Via postuma: i chiarimenti del Mite

Via postuma chiarimenti Mite
La risposta del ministero della Transizione ecologica 4 aprile 2022, n. 43387 a un quesito della Provincia di Cremona

Via postuma: i chiarimenti del Mite in risposta a un interpello della Provincia di Cremona. In particolare, i temi per i quali l'amministrazione provinciale si è rivolta al ministero riguardano:

  • «attività autorizzate/concesse prive della compatibilità ambientale in applicazione di legislazioni regionali, non in linea con i principi dettati dalla normativa nazionale che ad oggi richiedono rinnovi tal quali, rinnovi con varianti, subentri e nuove concessioni [esempio: presentazione istanza oltre la scadenza del rinnovo]»;
  • «attività autorizzate/concesse prima dell’entrata in vigore della normativa in materia di VIA che ad oggi richiedono rinnovi tal quali, rinnovi con varianti, subentri e nuove concessioni [esempio: presentazione istanza oltre la scadenza del rinnovo]».

Il dicastero, dopo un'esaustiva analisi della disciplina in materia di Via postuma, distinguendo tra avvenuta realizzazione di un progetto senza una previa valutazione ambientale, (a) pur essendo vigenti delle disposizioni che ne imponevano lo svolgimento e (b) perché antecedente all’entrata in vigore delle relative disposizioni, passa a rispondere ai quesiti.

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Di seguito il testo integrale della risposta ministeriale.

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Risposta del ministero della Transizione ecologica 4 aprile 2022, n. 43387

Oggetto: Interpello ambientale della Provincia di Cremona, Settore Ambiente, nota prot. n. 52058/2021. Procedure di Verifica di VIA e VIA per progetti già oggetto di concessione di derivazione superficiale e sotterranea. Riscontro Interpello in materia ambientale ai sensi dell’art. 3-septies del D.Lgs. 152/2006, e s.m.i.

Con nota prot 0062196 del 12/10/2021, acquisita con prot. n. 110251/MATTM del 13/10/2021, codesta Amministrazione ha presentato istanza di interpello ambientale ai sensi dell’art. 3 septies del D.Lgs. 152/2006, ponendo due quesiti aventi ad oggetto l’applicabilità della disciplina in materia di VIA postuma e verifica di assoggettabilità postuma [applicazione dell’art. 29 del D. Lgs. 152/06 e succ. mod.], con particolare riferimento alle concessioni di derivazione.

Nella sopra menzionata nota, in particolare, venivano sottoposti due quesiti aventi ad

oggetto:

-       «1. Attività autorizzate/concesse prive della compatibilità ambientale in applicazione di legislazioni regionali, non in linea con i principi dettati dalla normativa nazionale che ad oggi richiedono rinnovi tal quali, rinnovi con varianti, subentri e nuove concessioni [esempio: presentazione istanza oltre la scadenza del rinnovo]».

-       «2. Attività autorizzate/concesse prima dell’entrata in vigore della normativa in materia di VIA che ad oggi richiedono rinnovi tal quali, rinnovi con varianti, subentri e nuove concessioni [esempio: presentazione istanza oltre la scadenza del rinnovo]».

I quesiti posti concernono la delicata disciplina inerente alla VIA cd. postuma e le relative declinazioni.

Pertanto, prima di procedere alla risposta ai quesiti si condurrà, di seguito, una disamina di tale istituto al fine di chiarirne i principali profili critici, anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto.

***

La valutazione di impatto ambientale e la verifica di assoggettabilità a VIA (d’ora in avanti entrambe individuate nella generica locuzione “valutazioni ambientali”), hanno come caratteristica ontologica la propria natura “preventiva”.

In altri termini, le valutazioni ambientali si compiono con riferimento al “progetto” di un’opera prima che questa sia realizzata. Ciò al fine di consentire, per un verso, una maggiore efficacia della  valutazione che può disporre una modifica anche sostanziosa del progetto in termini di adeguamento alle esigenze di tutela ambientale, e, per altro verso, al fine di evitare ab origine il verificarsi di eventi pregiudizievoli nei confronti dell’ambiente circostante, intervenendo dunque prima della realizzazione dell’opera potenzialmente impattante, in applicazione del cd. principio di prevenzione.

Altrettanto rilevante è la nozione stessa di “progetto”[1]Non tutti i “progetti” sono soggetti a valutazioni ambientali, bensì solo quelli elencati negli allegati II, II-bis, III e IV, della parte seconda del D.lgs. 152/2006. Si tratta di “progetti” con riferimento ai quali è già stata valutata ex lege l’esistenza di una possibilità di produzione di impatti ambientali significativi e negativi., che è definito all’art. 5, comma 1, lett. g), D.lgs. 152/2006 nei seguenti termini: «la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo».

La corrispondenza di un’attività antropica alla definizione di progetto, e poi l’annoveramento di quel determinato progetto nell’ambito degli allegati II, II-bis, III e IV, della parte seconda del D.lgs. 152/2006 (d’ora in avanti anche solo “allegati VIA”), sono condizioni necessarie perché possa trovare applicazione la disciplina in materia di valutazioni ambientali (d’ora in avanti anche solo “disciplina VIA”).

Ciò premesso, è oggetto del presente quesito, l’individuazione della corretta disciplina applicabile all’ipotesi peculiare in cui la realizzazione di un “progetto” (riconducibile agli allegati VIA) non sia stata preceduta da una valutazione ambientale.

L’ipotesi descritta va, innanzi tutto, divisa in due declinazioni ben differenti:

a)     L’avvenuta realizzazione di un progetto senza una previa valutazione ambientale, pur essendo vigenti delle disposizioni che ne imponevano lo svolgimento.

b)     L’avvenuta realizzazione di un progetto senza una previa valutazione ambientale perché antecedente all’entrata in vigore delle relative disposizioni, e dunque, prima dell’entrata in vigore e recepimento della prima direttiva in materia di VIA, la direttiva 85/335/CE, corrispondente al 3 luglio 1988.

Si tratta di due casi radicalmente diversi l’uno rispetto all’altro, poiché nel caso sub a) l’impianto è stato realizzato in diretta violazione delle disposizioni vigenti che imponevano lo svolgimento di un procedimento di valutazione ambientale, e pertanto la relativa realizzazione assume tratti di evidente illegittimità.

Nel caso sub b), invece, il progetto è stato realizzato nella vigenza di un contesto normativo che non imponeva lo svolgimento di valutazioni ambientali, e pertanto è stato realizzato in piena e totale legittimità.

Con riferimento ad entrambi i casi è lecito domandarsi – ad oggi – che applicazione può trovare la disciplina in materia di valutazioni ambientali.

Il caso sub a), e cioè la realizzazione di un progetto senza la previa valutazione ambientale pur essendo questa prescritta dalla legge applicabile ratione temporis, è l’ipotesi di più pronta soluzione, in quanto è espressamente normata nell’ordinamento italiano (art. 29, comma 3, D.lgs. 152/2006) ed è stata oggetto di numerose pronunce da parte della Corte di Giustizia UE.

Tale ipotesi, infatti, si colloca in un contesto “patologico”, nell’ambito del quale il proponente ha realizzato il progetto (o parte di esso) illegittimamente, in violazione dunque delle norme vigenti. Ci si trova, pertanto, innanzi ad un fatto illecito del proponente stesso.

In ogni momento in cui l’autorità competente venga a conoscenza della realizzazione illegittima di un progetto (o di parte di esso) deve, ai sensi dell’art. 29, comma 3, Dl.gs. 152/2006:

  • assegnare un termine all'interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento di valutazione ambientale;
  • valutare la possibilità di consentire la prosecuzione dei lavori o delle attività, ma solo a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale.

 

Il procedimento di valutazione ambientale che scaturirà dall’impulso dato dall’autorità competente, tuttavia, sarà un procedimento del tutto peculiare, poiché avrà ad oggetto un progetto già realizzato, perdendo, dunque, quella funzione preventiva che costituisce il presupposto fondante della disciplina in materia di VIA.

Si tratterà, appunto, di un procedimento di VIA postuma.

Tuttavia, come chiarito dalle numerose pronunce della CGUE sul punto, tale VIA postuma non potrà svolgere una funzione di “sanatoria” dell’illecito perpetrato dal proponente. Al contrario, al fine di preservare la piena efficacia della disciplina delle valutazioni ambientali e di recuperare la relativa natura preventiva, la valutazione non andrà condotta con riferimento ai soli impatti ambientali futuri, bensì dovrà tener conto di quelli prodotti fin dalla realizzazione dell’opera, dovrà, cioè, consistere in un giudizio “ora per allora”. Su tutte si vedano CGUE C-196/16 «una valutazione effettuata dopo la realizzazione e la messa in servizio di un impianto non può limitarsi all’impatto futuro di quest’ultimo sull’ambiente, ma deve prendere in considerazione altresì l’impatto ambientale intervenuto a partire dalla sua realizzazione».

La valutazione, pertanto, dovrà essere del tutto indifferente all’avvenuta realizzazione dell’opera considerando anche un possibile esito negativo: «Il fatto che il progetto sia già stato realizzato non deve incidere in modo determinante sulla nuova valutazione, al fine di evitare di indurre a realizzare un progetto in un primo tempo in modo abusivo, senza previa valutazione» (CGUE C- 196/16 – conclusioni avvocato generale).

È il legislatore stesso all’art. 29, comma 3, a precisare che, ove il proponente non rispetti il termine assegnato per l’avvio del procedimento, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di VIA abbia contenuto negativo, l’autorità competente sarà tenuta a disporre la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile.

Si tratta, dunque, di un procedimento di valutazione ambientale che ha contenuti molto incisivi e che può avere conseguenze travolgenti nei confronti del proponente, poiché interviene in un contesto di illegittima realizzazione dell’opera, e dunque in un contesto patologico.

Per tale ragione – anche al fine di distinguere l’istituto dal caso sub b) – è possibile denominare il procedimento di VIA postuma in argomento come: “VIA postuma patologica”.

 

Art. 29, comma 3, D.lgs. 152/2006

 

Nel caso di progetti a cui si applicano le disposizioni del presente decreto realizzati senza la previa sottoposizione al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, al procedimento di VIA ovvero al procedimento unico di cui all’articolo 27 o di cui all’articolo 27 bis, in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, ovvero in caso di annullamento in sede giurisdizionale o in autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto già realizzato o in corso di realizzazione, l’autorità competente assegna un termine all’interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento e può consentire la prosecuzione dei lavori o delle attività a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale. Scaduto inutilmente il termine assegnato all’interessato, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di VIA, adottato ai sensi degli articoli 25, 27 o 27 bis, abbia contenuto negativo, l’autorità competente dispone la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le modalità. In caso di inottemperanza, l’autorità competente provvede d’ufficio a spese dell’inadempiente. Il recupero di tali spese è effettuato con le modalità e gli effetti previsti dal testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639.

 

L’ipotesi descritta sub b) è, invece, profondamente differente.

In tale scenario, infatti, il progetto è stato realizzato in un momento storico in cui non vi era nessuna disposizione che imponesse lo svolgimento di una previa valutazione ambientale. La realizzazione dell’opera è, pertanto, pienamente legittima, in quanto preesistente alla normativa ambientale di riferimento (prima direttiva VIA, entrata in vigore il 3 luglio 1988). Non sussiste, dunque, alcun tratto “patologico” in quanto non vi è alcuna violazione normativa.

Ne consegue che è fin da subito possibile escludere l’applicabilità dell’istituto della VIA postuma “patologica” (il cui presupposto applicativo risiede proprio nella violazione della disciplina in materia di VIA), così come disciplinato dall’art. 29, comma 3, D.lgs. 152/2006.

In linea di principio, poi, è possibile affermare che non sembra rinvenibile alcuna disposizione, nazionale o europea, che consenta di applicare la disciplina in materia di valutazioni ambientali ove tale progetto, realizzato prima dell’entrata in vigore della disciplina, rimanga successivamente invariato sia in termini fisici che autorizzativi.

Ciò poiché vige nel nostro ordinamento il principio di irretroattività delle norme giuridiche (art. 11, disp. Prel. c.c.).

Il tema dell’applicabilità della disciplina in materia di valutazioni ambientali, invece, si pone con riferimento alle ipotesi di modifica dell’opera e/o di rinnovo del relativo titolo autorizzativo.

Si tratta di due ipotesi non sempre sovrapponibili, ma per entrambe l’interrogativo è il medesimo: se è possibile sottoporre a VIA (postuma) ed eventualmente in che modo, la parte di opera preesistente che rimane invariata.

Anche in tali casi la generale applicazione della disciplina VIA è condizionata dall’esistenza dei presupposti già ricordati supra.

In primo luogo, l’intervento di modifica o rinnovo deve integrare la nozione di «progetto», e in secondo luogo deve trattarsi di un progetto contenuto negli Allegati VIA.

Con riferimento al primo punto, ricordando che la definizione di progetto è la seguente: «la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo», è opportuno formulare le seguenti osservazioni.

In termini generali sembra dover essere esclusa l’applicabilità della disciplina VIA ad ipotesi in cui l’attività compiuta non sia in nessun modo riconducibile a tale ampia definizione.

Emblematica sul punto è la pronuncia della CGUE (causa C-275/09) che a fronte di un mero rinnovo di un’autorizzazione, senza alcuna attività di modifica dell’opera ha dichiarato l’inapplicabilità della disciplina VIA.

In particolare, la Corte ha affermato che: «[…] il termine “costruzione” […] non presenta alcuna ambiguità e deve essere inteso nel suo senso usuale, cioè come volto a far riferimento alla realizzazione di opere prima inesistenti oppure alla modifica, in senso fisico, di opere preesistenti […] il rinnovo di un’autorizzazione esistente a gestire un aeroporto non può, in assenza di lavori o interventi che modifichino la realtà fisica del sito, essere qualificato rispettivamente come “progetto” o come “costruzione” ai sensi delle dette disposizioni».

È, tuttavia, necessario compiere tale analisi caso per caso, poiché il contenuto della nozione di progetto deve essere inteso in senso estensivo (CGUE sentenza 28 febbraio 2008, causa C 2/07, punto 32). A tal proposito si consideri quanto statuito dalla stessa CGUE, con riferimento ad un rinnovo di un’autorizzazione allo sfruttamento di una cava, la quale concernendo le modalità di sfruttamento delle risorse del suolo è comunque ritenuta compatibile con la nozione di “progetto”:

«Alla luce di ciò, va rilevato che decisioni come quella di determinazione di nuove condizioni e quella di approvazione dei punti oggetto delle nuove condizioni per lo sfruttamento della cava […] costituiscono, nell’insieme, una nuova autorizzazione […].

Le decisioni adottate dalle autorità competenti, che abbiano l’effetto di consentire la ripresa di un’attività di estrazione, costituiscono, nell’insieme, un’autorizzazione […] per cui le autorità competenti hanno l’obbligo di effettuare, qualora occorra, una valutazione dell’impatto ambientale di una tale attività» (CGUE C-201/02, sent. 7 gennaio 2004).

Argomentazioni speculari sono rinvenibili anche nelle pronunce della Corte costituzionale, che con riferimento a concessioni termali e minerali dichiara la: «necessità, in sede di rinnovo della concessione, di procedere alla valutazione sia di impatto ambientale (VIA), sia di incidenza» (Corte cost. sent. 14.01.2010, n. 1).

Da tale ricognizione giurisprudenziale sembra possibile affermare che:

  • il mero rinnovo di un’autorizzazione senza alcuna modifica, né in termini di variazione della realtà fisica preesistente, né in termini di intervento sull’ambiente naturale e sul paesaggio, o di sfruttamento del suolo, non sembra radicare l’applicabilità della disciplina VIA.
  • In tutti i casi in cui, al contrario, il rinnovo comporta una modifica dell’opera e/o dell’attività esistente si radica pienamente l’applicabilità della disciplina VIA.

A fronte di tale prima precisazione è opportuno chiedersi in che termini tale disciplina trova applicazione.

Ebbene, questa troverà piena applicazione, in termini di valutazione ambientale “preventiva”, con riferimento a tutte le modifiche apportate. Queste, infatti, sono ancora da realizzare e pertanto sono soggette alla piena applicazione della disciplina.

Cosa accade tuttavia alle parti dell’opera che non sono interessate dalle modifiche? Anche in questo caso è la giurisprudenza ad offrire una risposta.

Il Tar Campania, infatti, ricorda come di norma: «il giudizio di compatibilità ambientale riguarderà, il progetto di modifica o di ampliamento dell'impianto (e non si estenderà pertanto all'intera opera), sempre che ne ricorra il presupposto positivamente contemplato dalla disciplina, vale a dire la possibilità che si verifichino “notevoli ripercussioni negative sull'ambiente”» (Tar Campania, n. 3086/2020).

Ciò premesso, tuttavia, lo stesso Tar specifica che: «Nondimeno, è naturale che, per giudicare l'impatto ambientale della modifica operata, non potrà̀ non tenersi conto anche dell'impianto preesistente, ove ciò̀ si renda necessario, perché, ad es., gli effetti di quanto progettato si possono apprezzare soltanto tenendo conto dell'intera struttura e dell'intero processo produttivo» (Tar Campania, n. 3086/2020 e T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 24/12/2019, n. 2254).

Appare pertanto possibile – nell’ottica di consentire una piena valutazione degli effetti, anche cumulativi, dell’opera – prendere in considerazione anche la parte non modificata.

Anche la CGUE giunge alle medesime conclusioni con riferimento alle modifiche apportate alle strutture aeroportuali ritenute idonee ad aumentarne l’attività e il traffico aereo, la valutazione deve tener conto anche dell’aumento dell’attività: «Le autorità̀ competenti devono tener conto del progettato aumento dell’attività̀ di un aeroporto in sede di esame dell’effetto sull’ambiente delle modifiche apportate alle sue infrastrutture al fine di consentire tale aumento di attività» (CGUE 28 febbraio 2008, C-02/07).

La valutazione da compiersi sulle parti di impianto non modificate, tuttavia, non può certamente qualificarsi come “preventiva”, riguardando infatti opere già realizzate. Si tratta, dunque, anche in questo caso di una VIA “postuma”, che tuttavia assume caratteri ben diversi da quella “patologica”, concernendo invece un’opera realizzata in piena legittimità. Può, dunque, qualificarsi come VIA postuma “fisiologica” e tipica degli impianti legittimamente realizzati prima dell’adozione della disciplina VIA in sede di successiva modifica.

Ciò chiarito, sussiste un ultimo interrogativo: l’effettiva estensione della VIA postuma “fisiologica”.

Si è già detto più volte che l’estensione di tale valutazione non può in nessun modo assumere i tratti della VIA postuma “patologica”, disciplinata dall’art. 29, comma 3, D.lgs. 152/2006, che consentirebbe addirittura di addivenire alla demolizione dell’opera.

Nel caso della VIA postuma “fisiologica” va certamente esclusa la possibilità di demolire l’opera, così come la necessità di compiere una valutazione “ora per allora” per recuperare la mancata applicazione della disciplina VIA.

Ciò è d’altronde riconosciuto dalla stessa giurisprudenza, che ha precisato come: «Un ragionevole bilanciamento degli interessi in campo - la tutela dell'ambiente e l'iniziativa economica privata - entrambi costituzionalmente protetti, giustifica l'intento di non travolgere e azzerare opere o attività da lungo tempo legittimamente localizzate, senza tuttavia consentire che tale status acquisito possa trasmettersi ad interventi di modifica successivi, da assoggettare a VIA» (Corte cost. sent. 209/2011).

In termini ancor più esaustivi: «Il presupposto di tale prescrizione deve essere cercato nella necessità, emergente dalla giurisprudenza comunitaria, di “vegliare” a che l’effetto utile della direttiva n. 85/337/CEE sia comunque raggiunto, senza tuttavia rimettere in discussione, nella loro interezza, le localizzazioni di tutte le opere e le attività ab antiquo esistenti. Ciò sarebbe contrario al ragionevole bilanciamento che deve esistere tra l’interesse alla tutela ambientale ed il mantenimento della localizzazione storica di impianti e attività, il cui azzeramento – con rilevanti conseguenze economiche e sociali – sarebbe l’effetto possibile di un’applicazione retroattiva degli standard di valutazione divenuti obbligatori per tutti progetti successivi al 3 luglio 1988, data di scadenza del termine di attuazione della suddetta direttiva».

E ancora: «trattandosi di impianto preesistente rispetto alla normativa impositiva della sua sottoposizione a VIA, il Collegio non può esimersi dal rilevare che, in caso di stabilimenti preesistenti all'introduzione della disciplina ambientale, la soluzione della delocalizzazione non sarebbe stata percorribile dall’amministrazione regionale, ostandovi la teorica dei diritti quesiti e, in buona sostanza, il principio di affidamento (principio, questo, di rango euro-unitario), sicché il punto di equilibrio fra la tutela delle contrapposte situazioni in conflitto (prosecuzione dell'attività d'impresa - tutela ambientale) avrebbe dovuto essere necessariamente rinvenuto nell'individuazione delle migliori "soluzioni" disponibili per la mitigazione dell'impatto ambientale da parte dell'amministrazione procedente, le quali avrebbero dovuto essere doverosamente adottate dall'impresa per poter continuare lo svolgimento della sua attività produttiva» (Tar Campania, n. 3086/2020).

*****

Tanto premesso, la Scrivente Direzione Generale, su tali basi, nonché in virtù degli elementi prospettati nell’atto di interpello, rappresenta quanto segue:

 

QUESITO 1)

Con il primo quesito l’Ente riferisce di un’ipotesi di contrasto tra la disciplina previgente in Regione Lombardia con le disposizioni statali ed europee. In particolare, «i casi di interesse della scrivente Provincia si riferiscono principalmente a situazioni per le quali l’atto concessorio [caso 1] in materia di derivazioni era in linea con la normativa di settore applicata (D.G.R.L. n. 6/47582 del 29/12/1999 - regolarizzazioni e L. R. 5/2010) seppure in contrasto con la normativa nazionale ed europea.

Considerata tale ultima casistica nella quale le concessioni in argomento sono state rilasciate in anni in cui la normativa ambientale era già in essere, la Provincia riterrebbe necessario che nella fase di rinnovo/variante, e in caso di opere aventi caratteristiche complessive dell’impianto tali da richiedere l’assoggettamento a VIA e/o Verifica di VIA, possano essere effettuate le relative procedure in linea con le sentenze sopra richiamate [VIA postuma / Verifica di assoggettabilità postuma]».

Il quesito sottoposto evidenza una situazione giuridica caratterizzata dal presunto erroneo recepimento delle disposizioni in materia di VIA da parte della Regione Lombardia.

Su punto si evidenza che esula dalle competenze dello scrivente Ministero una disamina storica della normativa regionale.

Pertanto, non si può che ribadire come l’applicazione delle disposizioni sulla VIA postuma di cui all’art. 29, comma 3 del D.Lgs 152/2006, sia rivolta unicamente ai casi in cui il progetto sia stato realizzato in violazione delle disposizioni VIA vigenti, a norma delle quali avrebbe dovuto essere sottoposto a VIA o verifica di assoggettabilità e non lo è stato.

Si specifica, da ultimo, quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella recente pronuncia n. 17/2021 secondo la quale «la legge nazionale [n.d.r. statale o regionale] in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, ancorché contenuta in una direttiva self- executing, non può essere applicata né dal giudice né dalla pubblica amministrazione, senza che sia all’uopo necessario (come chiarito dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 170 del 1984) una questione di legittimità costituzionale».

 

QUESITO 2)

Con il secondo quesito la Provincia di Cremona richiede chiarimenti circa l’applicabilità della disciplina VIA, e nello specifico dell’art. 29, comma 3, D.lgs. 152/2006 alle ipotesi di «rinnovo tal quale».

Con riferimento al primo caso, occorrerebbe tenere in considerazione la data di prima realizzazione del progetto. In particolare:

a) se il progetto è stato realizzato senza la Valutazione di Impatto Ambientale oppure senza la Verifica di Assoggettabilità a VIA durante la vigenza delle disposizioni che ne imponevano l’applicazione, il mero rinnovo costituirà semplicemente l’occasione di fatto per rilevare la mancata osservanza della disciplina. Questo, infatti, disvelerebbe un contesto patologico di violazione della Disciplina VIA e pertanto rappresenterebbe il presupposto per l’esperimento di una VIA postuma “patologica”.

In tale ultimo caso, pertanto troverà certamente applicazione l’art. 29, comma 3 (e comma 4) del D.Lgs 152/2006.

b)   Qualora, invece, la realizzazione del progetto sia avvenuta prima dell’entrata in vigore delle disposizioni VIA, occorrerà valutare caso per caso se il rinnovo dell’autorizzazione sia riconducibile, o meno, alla nozione di progetto di cui all’art. 5, comma 1, lett. g), D.lgs. 152/2006. b1) Ove si ricada nel contesto del “mero rinnovo” e risulti quindi assente qualsiasi modifica, sia in termini di variazione della realtà fisica preesistente, sia in termini di intervento sull’ambiente naturale e sul paesaggio, o di sfruttamento del suolo, non potrà ritenersi applicabile la disciplina VIA.

b2) Ove, al contrario, il rinnovo comporti una modifica dell’opera e/o dell’attività esistente troverà invece piena applicazione la disciplina VIA.

In tale secondo caso, questa troverà applicazione in termini di valutazione ambientale “preventiva”, con riferimento a tutte le modifiche apportate.

Con riferimento invece alle parti dell’opera non oggetto di modifica troverà applicazione la disciplina della VIA postuma “fisiologica” (si veda supra).

L’attività valutativa, pertanto, dovrà contemperare gli elementi già acquisiti e non modificabili (come, ad esempio, la localizzazione dell’impianto), e bilanciare l’interesse all’applicazione della disciplina VIA con il legittimo affidamento del proponente, considerando unicamente gli effetti pro futuro del progetto.

Note   [ + ]

1. Non tutti i “progetti” sono soggetti a valutazioni ambientali, bensì solo quelli elencati negli allegati II, II-bis, III e IV, della parte seconda del D.lgs. 152/2006. Si tratta di “progetti” con riferimento ai quali è già stata valutata ex lege l’esistenza di una possibilità di produzione di impatti ambientali significativi e negativi

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