End of waste per gli inerti: luci e ombre del nuovo decreto

Definiti, tra i tanti, gli utilizzi ammissibili, le finalità, la dichiarazione di conformità e la modalità di detenzione dei campioni, l’applicazione di un sistema di gestione certificato, il monitoraggio e l’eventuale revisione dei criteri. Non mancano le incertezze interpretative. Ad esempio, ci si chiede se i rifiuti elencati in tabella 1 siano “inerti per decreto” (ai fini ovviamente del recupero) oppure se per ciascuno di essi si necessario verificarne la natura inerte. Ci si domanda anche se il produttore del rifiuto debba classificarlo prima come non pericoloso e poi come inerte o se, invece, la classificazione come inerte assorba quella di non pericoloso. Oppure se il recuperatore, munito di titolo abilitativo adeguato alla nuova disciplina, possa ricevere rifiuti inerti che però il produttore abbia classificato semplicemente come non pericolosi e, in caso affermativo, se per farlo debba (o possa) operare con una sorta di “doppio binario”. I temi sono rilevanti anche nell’ottica di realizzare il giusto bilanciamento tra tutela dell’ambiente e semplificazione per incentivare l’economia circolare

(End of waste per gli inerti: luci e ombre del nuovo decreto)

Sulla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2022 n. 246 è stato pubblicato il decreto ministeriale 27 settembre 2022, n. 152 recante i criteri specifici per il recupero dei rifiuti inerti da attività di costruzione e demolizione (C&D Waste), nonché per altri rifiuti di origine minerale. In sintesi: nel rispetto delle nuove disposizioni, al termine delle operazioni di recupero di tipo meccanico previste dal regolamento, non si avranno più rifiuti da costruzione e demolizione – pari a circa 70 milioni di tonnellate l’anno[1] Il Consiglio di Stato, nel parere sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022, ha osservato: «emerge dall’AIR, ad esempio, che degli oltre 70 milioni annui di tonnellate di rifiuti prodotti dal settore delle costruzioni e demolizioni, solo circa 3,2 milioni di tonnellate sono stati smaltiti in discarica, mentre non è indicato il dato percentuale della quota di questa tipologia di rifiuti che viene avviata al recupero; da questo dato è logico inferire l’ipotesi che esista una massa notevole di questa tipologia di rifiuti che si colloca al di fuori dei fisiologici meccanismi di gestione dei rifiuti, essendo peraltro notorio il gravissimo fenomeno dell’abbandono incontrollato di rifiuti inerti da demolizione e costruzione». – bensì aggregati recuperati da utilizzare per gli scopi specifici previsti dal decreto. Per inquadrare il contesto si rammenta che a norma dell’articolo 184 ter, D.Lgs. n. 152/2006 un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e se soddisfa i criteri specifici stabiliti a livello europeo oppure, in mancanza di criteri comunitari, quelli previsti dal ministero dell’Ambiente all’interno di decreti adottati caso per caso per le singole tipologie di rifiuti. Come osservato dal Consiglio di Stato nel parere parere sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022 (vedere la nota 1), la nuova disciplina «si inserisce in un quadro regolamentare più vasto e complesso proteso alla massima attuazione dei principi dell’economia circolare e della società del recupero e del riciclaggio, che trovano il loro fondamento nel sistema, elaborato in ambito europeo, dell’End of Waste, disciplinato dall’articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, che mira a un tempo a ridurre le quantità di rifiuti avviati in discarica e a creare nuovi prodotti utili da reimmettere nel ciclo produttivo, perseguendo gli obiettivi dell’economia circolare». Ad oggi il ministero competente ha emanato sei regolamenti end of waste (vedere la tabella 1).

 

Oggetto, finalità, demolizione selettiva (art. 1)

Secondo l’articolo 1, comma 1, primo periodo, il decreto stabilisce i criteri specifici nel rispetto dei quali i rifiuti inerti derivanti da costruzione e demolizione e gli altri rifiuti inerti di origine minerale, tutti riportati in allegato 1 (vedere la tabella 1) e sottoposti a operazioni di recupero, cessano di essere rifiuti.

 

Tabella 1
I criteri specifici
1. Rifiuti inerti dalle attività di costruzione e di demolizione (capitolo 17 dell’elenco europeo dei rifiuti)
170101 Cemento
170102 Mattoni
170103 Mattonelle e ceramiche
170107 Miscugli o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, diverse da quelle di cui alla voce 170106
170302 Miscele bituminose diverse da quelle di cui alla voce 170301
170504 Terre e rocce da scavo, diverse da quelle di cui alla voce 170503
170508 Pietrisco per massicciate ferroviarie, diverso da quello di cui alla voce 170507
170904 Rifiuti misti dell'attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 170901, 170902 e 170903
2. Altri rifiuti inerti di origine minerale (non appartenenti al capitolo 17 dell’elenco europeo dei rifiuti)
010408 Scarti di ghiaia e pietrisco, diversi da quelli di cui alla voce 010407
010409 Scarti di sabbia e argilla
010410 Polveri e residui affini, diversi da quelli di cui alla voce 010407
010413 Rifiuti prodotti dal taglio e dalla segagione della pietra, diversi da quelli di cui alla voce 010407
101201 Residui di miscela di preparazione non sottoposti a trattamento termico
101206 Stampi di scarto costituiti esclusivamente da sfridi e scarti di prodotti ceramici crudi smaltati e cotti o da sfridi di laterizio cotto e argilla espansa eventualmente ricoperti con smalto crudo in concentrazione <10% in peso
101208 Scarti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione (sottoposti a trattamento termico)
101311 Rifiuti della produzione di materiali compositi a base di cemento, diversi da quelli di cui alle voci 101309 e 101310
120117

 

Residui di materiale di sabbiatura, diversi da quelli di cui alla voce 120116 costituiti esclusivamente da sabbie abrasive di scarto
191209 Minerali (ad esempio, sabbia, rocce)

 

Il secondo periodo del comma 1 prevede poi che «in via preferenziale, i rifiuti ammessi alla produzione di aggregati recuperati provengono da manufatti sottoposti a demolizione selettiva». La disposizione – rilevante in quanto la direttiva 2018/851/Ue[2]L’art. 1, punto 12) della direttiva 2018/861/Ue ha così modificato l’art. 11 della direttiva 2008/98/CE: «Gli Stati membri adottano misure intese a promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso». aveva tra gli obiettivi proprio quello di incentivare la demolizione selettiva - non è chiarissima innanzitutto perché manca una definizione di «demolizione selettiva». Di essa si erano occupate in passato le linee guida Snpa[3]«Linee Guida recanti criteri e indirizzi tecnici per il recupero dei rifiuti inerti» approvate con delibera del 29 novembre 2016, n. 89. Sempre sul tema sono fornite alcune indicazioni anche dalla norma UNI/PdR 75:2020 «Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare». Per ulteriori riferimenti si rimanda a F. Peres Costruzione e demolizione tema rifiuti sempre aperto in Ambiente&Sicurezza n. 5/2019. secondo le quali, con questa particolare tecnica di demolizione, sarebbe possibile ottenere un riciclaggio di alta qualità di ciò che non può che essere qualificato rifiuto; le linee guida prevedevano un’indagine preliminare sulla struttura da demolire, sul sito e sull’area circostante per caratterizzare la natura dei materiali che la compongono, nonché una declinazione delle attività funzionali alla demolizione utili non solo per gestire eventuali criticità[4]Come in caso di materiali contenenti amianto, cisterne interrate, rifiuti pericolosi, materiali contaminati da sostanze pericolose., ma anche per valorizzare le parti direttamente riutilizzabili, come infissi, porte, strutture metalliche, pavimentazioni eccetera. Infatti, attraverso la demolizione selettiva è possibile:

  • separare i beni facenti parte integrante del manufatto e che possono essere ricollocati altrove e utilizzati sempre per la loro funzione originaria (un lavabo, un camino eccetera);
  • distinguere i sottoprodotti dai rifiuti[5]Quanto alla possibilità di ricavare da una demolizione (anche) dei sottoprodotti va dato atto di un contrasto in giurisprudenza. Secondo una sentenza della Corte di Cassazione del 2015 «la demolizione di un edificio non può essere considerata “un processo di produzione” e quindi gli inerti che ne derivano sono rifiuti che non possono essere qualificati come sottoprodotti» (Cassazione penale 28 luglio 2015, n. 33028). Quattro anni dopo questa affermazione – per la verità apodittica – non è stata ribadita dalla Corte in relazione al fresato d’asfalto derivante anch’esso dalla demolizione del manto stradale (Cassazione penale 14 marzo 2019, n. 11452; nello stesso senso, in precedenza, anche Consiglio di Stato 6 ottobre 2014, n. 4978).;
  • operare una cernita tra le diverse tipologie di rifiuti.

Tornando al decreto, oltre alla necessità di definire la demolizione selettiva, resta da capire come «imboccare la corsia preferenziale» prevista dal secondo periodo del comma 1. La disposizione sembra, infatti, rivolgersi al recuperatore invitandolo a preferire, in fase di accettazione, i rifiuti provenienti da demolizione selettiva rispetto a quelli da demolizione indifferenziata. Ciò implica però che quel recuperatore, in quel preciso momento, abbia di fronte a sé, in ingresso all’impianto, più conferitori di rifiuti inerti da demolizione, alcuni da selettiva e altri da indifferenziata, e, non potendo per esigenze logistiche o per le quantità autorizzate, accettarli tutti, rispetti il nuovo precetto e dia la precedenza ai primi. In linea teorica questa situazione sarebbe anche possibile, ma in concreto appare davvero poco probabile e, ammesso si verificasse, resterebbero i temi del suo accertamento, delle interferenze con i rapporti contrattuali e con gli impegni già assunti dal recuperatore e, infine, delle conseguenze di un’eventuale violazione di questo vago precetto che non consente certo di raggiungere l’obiettivo fissato dalla direttiva.

Il comma 2 dell’articolo 1 si limita a ribadire quanto previsto dall’articolo 184-ter comma 3 primo periodo, ovvero che le operazioni di recupero su rifiuti non riportati nella tabella 1 dell’allegato 1 sono soggette al rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 211 e titolo III bis,D.Lgs. n. 152/2006. Non essendo stato ripreso il secondo periodo del comma 3 dell’articolo 183-ter (relativo alle autorizzazioni in via semplificata) ci si potrebbe domandare se per i rifiuti da costruzione e demolizione non tabellati le operazioni di recupero possano continuare a essere autorizzate anche in via semplificata. La risposta non può che essere in senso positivo, poiché è vero che il comma 3 dell’articolo 184 ter non è stato interamente riportato nel decreto ministeriale, ma, essendo quest’ultimo una fonte di rango secondario, non avrebbe potuto, in ogni caso, dettare disposizioni diverse in deroga a quanto previsto dal D.Lgs. n. 152/2006 che è la fonte di rango primario e, pertanto, prevalente su quelle gerarchicamente subordinate. Infine, la norma parla genericamente di “rifiuti e dunque, in teoria, di qualunque tipologia, sia o no disciplinata da un decreto end of waste; in concreto però, al fine di identificare correttamente l’ambito di applicazione, questo riferimento va coordinato con le definizioni di cui all’articolo 2 (vedere il punto segunte).

 

Ambito di applicazione e definizioni (art. 2)

Le definizioni sono contenute all’articolo 2. La lettera a) «rifiuti inerti dalle attività di costruzione e demolizione» rimanda a quelli identificati al capitolo 17 dell’elenco europeo di cui alla decisione della Commissione 2000/532/Ce del 3 maggio 2000 e indicati al punto 1 di tabella 1 dell’allegato 1, mentre la lettera b) «altri rifiuti inerti di origine minerale», rinvia a quelli non identificati al richiamato capitolo 17 (perché identificati in altri capitoli) e indicati al punto 2 di tabella 1 dell’allegato 1. La definizione di «rifiuti inerti» è contenuta alla lettera c): «i rifiuti solidi dalle attività di costruzione e demolizione e altri rifiuti inerti di origine minerale che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana». È la stessa definizione fornita dall’articolo 2, comma 1, lettera e), D.Lgs. n. 36/2003 sulle discariche, fatta eccezione per la parte relativa al percolato [6]Definizione di rifiuti inerti contenuta all’art. 2, comma 1, lettera e), D.Lgs. n. 36/2003: «i rifiuti solidi che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano nè sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a percolati e la percentuale inquinante globale dei rifiuti, nonché l’ecotossicità dei percolati devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque, superficiali e sotterranee». Pertanto, quanto all’ambito di applicazione, sono esclusi dalla nuova disciplina:

  • i rifiuti inerti da costruzione e demolizione identificati al capitolo 17 dell’elenco europeo, ma non riportati in tabella 1, punto 1 (ad esempio i materiali da costruzione a base di gesso[7]La ragione dell’esclusione è che possono rilasciare solfati, come si legge nel già richiamato secondo parere del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022.);
  • i rifiuti inerti da costruzione e demolizione non identificati al capitolo 17 dell’elenco europeo e non riportati in tabella 1, punto 1 (ad esempio, i rifiuti inerti da demolizione abbandonati espressamente esclusi dall’allegato 1, lettera a) [8]Il tema è stato evidenziato anche dal richiamato parere del Consiglio di Stato in questi termini: «L’esclusione, inoltre, di tutti i rifiuti inerti di demolizione/costruzione abbandonati e interrati, trattandosi, purtroppo, di un fenomeno molto diffuso, sembrerebbe imporre l’avvio in discarica di queste notevoli masse di materiali, che verrebbero in tal modo sottratte a ogni possibile processo di selezione e controllo per l’eventuale re-immissione in ciclo di frazioni recuperabili». oppure la terra e roccia derivante da giardini e parchi pubblici, così come i rifiuti generati da alluvioni e terremoti[9]Anche su questo aspetto il Consiglio di Stato ha ritenuto opportuno un richiamo: «Manca, tuttavia, una più diretta valutazione, forse necessaria, delle speciali esigenze che nascono (purtroppo frequentemente) dalla gestione dell’emergenza e della ricostruzione nelle aree terremotate».);
  • i rifiuti da costruzione e demolizione identificati al capitolo 17 dell’elenco europeo e riportati in tabella 1, punto 1 ma non inerti;
  • altri i rifiuti inerti di origine minerale non riportati in tabella 1, punto 2.

 

Quindi, avuta presente la classificazione di cui all’articolo 183, D.Lgs. n. 152/2006 si può affermare che i rifiuti da costruzione e demolizione oggetto del nuovo decretp debbano essere non pericolosi (come risulta dai codici “tabellati”) e inerti cioè in possesso delle caratteristiche di cui alla richiamata lettera c). La lettura coordinata di queste disposizioni e il confronto con analoghe discipline pongono però alcuni interrogativi.

Ci si chiede, innanzitutto, se i rifiuti elencati in tabella 1 siano “inerti per decreto” (ai fini ovviamente del recupero) oppure se per ciascuno di essi si necessario verificarne la natura inerte, anche – occorrendo – attraverso prove analitiche. Nella prima ipotesi non si comprende a cosa serva nel decreto la definizione di rifiuto inerte; nella seconda l’intento di semplificazione appare lontano dall’essere raggiunto.

Ci si domanda anche se il produttore del rifiuto debba classificarlo prima come non pericoloso e poi come inerte o se, invece, la classificazione come inerte assorba quella di non pericoloso. Oppure se il recuperatore, munito di titolo abilitativo adeguato alla nuova disciplina, possa ricevere rifiuti inerti che però il produttore abbia classificato semplicemente come non pericolosi e, in caso affermativo, se per farlo debba (o possa) operare con una sorta di “doppio binario”, ovvero mantenendo la vecchia autorizzazione in via semplificata per ricevere i rifiuti non pericolosi che, sebbene tabellati, non sono (o non sono stati classificati come) inerti, e affiancando a essa la nuova comunicazione aggiornata secondo il D.M. n. 152/2022 per ricevere anche gli inerti.

I temi sono rilevanti anche nell’ottica di realizzare il giusto bilanciamento tra tutela dell’ambiente e semplificazione per incentivare l’economia circolare come rimarcato dal Consiglio di Stato nel parere citato alla nota 1[10]«Ed invero, lo schema di decreto in esame, come del resto ciascuno dei decreti attuativi del sistema dell’end of waste di cui all’art. 184-ter del codice ambiente, deve tenere insieme e conciliare due opposte esigenze, ricercando tra di esse una adeguato punto di equilibrio: da un lato, la tutela della salute e dell’ambiente (per cui è necessario prestare la massima attenzione alla qualità dei rifiuti in ingresso e degli aggregati recuperati prodotti in uscita dal trattamento di recupero); dall’altro lato, la semplificazione, volta a favorire l’economia circolare, particolarmente urgente, forse, per questa tipologia di rifiuti». all’interno del quale, a proposito degli “inerti per decreto”, si leggeva che «la Sezione, con il parere interlocutorio n. 1493/2020 del 17 settembre 2020, ha chiesto una relazione integrativa di chiarimenti […] sulla locuzione “non pericolosi” riferita ai rifiuti inerti (non essendo chiaro se questo carattere di non pericolosità dovesse essere inteso in astratto, quale attributo dei rifiuti inerti in quanto tali, come elencati nella tabella 1, in ragione della relativa disciplina comunitaria applicabile, oppure in concreto, «nel senso di implicare che i rifiuti inerti in esame siano solo quelli che possiedano la duplice caratteristica di rientrare nella tabella 1 (requisito minimo) e di aver superato un accertamento, da effettuarsi di volta in volta, circa la loro non pericolosità in concreto, tenuto conto delle caratteristiche specifiche e peculiari del tipo di inerte». Non si rinviene una risposta precisa; tuttavia, considerato che, secondo la normativa sulle discariche, un rifiuto inerte può essere smaltito in una discarica di rifiuti non pericolosi, probabilmente sarà la prassi a chiarire la portata concreta del regolamento e il suo ambito di applicazione. È logico immaginare, infatti, che se tutti i produttori (o una significativa maggioranza) classificheranno (previe analisi) come inerti i rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione, i recuperatori dovranno giocoforza attrezzarsi adeguando gli impianti e le procedure al nuovo decreto, ma in caso contrario, ove cioè i produttori continuassero a classificarli solo come non pericolosi escludendoli così dal nuovo regolamento, il recuperatore potrebbe avere più interesse a continuare ad operare nel regime di cui al D.M. 5 febbraio 1998. Da qui la necessità di comprendere se il “doppio binario” sia ammesso e possibile.

Proseguendo con le definizioni:

  • la lettera d) contiene quella di aggregato recuperato, vale a dire un rifiuto che ha cessato di essere tale e rispetta sia le condizioni di cui all’articolo 184 ter comma 1, sia quelle del nuovo regolamento;
  • la lettera e) definisce il lotto di aggregato recuperato con riguardo al volume massimo (non oltre i 3.000 metri cubi);
  • il produttore di aggregato recuperato o semplicemente produttore è, a norma della lettera f), il gestore dell’impianto autorizzato;
  • la dichiarazione di conformità [lettera g)] è la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prevista dall’art. 5 con la quale il produttore attesa le caratteristiche dell’aggregato recuperato;
  • l’autorità competente [lettera h)] è quella che rilascia l’Aia, l’Aua o alla quale inviare la comunicazione di inizio attività in procedura semplificata.

I criteri (art. 3)

Per individuare i criteri specifici che permettono ai rifiuti inerti da C&D e di origine minerale di perdere la qualifica di rifiuto e diventare «aggregato recuperato», l’articolo 3 rimanda all’allegato 1 al D.M. n. 152/2022, a sua volta suddiviso in cinque sezioni.

Nella prima sezione - lettera a) - sono riportati i rifiuti inerti utilizzabili per la produzione di aggregato recuperato. Come già detto, nella tabella 1 è riportato l’elenco tassativo dei codici Eer suddivisi in base alla provenienza tra «rifiuti inerti dalle attività di costruzione e demolizione» (punto 1) e «altri rifiuti inerti di origine minerale» (punto 2); nel primo gruppo rientrano solo rifiuti del capitolo 17 dell’elenco europeo, mentre il secondo gruppo riguarda rifiuti non appartenenti al predetto capitolo 17 (i capitoli di riferimento in questo caso sono lo 01, il 10, il 12 e il 19). Tutti i rifiuti utilizzabili per la produzione di aggregato recuperato devono essere non pericolosi secondo le regole di classificazione di cui all’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, nonché in coerenza con il disposto dell’articolo 184 del medesimo decreto che, al comma 5, rimanda alle linee guida Snpa approvate con delibera n. 105/2021. Dalla natura tassativa dell’elenco riportato in tabella 1 derivano due rilevanti conseguenze:

  1. i codici rifiuti considerati dal nuovo decreto potranno essere recuperati solo in conformità al regolamento che prevale gerarchicamente su contenuto delle singole autorizzazioni “caso per caso”, che vi si dovranno infatti adeguare nelle forme e nei tempi previsti dalle disposizioni transitorie (vedere il commento all’articolo 8);
  2. qualora si intenda produrre aggregato end of waste con rifiuti diversi da quelli riportati in tabella 1, non troverà applicazione il decreto in commento e dovranno/potranno essere ottenuti criteri specifici “caso per caso” nell’ambito dei procedimenti per l’ottenimento delle autorizzazioni ordinarie, integrate e sperimentali, ovvero applicate le procedure semplificate di cui al D.M. 5 Febbraio 1998.

Come si dirà, la natura tassativa non riguarda solo i rifiuti recuperabili ai sensi del D.M. n. 152/2022, ma anche gli specifici utilizzi ai quali può essere destinato l’aggregato recuperato (vedere il commento all’articolo 4 e all’allegato 2), determinando il rischio di contestazioni penali in caso di utilizzo diverso da quello previsto dal decreto in commento.

Oltre a individuare i codici rifiuti rilevanti per il nuovo regolamento, nella prima sezione viene specificato che non sono ammessi alla produzione di aggregato recuperato i rifiuti derivanti dalle attività di costruzione e di demolizione aventi i codici previsti dalla tabella 1, ma abbandonati o sotterrati. Si tratta di una previsione contestata dagli operatori del settore, che in fase consultiva avevano richiesto di ampliare il più possibile la lista dei codici Eer da ammettere alla produzione di aggregato riciclato[11]Nel proprio position paper Anpar aveva, infatti, auspicato l’inserimento di codici generici quali il 170904 o il 191209 o i codici relativi agli eventi calamitosi 200301 o 200399. e che in relazione ai rifiuti abbandonati o sotterrati avevano proposto di seguire un criterio merceologico, inserendo specifiche limitazioni legate alla sola componente inerte. Nonostante le perplessità manifestate anche dal Consiglio di Stato nel parere consultivo 10 maggio 2022[12]Vedere le note 6 e 7., il Ministero ha tuttavia scelto di non estendere il novero dei codici Eer disciplinati dal regolamento, qualificando come “residuali” le ulteriori tipologie di rifiuti indicate dagli operatori del settore e ritenendo che l’ammissione di codici rifiuti molto variabili e misti aumenterebbe il rischio di una contaminazione da sostanze pericolose. Da questa esclusione – che stando al dato letterale non riguarda i rifiuti inerti di origine minerale - deriva che, se si intendono recuperare rifiuti C&D abbandonati o sotterrati, sarà necessario ottenere la definizione di criteri specifici caso per caso nelle singole autorizzazioni al recupero[13]Nel parere consultivo il Consiglio di stato afferma che «riguardo a questa problematica, relativa al primo step del processo di EoW (inerente la definizione delle tipologie di rifiuti ammissibili in entrata nel ciclo di produzione dell’aggregato recuperato), il Ministero afferma (pag. 7, secondo periodo, della relazione) che “Con riguardo alle tipologie di rifiuti escluse, gli operatori potranno continuare a ricevere tali rifiuti facendosi autorizzare caso per caso dagli enti territorialmente competenti”. Tale affermazione richiede di essere precisata, riguardo alla sua specifica base giuridica e, se effettivamente ammissibile, sarebbe utile tradurla in una specifica previsione da inserire nell’articolato dello schema di regolamento».. E ciò sia che ai rifiuti da trattare venga attribuito un codice Eer diverso da quelli previsti in tabella 1 al decreto in commento, sia che il codice attribuito sia uno tra quelli ivi previsti. In altre parole, se il ministero ha scelto di non disciplinare il recupero dei rifiuti inerti da C&D abbandonati o sotterrati, questo non significa che non si possa procedere al loro recupero mediante autorizzazioni caso per caso.

La seconda sezione – lettera b) - è dedicata alle verifiche sui rifiuti in ingresso, che partono dall’esame «della documentazione a corredo dei rifiuti in ingresso, a controllo visivo e, qualora se ne ravveda la necessità, a controlli supplementari». A questo fine, il gestore deve garantire un sistema per il controllo di accettazione dei rifiuti in ingresso per verificarne la conformità al regolamento; un sistema che deve essere coordinato con quello di gestione ambientale certificato ai sensi della Uni En Iso 14001 o conforme al regolamento Emas, se adottato. In termini contenutistici, il sistema di accettazione dei rifiuti deve garantire almeno il rispetto degli obblighi riportati in box 1 e deve contenere una procedura «per la gestione, la tracciabilità e la rendicontazione delle non conformità riscontrate».

Box 1

Obblighi minimi di accettazione dei rifiuti in ingresso
  • esame della documentazione a corredo del carico dei rifiuti in ingresso da parte di personale con appropriato livello di formazione e addestramento;
  • controllo visivo del carico di rifiuti in ingresso;
  • accettazione di tali rifiuti solo ove l’esame della documentazione a corredo e il controllo visivo abbiano esito positivo sotto il controllo di personale con formazione e aggiornamento almeno biennale che provvede alla selezione dei rifiuti, rimuove e mantiene separato qualsiasi materiale estraneo;
  • pesatura e registrazione dei dati relativi al carico dei rifiuti in ingresso;
  • stoccaggio separato dei rifiuti non conformi ai criteri di cui al presente regolamento in area dedicata;
  • messa in riserva dei rifiuti conformi, di cui alla tabella l del presente Allegato, nell’area dedicata esclusivamente ad essi, la quale è strutturata in modo da impedire la miscelazione anche accidentale con altre tipologie di rifiuti non ammessi;
  • movimentazione dei rifiuti avviati alla produzione di aggregato recuperato realizzata da parte di personale con formazione e aggiornamento almeno biennale in modo da impedire la contaminazione degli stessi con altri rifiuti o materiale estraneo;
  • svolgimento di controlli supplementari, anche analitici, a campione ovvero ogniqualvolta l’analisi della documentazione o il controllo visivo indichi tale necessità.

 

Molti obblighi di accettazione sono coerenti con le regole di gestione già previste dalla normativa vigente, come la verifica della documentazione a corredo del carico in ingresso da parte di personale formato ed addestrato, la verifica visiva e la pesatura. Desta, invece, qualche perplessità la richiesta formazione e aggiornamento “almeno biennale”, non prevista da alcuna norma di settore e rispetto alla quale non sembrano chiari né i contenuti né le modalità di prova e di eventuale verifica. Allo stesso modo, il prescritto stoccaggio dei rifiuti risultati non conformi, in area dedicata, rischia di essere un requisito tecnico-gestionale che non tutti gli impianti potranno garantire per motivi di spazio e layout. Indefinito, infine, l’ultimo obbligo indicato nel regolamento, in forza del quale, a campione o in caso di necessità derivante dall’analisi della documentazione o del controllo visivo, dovranno essere previsti controlli supplementari sui rifiuti, anche analitici.

La terza sezione - lettera c) - descrive il processo di lavorazione minimo dei rifiuti e il successivo deposito dell’aggregato recuperato, prima e dopo la verifica di conformità. Partendo dal processo di recupero dei rifiuti, è previsto che questo avvenga «mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse». A mero titolo esemplificativo, il D.M. n. 152/2022 riporta quali attività:

  • la macinazione,
  • la vagliatura,
  • la selezione granulometrica,
  • la separazione della frazione metallica e delle frazioni indesiderate.

 

L’esemplificazione è utile ma fa sorgere dubbi legati a processi di lavorazione non meccanici (quale il lavaggio) o comunque diversi da quelli indicati, la legittimazione dei quali dovrà essere verificata dalle singole autorità competenti in sede di adeguamento autorizzativo. È poi previsto che «il processo di recupero, a seconda del tipo di materiale, si realizza tramite il compimento di tutte o alcune delle suddette fasi, ovvero di altri processi di tipo meccanico che consentano il rispetto dei criteri previsti dal presente regolamento», ammettendo così la produzione di end of waste differenziati sulla base dei trattamenti cui sono stati sottoposti. Illogicamente non sembra, invece, prevista la possibilità che determinati rifiuti inerti soddisfino già i criteri per divenire aggregato e possano quindi essere oggetto di mera verifica in conformità a quanto previsto dall’articolo 184-ter, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.

Potenzialmente molto critica è la disciplina per la gestione dell’aggregato recuperato durante la fase di verifica di conformità. È, infatti, previsto che il deposito e la movimentazione debbano essere «organizzati in modo tale che i singoli lotti di produzione non siano miscelati». Ancora una volta, infatti, il ministero sembra dimenticare la ricaduta operativa del regolamento sui singoli impianti che difficilmente hanno un’estensione idonea a permettere il deposito separato di ogni singolo lotto di aggregato. Per essere coerenti con il nuovo decreto, molti impianti potrebbero essere costretti a ridurre drasticamente i rifiuti in ingresso e la propria capacità di recupero per non trovarsi il processo di lavorazione ingolfato per mancanza di spazio utile. Questa criticità non riguarderebbe i soli operatori del settore essendo evidenti i riflessi che avrebbe sull’intero mercato italiano del recupero. In ogni caso, se è comprensibile la necessità di evitare miscelazioni[14]Termine forse non corretto posto che detta miscelazione non riguarderebbe rifiuti, ma aggregato riciclato con aggregato non riciclato e quindi rifiuto.tra ciò che potrebbe essere qualificato come aggregato recuperato e ciò che potrebbe non averne le caratteristiche, ci si sarebbe aspettato un approccio meno prudente o quantomeno aperto ad altre forme di garanzia, considerata la natura ambientalmente poco impattante propria dei rifiuti inerti.

La necessità di garantire un deposito separato sembra invece non riguardare i lotti di aggregato che hanno concluso favorevolmente la verifica di conformità, per i quali è previsto che «in attesa del trasporto al sito di utilizzo, l’aggregato recuperato è depositato e movimentato nell’impianto in cui è stato prodotto e nelle aree di deposito adibite allo scopo». Va, tuttavia, segnalato che il trasporto al “sito di utilizzo” potrebbe limitare la preliminare cessione dell’aggregato a soggetti terzi (intermedi). Restano espressamente salve le disposizioni vigenti in materia di sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro e le disposizioni autorizzative specifiche.

La quarta sezione - lettera d) - è dedicata ai requisiti di qualità dell’aggregato recuperato e si divide in due sezioni dedicate rispettivamente ai controlli analitici (d.1) e test di cessione (d.2). Quanto ai controlli analitici, la tabella 2 dell’allegato I  riporta 27 parametri con relativo valore limite.

 

Tabella 2

End of waste inerti

Per i parametri indicati quasi tutti i valori limite corrispondono ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (Csc) previsti per la bonifica di suolo e sottosuolo di siti aventi destinazione verde pubblico, privato e residenziale. Questa scelta estremamente cautelativa ha suscitato perplessità tanto negli operatori del settore che nel Consiglio di Stato. Era stata infatti auspicata una differenziazione analitica in base all’effettivo utilizzo dell’aggregato, una verifica analitica per famiglie (ad esempio Btex totali) e, più in generale, il riferimento alle Csc previste per i siti a uso commerciale ed industriale. Lo stesso dicasi per la possibilità, tutt’altro che remota, che le sostanze normalmente presenti nei rifiuti inerti in ingresso all’impianto (come il Cromo VI nel cemento) possano portare, da sole, al superamento dei predetti limiti. Il ministero ha però scelto la soluzione più cautelativa, mutuando dalla disciplina bonifiche i valori più restrittivi e richiedendo una verifica analitica dei singoli parametri che compongono le famiglie dei Btex e degli Ipa, senza verificare – come aveva auspicato dal Consiglio di Stato – «l’impatto applicativo di tali previsioni in relazione alla effettiva capacità degli operatori economici (i produttori di aggregati recuperati) di dotarsi di mezzi adeguati a svolgere compiutamente i suindicati controlli analitici».

Per il parametro amianto il D.M. n. 152/2022 ha, invece, scelto il valore di 100 mg/kg, pari ad un decimo di quello previsto dalla disciplina sulla bonifica dei siti contaminati (1.000 mg/kg). Al di là del valore scelto, che a detta del Mite, di Ispra e dell’Iss è coerente con l’attuale limite di rilevabilità della tecnica analitica, resta un’incomprensibile discrasia e sproporzione tra la quantità di amianto che la normativa ambientale ammette nelle matrici ambientali suolo e sottosuolo e quella prevista per l’aggregato recuperato. Sono stati infine aggiunti i parametri «materiali galleggianti» e «frazioni estranee», per i quali, «ove non definito da standard tecnici applicabili», valgono rispettivamente i valori <5 cm3/kg e <1 % in peso. Sarebbe stato certamente più opportuno indicare limiti univoci o gli standard tecnici applicabili. Per tutti gli altri parametri i valori indicati nella tabella 2 all’allegato I si riferiscono a mg/kg espressi come sostanza secca. È opportuno ricordare che rispetto al prelievo dei campioni e alle verifiche analitiche, le associazioni di categoria avevano rappresentato criticità legate alla scarsa precisione dei metodi di prova ed alla non ripetibilità dei risultati anche all’interno dello stesso lotto di produzione; criticità che avrebbero dovuto portare il ministero ad adottare metodiche differenti per verificare la conformità dell’aggregato, se del caso prescindendo dal singolo test e impiegando un approccio di tipo statistico. Quanto al test di cessione, è previsto che ogni lotto di aggregato recuperato prodotto, ad eccezione di quelli «destinati al confezionamento di calcestruzzi di cui alla norma Uni En 12620 con classe di resistenza Rck/leq ≥ 15 MPa»[15]Rispetto a questa previsione, nelle proprie osservazioni l’associazione regionale Albo cavatori del Veneto aveva rilevato che «Considerare esente dal test di cessione solo gli aggregati destinati al confezionamento di calcestruzzi in Rck maggiore o uguale a 15 MPa è restrittivo rispetto a quanto già previsto dal D.M. 5/2/98 e smi così poi, come, tra l’altro, mutuato dalla DGRV della Regione Veneto n. 439 del 30.04.2018. Perché non rifarsi alle classificazioni delle miscele legate di cui alla serie della UNI EN 14227-1? In tali norme sono già definiti le classi di resistenza per definire quando una miscela è da considerarsi legata; vincolare a resistenze minime di 15 MPa va, anche in questo caso, verso limitazioni che contrastano con le finalità di favorire il recupero dei rifiuti; tra l’altro presupporrebbe un utilizzo smodato di cemento; quest’ultimo molto impattante dal punto di vista delle emissioni per la sua produzione»., debba rispettare le concentrazioni limite indicate nella tabella 3 dell’allegato I al D.M n. 152/2022.

Tabella 3

 

End of waste inertiAnche in questo caso il Ministero ha mutuato la disciplina previgente, posto che parametri e concentrazioni limite previste sono quelli (risalenti e meritevoli di aggiornamento) dell’allegato 3 al D.M. 5 febbraio 1998 per il recupero dei rifiuti non pericolosi. Uniche eccezioni riguardano il parametro amianto, non previsto per l’aggregato recuperato e i parametri solfati e cloruri, per i quali sono state previste concentrazioni maggiori e pari, per entrambi, a 750 (anziché, rispettivamente, 250 e 100). Sul punto gli operatori del settore, oltre a proporre l’utilizzo di metodi alternativi alle prove di percolazione (come, ad esempio, i test ecotossicologici) e a richiedere di considerare metodi differenziati in funzione dell’utilizzo dell’aggregato, avevano evidenziato che alcuni parametri da ricercare (tra cui cloruri, solfati e Cod/Toc) sono costituenti dei materiali prodotti e non dei contaminanti. Prevederli quali limiti per aversi l’end of waste pregiudicherebbe fortemente la circular economy, obbligando, di fatto, l’invio a discarica di ingenti quantitativi di inerti recuperati. Anche in questo caso, però, il ministero ha aderito al suggerimento di Ispra e Iss, confermando la necessità di ricercare cloruri e solfati, ma aumentandone il limite a un valore ritenuto idoneo alla salvaguardia dell’ambiente e della salute umana.[16] A detta del Consiglio di Stato, «pur trattandosi di parametri che hanno una potenziale incidenza sulla salute umana e sull’ambiente, per i quali, dunque, appare ragionevole assumere posizioni di assoluta prudenza, resta aperta l’esigenza di un’attenta valutazione, da parte dell’Amministrazione, degli effetti concreti di tali limiti prudenziali sull’efficacia del meccanismo di economia circolare attivato dalla presente regolamentazione, affinché siano scongiurati effetti di forte riduzione dei quantitativi di rifiuti del genere in trattazione effettivamente avviati al recupero».. Per la determinazione del test di cessione si applica l’appendice A alla norma Uni 10802:2013 (vedere il box 2) e la metodica prevista dalla norma Uni En 12457-2. Se la granulometria del campione è molto fine, non si deve procedere alla sedimentazione naturale, bensì alla ultracentrifugazione (20000 G) per almeno 10 minuti e solo successivamente si può procedere con la filtrazione secondo quanto riportato al punto 5.2.2 della norma Uni En 12457-2.

 

Box 2

Norma UNI 10802:2013
Campionamento manuale dei rifiuti, preparazione del campione ed analisi degli eluati

 

Sono molte le normative ambientali che fanno riferimento, in vario modo, alla norma Uni 10802/2013 (o a versioni precedenti della medesima norma UNI): ad esempio, le discipline in materia di discariche e di terre o rocce da scavo. In varie parti, anche il D.M. in commento contiene un espresso e vincolante riferimento alla norma Uni 10802:2013. Si tratta, in effetti, di una norma tecnica fondamentale, dedicata a «Campionamento manuale dei rifiuti, preparazione del campione ed analisi degli eluati» Con il principale obiettivo di assicurare la rappresentatività del campionamento e delle conseguenti analisi, la norma:

  • descrive la complessa definizione di un piano di campionamento nonché le tecniche di campionamento manuale di rifiuti liquidi, granulari, pastosi, grossolani, monolitici e fanghi in relazione al loro diverso stato fisico e conservazione a breve termine;
  • prevede procedure di riduzione delle dimensioni dei campioni dei rifiuti prelevati in campo, al fine di facilitarne il trasporto in laboratorio;
  • indica la documentazione necessaria per la rintracciabilità delle operazioni di campionamento, nonché le procedure per l’imballaggio, la conservazione, lo stoccaggio del campione a breve termine e il trasporto dei campioni di rifiuti ed i procedimenti di preparazione ed analisi degli eluati.

Questa norma Uni si applica a tutti i tipi di rifiuti, quali i rifiuti liquidi, liquefattibili per riscaldamento, fanghi liquidi, fanghi pastosi, polveri o rifiuti granulari, rifiuti grossolani, monolitici o massivi.

Il piano di campionamento è probabilmente l’argomento più importante coperto dalla norma e, insieme, quello in merito al quale spesso non tutte le indicazioni in essa contenute vengono rispettate. Esso fornisce istruzioni pratiche al campionatore, con l’obiettivo di:

  1. predisporre il progetto di campionamento proposto tramite consultazione con le parti;
  2. interessate (cliente, autorità ed enti) in funzione della normativa di riferimento;
  3. definire che cosa campionare e dove, nonché il tipo di analiti da determinare in funzione della normativa di riferimento;
  4. definire la strategia di campionamento (campionamento manuale o meccanico, casuale o sistematico,
  5. puntuale o medio composito), le tecniche di campionamento (in funzione dello stato fisico e della giacitura) ed eventuali accorgimenti tecnici da osservare nelle operazioni sul campo;
  6. registrare tutte le precauzioni di sicurezza che devono essere prese per proteggere il personale incaricato.

Ulteriori norme tecniche di dettaglio, collegate alla Uni 10802:2013, sono le seguenti:

  • Uni En 14899:2006, relativa a «Caratterizzazione dei rifiuti – Campionamento dei rifiuti – Schema quadro di riferimento per la preparazione e l’applicazione di un piano di campionamento»;
  • Uni En 15002:2015, relativa a «Caratterizzazione dei rifiuti – Preparazione di porzioni di prova dal campione di laboratorio».

Nella giurisprudenza anche penale è controverso il grado di vincolatività dei richiami alla norma Uni 10802, contenuti in alcune discipline ambientali. Così, da un lato, secondo la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 27 aprile 2010, n. 16386, è necessario che il giudice motivi circa le ragioni per le quali viene utilizzato il metodo Irsa Cnr anziché il metodo Uni 10802. Dall’altro, la sentenza della Cassazione penale, sezione III, 16 gennaio 2015, n. 1987 – riguardante la «individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22» – sostiene che la norma Uni 10802, richiamata da tale disciplina, è «un insieme di disposizioni prive di portata generale, perché dirette allo specifico scopo di disciplinare le analisi effettuate a cura del titolare dell’impianto di produzione di rifiuti, ai fini della loro caratterizzazione chimico-fisica, per le sole tipologie di rifiuti individuate dallo stesso decreto ministeriale»(in termini analoghi, si veda la sentenza della Cassazione penale, sez. III, 14 novembre 2018, n. 51475).

 

Restano poco chiare le conseguenze operative e in termini di responsabilità in caso di accertato superamento dei limiti a valle del test di cessione. Trattandosi di parametri previsti per garantire l’assenza di impatto ambientale e sanitario sembra corretto affermare che il lotto di materiale in oggetto non potrà considerarsi recuperato, con la conseguente necessità di riavviarlo a recupero o di destinarlo a diversa forma di trattamento. Al gestore dell’impianto potranno però essere contestate violazione dell’autorizzazioni? Il produttore del rifiuto andrà esente da responsabilità? Al momento non è dato saperlo.

La quinta sezione - lettera e) - in coerenza con la condizione sub c) dell’articolo 184 ter comma 1[17]«La sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti». è dedicata alle norme tecniche di riferimento per la certificazione CE dell’aggregato recuperato e rimanda alla tabella 4.

 

Tabella 4

 

End of waste inertiRapportando la tabella con quanto indicato nell’allegato 2 al D.M. n. 152/2022 sembra corretto affermare che la marcatura CE non è condizione necessaria per tutte le forma di utilizzo dell’aggregato recuperato. Basti pensare all’utilizzo per la realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate, in relazione al quale l’allegato 2 dispone espressamente l’esclusione dalla marcatura CE («Per tutti gli utilizzi, ad esclusione di quelli di cui alla lettera d) [“realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate”], è si applica la Marcatura CE come disposto dal regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2011»).

 

Utilizzi ammissibili (art. 4)

Dopo le operazioni di recupero, come si può utilizzare l’aggregato recuperato? Al riguardo, la risposta fornita dall’art. 4 del D.M. n. 152/2022 è perentoria: «esclusivamente per gli scopi specifici elencati nell’allegato 2» che, a sua volta, fornisce tre indicazioni. In primo luogo, l’aggregato recuperato può essere utilizzato soltanto per i seguenti sei tipi generali di utilizzi:

  1. la realizzazione del corpo dei rilevati di opere in terra dell’ingegneria civile;
  2. la realizzazione di sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali e di piazzali civili ed industriali;
  3. la realizzazione di strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto e di piazzali civili ed industriali;
  4. la realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate;
  5. la realizzazione di strati accessori aventi, a titolo esemplificativo, funzione anticapillare, antigelo, drenante;
  6. il confezionamento di calcestruzzi e miscele legate con leganti idraulici (quali, a titolo
  7. esemplificativo, misti cementati, miscele betonabili).

In secondo luogo, l’utilizzo deve avvenire nel rispetto delle norme tecniche elencate nella tabella 5

 

Tabella 5
 

Impiego

Conformità alle norme armonizzate europee / prestazioni  

Idoneità tecnica

Colmate, rinterri, ripristini

morfologici

Uni En 13242 Uni En 11531-1

Prospetto 4a

 

Corpo del rilevato

 

Uni En 13242

Uni 11531-1

Prospetto 4a

Miscele non legate, strato Uni En 13242 Uni 11531-1
anticapillare, fondazione, base Uni En 13450 Prospetto 4b
Produzione di miscele legate con leganti idraulici (quali, a titolo esemplificativo, misti cementati, miscele betonabili)  

Uni En 13242

 

UNIEN 14227-1:2013

 

 

 

 

Produzione di

calcestruzzi

 

 

 

 

Uni En 12620 (*)

UNI 8520-1

Prospetto 1

 

UNI 8520-2

Appendice A

 

UNI 11104

Prospetto 4

 

UNI EN 206

Appendice E

 

D.M. 17 gennaio 2018

NTC: Tab 11.2.111

 

(*) La En 12620, di particolare importanza, è stata redatta tenendo conto delle esigenze, delle condizioni ambientali e della pratica d’uso delle diverse nazioni europee. La norma riguarda gli aggregati e i filler di origine naturale, industriale o riciclati e le miscele di questi aggregati destinate alla produzione di calcestruzzo e fornisce i criteri di classificazione del materiale secondo caratteristiche geometriche, fisiche e chimiche. Descrive poi un sistema di controllo della produzione mirato a soddisfare la conformità ai requisiti necessari alla marcatura CE. Per l’utilizzo in Italia di aggregati conformi alla UNI EN 12620 sono state elaborate due norme: la UNI 8520-1, che fornisce chiarimenti in merito alla designazione e alla conformità degli aggregati e la UNI 8520-2 che fornisce indicazioni per l’utilizzo di aggregati conformi alla UNI EN 12620 in funzione della destinazione finale del calcestruzzo.

 

In terzo luogo, per tutti gli utilizzi – esclusi solo quelli di cui alla lettera d) sopra richiamata (recuperi ambientali, riempimenti e colmate) – si applica la marcatura CE. Va aggiunto che gli utilizzi al suolo non devono costituire fonte di contaminazione, e che, per gli utilizzi di cui alla lettera f) (confezionamento di calcestruzzi e di miscele con leganti idraulici), si devono rispettare specifici limiti per il cromo VI. A questo punto sorge spontanea una domanda: è prevista una sanzione, ed eventualmente quale, per la violazione dei criteri sopra riportati? A cosa dunque si va incontro se si utilizza l’aggregato recuperato per una funzione diversa dalle sei sopra elencate, oppure per una delle funzioni elencate ma senza rispettare, ad esempio, le norme tecniche richiamate nella tabella? Per rispondere a questa domanda, è necessario considerare che, per costante giurisprudenza, le norme sui sottoprodotti e sull’end of waste costituiscono un’eccezione alla generale classificabilità come rifiuti degli scarti di produzione. Trattandosi di norme eccezionali, la loro utilizzazione deve essere restrittiva, e sull’utilizzatore compete l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni di corretto utilizzo. Ne consegue, nei casi indicati, il rischio che alla violazione delle norme del decreto consegua una possibile imputazione per gestione non autorizzata di rifiuti (articolo 256, D.Lgs. n. 152/2006). In altre parole, se si esegue un utilizzo non consentito, o non rispetto le norme tecniche, il rischio è che, con una interpretazione molto rigorosa, i materiali in questione vengano considerati rifiuti, con tutte le conseguenze anche penali[18]Cassazione penale, sez. III, 2 luglio 2018, n. 29752: «La mancata verifica degli specifici adempimenti previsti dall’art. 184-quater non consente di ritenere che i fanghi di dragaggio abbiano cessato la loro qualifica di rifiuti e possano conseguentemente essere trasportati senza il FIR. Sicché, secondo il nuovo art. 184-quater, i materiali dragati, sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati, cessano di essere rifiuti qualora, all’esito di operazioni di recupero (che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione) soddisfino una serie di requisiti e siano utilizzati in conformità a determinate condizioni, diversi a seconda che i materiali di dragaggio siano utilizzati in un sito o direttamente all’interno di un ciclo produttivo».. Questa conclusione appare particolarmente critica per quanto concerne il rispetto delle varie norme Uni richiamate nell’allegato 2. Si tratta, infatti, di norme tecniche con contenuti molto diversificati e non sempre precisi, molto difficili nella pratica da rispettare in modo completo e vincolante. Conseguentemente, può fondatamente dubitarsi che una violazione solo minore o formale di alcuni aspetti delle richiamate norme tecniche abbia un effetto tanto determinante da causare la classificazione dei materiali come rifiuti e da causare conseguentemente l’applicazione della fattispecie penale (art. 256) riguardante la gestione non autorizzata. Ma su questo aspetto occorrerà ovviamente attendere l’evoluzione giurisprudenziale.

 

Dichiarazione di conformità e modalità di detenzione dei campioni (art. 5 e allegato 3)

L’articolo 5 del decreto è incentrato sulla documentazione necessaria al fine di attestare il rispetto dei requisiti dell’aggregato recuperato (la “dichiarazione di conformità”) e sulle modalità di conservazione della stessa e dei campioni analitici effettuati sul materiale, ma fornisce anche importanti spunti sulle responsabilità dei soggetti coinvolti nella “filiera” di gestione del rifiuto recuperato. Il comma 1 ricorda preliminarmente, richiamando la disciplina di riferimento[19]Il richiamo è agli artt. 184, comma 5 (che indica i criteri per la classificazione del rifiuto), 188, comma 4 (riguardante la responsabilità “estesa” nella gestione dei rifiuti ed i relativi limiti) e 193 (disposizione di riferimento in tema di tracciabilità dei rifiuti) del D.Lgs. 152/2006., che la responsabilità per la classificazione del rifiuto da cui avrà origine l’aggregato recuperato (con ogni conseguenza in tema di illecita gestione del rifiuto in caso di errori) è in capo al produttore dello stesso, cui spetta dunque la corretta attribuzione del codice Eer (che andrà effettuata in linea con le linee guida del Snpa emanate con D.M. 9 agosto 2021, n. 47[20]Secondo quanto previsto dall’art. 184, comma 5, D.Lgs. 152/2006 «La corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle Linee guida redatte (…) dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Per un approfondimento sul punto vedere A. Balestreri, F. Rigo, La classificazione dei rifiuti tra stato dell’arte e novità in Ambiente&Sicurezza n. 11/2021. Si segnala inoltre che le citate linee guida sono state recentemente oggetto di chiarimenti da parte del ministero con nota 17 gennaio 2022, prot. 0128108.). Il medesimo soggetto cura la compilazione del Fir, documento che accompagnerà il rifiuto fino all’impianto di recupero di destino, nonché ogni ulteriore correlato onere documentale di sua pertinenza. Giunto a destino, il rifiuto sarà sottoposto alle operazioni di recupero previste per la produzione dell’aggregato recuperato. Il rispetto dei requisiti dell’aggregato recuperato ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto – secondo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 5 del decreto – dovrà essere, invece, attestato dal produttore (dell’aggregato) mediante una «dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 del decreto del presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445», vale a dire con autocertificazione. Si tratta della dichiarazione di conformità, documento numerato progressivamente in coerenza con i lotti di aggregato recuperato prodotti e da:

  • redigere utilizzando il modulo in allegato 3 al decreto (una sintesi dei principali contenuti è riportata nel box 3);
  • inviare - in forma telematica secondo una delle modalità previste dall’art. 65, D.Lgs. n. 82/2005 - all’autorità competente[21]Si tratta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera h) del decreto dell’Autorità che rilascia l’autorizzazione al recupero o riceve la relativa comunicazione in regime semplificato. e all’Arpa locale;
  • conservare – secondo quanto previsto dal comma 3 – presso l’impianto di produzione o la sede legale dell’impresa che ha operato il recupero, anche in formato elettronico, mettendola a disposizione delle autorità che dovessero richiederla.

La configurazione della dichiarazione come autocertificazione comporterà, in caso di dichiarazioni non rispondenti al vero, oltre agli effetti sulla qualifica del materiale (inidoneo alla produzione di aggregato recuperato, quindi rifiuto) anche la configurabilità delle fattispecie di falso in linea con quanto previsto dall’art. 76, D.P.R. n. 445/2000.

 

Box 3

I principali contenuti della dichiarazione di conformità (da redigere secondo il modello in allegato 3 al decreto)
  • numero del lotto (e conseguentemente della dichiarazione);
  • anno di elaborazione;
  • dati del produttore dell’aggregato recuperato (ragione sociale, impianto di produzione, autorizzazione al recupero eccetera);
  • quantità in volume del lotto di aggregato recuperato;
  • dichiarazione generale di conformità alle condizioni del decreto;
  • conformità alle norme tecniche ed indicazione degli scopi specifici di utilizzo previsti;
  • dichiarazione di consapevolezza delle sanzioni previste in caso di dichiarazioni non veritiere;
  • dichiarazione per il trattamento dati;
  • luogo, data, timbro e firma;
  • documento di identità del dichiarante e referto analitico del lotto recuperato (in allegato)

 

Quanto a contenuti e condizioni di elaborazione della dichiarazione di conformità, destano perplessità sia gli adempimenti connessi all’invio alle autorità (di cui non sono dettati tempi e condizioni) sia quelli legati alla conservazione documentale (anche in questo caso, non è indicata una tempistica). Sul piano contenutistico, occorre evidenziare che la dichiarazione contiene precise indicazioni circa il rispetto delle norme Uni per utilizzi specifici (quelli contemplati dall’allegato 2), con facoltà per il produttore dell’aggregato di barrare soltanto talune o tutte le norme Uni e relative modalità di utilizzo, in funzione delle caratteristiche del prodotto. Ciò significa che l’utilizzo specifico del materiale (come aggregato recuperato e quindi al di fuori della disciplina dei rifiuti) sarà possibile esclusivamente coerentemente con le norme Uni e gli scopi di utilizzo “flaggati” nella dichiarazione di conformità. L’art. 5 del decreto si chiude poi con indicazioni circa le modalità di conservazione dei campioni di aggregato recuperato funzionali alla dichiarazione di conformità resa (che devono essere raccolti e gestiti in coerenza con la norma Uni 10802). Gli stessi andranno conservati per cinque anni (termine che, per analogia, potrebbe essere esteso anche alla conservazione della dichiarazione di conformità, peraltro più esteso di quello oggi previsto per la documentazione in tema di rifiuti) e presso la sede di produzione o la sede legale dell’impresa. La conservazione dovrà avvenire in condizioni «tali da garantire la non alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche dell’aggregato recuperato prelevato e idonee a consentire la ripetizione delle analisi», elemento che dunque andrà preventivamente definito dal gestore dell’impianto con l’ausilio dei tecnici incaricati per le analisi. Oltre all’idoneità dei luoghi e delle condizioni di conservazione, il campionatore dovrà pertanto raccogliere aliquote in quantitativi idonei a consentire la ripetizione delle analisi, pena la non conformità alle condizioni del decreto e onde evitare potenziali criticità in caso di esecuzione dei controlli di conformità da parte di terzi.

End of waste per gli inerti

Sistema di gestione certificato (art. 6)

Tra i requisiti più impattanti dal punto di vista organizzativo ed operativo per l’impianto di produzione dell’aggregato recuperato vi è, senza dubbio, quello di dotarsi di un «sistema di gestione della qualità secondo la norma Uni En Iso 9001 certificato da un’organizzazione accreditata» che sia finalizzato a dimostrare il rispetto dei criteri di produzione dell’aggregato previsti dal regolamento. L’articolo 6, direttiva 2008/98/Ce, come modificato dalla direttiva 851/2018/Ue, individua infatti i sistemi di gestione ambientale tra le condizioni per l’adozione delle disposizioni in tema di cessazione della qualifica di rifiuto, in quanto ritenuti strumenti di autocontrollo e meccanismi di garanzia della qualità del prodotto recuperato. Sebbene la direttiva (come anche l’art. 184-ter, D.Lgs. n. 152/2006) non faccia riferimento alla certificazione dei sistemi di gestione, il decreto in commento – in sostanziale conformità con i più recenti decreti end of waste adottati – impone la certificazione ed il rilascio della stessa da parte di organizzazione accreditata. Questa ulteriore condizione impone all’impianto di produzione di disporre non soltanto di procedure e istruzioni operative specifiche bensì anche di sottoporre le stesse ad una specifica procedura di certificazione (espressamente finalizzata all’adempimento alle condizioni del decreto). Elaborare questo sistema significherà, dunque, passare attraverso analisi del contesto, audit, definizione delle procedure e verifiche di conformità. In buona sostanza, chi già dispone di una certificazione di qualità dovrà integrare/adeguare la stessa alle specifiche finalità del decreto, mentre chi ancora non ne è in possesso dovrà dotarsene nei – molto, forse troppo – ristretti tempi di attuazione previsti dalla nuova disciplina (vedere oltre). Quanto ai contenuti del manuale di qualità (documento base del sistema certificato), il comma 1 dell’art. 6 precisa che lo stesso dovrà essere comprensivo di procedure per il «controllo delle caratteristiche di conformità ai criteri di cui all’Allegato 1, del piano di campionamento e dell’automonitoraggio». Ciò significa che nel manuale della qualità certificato si troveranno quelle condizioni di controllo delle prestazioni e delle caratteristiche degli aggregati recuperati che il gestore dovrà garantire e verificare per la valida produzione dei materiali. Appare oltremodo evidente che il sistema certificato dovrà essere coerente con l’autorizzazione/iscrizione al recupero e con i contenuti del decreto; ciò significa che ove il titolo autorizzativo venga adeguato (come ragionevolmente accadrà in sede di prima applicazione del decreto) successivamente all’ottenimento della certificazione, il manuale della qualità andrà poi opportunamente aggiornato. Da evitare, invece, dovrebbero essere i richiami autorizzativi di carattere generale ai contenuti del sistema di gestione certificato come vincoli in capo all’operatore. Prescrizioni quali «Il gestore è obbligato a garantire il rispetto delle procedure del sistema di gestione», infatti, rischierebbero di creare sostanziali incertezze sulle condizioni di gestione dell’impianto nel tempo, atteso che il sistema di gestione qualità, diversamente dal titolo autorizzativo, non ha carattere pubblicistico né le relative revisioni sono soggette a percorsi autorizzativi predeterminati (questo aspetto, come si riscontra sovente nella prassi, potrebbe generare incoerenze tra quanto prescritto a livello autorizzativo e quanto presente nel sistema di qualità). È bene, invece, che il titolo autorizzativo detti – sulla base del progetto presentato dal gestore e delle ulteriori eventuali prescrizioni emerse in sede istruttoria - le condizioni di produzione degli aggregati e le modalità di controllo ed imponga il mantenimento della certificazione del sistema di gestione, affinché il manuale di procedure possa essere adeguato e reso coerente al titolo abilitativo in vigore ma ciascun documento mantenga la propria, legittima, autonomia. Da ultimo, va segnalato che il nuovo decreto contempla, per le imprese registrate Emas (regolamento n. 1221/2009/CE) o in possesso di certificazione ambientale Uni En Iso 14001 rilasciate da organismi accreditati, un’agevolazione consistente nell’esenzione dall’obbligo di conservazione presso gli impianti di copia della dichiarazione di conformità[22]Si esonerano infatti queste imprese dall’adempimento previsto all’art. 5, comma 3 del decreto.. Atteso che resta fermo l’obbligo di trasmissione della dichiarazione alle autorità è difficile comprendere ragione e rilevanza di siffatta esclusione, sia per la modesta agevolazione pratica che – soprattutto – per le difficoltà che l’assenza del documento potrebbe porre in fase di controllo.

 

Monitoraggio ed eventuale revisione dei criteri (art. 7)

L’art. 7 prevede la facoltà per il ministero di rivedere i criteri all’esito di un monitoraggio sull’attuazione della durata di centottanta giorni decorrenti dalla entrata in vigore del decreto. Occorre però considerare che il termine di cui sopra per monitorare l’attuazione pratica delle nuove norme e valutare eventuali modifiche, coincide con quello entro il quale i recuperatori dovranno presentare la domanda di adeguamento per conformarsi alle nuove disposizioni (vedere l’art. 8). È, pertanto, corretto ritenere che nei centottanta giorni dall’entrata in vigore del decreto pochi o pochissimi saranno i recuperatori che avranno preso a operare in conformità alle nuove disposizioni, il che finisce per svuotare la norma di portata concreta, il che però non impedirà al ministero, in futuro, di adottare un nuovo regolamento o modificare l’esistente.

 

Regime transitorio (art. 8)

In conformità a quanto previsto dalla normativa di settore e in coerenza con i precedenti decreti Eow[23]Ad eccezione del regolamento sul recupero dei PFU nel quale è stato erroneamente indicato un termine di 120 giorni (sul tema vedere A. Kiniger End of Waste: il Ministero disciplina il recupero della gomma vulcanizzata, in Ambiente&Sicurezza n. 9/2020)., l’articolo 8 comma 1 del decreto in commento prevede che entro 180 giorni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento (4 novembre 2022) e quindi entro il 3 maggio 2023, ogni gestore (autorizzato in via semplificata, sperimentale, integrata o ordinaria, compresi gli impianti mobili) presenti all’autorità competente un’istanza di aggiornamento della propria autorizzazione ai criteri descritti nel nuovo decreto. La mancata presentazione dell’istanza di aggiornamento entro il termine indicato può comportare la sospensione dell’attività oggetto di autorizzazione ai sensi dell’art. 14-bis, comma 7 ultimo periodo del D.L. 101/2019, convertito con modificazioni dalla legge n 128/2019[24]La mancata presentazione dell'istanza di aggiornamento, nel termine indicato dal periodo precedente, determina la sospensione dell'attività oggetto di autorizzazione o di procedura semplificata. V. sul tema, A. Kiniger, End of waste: la possibilità di definire criteri specifici (o dettagliati) permette di rilanciare la circular economy in Ambiente&Sicurezza n. 11/2019 .. Per le procedure di recupero in regime semplificato, il D.M. n. 152/2022 specifica che in sede di aggiornamento della comunicazione effettuata ai sensi dell’articolo 216 deve essere indicata «la quantità massima recuperabile»[25]Previsione forse ultronea considerata la permanente efficacia dell’allegato 4 al D.m. 5 febbraio 1998, recante Determinazione delle quantità massime di rifiuti non pericolosi di cui all’Allegato 1, Sub allegato 1 del D.m. 5/02/98.e che continuano ad applicarsi le disposizioni del D.M. 5 febbraio 1998 relative ai limiti quantitativi (allegato 4), alle norme tecniche (allegato 5), nonché ai valori limite per le emissioni (allegato 1, sub allegato 2). Per i rifiuti disciplinati dal decreto in commento, il regolamento, pertanto, prevale sulle disposizioni tecniche di recupero riportate nell’allegato 1, Sub allegato 1 del citato D.M. 5 febbraio 1998, recante Norme tecniche generali per il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi.

Nelle more dell’adeguamento dell’autorizzazione, per il quale non è previsto un termine perentorio a carico delle autorità competenti, i materiali già prodotti alla data del 4 novembre 2022, nonché quelli che risultano in esito alle procedure di recupero già autorizzate, possono essere utilizzati in conformità al rispettivo titolo autorizzativo. Per quanto concerne le autorizzazioni semplificate ai sensi dell’articolo 216 e che non rientrano nel campo di applicazione dell’Aua ai sensi dell’articolo 3, comma 3, D.P.R. n. 59/2013[26]«È fatta comunque salva la facoltà dei gestori degli impianti di non avvalersi dell'autorizzazione unica ambientale nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell'istanza per il tramite del SUAP»., non è chiaro se l’adeguamento alla nuova disciplina si perfezioni con l’aggiornamento della comunicazione ed il decorso dei 90 giorni previsti dal richiamato articolo 216, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 152/2006.

Note   [ + ]

1. Il Consiglio di Stato, nel parere sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022, ha osservato: «emerge dall’AIR, ad esempio, che degli oltre 70 milioni annui di tonnellate di rifiuti prodotti dal settore delle costruzioni e demolizioni, solo circa 3,2 milioni di tonnellate sono stati smaltiti in discarica, mentre non è indicato il dato percentuale della quota di questa tipologia di rifiuti che viene avviata al recupero; da questo dato è logico inferire l’ipotesi che esista una massa notevole di questa tipologia di rifiuti che si colloca al di fuori dei fisiologici meccanismi di gestione dei rifiuti, essendo peraltro notorio il gravissimo fenomeno dell’abbandono incontrollato di rifiuti inerti da demolizione e costruzione».
2. L’art. 1, punto 12) della direttiva 2018/861/Ue ha così modificato l’art. 11 della direttiva 2008/98/CE: «Gli Stati membri adottano misure intese a promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso».
3. «Linee Guida recanti criteri e indirizzi tecnici per il recupero dei rifiuti inerti» approvate con delibera del 29 novembre 2016, n. 89. Sempre sul tema sono fornite alcune indicazioni anche dalla norma UNI/PdR 75:2020 «Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare». Per ulteriori riferimenti si rimanda a F. Peres Costruzione e demolizione tema rifiuti sempre aperto in Ambiente&Sicurezza n. 5/2019.
4. Come in caso di materiali contenenti amianto, cisterne interrate, rifiuti pericolosi, materiali contaminati da sostanze pericolose.
5. Quanto alla possibilità di ricavare da una demolizione (anche) dei sottoprodotti va dato atto di un contrasto in giurisprudenza. Secondo una sentenza della Corte di Cassazione del 2015 «la demolizione di un edificio non può essere considerata “un processo di produzione” e quindi gli inerti che ne derivano sono rifiuti che non possono essere qualificati come sottoprodotti» (Cassazione penale 28 luglio 2015, n. 33028). Quattro anni dopo questa affermazione – per la verità apodittica – non è stata ribadita dalla Corte in relazione al fresato d’asfalto derivante anch’esso dalla demolizione del manto stradale (Cassazione penale 14 marzo 2019, n. 11452; nello stesso senso, in precedenza, anche Consiglio di Stato 6 ottobre 2014, n. 4978).
6. Definizione di rifiuti inerti contenuta all’art. 2, comma 1, lettera e), D.Lgs. n. 36/2003: «i rifiuti solidi che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano nè sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a percolati e la percentuale inquinante globale dei rifiuti, nonché l’ecotossicità dei percolati devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque, superficiali e sotterranee».
7. La ragione dell’esclusione è che possono rilasciare solfati, come si legge nel già richiamato secondo parere del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento spedito il 17 maggio 2022.
8. Il tema è stato evidenziato anche dal richiamato parere del Consiglio di Stato in questi termini: «L’esclusione, inoltre, di tutti i rifiuti inerti di demolizione/costruzione abbandonati e interrati, trattandosi, purtroppo, di un fenomeno molto diffuso, sembrerebbe imporre l’avvio in discarica di queste notevoli masse di materiali, che verrebbero in tal modo sottratte a ogni possibile processo di selezione e controllo per l’eventuale re-immissione in ciclo di frazioni recuperabili».
9. Anche su questo aspetto il Consiglio di Stato ha ritenuto opportuno un richiamo: «Manca, tuttavia, una più diretta valutazione, forse necessaria, delle speciali esigenze che nascono (purtroppo frequentemente) dalla gestione dell’emergenza e della ricostruzione nelle aree terremotate».
10. «Ed invero, lo schema di decreto in esame, come del resto ciascuno dei decreti attuativi del sistema dell’end of waste di cui all’art. 184-ter del codice ambiente, deve tenere insieme e conciliare due opposte esigenze, ricercando tra di esse una adeguato punto di equilibrio: da un lato, la tutela della salute e dell’ambiente (per cui è necessario prestare la massima attenzione alla qualità dei rifiuti in ingresso e degli aggregati recuperati prodotti in uscita dal trattamento di recupero); dall’altro lato, la semplificazione, volta a favorire l’economia circolare, particolarmente urgente, forse, per questa tipologia di rifiuti».
11. Nel proprio position paper Anpar aveva, infatti, auspicato l’inserimento di codici generici quali il 170904 o il 191209 o i codici relativi agli eventi calamitosi 200301 o 200399.
12. Vedere le note 6 e 7.
13. Nel parere consultivo il Consiglio di stato afferma che «riguardo a questa problematica, relativa al primo step del processo di EoW (inerente la definizione delle tipologie di rifiuti ammissibili in entrata nel ciclo di produzione dell’aggregato recuperato), il Ministero afferma (pag. 7, secondo periodo, della relazione) che “Con riguardo alle tipologie di rifiuti escluse, gli operatori potranno continuare a ricevere tali rifiuti facendosi autorizzare caso per caso dagli enti territorialmente competenti”. Tale affermazione richiede di essere precisata, riguardo alla sua specifica base giuridica e, se effettivamente ammissibile, sarebbe utile tradurla in una specifica previsione da inserire nell’articolato dello schema di regolamento».
14. Termine forse non corretto posto che detta miscelazione non riguarderebbe rifiuti, ma aggregato riciclato con aggregato non riciclato e quindi rifiuto.
15. Rispetto a questa previsione, nelle proprie osservazioni l’associazione regionale Albo cavatori del Veneto aveva rilevato che «Considerare esente dal test di cessione solo gli aggregati destinati al confezionamento di calcestruzzi in Rck maggiore o uguale a 15 MPa è restrittivo rispetto a quanto già previsto dal D.M. 5/2/98 e smi così poi, come, tra l’altro, mutuato dalla DGRV della Regione Veneto n. 439 del 30.04.2018. Perché non rifarsi alle classificazioni delle miscele legate di cui alla serie della UNI EN 14227-1? In tali norme sono già definiti le classi di resistenza per definire quando una miscela è da considerarsi legata; vincolare a resistenze minime di 15 MPa va, anche in questo caso, verso limitazioni che contrastano con le finalità di favorire il recupero dei rifiuti; tra l’altro presupporrebbe un utilizzo smodato di cemento; quest’ultimo molto impattante dal punto di vista delle emissioni per la sua produzione».
16. A detta del Consiglio di Stato, «pur trattandosi di parametri che hanno una potenziale incidenza sulla salute umana e sull’ambiente, per i quali, dunque, appare ragionevole assumere posizioni di assoluta prudenza, resta aperta l’esigenza di un’attenta valutazione, da parte dell’Amministrazione, degli effetti concreti di tali limiti prudenziali sull’efficacia del meccanismo di economia circolare attivato dalla presente regolamentazione, affinché siano scongiurati effetti di forte riduzione dei quantitativi di rifiuti del genere in trattazione effettivamente avviati al recupero»..
17. «La sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti».
18. Cassazione penale, sez. III, 2 luglio 2018, n. 29752: «La mancata verifica degli specifici adempimenti previsti dall’art. 184-quater non consente di ritenere che i fanghi di dragaggio abbiano cessato la loro qualifica di rifiuti e possano conseguentemente essere trasportati senza il FIR. Sicché, secondo il nuovo art. 184-quater, i materiali dragati, sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati, cessano di essere rifiuti qualora, all’esito di operazioni di recupero (che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione) soddisfino una serie di requisiti e siano utilizzati in conformità a determinate condizioni, diversi a seconda che i materiali di dragaggio siano utilizzati in un sito o direttamente all’interno di un ciclo produttivo».
19. Il richiamo è agli artt. 184, comma 5 (che indica i criteri per la classificazione del rifiuto), 188, comma 4 (riguardante la responsabilità “estesa” nella gestione dei rifiuti ed i relativi limiti) e 193 (disposizione di riferimento in tema di tracciabilità dei rifiuti) del D.Lgs. 152/2006.
20. Secondo quanto previsto dall’art. 184, comma 5, D.Lgs. 152/2006 «La corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle Linee guida redatte (…) dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Per un approfondimento sul punto vedere A. Balestreri, F. Rigo, La classificazione dei rifiuti tra stato dell’arte e novità in Ambiente&Sicurezza n. 11/2021. Si segnala inoltre che le citate linee guida sono state recentemente oggetto di chiarimenti da parte del ministero con nota 17 gennaio 2022, prot. 0128108.
21. Si tratta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera h) del decreto dell’Autorità che rilascia l’autorizzazione al recupero o riceve la relativa comunicazione in regime semplificato.
22. Si esonerano infatti queste imprese dall’adempimento previsto all’art. 5, comma 3 del decreto.
23. Ad eccezione del regolamento sul recupero dei PFU nel quale è stato erroneamente indicato un termine di 120 giorni (sul tema vedere A. Kiniger End of Waste: il Ministero disciplina il recupero della gomma vulcanizzata, in Ambiente&Sicurezza n. 9/2020).
24. La mancata presentazione dell'istanza di aggiornamento, nel termine indicato dal periodo precedente, determina la sospensione dell'attività oggetto di autorizzazione o di procedura semplificata. V. sul tema, A. Kiniger, End of waste: la possibilità di definire criteri specifici (o dettagliati) permette di rilanciare la circular economy in Ambiente&Sicurezza n. 11/2019 .
25. Previsione forse ultronea considerata la permanente efficacia dell’allegato 4 al D.m. 5 febbraio 1998, recante Determinazione delle quantità massime di rifiuti non pericolosi di cui all’Allegato 1, Sub allegato 1 del D.m. 5/02/98.
26. «È fatta comunque salva la facoltà dei gestori degli impianti di non avvalersi dell'autorizzazione unica ambientale nel caso in cui si tratti di attività soggette solo a comunicazione, ovvero ad autorizzazione di carattere generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell'istanza per il tramite del SUAP».

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