Il coordinatore non è un vigilante

Lo ribadisce il tribunale di Como, intervenendo su un incidente che aveva coinvolto tre persone

Il tribunale di Como, Sezione Penale, con la sentenza n. 270 del 26 febbraio 2014 ha assolto, perché il fatto non costituisce reato (ex art. 530 del Codice di procedura penale), un coordinatore della sicurezza per l’esecuzione (CSE), imputato dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi, per un infortunio sul lavoro che ha coinvolto tre persone operanti all’interno di un cantiere edile, in cui era in atto la demolizione di un fabbricato.

Successivamente, il 25 novembre 2014, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello ha ritirato il ricorso ponendo, di fatto, fine al procedimento a carico del coordinatore.

La sentenza assume grande rilevanza perché definisce con chiarezza quale debba essere il perimetro dell’attività del coordinatore, ribadendo, in particolare, che i compiti di verifica attribuitigli dalla legge non vanno confusi con quelli di assidua vigilanza propri del datore di lavoro.

L'incidente era avvenuto il 18 marzo 2011 per il cedimento di un balcone che il preposto e due lavoratori erano intenti a demolire; la demolizione stava avvenendo, come evidenziato nell’indagine e confermato in dibattimento, con le tre persone posizionate sul balcone stesso. Queste, in seguito al cedimento del balcone, erano precipitate da un’altezza di circa sette metri; la caduta aveva provocato la morte del preposto e lesioni personali gravi ai due lavoratori.

A seguito di questo evento, con decreto del 3 ottobre 2012, il GUP di Como aveva disposto il rinvio a giudizio del CSE chiamato a rispondere del delitto di omicidio colposo e di lesioni personali colpose gravi in danno dei due lavoratori

L'imputazione era formulata a carico del coordinatore anche in qualità di redattore del programma di demolizione.

 

L'articolo di commento e la sentenza sono pubblicati su Ambiente&Sicurezza n. 6/2015, a firma di Carmelo G. Catanoso.

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