Smart working e regime ordinario

In sede di conversione del D.L. n. 146/2021, molti avevano sperato che il legislatore, nel realizzare la “mini riforma” del cosiddetto testo unico della sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008), attraverso misure prevenzionali a più ampio respiro, toccasse finalmente anche la disciplina sul lavoro agile, il cosiddetto smart working, risolvendo le tante criticità emerse finora, soprattutto per quanto riguarda proprio la tutel fa della salute e della sicurezza sul lavoro. Ma anche questa volta, invece, è stata un’occasione mancata; eppure, tutto sommato c’erano tutte le condizioni e i tempi per intervenire sul testo della legge 22 maggio 2017, n.81, che com’è noto regolamenta questa forma flessibile di lavoro, e coordinarla con il D.Lgs. n. 81/2008.

Smart working e regime ordinario.

Considerazioni introduttive

In sede di conversione del D.L. n. 146/2021, molti avevano sperato che il legislatore, nel realizzare la “mini riforma” del cosiddetto testo unico della sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008), attraverso misure prevenzionali a più ampio respiro, toccasse finalmente anche la disciplina sul lavoro agile, il cosiddetto smart working, risolvendo le tante criticità emerse finora, soprattutto per quanto riguarda proprio la tutel fa della salute e della sicurezza sul lavoro.

Ma anche questa volta, invece, è stata un’occasione mancata; eppure, tutto sommato c’erano tutte le condizioni e i tempi per intervenire sul testo della legge 22 maggio 2017, n.81, che com’è noto regolamenta questa forma flessibile di lavoro, e coordinarla con il D.Lgs. n. 81/2008.

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Durante questi oltre due anni di pandemia tutti noi abbiamo potuto apprezzare i tanti benefici di questa particolare modalità di lavoro e sembrava naturale che, cessato (almeno formalmente) il periodo emergenziale, si mettesse mano alla normativa in materia per risolvere le tante problematiche presenti sul tappeto.

Tuttavia, il legislatore, malgrado il ricorso massivo a questo strumento, recentemente con il D.L. n. 73/2022 (il cosiddetto decreto “semplificazioni”), si è limitato solo a introdurre qualche agevolazione per alcuni adempimenti amministrativi ma non è intervenuto sulla questione della sicurezza sul lavoro che, va ricordato, proprio nella fase di prima applicazione della legge n. 81/2017 aveva costituito un serio freno all’espansione di questo istituto.

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In realtà in questi due anni e passa di applicazione dello smart working “emergenziale” il tema della salute e della sicurezza sul lavoro è finito in secondo piano, sia perché la prestazione all’esterno è stata resa, nella buona parte dei casi, presso il domicilio del lavoratore, sia perché l’art.90, commi 3 e 4, del D.L. n. 34/2020, ha previsto che per tutto il periodo emergenziale per l’avvio del lavoro da remoto era facoltativo l’accordo individuale; senza dimenticare anche la notevole semplificazione riguardante l’informativa obbligatoria sui rischi che il datore di lavoro deve rendere annualmente al lavoratore e agli Rls, di cui si dirà più avanti.

Smart working e regime ordinarioIl superamento della disciplina emergenziale e le attuali dimensioni dello smart working

Tuttavia, il 31 agosto 2022 è terminata la predetta fase dello smart working “emergenziale”; infatti, la legge 4 agosto 2022, n. 122 di conversione, con modificazioni, del D.L. n.73/2022, pur apportando alcune modifiche alla legge n. 81/2015, ha reintrodotto dal 1° settembre 2022, il regime ordinario diventando così nuovamente obbligatorio l’accordo individuale che, come vedremo, ha una notevole rilevanza anche per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro, e l’obbligo di redigere e consegnare la predetta informativa sui rischi.

Purtroppo, però, non tutti si sono accorti di questo ritorno al “passato” con il risultato che, in molti casi, alcuni importanti profili gestionali riguardanti questa forma di lavoro – come, ad esempio, l’aggiornamento del Dvr e della formazione – non sono stati ancora debitamente affrontati in molti contesti aziendali, se non addirittura completamente trascurati.

Eppure, se guardiamo ai dati statistici ci si rende conto, che anche nel post emergenza, è ancora massiccio il ricorso a questo modello di lavoro.

Infatti, secondo i risultati della ricerca condotta dall’osservatorio smart Working dell School of management del Politecnico di Milano, sempre molto attento nel monitorare il trend del lavoro agile, in Italia la quota di lavoratori da remoto è stimata in circa 3,6 milioni, ossia quasi 500 mila in meno rispetto al 2021 – soprattutto nella pubblica amministrazione e nelle piccole e medie imprese – mentre, invece, si registra una costante crescita nelle grandi imprese, che con 1,84 milioni di lavoratori che corrispondono a circa la metà degli smart worker complessivi; per il 2023 le stime parlano di un leggero incremento dei lavoratori e delle lavoratrici occupati tramite questa modalità.

Lavoro agile e subordinazione attenuata

Alla luce di questo mutato scenario appare necessario, quindi, compiere alcune riflessioni sui profili dell’attuale disciplina più critici sul piano della gestione della safety aziendale (vedere la tabella 1); in primo luogo, va ricordato che l’art. 18, comma 1, della legge n. 81/2017, definisce il lavoro agile come una particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo scritto tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa.

Si tratta, quindi, di un modello di lavoro che è stato introdotto allo scopo d’incrementare sia la competitività delle aziende sia di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro del prestatore; infatti, la prestazione lavorativa resa dal lavoratore e dalle lavoratrici viene eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Pertanto, il lavoratore beneficia di una notevole flessibilità, in quanto gli viene concesso di svolgere con un significativo grado di autonomia la prestazione all’esterno della sede aziendale, senza una postazione fissa facendo così venir meno, seppur in parte, il riferimento al luogo di lavoro [1].

Tuttavia, lo stesso legislatore nella citata norma ha precisato espressamente che lo smart working è solo una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, di cui all’art. 2094 del codice civile, quindi, non di una diversa tipologia contrattuale. Si rileva, quindi, una certa discrasia tra questa precisazione e le modalità con le quali concretamente la prestazione lavorativa è resa all’esterno.

La questione presenta una notevole complessità ma, per quanto qui interessa, basti rilevare che il fatto che il lavoratore goda di ampi margini di autonomia – ad esempio nella scelta dello stesso luogo esterno all’azienda in cui rendere la propria prestazione, che potrebbe essere del tutto ignoto al datore di lavoro – genera non pochi profili problematici proprio sul piano della salute e della sicurezza sul lavoro.

Il fenomeno che ne deriva secondo una parte della dottrina è quello di una forma di subordinazione attenuata nei suoi tratti essenziali [2]; infatti, si rileva una de-strutturazione di tempi e luoghi di lavoro e di un orientamento al risultato piuttosto che, invece, al comando/controllo e tutto ciò rende notevolmente difficoltoso per il datore di lavoro adempiere nella pienezza all’obbligazione di sicurezza che l’art. 2087 cod. civ. pone a suo carico.

Gli obblighi del datore di lavoro

Nemmeno la disciplina della legge n. 81/2017, aiuta sotto questo profilo. Infatti, ai fini della sicurezza sul lavoro l’art. 18, comma 2, si limita a stabilire che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa.

Inoltre, l’art. 22, comma 1, afferma che il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e, a tal fine consegna, al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls), con cadenza almeno annuale, un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.

Queste due norme, tuttavia, appaiono di non facile interpretazione in quanto tentano di conferire le tutele allo smart worker ma, al tempo stesso, risultano formulate in modo quasi generico in quanto sembrano attribuire al datore di lavoro la responsabilità non solo per quanto riguarda la salute e la sicurezza del lavoratore all’interno dei luoghi di lavoro dell’azienda ma, in modo assoluto, anche per quella parte di prestazione svolta all’esterno.

A ben vedere si tratta di un difetto genetico della legge n. 81/2017: il provvedimento quand’è nato era ormai già vecchio sotto vari aspetti; per altro, il legislatore in modo molto superficiale non ha previsto nemmeno una specifica norma di coordinamento con il D.Lgs. n. 81/2008, dando origine così a non poche incertezze sugli obblighi specifici di sicurezza a carico del datore di lavoro per quanto riguarda la prestazione lavorativa resa all’esterno del perimetro aziendale.

In merito, va notato che si sono formate due correnti di pensiero. La prima tende a riconoscere una responsabilità del datore di lavoro cosiddetta “piena”, ossia per tutti i rischi per la salute e la sicurezza legati alla prestazione resa all’esterno dei locali aziendali. La seconda, invece, partendo da un’interpretazione logico-sistematica riconosce una responsabilità limitata alle attrezzature di lavoro fornite e ai correlati adempimenti (sorveglianza sanitaria, informazione, formazione, addestramento eccetera) facendo leva sull’art. 3, comma 10 del D.Lgs. n. 81/2008, che trova applicazione alla forma affine del telelavoro.

Si osservi che di questo aspetto fondamentale se è occupato anche lnail. Infatti, l’istituto nella circolare 2 novembre 2017, n. 48, affrontando il tema della classificazione tariffaria nel sottolineare che la stessa segue « (…) quella cui viene ricondotta la medesima lavorazione svolta in azienda» ha precisato anche che  «(…) sia per le attività svolte in azienda, sia per quelle svolte al di fuori di tale ambito, gli strumenti tecnologici sono sempre forniti dal datore di lavoro tenuto a garantirne anche il buon funzionamento e, quindi, a parità di rischio deve necessariamente corrispondere una identica classificazione ai fini tariffari, in attuazione del principio alla stregua del quale il trattamento normativo e retributivo dei lavoratori “agili” rispetto ai loro colleghi operanti in azienda deve essere il medesimo, ivi compresa l’adozione delle norme di sicurezza sul lavoro».

Pertanto, sembra che facendo leva sull’art. 20 della legge n. 81/2017, l’Inail dilati alquanto la portata del principio di parità di trattamento tra lavoratori esclusivamente “residenti” nei luoghi di lavoro aziendali e quelli in smart working, ritenendo così il datore di lavoro responsabile a trecentosessanta gradi, anche per la prestazione resa all’esterno dei locali aziendali.

Ma questa linea interpretativa non appare del tutto convincente; infatti, forse non si tiene in debita considerazione il fatto che la prestazione può essere resa in un qualsiasi luogo esterno, non solo presso il domicilio del lavoratore ma, per esempio, anche in luoghi pubblici o addirittura dedicati allo svago.

Proprio questo è uno dei tratti distintivi più caratteristici dello smart working e sul piano pratico non si comprende, poi, come potrebbe il datore di lavoro avere il controllo sul luogo esterno scelto dal lavoratore e, quindi, garantirne la sicurezza; per altro, riflettendo più attentamente, seguendo questa tesi nella sostanza si ricadrebbe nelle maglie della responsabilità oggettiva visto che il datore di lavoro dovrebbe rispondere per un luogo che magari ignora del tutto.

Valutazione dei rischi e luogo di lavoro

Indubbiamente è proprio questo uno dei profili problematici che non è stato ancora risolto e che continua a fungere da freno nell’espansione del lavoro da remoto.

Per altro occorre anche considerare che negli ultimi anni è mutato anche il concetto stesso di “luogo di lavoro” che è sempre meno agganciato al classico concetto “topografico” e sempre più a quello “funzionale” come emerge dalla sentenza della Cassazione penale, sez. IV, del 5 ottobre 2017, n. 45808, che segue un orientamento che potrebbe in futuro essere utilizzato anche come chiave di lettura del controverso regime della sicurezza nel lavoro agile.

La Cassazione, infatti, ha evidenziato magistralmente che grava sul datore di lavoro l’obbligo generale «(…) di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15, D.Lgs. n. 81/2008) e dal parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni (art. 37, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 81/2008)».

Secondo la Cassazione, infatti, la «(…) restrittiva nozione di “luogo di lavoro” rinvenibile nell’art. 62, D.Lgs. n. 81/2008 (…) è posta unicamente in relazione alle disposizioni di cui al titolo II del citato decreto»; ed ancora “va ribadito che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di "luogo di lavoro"; a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro». ([3])

Alla luce di questo orientamento giurisprudenziale appare chiaro, quindi, che poiché il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi in base a quanto stabilisce l’art. 28, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, nel caso in cui si trovi nell’impossibilità di poterlo fare con riferimento ai rischi presenti in determinati luoghi di esecuzione della prestazione lavorativa posti all’esterno dei locali aziendali, oppure, qualora a seguito dell’effettuata valutazione pervenga al risultato che sussistono delle carenze prevenzionali, dovrà allora necessariamente non consentire l’esecuzione della prestazione lavorativa in questi luoghi posti all’esterno dell’azienda.

Sotto questo profilo, quindi, come vedremo, assume anche un notevole rilievo l’accordo tra le parti e, in particolare, la limitazione dei luoghi all’esterno presso i quali il lavoratore eseguirà la propria prestazione lavorativa, e l’informativa sui rischi.

L’obbligo di più intensa cooperazione del lavoratore

L’art. 22 della legge n. 81/2015, impone al successivo comma 2 l’obbligo da parte del lavoratore di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali; a ben vedere, com’è stato osservato da un’attenta dottrina si tratta di una previsione analoga a quella contenuta nell’art.20 del D.Lgs. n.81/2008, che «(…) pone a carico del lavoratore un obbligo di cooperazione rispetto all’attuazione delle misure di prevenzione adottate dal datore. L’eventuale libertà di scelta del luogo in cui rendere la prestazione di lavoro agile, infatti, incontrerà un limite derivante dall’obbligo di tutelare la propria sicurezza che grava sul lavoratore conformemente alle indicazioni contenute nell’informativa scritta e secondo quanto appreso durante appositi corsi di formazione (…)». [4]

E, su questo, aspetto appare condivisibile la tesi che nello smart working il grado della cooperazione richiesta al lavoratore, che svolga la prestazione all’esterno del perimetro della sede dell’azienda, sia maggiore di quello esigibile dai lavoratori operanti all’interno dell’impresa ([5]); infatti, il forte grado di autonomia nel rendere la prestazione all’esterno non potrebbe che portare a siffatta interpretazione, mettendo così al centro tre elementi:

  • l’accordo individuale;
  • l’informativa sui rischi, quindi, anche la loro valutazione;
  • l’efficacia della formazione specifica.

L’accordo individuale

Tra questi tre elementi, considerato il controverso regime normativo illustrato fin ora, certamente una notevole rilevanza assume l’accordo di smart working stipulato tra le parti che fino allo scorso 31 agosto era ancora facoltativo; viceversa, dal 1° settembre 2022 la possibilità di ricorrere questa modalità organizzativa del lavoro è possibile solo in presenza di tale accordo individuale e la comunicazione telematica del rapporto andrà effettuata secondo quanto stabilito dal decreto del ministero del Lavoro 22 agosto 2022, n.149.

Per altro, va anche precisato che il D.Lgs. 30 giugno 2022, n.105, ha anche previsto una serie d’ipotesi nelle quali il lavoratore e la lavoratrice hanno la priorità nell’usufruire dello smart working, tra le quali, ad esempio, essere lavoratore con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'art.4, comma 1, della legge n. 104/1992 (vedere il box 1).

BOX 1 – PRIORITÀ NELLA COLLOCAZIONE IN SMARK WORKING

I datori di lavoro (pubblici e privati) che applicano il modello dello smart working sono tenuti in ogni caso a riconoscere la priorità alle richieste delle lavoratrici e dei lavoratori con figli fino a dodici anni di età o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. La stessa priorità è prevista per i lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'art.4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che siano caregivers ai sensi dell'art.1, comma 255, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. La lavoratrice o il lavoratore che richiede di fruire del lavoro agile non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro (il provvedimento, infatti, è da considerarsi nullo in quanto discriminatorio o ritorsivo). Il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo alla fruizione del lavoro agile nei predetti casi, ove rilevati nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all'art.46-bis del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e dalle province autonome nei rispettivi ordinamenti, impediscono al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni.

(Art. 18, comma 3-bis e 3–ter della legge n. 81/2018; D.Lgs. n. 105/2022)

La regola ordinaria ripropone nuovamente il problema di cosa questo accordo debba contenere per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro; certamente il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile, sottoscritto dalle parti sociali il 7 dicembre 2021, dà qualche aiuto in quanto prevede che al suo interno possono essere individuati i luoghi eventualmente esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa esterna ai locali aziendali (vedere il box 2).

BOX 2 - I CONTENUTI GENERALI DELL’ACCORDO INDIVIDUALE

a) la durata dell’accordo, che può essere a termine o a tempo indeterminato;

b) l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali;

c) i luoghi eventualmente esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa esterna ai locali aziendali;

d) gli aspetti relativi all’esecuzione della prestazione lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e alle condotte che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari nel rispetto della disciplina prevista nei contratti collettivi;

e) gli strumenti di lavoro;

f) i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e/o organizzative necessarie ad assicurare la disconnessione;

g) le forme e le modalità di controllo della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, nel rispetto di quanto previsto sia dall’art. 4, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) sia dalla normativa in materia di protezione dei dati personali;

h) l’attività formativa eventualmente necessaria per lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile;

i) le forme e le modalità di esercizio dei diritti sindacali.

(legge n. 81/2017; «Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile» 7 dicembre 2021)

 

Evidentemente lavorare, ad esempio, in una cantina o in sottoscala non è di per sé compatibile con la disciplina protettiva generale; pertanto questa previsione non può che essere accolta favorevolmente considerare le criticità esposte in precedenza.

Quindi, come precisa l’art. 4 (luogo di lavoro) del protocollo rimane fermo che il lavoratore è libero di individuare il luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile, purché lo stesso abbia caratteristiche tali da consentire la regolare esecuzione della prestazione, in condizioni di sicurezza e riservatezza, anche con specifico riferimento al trattamento dei dati e delle informazioni aziendali nonché alle esigenze di connessione con i sistemi aziendali.

Sotto questo profilo è riconosciuta alla contrattazione collettiva il potere d’individuare i luoghi inidonei allo svolgimento del lavoro in modalità agile per motivi di sicurezza personale o protezione, segretezza e riservatezza dei dati; la strada del contratto collettivo integrativo aziendale appare quella più idonea per regolare questo delicato aspetto.

Quindi, come vedremo in seguito, l’accordo individuale assume una notevole valenza anche in relazione all’accertamento di eventuali responsabilità in caso d’infortunio e, tenuto conto del già citato obbligo di cooperazione gravante sul lavoratore, lo stesso può stabilire anche i requisiti minimi essenziali d’idoneità dei locali esterni come, ad esempio:

  • il divieto di lavorare in locali interrati e seminterrati;
  • il possesso dell’abitabilità dei locali;
  • la superficie minima dello spazio di lavoro;
  • l’illuminazione;
  • l’aerazione.

Sotto questo profilo un valido aiuto più venire dai requisiti dei luoghi di lavoro previsti nell’allegato IV del D.Lgs. n. 81/2008; al tempo stesso non appare secondario che nell’accordo il lavoratore s’impegni anche a servirsi degli impianti – elettrico, climatizzazione, riscaldamento eccetera – provvisti di conformità secondo la vigente normativa, efficienti e sottoposti a manutenzione e controlli regolari da personale tecnico abilitato.

Così come appare importante che sia regolamentato l’utilizzo delle attrezzature di lavoro e gli obblighi delle parti; inoltre, è importante anche la regolamentazione dell’orario di lavoro (rispetto della durata massima), delle pause e dei riposi, tenendo conto anche degli eventuali accordi collettivi in materia.

Salute e diritto di disconnessione del lavoratore

Sotto quest’ultimo profilo occorre anche osservare che durante l’emergenza da Sars-Cov-2 un altro aspetto che è venuto prepotentemente alla luce è stato il problema del lavoratore e della lavoratrice iperconnessi, spesso in orari notturni insoliti e nei giorni festivi; in effetti, oggi viviamo nella cosiddetta “società delle 24 ore”, dove il costante collegamento alle attrezzature informatiche di ogni tipo è continuo, ma ciò che è accaduto durante il lockdown ha fatto sorgere non poche preoccupazioni sui rischi derivanti dal lavoro da remoto.

Infatti, questa modalità di lavoro comporta anche effetti negativi sulla salute – basti pensare, ad esempio, alla luce blu prodotta dagli schermi dei dispositivi che penalizza il sonno – e per questo motivo l’art. 19 prevede che nell’accordo individuale si deve riportare anche i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

Proprio per questi motivi la legge 6 maggio 2021, n. 61, di conversione del D.L. 13 marzo 2021, n. 30, entrata in vigore il 13 maggio 2021, riconosce esplicitamente, per la prima volta nell’ordinamento italiano, al dipendente che lavora in modalità agile il diritto di disconnettersi dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche utilizzate per svolgere la prestazione lavorativa.

Il che significa che il lavoratore, fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati, non è tenuto a rispondere alle e-mail, ai messaggi di lavoro o alle chiamate durante il suo periodo di riposo, senza che questo possa avere ripercussioni sul piano del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi.

Pertanto, anche sotto questo profilo l’accordo individuale riveste una notevole importanza, in quanto regolamenta entro questo perimetro tale diritto.

Centralità dell’informativa sui rischi e gli adempimenti operativi

L’accordo individuale ha, pertanto, anche una funzione prodromica rispetto alla redazione dell’informativa sui rischi; come già si è avuto modo di accennare l’art. 22, comma 1, della legge n. 81/2017, stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di consegnare al lavoratore e al Rls con cadenza almeno annuale, un'informativa nella quale sono individuati non solo i rischi generali ma anche i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro; inoltre, la stessa norma prevede anche il vincolo della forma scritta.

Sul piano operativo risulta evidente che se non sussistono particolari difficoltà a individuare i rischi generali, il discorso cambia completamente per quelli specifici che sono legati anche al luogo di lavoro esterno prescelto dal lavoratore ma che, come si è visto, è sconosciuto al datore di lavoro.

In effetti, durante il periodo emergenziale questo delicato profilo problematico è stato mascherato dal regime semplificato sullo smart working, che prevedeva che gli obblighi d’informativa per la tutela della salute e della sicurezza dello smart worker erano assolti in via telematica, anche ricorrendo al format reso disponibile nel sito internet dell’Inail (art. 90, comma 4, del D.L. n. 34/2020).

Pertanto, con il ritorno al regime ordinario il problema della corretta indicazione dei rischi nell’informativa su ripropone nuovamente; certo potrà essere ancora utilizzato come riferimento il format proposto dall’Inail (vedere il modello 1) ma lo stesso dovrà essere necessariamente tarato sugli esiti del documento di valutazione dei rischi (Dvr).

E sotto questo profilo va anche ricordato che l’art. 28, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008, prevede che la valutazione deve comprendere anche i rischi legati alla specifica tipologia contrattuale attraverso la quale è resa la prestazione lavorativa, cosa solo apparentemente facile.

Pertanto, si rende necessario un aggiornamento del Dvr in relazione alla prestazione svolta fuori sede da remoto (art. 29 D.Lgs. n. 81/2008), ponendo attenzione soprattutto sia ai rischi di carattere generale – legati, ad esempio, all’inidoneità del luogo di lavoro – sia a quelli specifici dovuti, ad esempio, all’impiego dei Pc portatili, allo stress lavoro correlato, agli incendi e il rischio elettrico.

Solo a valle di questo processo sarà possibile, poi, elaborare la predetta informativa obbligatoria ed erogare un’adeguata formazione integrativa, incentrata sui rischi e le misure da osservare nello svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile, tra cui le procedure di utilizzo delle attrezzature fornite

Infatti, nella già citata circolare n. 48/2017, l’Inail ha anche sottolineato che l’informativa che il datore di lavoro deve fornire al lavoratore deve riguardare anche il corretto utilizzo delle attrezzature e apparecchiature eventualmente messe a disposizione nello svolgimento della prestazione in modalità di lavoro agile, assicurandosi che questi strumenti siano conformi al titolo III del già citato D.Lgs. n.81/2008, nonché alle «(…) specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, facendosi carico di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza con un’adeguata manutenzione».

Tutela assicurativa e infortunio del lavoratore

Non resta, infine, che compiere alcune riflessioni sulla disciplina contenuta nel comma 2 dell’art. 23 della legge n. 81/2017, che sancisce il diritto del lavoratore alla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali «(…) dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali».

Questa norma prevede la tutela assicurativa anche in caso d’infortuni occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.

In merito giova ricordare che l’Inail sempre con la già citata circolare 2 novembre 2017, n. 48, ha fornito alcune importanti indicazioni; in particolare, l’Istituto ha tenuto a precisare che l’art. 23 della legge n. 81/2017, in questi casi circoscrive la ricorrenza dell’infortunio sul lavoro all’esistenza di una diretta connessione dell’evento con la prestazione lavorativa, e ciò anche con riguardo alla citata fattispecie dell’infortunio in itinere.

Pertanto, gli infortuni occorsi mentre il lavoratore presta la propria attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali sono tutelati da un punto di vista assicurativo se «(…) causati da un rischio connesso con la prestazione lavorativa (…)» e questa tutela non riguarda solo gli infortuni collegati al rischio proprio della sua attività lavorativa «(…) ma anche per quelli connessi alle attività prodromiche e/o accessorie purché strumentali allo svolgimento delle mansioni proprie del suo profilo professionale».

Sotto questo profilo nella stessa circolare l’Inail ha sottolineato, quindi, l’estrema importanza dell’accordo individuale tra il datore di lavoro e il lavoratore, che si configura come lo strumento utile anche per l’individuazione dei riferimenti spazio–temporali, ai fini del rapido riconoscimento delle prestazioni infortunistiche.

E la mancanza d’indicazioni sufficienti, desumibili da questo accordo, comporta che, ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio saranno necessari specifici accertamenti finalizzati a verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela e, in particolare, a verificare se l’attività svolta dal lavoratore al momento dell’evento infortunistico sia comunque in stretto collegamento con quella lavorativa, in quanto necessitata e funzionale alla stessa, sebbene svolta all’esterno dei locali aziendali.

Sotto nell'allegato o nel link:

INFORMATIVA INAIL SULLA SALUTE E SICUREZZA NEL LAVORO AGILE AI SENSI DELL’ART. 22, COMMA 1, L. 81/2017

 

[1] Vedere. M.Tiraboschi, Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in Diritto delle relazioni industriali., n. 4/2017, pag. 921 e ss.

[2] Per un approfondimento vedere G. Santoro-Passarelli, La funzione del diritto del lavoro, in Rivista italiana di diritto del lavoro., n. 3/2018, 348.

[3]  Vedere. Cass. pen. sez. IV, n. 2343 del 27 novembre 2013 - dep. 20 gennaio 2014, Rv. 258435; sez. IV, n. 28780 del 19/05/2011 - dep. 19 luglio 2011, Rv. 250760; sez. IV, n. 40721 del 09/09/2015 - dep. 09 ottobre 2015, Rv. 26471501.

[4] L.M. Pelusi, Il lavoro agile tra l’esaustività dell’informativa di salute e sicurezza e l’applicabilità del D.lgs. n. 81/2008, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona" Collective Volumes - 6/2017, pag 156 e ss.

[5] G. SANTORO-PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT, 2017, 327, 14.

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