, in Ambiente&Sicurezza, n. 14/2015.
109. In questo senso si vedano le «Linee guida applicative sul D.P.R. 59/2013» di Confindustria, datate 24 luglio 2013, e la circolare della Regione Lombardia 5 agosto 2013 n. 19 «Primi indirizzi regionali in materia di autorizzazione unica ambientale».
110. Con la sentenza n. 1254/2018, il Tar Campania ha ricordato come ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. n. 59/2013, il Suap del Comune sia mero organo coordinatore-attuatore, mentre l’adozione del provvedimento autorizzativo spetta all’autorità competente. Con la recente sentenza n.3516/2021, il Consiglio di Stato ha specificato che, se è vero che ai fini del rilascio dell’Aua, ai sensi del D.P.R. n. 59/2013, l’autorità competente è la Provincia, questa autorizzazionesempre in base a tale norma“confluisce” nel provvedimento conclusivo del procedimento la cui adozione viene affidata al Suap comunale.
111. Si veda, in questo senso, anche il parere del Consiglio di Stato n. 431/2016 avente ad oggetto «Norme per il riordino della disciplina in materia di Conferenza di Servizi, art. 2, l. n. 124/2015», p. 20, paragrafo 10.4.
112. Con sentenza n. 524/2019, il Tar Puglia ha chiarito che non spetta al gestore dell’impianto determinare la natura rilevante o meno delle modifiche apportate allo stesso in considerazione dei possibili effetti sull’ambiente, bensì all’autorità. Ciò in quanto il D.P.R., da un lato, indica l’obbligo di comunicare ogni modifica che «possa produrre effetti sull’ambiente» e non delle sole modifiche che effettivamente li producano; dall’altro, attribuisce all’autorità competente il compito di decidere se una modifica produca o meno effetti sull’ambiente, e ciò al fine di sottoporre al controllo pubblico tutte le modifiche potenzialmente idonee a modificare l’ambiente.

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